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Wednesday, September 28, 2022

Referendum-farsa? Putin si metta in coda, qui in Italia siamo maestri

Siamo nati sul 99% dei plebisciti risorgimentali dal 1859 al 1870. Perché le consultazioni popolari che ratificano conquiste territoriali già avvenute sono sempre una truffa. E anche in Francia ne sanno qualcosa

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 settembre 2022

Vladimir Putin esulta per il 97% del suo referendum farsa nell’Ucraina occupata? Poteva far meglio: l'Italia nacque sul 99% dei plebisciti risorgimentali dal 1859 al 1870. Perché le consultazioni popolari che ratificano conquiste territoriali già avvenute sono sempre una truffa. E spesso non occorrono neanche minacce plateali, come i mitra spianati da Putin per stanare in casa gli ucraini riluttanti a votare. 

Ne "Il Gattopardo" il sindaco di Donnafugata, interpretato nel film da Paolo Stoppa, annuncia il risultato del plebiscito sull'unione della Sicilia all'Italia nel 1860: "Iscritti 515, votanti 512. Sì 512, No zero". Eppure tal Ciccio Tumeo assicura: "Io avevo votato no. E quei porci in municipio s'inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro".

Con questi metodi noi italiani abbiamo preso, ma anche perso. Nell’800 si usava così. Nizza, regalata nel 1860 da Cavour a Napoleone III in cambio della Lombardia, nel referendum confermativo diede ai francesi 6.921 Sì, con solo undici No. Ma il vero voto i nizzardi lo espressero coi piedi negli anni seguenti, quando un quarto di loro si trasferì in Italia.

Pochi ricordano che nel 1871, aizzati dal loro concittadino Giuseppe Garibaldi dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan, scatenarono i Vespri nizzardi. La neonata Terza Repubblica francese aveva infatti indetto le prime libere elezioni dopo l'impero, stravinte in città col 90% dalle liste filoitaliane contro l'annessione. 

Ma, alla faccia di libertà e democrazia, a Parigi prevalse ancora il nazionalismo: mobilitazione di diecimila soldati, occupazione di Nizza, chiusura del giornale pro-italiano "Il Diritto", incarcerazione dei patrioti italiani. La popolazione reagì, assalì la prefettura e ne ruppe le finestre a sassate gridando "Viva l’Italia, viva Garibaldi!”. Su un cartello fu issata la scritta "Inri: I nizzardi ritorneranno italiani". Ma dopo tre giorni di scontri e molti feriti e arresti, le cariche di cavalleria francesi ebbero la meglio.

Il 13 febbraio 1871 al deputato Garibaldi, che si era fatto eleggere nella nuova Assemblea nazionale francese convocata a Bordeaux, fu addirittura impedito di parlare. E lui si dimise da deputato con queste amare parole: “Ho sempre saputo distinguere la Francia dei preti dalla Francia repubblicana, che sono venuto a difendere a Digione con la devozione di un figlio”. Ma l’unico a difenderlo fu Victor Hugo.

Dopo i Vespri furono allontanati da Nizza gli ultimi irredentisti reduci dal Risorgimento italiano (era nizzardo anche Augusto Anfossi, comandante nelle Cinque giornate di Milano, ucciso sulle barricate). Si rafforzò la francesizzazione nell’ex provincia di Nizza sabauda, furono chiusi tutti i giornali in lingua italiana, si completò la cancellazione degli antichi toponimi locali. Ne fecero le spese perfino i cognomi: tanti Bianchi divennero Leblanc, e i Del Ponte Dupont.

Replay dopo la Seconda guerra mondiale con Briga e Tenda. I tedeschi fuggono dall’alta val Roja il 24 aprile 1945, le due cittadine sopra Ventimiglia vengono liberate dai partigiani italiani. Ma due giorni dopo arrivano a Tenda cento soldati algerini (francesi) che li disarmano, dando loro sei ore di tempo per andarsene.

Si tiene un plebiscito con schede prestampate: appare solo il sì all’annessione. L’unico modo di opporsi è votare scheda bianca, altrimenti si perde il diritto alla preziosa tessera annonaria, indispensabile per mangiare. I risultati sono favorevoli alla Francia: a Briga 976 sì e 39 schede nulle; a Tenda 893 favorevoli e 37 astenuti.

Un mese dopo giungono a Tenda gli americani e ripristinano l’amministrazione italiana, che però viene subito rovesciata dai francesi. La tensione è alle stelle. Ci vuole un accordo apposito a Caserta tra Francia e alleati per risolvere la situazione. Il 10 luglio 1945 il reggimento tiratori algerini deve lasciare l’alta Roja. Il Governo italiano a quel punto commette l’errore di invitare i cittadini contrari alla Francia a lasciare le proprie case. Anche Briga e Tenda, quindi, sperimentano il loro piccolo esodo, come in Istria: sono 42 le famiglie che se ne vanno da Briga (su un migliaio di abitanti), 90 da Tenda (su duemila). Nei mesi successivi altre cento famiglie abbandonano il territorio conteso.

Nell’aprile 1946 una commissione di otto membri (due per ogni Paese vincitore: Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia) descrive una maggioranza pro-francese a Briga, mentre a Tenda prevalgono gli italiani, fra i quali gli immigrati che lavorano nelle centrali idroelettriche. Ma ormai il destino dell’alta Roja è segnato: gli alleati accettano le richieste francesi, in cambio di forniture elettriche all’Italia per quindici anni. La cessione di Briga e Tenda è appoggiata soprattutto dal ministro degli Esteri sovietico Molotov.

Un nuovo referendum il 12 ottobre 1947 dà la quasi unanimità alla cessione: 2603 sì, 137 nulli, 218 no. Un migliaio di italiani sfollati che tornano per votare vengono però bloccati alla galleria di Tenda. Si ripete, insomma, la farsa vista a Nizza quasi un secolo prima: plebisciti pilotati, intimidazioni, propaganda sfrenata. Certo, l’Italia paga l’attacco vigliacco di Benito Mussolini alla Francia del giugno 1940, con l’annessione di Mentone. Ma in fatto di referendum truffaldini Putin non ha inventato nulla.

Wednesday, December 10, 2014

Una notte con una coguara

IL FENOMENO DELLE MILF ("MOTHER I'D LIKE TO FUCK") SI ALLARGA ANCHE IN ITALIA

di Mauro Suttora

Oggi, 3 dicembre 2014

Le due cougar ballano al Gattopardo di Milano, chiesa sconsacrata in zona Sempione. Sono le undici di un sabato sera di novembre. Quarantenni, si muovono con grazia felpata in mezzo alla pista, circondate da una folla prevalente di trentenni.

Non è difficile stabilire il contatto con tre occhiate. Mi avvicino sorridendo: «Posso offrirvi qualcosa?» 
«Grazie volentieri, abbiamo proprio sete».
 
Più cordiali di così. Fendiamo la folla, andiamo al banco, ordiniamo. I convenevoli. Una ha lunghi capelli corvini lisci, giacchetta nera, jeans attillati. L’altra, bionda, è come lei impiegata in un ente pubblico.

Venite spesso? 
«È la terza volta quest’anno, bella musica anche revival, vogliamo divertirci».
 
Cosa sottintende quel “divertirci” lo sanno tutti, ma nessuno lo dice. Torniamo in pista, mi svelo come giornalista. Claudia la mora è divertita e gentile, accetta di raccontare.

«Guarda, i locali sono pieni di donne quarantenni e anche cinquantenni. Soprattutto aperitivi, ma le happy hour si prolungano fino alle dieci, e poi oltre quando si aprono le danze. In tutti i sensi. Per flirtare abbiamo una scelta infinita. E non ci sono più barriere d’età. L’altro giorno mio figlio, secondo anno d’università, mi ha riferito una frase di un suo compagno: “Figa tua madre”. Finita lì, ovviamente, perché le milf, le madri da portare a letto, esistono solo nelle fantasie dei ragazzotti. O in quelle di qualche tardona svitata. Però è vero che a livello di abbordaggio i ventenni sono sempre più attratti dalle quarantenni, perfino da quelle vicine ai 50».

E poi? 
«E poi niente, nel senso che chi ha voglia di divertirsi si diverte». Dove? «Qualche bacetto può scappare anche qui, dietro a una colonna. Oppure in auto. Ma quasi sempre ci si soddisfa parlando. Adoriamo essere corteggiate. Sono rare le mie amiche che si spingono oltre».

Sposate? 
«No, quasi tutte separate o in via di. Ma non hanno voglia di cose serie, pesanti. Sai qual è il vero problema?»

Che s’innamorano i ragazzi.
«Esatto. Questi ti chiedono la mail, il telefono, ti invitano fuori, si fanno dei castelli in aria. Incredibile. E tu hai voglia a dirgli “Potrei essere tua madre”. Il più simpatico mi ha risposto: “Appunto, eccitante”».

E noi uomini over 40 e 50, tutti ammosciati? 
«Ma no, ci siete, ci siete. Fastidiosissimi [ride]… Nel senso che dite di essere divorziati, e invece poi si scopre che avete tanto di famiglia. Non che sia un problema: per quelle che vogliono solo distrarsi, anzi, meglio così. Però pesantiiii… Non solo l’alito, è che quando cominciate a parlare dite cose noiose. Prevedibili. Sembrate gli acchiappatori di una volta. La fantasia ce l’hanno solo i giovani. La leggerezza».

Per esempio? 
«Una mia amica ha ballato con un ragazzo fino alle quattro del mattino, poi questo l’ha portata a Malpensa e davanti a tabelloni delle partenze le ha detto: “Scegli tu”. Le ha comprato il biglietto e sono partiti per un weekend al mare. Così, senza un ricambio di vestiti. Neanche lo spazzolino».
 
Come nei film. 
«Beh, il furbacchione l’ha portata al terminal due, quello dei voli low-cost. Però poi a Ibiza le ha comprato tutto il guardaroba».
Mauro Suttora

Monday, August 22, 2005

Ristoranti di New York

mensile Dove, agosto 2005

CENA IN PALCOSCENICO

La nuova hit parade gastronomica? Drink sui grattacieli, ristoranti nel quartiere dei macellai, cucina italiana in rialzo. Tutti gli indirizzi per mangiare bene e pagare il giusto. In posti scenografici

Sono oltre 15.000 i ristoranti di New York, industria fondamentale per una città che pranza poco a casa. Ogni anno ne aprono circa 300, e altrettanti chiudono i battenti. "A molti newyorkesi la buona cucina non basta", dice Ruth Reichl, direttore della rivista 'Gourmet', forse il critico gastronomico più famoso degli Usa. "Per loro, andare al ristorante è come andare a teatro, si aspettano un'intera serata di intrattenimento. e sono pronti a giurare amore eterno ai locali che sanno offrire qualità ed effervescenza continue". Dove spesso gli stranieri si divertono, sì, ma per la cucina preferiscono locali dove andare a colpo sicuro e che si sono fatti la reputazione di nuovi classici. Apprezzati da tempo, sono sempre alla moda e uniscono buona cucina, clientela à la page e prezzi corretti. Differenti dai classici-classici come Daniel o Alain Ducasse perchè più creativi e meno impegnativi. Alcuni poi sono di apertura recente, ma grazie alla fama dei cuochi vengono considerati già degli instant classic, destinati a caratterizzare la tavola di New York per il futuro.

Aperitivi con vista

Il vero new style? I tipici aperitivi e la cena con vista. Perchè New York va gustata dall'alto. Altrimenti, a che servono tutti i suoi grattacieli? Lo spettacolo mozzafiato del momento è quello di Central Park visto dal quarantesimo piano delle nuove torri Time Warner, a Columbus Circle. Per ammirarlo bisogna salire al bar di un albergo, il Mandarin Oriental (entrata dalla 60esima strada). La reception si trova al 35esimo piano, con la Lounge, il MObar e il ristorante giapponese Asiate. Per un assaggio di aperitivi basta la prima, accomodatevi il più vicino possibile alla vetrata. Evitate il secondo perchè non ha finestre.

Subito dopo, in un'ipotetica classifica delle viste più inebrianti di New York, c'è il Ge (General Electric) Building, il grattacielo più alto del Rockefeller Center. Si sale al sessantaseiesimo piano di questo gioiello degli anni Trenta, con l'ascensore express che arriva direttamente alla leggendaria Rainbow Room, senza mai fermarsi. Dal 1999 il locale, che occupa gli ultimi due piani del palazzo, è gestito dalla famiglia Cipriani. Il settantenne Arrigo e il figlio Giuseppe hanno trasferito in cima alla capitale del mondo la stessa raffinatezza ovattata dell'Harry's Bar di Venezia, con aperitivi famosi come il Bellini, piatti altrettanto noti come il carpaccio e le altre leccornie. Il massimo è arrivare a cavallo del tramonto, per ammirare la città nel passaggio fra il giorno e la notte. Non c'è bisogno di cenare, basta fermarsi a uno dei tavoli riservati all'aperitivo, o al bancone del bar. La vetrata dà a sud: di fronte svetta l'Empire, dietro in lontananza i grattacieli di Wall Street. Provate a curiosare anche sul lato nord, per vedere Central Park, o verso ovest sul fiume Hudson.

A cinque isolati dal Rockefeller Center, sulla 55esima Strada all'angolo con la Quinta Avenue, c'è poi l'hotel Peninsula, che proprio in questo 2005 festeggia cent'anni. Il suo Pen-Top Bar è molto più basso della Rainbow Room (sta al 23esimo piano), ma in compenso offre anche due terrazze all'aperto. E il colpo d'occhio sulla Fifth Avenue lascia senza respiro, con il palazzo Playboy a nord e i grattacieli Sony e Citicorp a est. Occhio ai prezzi: per un Apple Martini si pagano venti dollari, ma volendo se ne possono scialacquare 75 per un cocktail Dolce Far Niente. Dal piano terra si raggiunge l'ascensore alla fine di un corridoio sulla destra dell'albergo, con accesso anche diretto dalla strada.

Infine, provate i nuovi locali concentrati al quarto piano delle torri Time Warner. Non così in alto come il 35º del Mandarin Oriental, ma con vista egualmente piacevole. Uno accanto all'altro ci sono il bar Stone Rose, sempre pieno di attraenti fanciulle, il ristorante giapponese Masa, la V Steakhouse del celebre chef Jean-George Vongerichten (a New York i grandi cuochi sono star riverite) e il "fusion" Per Se di Thomas Keller.

Quello con il miglior rapporto qualità-prezzo è il Cafè Gray, che prende il nome dal cuoco Gray Kuntz. Il menù è «francese rustico», consigliabili il vitel tonnato e le costatine di manzo (short ribs) marinate in salsa dolce mango-tamarindo. Due consigli: per godere del panorama meglio andarci di giorno, perchè col buio la luce della cucina in vista si riflette sui vetri creando un effetto specchio; e prenotate in anticipo.

In fatto di di prenotazioni, i ristoranti newyorkesi possono causare dolori. Di venerdì e sabato è quasi impossibile trovar posto nei locali buoni o "trendy" (le due caratteristiche non coincidono, occhio alla mania americana per le "novità"). Fate quindi qualche telefonata qualche settimana prima di partire, se avete una meta irrinunciabile.

Italiani di successo e bistrot

Il New York Times Magazine ha pubblicato a maggio un articolo di due pagine sui trucchi per ottenere un tavolo da Babbo. Il suo chef e padrone, l'italoamericano Mario Batali, è stato consacrato quest'anno miglior cuoco degli Stati Uniti dalla Beard Foundation, l'accademia gastronomica più prestigiosa degli Usa: è quindi d'obbligo una visita nel suo locale, vicino a Washington Square, con un assaggio alle lingue di agnello in vinaigrette di tartufo nero, ai ravioli, alle crostate di pinoli e semifreddi di pistacchio e cioccolato. Aperto nel 1998, Babbo è ormai un classico, ma anche un posto alla moda. Bisogna prenotare un mese prima.

Più alla mano Beppe di Cesare Casella, nel raffinato quartiere di Gramercy Park. Gli antipasti di crostini, cozze o salsicce (da maiali allevati nella sua fattoria americana), le paste (pinci, norcino, pepolino), e poi branzini, quaglie, bistecche: tutto riporta alla ricchezza della trattoria toscana. Casella proprio il mese scorso ha aperto il ristorante Maremma, sulla Decima Strada West, che propone un mix di cucina toscana e texana.

Il Pastis resta il locale-principe del quartiere più "in" per le sere di Manhattan: il Meatpacking district. L'antesignano Keith McNally ebbe il coraggio di aprirlo quando la zona era ancora piena di macellerie all'ingrosso, depositi e magazzini. E questa brasserie francese è sempre affollata di belle donne furibonde perchè sono appena inciampate con i loro tacchi sul porfido irregolare della Nona Avenue. Non si va al Pastis per mangiare sopraffino, ma per godere dell'atmosfera, vedere e farsi vedere.

Stesso discorso per il ristorante-gemello Balthazar, a Soho: inossidabile dai tempi del boom della net-economy e di "Sex and the City", la dolce vita degli anni Zero la trovate qui. "E' il modo più veloce per andare a Parigi ora che non c'è più il Concorde", cameriere belle come attrici, qualcuna ce la fa.

Ma, tornando al quartiere Meatpacking, da raccomandare è Florent su Gansevoort Street, strada che conserva l'antico nome olandese: aperto 24 ore su 24 da un francese vero, ci trovate meno puzza sotto il naso e prezzi eccellenti. Atmosfera da bistrot più che da brasserie, menù franco-americano, artisti e intellettuali si mischiano a miliardari travestiti da barboni, e alle modelle che vi si rifugiano per un boccone alle quattro di notte dopo la discoteca. Hamburgers, minestre di cipolla, lumache, budini neri e insalate niçoise servite su tavoli di fòrmica.

Se invece ricercate lo chic asiatico fusion, due isolati più a nord c'è lo Spice Market, aperto nel 2004 da Vongerichten. E' uno spazio enorme, a due piani, simile alla fumeria d'oppio dove finì Robert De Niro in "C'era una volta in America". Involtini d'uovo ai funghi sgocciolanti salsa galangal, cozze dolci al vapore con basilico thailandese e succo di cocco, fino a temibili ali di pollo fritte con salsa di lime e pesce, più fette di mango: l'estremo oriente sarà vostro. Evitate il tonno con la tapioca, la pescatrice (monkfish) glassata con tamarindo ghiacciato e altre stranezze.

Per un più classico francovietnamita converrà dirigersi a NoHo (Nord di Houston Street), nel vecchio ma sempre valido Indochine. Qui il cuoco cambogiano Huy Chi Le vi servirà involtini primavera caldi e croccanti, con tutti gli ingredienti interni ben identificabili: funghi, pasta, carne di maiale, carote. Da provare anche la sogliola avvolta in una foglia di banano, con ricco curry al latte di cocco. E ci si può comunque sempre rifugiare in un filet mignon. Confini est-ovest infranti anche nella scelta dei dolci: si va dalla banana arrosto con riso alle torte francesi al limone. Un piccolo segreto: fino alle sette di sera menù pre-teatro a 25 dollari.

Pranzare al museo

Anche il coté culturale dei soggiorni newyorkesi va accompagnato da cibo di qualità. E se la "cafeteria" (mensa) sotterranea del Metropolitan Museum è trascurabile, interessante risulta invece l'offerta proposta dal MoMA riaperto otto mesi fa. Il museo ha ben tre ristoranti al proprio interno.
Al piano terra c'è il Modern, locale di lusso aperto anche a clienti che non visitano il museo, i quali hanno un ingresso separato direttamente dalla strada dopo l'orario di chiusura. Il giapponese Yoshio Taniguchi, progettista del nuovo MoMA, ha conservato la disposizione originale dall'architetto Philip Johnson nel '53: sono affascinanti le finestrone del ristorante a tutta altezza sul Giardino delle sculture con i Rodin e i Giacometti.
Il Cafe 2, al secondo piano, è una trattoria italiana: clima informale, prezzi più bassi, bar dove si può ordinare un veloce espresso al banco. Al quinto piano, infine, c'è la Terrace, caffè più intimo con selezione di dolci, cioccolato, sandwich e vino, cocktail, caffè e the.

Molti visitatori del MoMA escono dal retro, sulla 54esima Strada, per andare da Il Gattopardo di Gianfranco Sorrentino, che negli anni '90 gestiva il ristorante interno del museo, e per gustarne le polpette di carne, i carciofi alla parmigiana e la mozzarella affumicata.

Ottimo anche il Café Sabarsky ospitato all'interno della Neue Galerie, museo austro-tedesco situato proprio a metà strada fra il Guggenheim e il Met: un pezzo di Vienna sulla Quinta Avenue. Ma siamo in America, e allora fra i classici occorre inserire il tempio dell'hamburger (Corner Bistro, piccolo e buio locale del West Village che li serve su piatti di carta) e quello della bistecca: Maloney & Porcelli, enorme steakhouse su due piani dove, viste le dimensioni (e i prezzi) delle portate conviene arrivare con lo stomaco ben vuoto.

Pizze e celebrity spotting

Tutti ci vergogniamo ad ammetterlo, ma New York è il posto ideale per incontrare un vip che ci sta mangiando accanto. Ciò può avvenire in tutti i posti che vi abbiamo segnalato, ma per una chance in più provate al Bar Pitti, nel Village. Ai tavoli di legno apparecchiati da Giovanni siedono spesso attori, registi, musicisti. Se li riconoscete, però, siate newyorkesi fino in fondo: fate finta di niente, reprimete ogni richiesta di autografo o foto. E intanto, apprezzate le melanzane alla parmigiana e il resto del menù scritto sulle lavagne.

Gli altri classici del "celebrity spotting" sono la Mercer Kitchen e il Cipriani Downtown, entrambi a Soho. A qualsiasi ora del giorno a fino a tarda sera è possibile imbattersi in Nicole Kidman o in Jack Nicholson. Particolarmente ambiti, da Cipriani, i tavoli all'aperto durante la bella stagione.

A New York si possono mangiare buone pizze. Quelle di John's Pizzeria sono ormai un classico, specialmente nel ristorante di Bleecker Street (uno dei tre, a Manhattan). Numerose sono anche le location di Serafina. Quella all'angolo di Broadway con la 55esima Strada è la quinta, e l'ultima aperta. Appena sbarcata a New York è anche la catena delle pizzerie Piola, nate a Treviso nel 1987 e poi dilagate in tutta l'America Latina. Le pizze hanno i nomi delle città italiane, con innumerevoli combinazioni di ingredienti.

Uno dei riti iperclassici di New York è il brunch. Nell'Upper East Side andate all'Atlantic Grill, grossa sala sulla Terza avenue che offre pesce meravigliosamente fresco ma lunghe code per gli sventurati che nonprenotano. Grande qualità a prezzo fisso anche al ristorante Riingo.

Il segreto ovunque, per gli amanti del brunch improvvisato, è arrivare sul presto (verso le 11). Nell'Upper West Side c'è Barney Greengrass, un negozio di pesce e storione aperto 97 anni fa che si è ampliato in ristorante (ma non per cena). I tavoli di alluminio conferiscono al posto un delizioso squallore fané anni '50, da macchina del tempo. Però la qualità è buona.

Se fa bel tempo, poi, è consigliabile avventurarsi nella Boat House di Central park, all'estremità est del lago con le barche. Posto romantico, oltre alle tradizionali uova e bacon offre insalate, gazpacho di gamberi, toast di mirtilli e mascarpone, nonchè frittate con salmone affumicato, spinaci e feta. Chi si trova downtown, invece, vada alla Blue Ribbon Bakery del Greenwich Village: non si può prenotare se si è in meno di cinque, ma il pasticcio di gamberi e pancetta vale il rischio di un'attesa. E l'arredamento è di gran gusto.

Mauro Suttora