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Wednesday, July 10, 2024

Perché uno Yamal non potrebbe mai giocare nella nazionale italiana



di Mauro Suttora


Il fenomeno spagnolo di 16 anni da noi non avrebbe la cittadinanza, in quanto figlio di due immigrati da Marocco e Guinea. E forse nemmeno il "gemello" Nico Williams, che di anni ne ha 21, ma stando ai tempi della nostra burocrazia probabilmente starebbe ancora aspettando il rilascio del passaporto


Huffingtonpost.it, 10 luglio 2024


Non volete lo 'ius soli'? Cambiamo nome, chiamiamolo 'ius sportis', che magari il generale Vannacci non se ne accorge. Così potremo accogliere sul serio e far diventare subito italiani migliaia di under 18 che ci regaleranno decine di medaglie in tutti gli sport.

Perché si parla tanto di mancanza di talento nella nazionale di calcio, giovani, vivai e blablabla, ma da noi uno come il sedicenne Lamine Yamal - padre marocchino e madre della Guinea - non avrebbe i requisiti per ottenere la cittadinanza, e dunque non potrebbe giocare. Senza il suo gol la Spagna non avrebbe battuto la Francia 2-1, conquistando la finale degli Europei.

 

E forse nemmeno l'altro fenomeno spagnolo Nico Williams, genitori del Ghana, quello che tre settimane fa ha umiliato i nostri azzurri dribblandoli platealmente. Perché di anni ne ha 21, e nonostante i termini della legge italiana indichino tre anni come limite massimo per l'ottenimento della cittadinanza una volta maggiorenni, spesso i tempi per i figli degli immigrati sono più lunghi.


Fra due settimane iniziano le Olimpiadi a Parigi. Marcell Jacobs riuscirà a difendere l'oro vinto quattro anni fa nei cento metri? Ce lo auguriamo tutti, anche quelli così preoccupati per i "tratti somatici  del tipico italiano". Ma se non dovesse farcela, ecco apparire miracolosamente dietro di lui il comasco 25enne Chituru Ali. Che un mese fa ha entusiasmato l'Italia intera agli Europei di atletica, apparendo dal nulla e agguantando l'argento a soli tre centesimi dal vincitore Marcell. 


È stato commovente, da brivido, vederli poi festeggiare insieme, sventolando felici in pista il loro e nostro grande tricolore. Anche un po' buffo il giorno dopo leggere un comunicato del comitato regionale del Coni Lombardia inneggiante ai due campioni "lombardi". Certo, Marcell è di Desenzano (Brescia) e Chituru è cresciuto fra mille difficoltà ad Albate (Como): papà sparito come quello di Marcell, mamma ri-emigrata in Svizzera, lui abbandonato a famiglia affidataria. Insomma, la vittoria sveglia istinti non solo nazionalisti, ma perfino regionalisti.

 

La magica coppia Jacobs-Ali ha poi ripetuto la doppietta a Turku, in Finlandia, questa volta entrambi sotto i dieci secondi di buon auspicio olimpico. Ma nell'atletica leggera da tempo ormai è un tripudio di colori di pelle e di bandiera, che si mischiano allegramente per la disperazione dei ringhiosi avversari della sostituzione etnica: Paesi una volta bianchissimi e biondissimi come Danimarca o Svizzera che non hanno mai vinto una medaglia nella loro storia, e che invece ora se la battono alla pari con i mitici giamaicani e neri Usa grazie ai loro velocisti/e di colore.

 

Insomma, per tornare al calcio: chiudere di nuovo le frontiere agli stranieri come dopo la Corea 1966, per dare più spazio ai nostri giovani? Ma i giovani 'stranieri' li abbiamo già fra noi: valorizziamo loro, strappandoli con lo sport al teppismo delle babygang e a certa sottocultura rap. Certo, il razzismo è una brutta bestia. Me ne accorsi in un albergone sulla spiaggia a Torre Canne (Brindisi) nel 2018. Finale dei mondiali di calcio Francia-Croazia. Davanti alla tv quasi tutti i pugliesi tifavano per i croati. Non capivo, chiesi perché. "È Africa contro Europa", mi spiegarono senza vergogna.

 

Ora che tutte le squadre troppo pallide, quelle dell'Est e l'Italia, sono state eliminate dagli Europei, i tifosi sovranisti si rassegnino: da Mbappè a Bellingham, gli assi del calcio hanno tratti somatici per loro irritanti. Inoltre, in politica tifano a sinistra e addirittura osano dichiararlo pubblicamente. Così ai nostri fascioleghisti non resta che consolarsi per la sconfitta della "Francia africana" che ha schifato Marine Le Pen. Fingendo che anche la Spagna non sia trainata dalla nuova generazione multietnica degli Yamal e Nico Williams.

Monday, July 12, 2021

Gli inglesi usciti dall'Europa sono più europei che mai


I fischi all'inno, le simulazioni in campo, la medaglia "dismessa"... C'era una volta l'eccezione british  

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 luglio 2021


Sorpresa: proprio ora che sono usciti dall’Europa, gli inglesi sembrano essere profondamente europei, tendenza Europa del sud, diciamo. E recidivi: criticati dal mondo intero per aver fischiato gli inni nazionali delle squadre avversarie a inizio partita, hanno ripetuto la performance ieri sera con l’Italia (specialità nostra, ricordate i fischi del ’90 all’inno argentino? Solo che noi ora gli altri inni non li fischiamo più). Fischi e buu che sono tornati ogni volta che gli azzurri impostavano un’azione. Lontani i tempi in cui i tifosi inglesi erano rinomati perché si limitavano a cori di sostegno alla propria squadra, rispettando le altre.

E i cascatori? Pensavamo che le sceneggiate fossero una nostra specialità, ma Sterling e compagni hanno dimostrato di avere ottimamente imparato la lezione, tipo Ciro Immobile, che però ci ha provato una volta sola. “Sono iniziati i tuffi”, si è lamentato l’allenatore inglese col quarto uomo alla prima caduta di un nostro giocatore. Ma poi i suoi hanno inventato spinte e prodotto smorfie di esagerazione che l’arbitro avrebbe potuto punire, visto che esistono i falli di simulazione.

Il catenaccio, poi. A metà ripresa e per tutti i supplementari è avvenuto un miracolo: gli italiani padroni del campo, sembravamo noi gli spagnoli del tikitaka. Uno snervante possesso palla perché quelli si sono rinchiusi nel loro fortino, rinunciando a giocare. Terrorizzati dal nostro contropiede, anche dopo l’uscita dello stellare Chiesa hanno mirato solo a fare passare il tempo, sperando nella roulette dei rigori.

Ben altre sono le regole del fair play, parola che dovremo abbandonare per una traduzione italiana, perché pure gli inglesi talvolta si scordano che significhi. Talvolta, perché per fortuna c’è quel gran signore di Gary Lineker che prima ha implorato i tifosi di non fischiare il nostro inno, e poi si è complimentato per la nostra vittoria: “meritata”, ha scritto su Twitter.

Ma l’apoteosi è arrivata alla fine, quando i loro giocatori si sono tolti la medaglia d’argento ricevuta alla premiazione, uno dopo l’altro. Uno spettacolo incredibile in mondovisione. Accettare le sconfitte con dignità è una delle principali regole dello sport. Anche questa parola inglese, da loro dimenticata. Pure il brasiliano Neymar si è tolto la medaglia l’altra sera, battuto dall’Argentina. Ma sono abitudini sudamericane, appunto.

Non infieriamo sulla resurrezione dei teppisti, che hanno assaltato i nostri tifosi prima e dopo la partita. Ci avevano detto che gli hooligans ubriachi erano quasi spariti dopo la strage dell’Heysel nel 1985. Invece ieri in centinaia hanno cercato di entrare a Wembley senza biglietto, e 45 sono stati arrestati nella guerriglia dopo la partita. E probabilmente erano sobri quando puntavano il laser al volto del portiere danese Kasper Schmeichel per disturbarlo durante i rigori.

Mattarella, infine. Più imperturbabile di un inglese, si è leggermente mosso dopo il gol italiano. Non conosciamo le regole del protocollo internazionale, ma nel 1982 il re spagnolo accolse caloroso Pertini accanto a lui in tribuna. Il povero Mattarella invece era desolantemente solo, ignorato dal principe William.

Insomma, dicevano a noi Pigs: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, indebitati, indisciplinati, inaffidabili. Ora invece assistiamo sgomenti alla scomparsa dell’english style, quello che fa dir loro “I beg your pardon”, imploro il vostro perdono, invece di un semplice “scusi”. L’aplomb è emigrato da Londra ed è volato a Madrid posandosi su Luis Enrique, il gentiluomo spagnolo di questi europei, e fratello gemello di Pep Guardiola che, dopo la sconfitta in finale di Champion’s, la sua medaglia se l’à baciata e tenuta lo stesso.

Aveva proprio ragione Salgari: il suo campione della flemma era Yanez de Gomera, portoghese.

“You are a good sport”, sei un amico, diceva sempre il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Ma ora allo sport delle latitudini londinesi sembra più attagliarsi questa sarcastica, feroce definizione: “Lo sport non ha niente a che fare col fair play. È legato ad astio, gelosia, vanagloria, noncuranza di qualsiasi regola, e al sadico piacere di assistere a manifestazioni di violenza. Insomma, è come la guerra. Ma senza l’esecuzione”.

Parola di George Orwell. Inglese.

Mauro Suttora