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Monday, August 22, 2005

Ristoranti di New York

mensile Dove, agosto 2005

CENA IN PALCOSCENICO

La nuova hit parade gastronomica? Drink sui grattacieli, ristoranti nel quartiere dei macellai, cucina italiana in rialzo. Tutti gli indirizzi per mangiare bene e pagare il giusto. In posti scenografici

Sono oltre 15.000 i ristoranti di New York, industria fondamentale per una città che pranza poco a casa. Ogni anno ne aprono circa 300, e altrettanti chiudono i battenti. "A molti newyorkesi la buona cucina non basta", dice Ruth Reichl, direttore della rivista 'Gourmet', forse il critico gastronomico più famoso degli Usa. "Per loro, andare al ristorante è come andare a teatro, si aspettano un'intera serata di intrattenimento. e sono pronti a giurare amore eterno ai locali che sanno offrire qualità ed effervescenza continue". Dove spesso gli stranieri si divertono, sì, ma per la cucina preferiscono locali dove andare a colpo sicuro e che si sono fatti la reputazione di nuovi classici. Apprezzati da tempo, sono sempre alla moda e uniscono buona cucina, clientela à la page e prezzi corretti. Differenti dai classici-classici come Daniel o Alain Ducasse perchè più creativi e meno impegnativi. Alcuni poi sono di apertura recente, ma grazie alla fama dei cuochi vengono considerati già degli instant classic, destinati a caratterizzare la tavola di New York per il futuro.

Aperitivi con vista

Il vero new style? I tipici aperitivi e la cena con vista. Perchè New York va gustata dall'alto. Altrimenti, a che servono tutti i suoi grattacieli? Lo spettacolo mozzafiato del momento è quello di Central Park visto dal quarantesimo piano delle nuove torri Time Warner, a Columbus Circle. Per ammirarlo bisogna salire al bar di un albergo, il Mandarin Oriental (entrata dalla 60esima strada). La reception si trova al 35esimo piano, con la Lounge, il MObar e il ristorante giapponese Asiate. Per un assaggio di aperitivi basta la prima, accomodatevi il più vicino possibile alla vetrata. Evitate il secondo perchè non ha finestre.

Subito dopo, in un'ipotetica classifica delle viste più inebrianti di New York, c'è il Ge (General Electric) Building, il grattacielo più alto del Rockefeller Center. Si sale al sessantaseiesimo piano di questo gioiello degli anni Trenta, con l'ascensore express che arriva direttamente alla leggendaria Rainbow Room, senza mai fermarsi. Dal 1999 il locale, che occupa gli ultimi due piani del palazzo, è gestito dalla famiglia Cipriani. Il settantenne Arrigo e il figlio Giuseppe hanno trasferito in cima alla capitale del mondo la stessa raffinatezza ovattata dell'Harry's Bar di Venezia, con aperitivi famosi come il Bellini, piatti altrettanto noti come il carpaccio e le altre leccornie. Il massimo è arrivare a cavallo del tramonto, per ammirare la città nel passaggio fra il giorno e la notte. Non c'è bisogno di cenare, basta fermarsi a uno dei tavoli riservati all'aperitivo, o al bancone del bar. La vetrata dà a sud: di fronte svetta l'Empire, dietro in lontananza i grattacieli di Wall Street. Provate a curiosare anche sul lato nord, per vedere Central Park, o verso ovest sul fiume Hudson.

A cinque isolati dal Rockefeller Center, sulla 55esima Strada all'angolo con la Quinta Avenue, c'è poi l'hotel Peninsula, che proprio in questo 2005 festeggia cent'anni. Il suo Pen-Top Bar è molto più basso della Rainbow Room (sta al 23esimo piano), ma in compenso offre anche due terrazze all'aperto. E il colpo d'occhio sulla Fifth Avenue lascia senza respiro, con il palazzo Playboy a nord e i grattacieli Sony e Citicorp a est. Occhio ai prezzi: per un Apple Martini si pagano venti dollari, ma volendo se ne possono scialacquare 75 per un cocktail Dolce Far Niente. Dal piano terra si raggiunge l'ascensore alla fine di un corridoio sulla destra dell'albergo, con accesso anche diretto dalla strada.

Infine, provate i nuovi locali concentrati al quarto piano delle torri Time Warner. Non così in alto come il 35º del Mandarin Oriental, ma con vista egualmente piacevole. Uno accanto all'altro ci sono il bar Stone Rose, sempre pieno di attraenti fanciulle, il ristorante giapponese Masa, la V Steakhouse del celebre chef Jean-George Vongerichten (a New York i grandi cuochi sono star riverite) e il "fusion" Per Se di Thomas Keller.

Quello con il miglior rapporto qualità-prezzo è il Cafè Gray, che prende il nome dal cuoco Gray Kuntz. Il menù è «francese rustico», consigliabili il vitel tonnato e le costatine di manzo (short ribs) marinate in salsa dolce mango-tamarindo. Due consigli: per godere del panorama meglio andarci di giorno, perchè col buio la luce della cucina in vista si riflette sui vetri creando un effetto specchio; e prenotate in anticipo.

In fatto di di prenotazioni, i ristoranti newyorkesi possono causare dolori. Di venerdì e sabato è quasi impossibile trovar posto nei locali buoni o "trendy" (le due caratteristiche non coincidono, occhio alla mania americana per le "novità"). Fate quindi qualche telefonata qualche settimana prima di partire, se avete una meta irrinunciabile.

Italiani di successo e bistrot

Il New York Times Magazine ha pubblicato a maggio un articolo di due pagine sui trucchi per ottenere un tavolo da Babbo. Il suo chef e padrone, l'italoamericano Mario Batali, è stato consacrato quest'anno miglior cuoco degli Stati Uniti dalla Beard Foundation, l'accademia gastronomica più prestigiosa degli Usa: è quindi d'obbligo una visita nel suo locale, vicino a Washington Square, con un assaggio alle lingue di agnello in vinaigrette di tartufo nero, ai ravioli, alle crostate di pinoli e semifreddi di pistacchio e cioccolato. Aperto nel 1998, Babbo è ormai un classico, ma anche un posto alla moda. Bisogna prenotare un mese prima.

Più alla mano Beppe di Cesare Casella, nel raffinato quartiere di Gramercy Park. Gli antipasti di crostini, cozze o salsicce (da maiali allevati nella sua fattoria americana), le paste (pinci, norcino, pepolino), e poi branzini, quaglie, bistecche: tutto riporta alla ricchezza della trattoria toscana. Casella proprio il mese scorso ha aperto il ristorante Maremma, sulla Decima Strada West, che propone un mix di cucina toscana e texana.

Il Pastis resta il locale-principe del quartiere più "in" per le sere di Manhattan: il Meatpacking district. L'antesignano Keith McNally ebbe il coraggio di aprirlo quando la zona era ancora piena di macellerie all'ingrosso, depositi e magazzini. E questa brasserie francese è sempre affollata di belle donne furibonde perchè sono appena inciampate con i loro tacchi sul porfido irregolare della Nona Avenue. Non si va al Pastis per mangiare sopraffino, ma per godere dell'atmosfera, vedere e farsi vedere.

Stesso discorso per il ristorante-gemello Balthazar, a Soho: inossidabile dai tempi del boom della net-economy e di "Sex and the City", la dolce vita degli anni Zero la trovate qui. "E' il modo più veloce per andare a Parigi ora che non c'è più il Concorde", cameriere belle come attrici, qualcuna ce la fa.

Ma, tornando al quartiere Meatpacking, da raccomandare è Florent su Gansevoort Street, strada che conserva l'antico nome olandese: aperto 24 ore su 24 da un francese vero, ci trovate meno puzza sotto il naso e prezzi eccellenti. Atmosfera da bistrot più che da brasserie, menù franco-americano, artisti e intellettuali si mischiano a miliardari travestiti da barboni, e alle modelle che vi si rifugiano per un boccone alle quattro di notte dopo la discoteca. Hamburgers, minestre di cipolla, lumache, budini neri e insalate niçoise servite su tavoli di fòrmica.

Se invece ricercate lo chic asiatico fusion, due isolati più a nord c'è lo Spice Market, aperto nel 2004 da Vongerichten. E' uno spazio enorme, a due piani, simile alla fumeria d'oppio dove finì Robert De Niro in "C'era una volta in America". Involtini d'uovo ai funghi sgocciolanti salsa galangal, cozze dolci al vapore con basilico thailandese e succo di cocco, fino a temibili ali di pollo fritte con salsa di lime e pesce, più fette di mango: l'estremo oriente sarà vostro. Evitate il tonno con la tapioca, la pescatrice (monkfish) glassata con tamarindo ghiacciato e altre stranezze.

Per un più classico francovietnamita converrà dirigersi a NoHo (Nord di Houston Street), nel vecchio ma sempre valido Indochine. Qui il cuoco cambogiano Huy Chi Le vi servirà involtini primavera caldi e croccanti, con tutti gli ingredienti interni ben identificabili: funghi, pasta, carne di maiale, carote. Da provare anche la sogliola avvolta in una foglia di banano, con ricco curry al latte di cocco. E ci si può comunque sempre rifugiare in un filet mignon. Confini est-ovest infranti anche nella scelta dei dolci: si va dalla banana arrosto con riso alle torte francesi al limone. Un piccolo segreto: fino alle sette di sera menù pre-teatro a 25 dollari.

Pranzare al museo

Anche il coté culturale dei soggiorni newyorkesi va accompagnato da cibo di qualità. E se la "cafeteria" (mensa) sotterranea del Metropolitan Museum è trascurabile, interessante risulta invece l'offerta proposta dal MoMA riaperto otto mesi fa. Il museo ha ben tre ristoranti al proprio interno.
Al piano terra c'è il Modern, locale di lusso aperto anche a clienti che non visitano il museo, i quali hanno un ingresso separato direttamente dalla strada dopo l'orario di chiusura. Il giapponese Yoshio Taniguchi, progettista del nuovo MoMA, ha conservato la disposizione originale dall'architetto Philip Johnson nel '53: sono affascinanti le finestrone del ristorante a tutta altezza sul Giardino delle sculture con i Rodin e i Giacometti.
Il Cafe 2, al secondo piano, è una trattoria italiana: clima informale, prezzi più bassi, bar dove si può ordinare un veloce espresso al banco. Al quinto piano, infine, c'è la Terrace, caffè più intimo con selezione di dolci, cioccolato, sandwich e vino, cocktail, caffè e the.

Molti visitatori del MoMA escono dal retro, sulla 54esima Strada, per andare da Il Gattopardo di Gianfranco Sorrentino, che negli anni '90 gestiva il ristorante interno del museo, e per gustarne le polpette di carne, i carciofi alla parmigiana e la mozzarella affumicata.

Ottimo anche il Café Sabarsky ospitato all'interno della Neue Galerie, museo austro-tedesco situato proprio a metà strada fra il Guggenheim e il Met: un pezzo di Vienna sulla Quinta Avenue. Ma siamo in America, e allora fra i classici occorre inserire il tempio dell'hamburger (Corner Bistro, piccolo e buio locale del West Village che li serve su piatti di carta) e quello della bistecca: Maloney & Porcelli, enorme steakhouse su due piani dove, viste le dimensioni (e i prezzi) delle portate conviene arrivare con lo stomaco ben vuoto.

Pizze e celebrity spotting

Tutti ci vergogniamo ad ammetterlo, ma New York è il posto ideale per incontrare un vip che ci sta mangiando accanto. Ciò può avvenire in tutti i posti che vi abbiamo segnalato, ma per una chance in più provate al Bar Pitti, nel Village. Ai tavoli di legno apparecchiati da Giovanni siedono spesso attori, registi, musicisti. Se li riconoscete, però, siate newyorkesi fino in fondo: fate finta di niente, reprimete ogni richiesta di autografo o foto. E intanto, apprezzate le melanzane alla parmigiana e il resto del menù scritto sulle lavagne.

Gli altri classici del "celebrity spotting" sono la Mercer Kitchen e il Cipriani Downtown, entrambi a Soho. A qualsiasi ora del giorno a fino a tarda sera è possibile imbattersi in Nicole Kidman o in Jack Nicholson. Particolarmente ambiti, da Cipriani, i tavoli all'aperto durante la bella stagione.

A New York si possono mangiare buone pizze. Quelle di John's Pizzeria sono ormai un classico, specialmente nel ristorante di Bleecker Street (uno dei tre, a Manhattan). Numerose sono anche le location di Serafina. Quella all'angolo di Broadway con la 55esima Strada è la quinta, e l'ultima aperta. Appena sbarcata a New York è anche la catena delle pizzerie Piola, nate a Treviso nel 1987 e poi dilagate in tutta l'America Latina. Le pizze hanno i nomi delle città italiane, con innumerevoli combinazioni di ingredienti.

Uno dei riti iperclassici di New York è il brunch. Nell'Upper East Side andate all'Atlantic Grill, grossa sala sulla Terza avenue che offre pesce meravigliosamente fresco ma lunghe code per gli sventurati che nonprenotano. Grande qualità a prezzo fisso anche al ristorante Riingo.

Il segreto ovunque, per gli amanti del brunch improvvisato, è arrivare sul presto (verso le 11). Nell'Upper West Side c'è Barney Greengrass, un negozio di pesce e storione aperto 97 anni fa che si è ampliato in ristorante (ma non per cena). I tavoli di alluminio conferiscono al posto un delizioso squallore fané anni '50, da macchina del tempo. Però la qualità è buona.

Se fa bel tempo, poi, è consigliabile avventurarsi nella Boat House di Central park, all'estremità est del lago con le barche. Posto romantico, oltre alle tradizionali uova e bacon offre insalate, gazpacho di gamberi, toast di mirtilli e mascarpone, nonchè frittate con salmone affumicato, spinaci e feta. Chi si trova downtown, invece, vada alla Blue Ribbon Bakery del Greenwich Village: non si può prenotare se si è in meno di cinque, ma il pasticcio di gamberi e pancetta vale il rischio di un'attesa. E l'arredamento è di gran gusto.

Mauro Suttora

Saturday, October 18, 2003

Ann Coulter

USA: ANN COULTER, NUOVA DESTRA IN TACCHI A SPILLO 
di Mauro Suttora
Il Foglio, 18 ottobre 2003
New York. Bella, bionda, brillante, intelligente. Ann Coulter, 41 anni, è la nuova star della destra americana. Da tre mesi il suo ultimo libro, "Treason" ("Tradimento"), è nella top ten dei bestseller statunitensi. Lei vive praticamente accampata negli studi televisivi, tutti la vogliono perchè garantisce ascolto. 
E' una specie di Vittorio Sgarbi o Giuliano Ferrara al femminile, adora scandalizzare e ha la battuta pronta. "Da quando è uscito il libro ho dovuto dare duecento interviste", fa finta di lamentarsi all'uscita degli studi Fox (la tv di Rupert Murdoch) sulla Sesta Avenue di Manhattan, dove le chiedono un parere su tutto un giorno sì e uno no.
Ormai con le royalties è diventata miliardaria, beniamina dei conservatori anche perchè intellettualmente non così sofisticata come certi "neocon" (Paul Wolfowitz, Robert Kagan, Amin Taheri). Ma lei si fa un vanto proprio di questo suo volare terra terra "Mi trovo in perfetta sintonia non con l'Upper East Side, il quartiere di New York dove vivo, ma con i veri americani che stanno a Queens e che non temono di esporre la bandiera sulla porta di casa".
Patriottismo, religione, valori tradizionali. "Dio, patria, famiglia: una fascistona", la liquidano a sinistra. Non per nulla Al Franken, primo nella classifica della saggistica con il suo "Lies and the Lying Liars Who Tell Them A Fair and Balanced Look at the Right" ("Bugie e i bugiardi matricolati che le dicono uno sguardo equo e obiettivo sulla destra"), le dedica due interi capitoli uno intitolato "Ann Coulter, un caso da manicomio", e quello successivo che non lascia spazio a dubbi: "Sapete chi proprio non mi piace? Ann Coulter". La sua definizione più gentile è: "Per coloro che sono così fortunati da non averla ancora conosciuta, si tratta della diva della destra isterica", che "scrive pornografia politica".
Nelle liti lei ci sguazza, si diverte come una pazza quando la attaccano anche selvaggiamente "Franken, Joe Conason e tutti quelli che scrivono libri di successo contro i conservatori dovrebbero ringraziarmi riescono a vendere soltanto grazie a me, dove sarebbero se non mi avessero scelta come bersaglio? Darò loro da mangiare per i prossimi trent'anni".
 In effetti, una polarizzazione netta caratterizza ormai la saggistica politica degli Stati Uniti i bestseller sono quelli dei personaggi più estremi. A sinistra trionfano Michael Moore (autore di "Stupid White Men" e del film premio Oscar "Bowling for Columbine") e Gore Vidal.
 A destra rispondono senza far prigionieri, con la Coulter ma anche con Bill O'Reilly (autore di "Spinning Zone" e presentatore ogni sera di un talk show sulla tv Fox) e il terribile John Savage (di nome e di fatto, anch'egli personaggio tv licenziato dalla Nbc dopo aver auspicato in diretta che i gay si pigliassero l'Aids).
La Coulter è un'Oriana Fallaci con maggiore sarcasmo. I suoi nemici, più che i fondamentalisti musulmani dell'11 settembre, sono i "liberals" (cioè la sinistra Usa): "Neppure i terroristi islamici odiano l'America quanto i nostri liberali. Non hanno abbastanza forza. Se avessero la loro energia, in tutto questo tempo sarebbero almeno riusciti a costruirsi le toilette in casa", dice.
 Di ritorno da una presentazione del libro nell'Ohio, ha subìto una perquisizione in aeroporto. E' furibonda: "Quegli imbecilli di agenti, invece di infilarmi le mani sotto il reggipetto, farebbero meglio a prendere di mira certi maschi mediorientali con il fumo che gli esce dai pantaloni..."
Elegante, la Coulter ha uno stile eccentrico fatto di minigonne e cuoio nero che eccita i fans. Nel suo sito Internet (www.anncoulter.org) ha piazzato un'intera "gallery" di proprie immagini in pose provocanti. In una appare con l'ex presidente Ronald Reagan, in un'altra imbraccia virilmente un fucile. Le manca solo il frustino, e poi il suo lettore medio (maschio militarista del Midwest) sarebbe soddisfatto. 
Il fatto che Ann risulti single e si dichiari disponibile al "dating", agli appuntamenti con uomini ("Ma devono essere alti, divertenti, buoni sciatori e soprattutto di destra"), aggiunge fascino al personaggio. Il tocco finale al gioco della seduzione è dato dal club per cuori solitari "conservatori" ospitato dal sito.
In realtà, l'apparentemente populista Ann nuota come un pesce, perfettamente a proprio agio, negli ambienti liberal-chic di Manhattan. Frequenta i ristoranti alla moda dell'Upper East e West Side, dal Baraonda al Bella Blu al Cafè Luxemburg, col suo orologio Cartier e i braccialetti di diamanti.
 Altro che "America profonda", altro che camiciazze spiegazzate a quadrettoni, stile camionista del New Jersey. D'estate migra con tutti i ricchi agli Hamptons, e d'inverno se ne va a sciare sulle montagne Catskill o in Colorado. Il suo posto preferito tuttavia è Miami, Florida "Perchè è pieno di esuli cubani anticomunisti", scherza ma non troppo.
Potrebbe ormai permettersi anche di più dell'appartamento in affitto newyorkese, grazie ai pingui diritti d'autore. Il suo primo successo è stato, nel 1998, "High Crimes and Misdemeanors The Case Against Bill Clinton". L'anno scorso ha sfondato con "Slander, Liberal Lies About the American Right" ("Calunnia, bugie liberali sulla destra americana"), cosicchè l'editore le ha subito chiesto un altro libro. "E io ho lavorato come una pazza da ottobre, anche i venerdì e i sabato sera".
 Il suo ultimo volume è una difesa del senatore Joe McCarthy, quello che negli anni Cinquanta scatenò la caccia alle streghe contro i marxisti negli Stati Uniti. Un'impresa impossibile, apparentemente riabilitare il personaggio che ha dato il proprio nome al "maccartismo", il persecutore che tolse il lavoro a tanti attori e scrittori di Hollywood, il simbolo di uno dei periodi più bui e bigotti della storia d'America?
Ann Coulter non chiedeva di meglio più la sfida è grossa, più lei si lancia a testa bassa per demolire quelli che ritiene stereotipi e luoghi comuni spacciati dagli odiati "liberals". E in questa battaglia delle idee in cui lei si sente perennemente in prima linea è riuscita a dimostrare che tutto sommato alcune delle vittime di McCarthy erano veramente spie dei sovietici, e che comunque in periodo di guerra (seppur solo fredda) quasi tutti i mezzi sono leciti. Così come oggi difende a spada tratta l'intervento in Iraq: "I liberali vorrebbero che i nostri soldati fossero sconfitti, perchè è l'unica possibilità che hanno di poter cacciare Bush dalla Casa Bianca l'anno prossimo".
 Un'altra frase detta dopo l'11 settembre 2001 le è costata il posto alla Msnbc (tv in joint venture fra Microsoft e Nbc): "Invadiamo i Paesi amici dei terroristi, uccidiamo i loro capi e convertiamo tutti al cristianesimo!".
Ghiotta di salmone e ravioli d'aragosta, questa sirena della destra è nata in uno dei luoghi più ricchi del mondo New Canaan (Connecticut), rifugio nel verde dei miliardari newyorkesi. Università di Cornell, specializzazione in legge nel Michigan, primo lavoro nel Center for Individual Rights a Washington, think tank conservatore, poi portaborse del senatore Spencer Abraham, oggi ministro dell'Energia un curriculum di rispetto. 
Ma appena ha sfondato in tv coi denti da pescecane che sfodera assieme al sorriso, Ann ha capito che esagerando si può costruire una lucrosa carriera.
Detesta gli attori pacifisti come Tim Robbins, Susan Sarandon e Ed Norton, mentre adora Bruce Willis e Andy Garcia. "Con quelle sue borsette rosa e i tacchi a spillo sembra un personaggio uscito da 'Sex and the City'", commenta Matt Drudge, il Dagospia statunitense, principe del gossip politico on line, "e invece è la voce principale della nuova generazione conservatrice americana lo dimostrano le tirature dei suoi libri". Per settimane quello della Coulter ha lottato contro le Memorie di Hillary Clinton "Ma lei come peso mi batte tre a uno... Anche come peso del libro, voglio dire".
 "Ha la stessa affabilità di Eva Braun", l'ha stroncata Katie Couric, massima presentatrice tv d'America. O la amano o la odiano, insomma. Ma Ann Coulter gode in ogni caso.
Mauro Suttora