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Tuesday, June 29, 2021

Svizzera-Francia, cancellata la storica sconfitta di Marignano

di Mauro Suttora

HuffPost, 29 giugno 2021

Ieri sera la Svizzera ha compiuto un’impresa storica. Ha vendicato la sconfitta subìta nel 1515 a Marignano (oggi Melegnano, primo casello dell’Autosole), dopo la quale i francesi le imposero la pace perpetua con il divieto di attaccarla. 

Allora gli elvetici erano i soldati più forti del mondo. Non per nulla i Papi si circondarono di guardie svizzere per la loro difesa personale (non hanno più smesso). Sconfissero gli Asburgo, la Francia, la Borgogna. All’inizio del ’400 cominciarono a calare nella valle del Ticino dal cantone Uri, oltre il passo del San Gottardo, dilagando in Lombardia.

Il ducato di Milano pian piano perse il canton Ticino: prima Bellinzona, poi Locarno, infine Lugano. E nel 1512 gli svizzeri guidati dal cardinale Andreas Schiner di Sion, più bellicoso che pio, s’impadronirono di tutta la Lombardia. Misero sul trono come loro fantoccio il 19enne Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro.

Per tre anni a Milano comandò la soldataglia elvetica. Pochi lo ricordano, ufficialmente erano solo i protettori del giovane Sforza. Il quale è dipinto dallo storico Paolo Giovio come un ragazzo puzzolente, che si cambiava raramente gli indumenti intimi e aveva pidocchi nei capelli. Il governo lo annoiava, preferiva distrarsi  cacciando: donne e animali.

Nel 1515 sale sul trono di Francia un altro ventenne, Francesco I. E come prima cosa scende in Italia per riprendersi la Lombardia, già appartenuta a Carlo VIII e a suo zio Luigi XIII.

Lo scontro a Marignano è sanguinosissimo. Gli svizzeri, guidati dal cardinale Schiner in persona, perdono migliaia di soldati. Ma egualmente avrebbero vinto sui francesi se di notte non fossero sopraggiunti i veneziani di Bartolomeo d’Alviano a bastonarli definitivamente.

Così gli svizzeri devono ritornarsene in canton Ticino. Il confine da allora viene fissato arbitrariamente a Chiasso, sobborgo di Como. Diventerà la frontiera più antica e pacifica del mondo: mezzo millennio senza guerre.

Col trattato di Friburgo del 1516 i francesi costringono gli svizzeri alla neutralità: basta mercenari, restatevene fra le vostre montagne.

E così è stato, tranne la parentesi napoleonica che travolse la Svizzera assieme a tutta l’Europa.

Ieri sera è arrivata la vendetta elvetica. Come a Marignano, tutto si è deciso alla fine: con i due gol del pareggio rossocrociato negli ultimi sette minuti, e il rigore fallito da Mbappè. Il cardinale Schiner è risarcito.

Mauro Suttora

Monday, March 19, 2018

Di Maio nel Nord che non lo ama

IL CAPO GRILLINO VA A COMO, DOVE HA RACCOLTO SOLTANTO IL 19%

di Mauro Suttora

Libero, 18 marzo 2018

La provincia di Como è stata avara con i grillini, appena il 19% dei voti il 4 marzo. Ma ieri Luigi Di Maio è tornato a Carugo, in Brianza, a trovare l’artigiano marmista Giuseppe Caggiano, fondatore di un’associazione antitasse che lo aveva ospitato in campagna elettorale, e lì ha magicamente moltiplicato la propria forza: «Abbiamo il 36% dei deputati, quindi rivendichiamo la presidenza della Camera».
In realtà il M5s ha preso il 32% dei voti, e anche calcolando la percentuale in seggi si arriva al 35% (222 eletti su 630, escludendo impresentabili, massoni e truffatori del bonifico, già espulsi in pectore).

Ma la matematica traballante non è mai stata un problema per lo statista di Pomigliano. Quindi ora, forte dei sondaggi che approvano un eventuale governo M5s-Lega (favorevoli il 43-46% dei grillini, il doppio di quelli che preferirebbero un’alleanza col Pd), cerca di piazzarsi al centro dei giochi e annuncia magnanimo: «Telefonerò ai principali esponenti dei futuri gruppi parlamentari: Salvini, Brunetta, Meloni, Martina e Grasso. A ognuno di loro dirò che noi vogliamo coinvolgere tutti in questa fase di individuazione delle figure che presiederanno le Camere, naturalmente riconoscendo il peso specifico di ogni vincitore».

Bontà sua. E aggiunge l’ovvio: «Non accetteremo candidati condannati o indagati». Come se gli altri partiti smaniassero dalla voglia di imporre loschi figuri. Ma effettuando così un’ulteriore inversione a u rispetto all’ultimo garantismo appiccicaticcio grillino, che ora deve assolvere i numerosi indagati presenti anche nelle proprie fila.

Infine, il capo pentastellato se la piglia con i vitalizi: «I nuovi uffici di presidenza dovranno abolirli». Peccato che siano già stati cancellati dal governo Monti sei anni fa. Quanto a quelli pregressi, difficile che i tribunali cancellino i diritti acquisiti. E pericoloso per le pensioni di tutti noi.

Insomma, un Di Maio in perenne campagna elettorale ancora mezzo mese dopo il voto, che fa propaganda e gira come una trottola per l’Italia. In mattina si era fatto vedere al Cosmoprof alla Fiera di Bologna, assieme al ras grillino locale Max Bugani.
È l’unico abilitato a parlare, fra le centinaia di parlamentari grillini cui è stata imposta la mordacchia dal figlio di Casaleggio e dal capo della comunicazione Rocco Casalino (che, si scopre ora, si è inventato un master negli Usa).

Così il dibattito si sfoga nei gruppi privati di facebook, dove la fa da padrone la rivelazione di Vittorio Sgarbi: «Mi dicono che Di Maio sia fidanzato con Vincenzo Spadafora, suo collaboratore fatto eleggere senatore in Campania».
Ovviamente tutti precisano che i gusti sessuali dell’aspirante premier grillino sono irrilevanti. «Però sarebbe buffo che per negarli Gigi si circondasse di finte o vere fidanzate», commenta perfida Marika Cassimatis, vincitrice delle primarie a sindaco di Genova poi espulsa dal movimento.

Un altro espulso, Fabio Fucci sindaco di Pomezia (città laziale di 65mila abitanti, grillina da 5 anni), lodatissimo fino a pochi mesi fa come amministratore modello, è stato fatto cadere dai suoi compagni di partito. Non sopportano che, sulle orme di Federico Pizzarotti a Parma (rieletto trionfalmente), voglia ricandidarsi. «Viola la regola dei due mandati», strillano. La stessa regola che centinaia di parlamentari grillini neoeletti si apprestano a violare in caso di ritorno alle urne.

Intanto, nel totonomine per la presidenza della Camera, salgono le quotazioni del 5 stelle ex berlusconiano Emilio Carelli, che sarebbe andato a chiedere una sponsorizzazione personale perfino a Gianni Letta, eminenza grigia dell’ex odiato Cavaliere.

Mauro Suttora


Wednesday, May 22, 2013

Glarona, democrazia diretta

SVIZZERA: ECCO COME FUNZIONA IL VOTO IN PIAZZA NEL CANTONE DI GLARUS
I cittadini del cantone di Glarona alzano la mano per votare (5 maggio 2013)

Questo è l’unico posto al mondo (oltre all’altro cantone di Appenzello) dove una volta all’anno, dal 1387, i cittadini decidono da soli le questioni più importanti. Sono 30 mila, partecipa la metà. Gli altri si fidano. Sorpresa: il «landamano» è un italiano. Come tre glaronesi su dieci, ormai

dall'inviato Mauro Suttora

Oggi, 5 maggio 2013

Ogni prima domenica di maggio, da 626 anni, i 38 mila abitanti del cantone di Glarona vanno in piazza e praticano la democrazia diretta. Votano sulle 5-10 questioni più importanti dell’anno, alzando la mano.

Siamo andati a vedere come funziona. Glarona (Glarus, in tedesco) è uno dei più piccoli cantoni della Svizzera tedesca. L’unico, con Appenzello, che mantiene la tradizione del voto in piazza. Le mani alzate degli elettori (basta avere 16 anni) non vengono contate: decide a occhio il «landamano» (sindaco del cantone). Che, sorpresa, è figlio di immigrati italiani: Andrea Bettiga, veterinario, liberale. «Mio padre arrivò da Colico (Como) negli anni Cinquanta come muratore, e sposò una glaronese. Nel cantone ormai un terzo degli abitanti è di origine italiana».

Si vota anche se piove

Bettiga, con gli altri quattro consiglieri, guida la parata che parte alle 9.30 dal municipio. È una grande festa, ci sono la banda e i soldati, il mercato, turisti. Si arriva nella grande piazza della landsgemeinde («comunità rurale»), che dal 1387 ospita l’assemblea. Se piove, non si rinvia. Gli ombrelli nasconderebbero le braccia alzate per il voto (con in mano un foglio verde): solo impermeabili.

Per fortuna oggi splende il sole. Non c’è tanta gente: 7-8mila votanti. «Perché quest’anno le questioni al voto non sono molto sentite», mi spiega Bettiga, «altrimenti si arriva al doppio». I consiglieri salgono sul palco, giurano su uno spadone e danno il via al dibattito. Tutti possono chiedere la parola per proporre emendamenti.

Se la discussione va per le lunghe, il landamano la taglia. Nessuno protesta. Anche perché ad attendere i glaronesi nei ristoranti e a casa c’è il piatto tipico locale: salsicciona bianca con purée e prugne.

Quest’anno le questioni più importanti sono la tassa sui profitti delle società (alzata dal 20 al 35%) e l’uso dello svizzero tedesco nelle scuole. Si decide che un terzo delle ore d’insegnamento dovrà essere in tedesco «puro», e il resto nel tedesco locale, incomprensibile in Germania.
Lo sperimento anch’io: chiedo a un turista tedesco di riassumermi uno dei discorsi, ma lui confessa di non avere capito quasi niente.

Maggioranza decisa a occhio

A un certo punto, dopo un voto, c’è un  conciliabolo fra i cinque consiglieri sul palco. Bettiga non era sicuro della maggioranza, e ha chiesto un parere agli altri. Ma il suo verdetto è inappellabile. «Da noi si dice», scherzerà dopo con noi, «che le uniche due persone al mondo che non fanno sbagli sono il landamano e il Papa».

In piazza vengono eletti i giudici cantonali. Per  le altre cariche, invece, c’è il voto segreto nell’urna in elezioni normali. «Ho letto di Grillo», dice Bettiga, «lo invito qui da noi l’anno prossimo per vedere la democrazia diretta».

Un quarto dei residenti di Glarona sono immigrati, non votano. «Ma non c’importa», dice Filippo Gerardi, 47 anni, albergatore nato a Potenza, in Svizzera da trent’anni, «perchè i non cittadini hanno gli stessi diritti in tutto: tasse, assistenza medica, scuole, pensioni. Nella pratica, siamo uguali». Sua moglie Loredana è nata qui da immigrati da Latina, ma anche i loro due figli ventenni di seconda generazione non fanno domanda di cittadinanza svizzera: «Restiamo italiani».
Mauro Suttora






Sunday, January 06, 2013

Riciclati con Grillo

CLAMOROSO!
Un capolista del M5S di Grillo in Lombardia, Antonio Endrizzi, già assessore ed ex Forza Italia, si fa raccogliere le firme per presentarsi al voto del 24 febbraio 2013 dai suoi amici pdl:
http://www.forzacavallasca.it/cavallasca/oggi-a-cavallasca-raccolta-firme-per-il-m5s/

se qualcuno ha dubbi su chi sono questi di forza cavallasca, ecco qua:
http://www.forzacavallasca.it/info/

Wednesday, May 30, 2012

La frana della Lega Nord

DOPO LE RIVELAZIONI DI 'OGGI', LA BATOSTA AL VOTO

di Mauro Suttora

Oggi, 21 maggio 2012

Il 9 aprile, Pasquetta, le agenzie di stampa annunciano l’intervista di Oggi ad Alessandro Marmello, autista di Renzo Bossi («Trota»): «Al figlio di Umberto passo contanti ritirati dalle casse della Lega a mio nome». Quattro video confermano l’accusa. Dopo poche ore Renzo Bossi si dimette da consigliere regionale della Lombardia.

Inizia così la frana della famiglia Bossi e della Lega Nord. Un mese dopo, arriva l’avviso di garanzia per appropriazione indebita di finanziamento pubblico a Umberto, Renzo e l’altro fratello, Riccardo. Ai quali, si scopre, il tesoriere della Lega Francesco Belsito pagava uno «stipendio» di 5 mila euro al mese, oltre ad avere acquistato lauree in Albania per Renzo e per la guardia del corpo di Rosi Mauro, tuttora vicepresidente del Senato, già fedelissima di Bossi ma ora espulsa dalla Lega. Belsito è indagato per truffa e riciclaggio: aveva investito in oro e diamanti parte dei rimborsi elettorali, finiti anche a Cipro e in Tanzania. Rapporti sospetti perfino con la ‘ndrangheta.

Il voto del 6 e 20 maggio ha punito la Lega. Unico sindaco eletto al primo turno quello di Verona, Flavio Tosi. Risultati pessimi nelle ex roccaforti: 5% a Belluno, 6 ad Alessandria, 7 a Monza, 8 a Como. Leghisti battuti perfino a Cassano Magnago (Varese), dov’è nato Umberto Bossi, e a Mozzo (Bergamo), dove vive l’ex ministro Roberto Calderoli. Il quale per ora guida il partito assieme a Manuela Dal Lago e a Roberto Maroni. Quest’ultimo sarà eletto segretario unico nel congresso alla fine di giugno.

Per la Lega sarà dura riconquistare il 12% delle regionali 2010, e il 35% in Veneto. Regione, quest’ultima, guidata dal leghista Luca Zaia, così come il Piemonte è in mano a Roberto Cota. Ma dopo la rottura con il Pdl e l’opposizione al governo Monti, tutti i giochi sono aperti.
m.s.