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Tuesday, March 20, 2018

Silenziati i parlamentari grillini

DI MAIO METTE IL VETO SU ROMANI, MA SI RIPRENDE IL SENATORE CHE PAGA 7 EURO D'AFFITTO 

di Mauro Suttora

Libero, 20 marzo 2018

Primo giorno di scuola ieri per i 338 parlamentari grillini a Roma. Le Camere hanno aperto le registrazioni, e loro sono andati a farsi la foto ufficiale e ritirare i tesserini. Disciplinati come scolaretti, ubbidiscono all’ordine della Casaleggio srl: nessuna dichiarazione agli odiati giornalisti. Parlamentari che non parlano. E costretti a ingoiare anche le nomine preconfezionate dei loro dirigenti da parte della ditta milanese.

Sono stati già decisi, infatti, i venti fortunati (fra presidenti, vicepresidenti, segretari e tesorieri) che comporranno i direttivi dei gruppi parlamentari. Prima ruotavano ogni tre mesi, in omaggio alla democrazia diretta. Ora rimarranno imbullonati alle loro poltrone per un anno e mezzo, non più eletti dalla base ma nominati dall’alto dal cerchietto magico di Di Maio. 
Neanche il Pci stalinista era così verticista e antidemocratico, ai gruppi parlamentari lasciava una certa autonomia.
     
L’unico a violare l’obbligo del silenzio (esteso anche ai social) è il senatore Nicola Morra, rimasto capo dei movimentisti dopo la sottomissione a Di Maio di Roberto Fico e Paola Taverna. Con un tweet ha silurato la candidatura del leghista Roberto Calderoli a presidente del Senato: “Anche lui ha problemi con i 52 milioni di Belsito”. Morra dà voce ai tanti grillini, soprattutto meridionali, contrari alla luna di miele con la Lega. E non gli dispiace mettere un bastone fra le ruote dei dimaiani.

Un altro a cui l’onnipotente Rocco Casalino, capo dell’ufficio stampa grillino, concede libertà di esprimersi è Fabio Massimo Castaldo. Ma il vicepresidente grillino dell’Europarlamento, nel tentativo di accreditarsi come forza responsabile ed europeista dopo gli attacchi di Macron e Merkel contro gli “estremisti” italiani, in realtà peggiora la situazione.

Castaldo infatti ribadisce di volere “superare il fiscal compact, archiviando la stagione dell’austerità”. 
Promette di sfasciare i conti: “Serve una spesa pubblica che generi posti di lavoro. Il debito è uno strumento, non il fine. Inutile appellarsi agli zero virgola”. 
Sui migranti, “la riforma del regolamento di Dublino deve includere anche quelli economici”.

E la Russia? 
“Le sanzioni non hanno ottenuto alcun risultato. È una potenza globale da cui dipende la nostra sicurezza energetica”. 
E pazienza se avvelena dissidenti a Londra: “L’unica via è il dialogo con Putin”.

Ma la spallata più grossa al Di Maio in versione democristiana arriva da Beppe Grillo. Il fondatore del movimento lo avverte: “No agli inciuci. Dobbiamo rovesciare gli schemi, cambiare il modo di pensare. Non assisterete a una mutazione genetica del movimento. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa, a patto che si affermino le nostre idee. L’Europa è indifendibile, ormai l’epicentro di tutto sono Russia e Cina. Io non mollo, terrò gli occhi aperti su tutto. Anche su di noi. Governare non è dividere le poltrone”.

Dopo aver letto questa intervista incendiaria a Di Maio ieri mattina si è guastato l’umore. Poi si è ripreso, ed è andato a palazzo Madama per cercare di galvanizzare i suoi neosenatori: “Noi abbiamo il sorriso stampato sulla faccia, e con quello li facciamo impazzire tutti. Sono gli altri che si agitano”.

Dopo la girandola di deludenti telefonate di domenica agli altri leader, cerca di autoconvincersi: “Per il governo, credo che abbiamo ottime possibilità. Sono molto fiducioso, perché una forza politica delle nostre dimensioni è difficile metterla nell’angolo”.

Per ora, dall’angolo è stato lui a tirar fuori Emanuele Dessì, il corpulento senatore laziale cacciato dal M5s dopo aver scoperto che paga 7 euro al mese di affitto e che era amico del clan Spada: riammesso nel movimento. Così come le furbette del bonifico, la romagnola Giulia Sarti e la pugliese Barbara Lezzi. Nessuna pietà invece per Paolo Romani, il forzista candidato presidente del Senato: crocefisso per il telefonino imprestato alla figlia.

Mauro Suttora


Monday, May 27, 2013

Roberta Lombardi e Vito Crimi

INTERVISTA PARALLELA AI CAPIGRUPPO DEL MOVIMENTO

COPPIA 5 STELLE

«Grillo dittatore? Neanche leggiamo i suoi post...»

Lavorano dalle 9 alle 21. Dormono (poco) con la Costituzione sul cuscino. Sono esausti ma felici: «Da noi c'è democrazia». E Beppe? Una sola critica: «È troppo buono»

di Mauro Suttora  

Oggi, 22 maggio 2013




Che orari avete? 
Roberta Lombardi: «Dalle 9 del mattino alle 9 di sera: sedute in aula e commissione, riunioni del gruppo 5 stelle e della “capigruppo”, preparazione lavori, studio documenti. Un massacro. Ma è bello».
Vito Crimi: «Alle 8.30 briefing del nostro ufficio di presidenza. Aula e commissioni da martedì al giovedì. Incontri con ambasciatori e organizzazioni, assemblee interne e congiunte fino alle 21». 
Lombardi, come fa con suo figlio?
«Lo vedo solo la mattina presto, perché quando torno a casa la sera già dorme. Ma mi consolo pensando che è per pochi mesi, o anni. E che sto facendo qualcosa per lui anche fuori casa».

Crimi, quanto paga l’hotel a Roma?
«Camera doppia, 60-80 euro».

Crimi, lei guadagnava 20 mila euro l’anno da impiegato al tribunale di Brescia. Ora li prende in un mese. 
«No. Pagati i collaboratori con i 4.180 euro lordi al mese, e detratte le spese con parte della diaria, restituiamo tutto tranne 5.000 lordi».

Lombardi, come concilia i suoi tempi?
«Fuori dal Parlamento era più facile. Dopo cena andavo a riunioni, o mi mettevo al computer. Bisogna essere capaci di delegare. E ruotare gli incarichi più pesanti, come facciamo noi».

Voi 5 stelle, però, praticate la «condivisione», così dovete riunirvi il doppio.
Lombardi: «Anche più del doppio. Un funzionario mi ha detto che non aveva mai visto una cosa simile: “Voi parlate tutti. Mentre dagli altri arrivano i dirigenti, danno gli ordini, e la riunione è finita”».
Crimi: «La condivisione è molto bella: permette di conoscersi, confrontarsi, stimarsi e fare comunità».

Una cosa anche piccola che siete riusciti a cambiare in questi primi tre mesi?
L. «La selezione dei collaboratori parlamentari, che si era stratificata negli ultimi vent’anni. Ora sono scelti in base al merito e ai curricula».
C. «E hanno tutti contratti regolari a tempo determinato, con ogni tutela».

Un vostro insuccesso, invece?
L. «Non riusciamo a comunicare bene i nostri risultati fuori di qui. Gli altri partiti hanno dovuto ripulire le liste e fare primarie, imitandoci. Ma l’opinione pubblica non sa che il merito è dei 5 stelle. Colpa nostra, ma anche dei media».
C. «Non siamo riusciti a far partire subito le commissioni».

Perché ce l’avete con tutti i giornalisti?
L. «Individualmente, siete delle brave persone. Ma dipendete da un sistema che troppo spesso distorce le notizie».
C. «Ce ne sono di onesti e simpatici».

Priorità nei prossimi mesi?
L. «Abolizione dei rimborsi elettorali, dell’Imu, impignorabilità della prima casa, eliminazione delle Province».
C. «Reddito di cittadinanza».

L’obiettivo più facile?
L. «I rimborsi ai partiti, da sostituire con finanziamenti volontari individuali e detraibili: Letta si è detto d’accordo».
C. «Sì, sulla riduzione dei costi della politica non potranno tirarsi indietro».

Anche sull’Imu è fatta, non la vuole neppure Berlusconi.
L. «Ma dobbiamo trovare la copertura, altrimenti sfasciamo il bilancio». 

E l’obiettivo più difficile?
L. «La legge sul conflitto d’interessi».
C. «Il reddito di cittadinanza».

Nuova legge elettorale: di preferenze non parla più nessuno. Sempre parlamentari “nominati” invece che eletti?
L. «Noi vogliamo reintrodurle. Non c’è bisogno di “pigiatasti” fedeli ai partiti».
C. «Non ne parlano più gli altri...»

Se otteneste un referendum sull’euro, cosa votereste?
L. «Dipende...»

Ecco, Lombardi, anche lei risponde già come una professionista della politica.
L. «Ma dipende dal contorno: se si va verso un’unione politica, l’euro va bene. Se invece rimaniamo così, senza speranza di cambiare, voterei contro».
C. «La questione è: che Europa vogliamo».

Una cosa che non vi va di Grillo?
L. «Dà confidenza a tutti, non ha filtri nell’accoglienza. Lo conosco da sei anni, si fida di cani e porci. È troppo buono».
C. «Non mi sono mai posto la domanda. Siamo qui per un obiettivo al di là delle nostre idee, una rivoluzione culturale». 

La cosa che vi piace di più di Grillo?
L. «Visione, entusiasmo per cambiare».

Pro e contro di Vito Crimi?
L.: «Di Vito mi piace tutto. Senza di lui non mi sarei candidata portavoce».

Pro e contro di Roberta Lombardi?
C. «Idem come sopra».

I vostri 163 parlamentari sono debuttanti totali. Non era meglio eleggerne almeno qualcuno con un po’ d’esperienza?
L. «I consiglieri regionali e comunali 5 stelle dovevano finire il loro mandato. È scorretto saltare da una carica all’altra».
C. «Qualunque deroga significa un fallimento, la coerenza è la nostra più importante virtù. L’esperienza ce la faremo».

Qualità e difetti maggiori dei vostri eletti?
L. «Non siamo assuefatti e rassegnati. Proprio perché nuovi, vogliamo cambiare. L’altra faccia della medaglia è che a volte siamo ipercritici su tutto. Dobbiamo trovare delle priorità».
C. «La miglior qualità è la semplicità con cui si affrontano problemi complessi. Il peggior difetto l’eccessiva severità nei confronti dei propri colleghi».

E le vostre virtù e difetti personali?
L. «Affronto i problemi, senza svicolare o rimandare. Però, nella velocità, a volte dimentico di “condividere”, di comunicare con gli altri».
C. «Qualità, chiedetela ai miei colleghi. Difetto: poca conoscenza dei complessi regolamenti parlamentari, che sto imparando a conoscere a poco a poco».

Ultimo libro letto?
L. «Mi addormento ogni sera con la Costituzione in mano».

Capirai, che noia.
L. «Divoravo i libri, ora non ho più tempo. Adoro Bulgakov, critico sociale spietato ma leggero e ironico».

E lei, Crimi?
«Ieri un libro di Camilleri, La rivoluzione della luna, che consiglio a tutti: molti parallelismi con questo momento storico... Durante i weekend mi ritaglio due orette per portare mio figlio al cinema».

Film preferito?
L. «La saga di Guerre Stellari».
C. «Ironman, e tutti quelli con Robert De Niro».

Personaggio storico ammirato?
C. «Adriano Olivetti».

Cosa votavate prima di Grillo?
L. «Scheda bianca».
C. «Rete, Rifondazione comunista, Verdi, Pds, Idv. Ho votato la persona anziché l’ideologia, per questo vorrei poter esprimere nuovamente una preferenza».
Rendiconterete le vostre spese on line?
L. «Certo, stiamo solo calcolando i contributi Inps».
C. «Abbiamo già pronti i rendiconti, alcuni l’hanno già pubblicato, ma stiamo aspettando di farlo tutti insieme in modo unitario. Non è facile, e abbiamo anche avuto parecchi impegni istituzionali».

Quando vi emanciperete da Grillo e Casaleggio?
L. «Già fatto. I post quotidiani di Grillo a volte ci dimentichiamo perfino di leggerli. E Casaleggio è un idealista sognatore».
C. «Emanciparsi vuol dire rendersi autonomi, ma noi lo siamo già. Perché dovremmo emanciparci?»

Perché espellete così tanti eletti?
L. «È vero il contrario: accogliamo tutti, c’è poca selezione all’ingresso. Poi, però, le persone si conoscono sul lungo periodo. Non abbiamo bisogno di capetti».
C. «Le espulsioni sono molte meno di quelle fatte dai partiti tradizionali, a centinaia. Quelle persone si sono tirate fuori dal movimento per loro scelta. Le espulsioni sono solo state la ratifica di una scelta autonoma effettuata da loro».

Qualche avversario politico simpatico?
L. «Giancarlo Giorgetti, capogruppo leghista: a volte mi fa ridere».
C. «Roberto Calderoli».

E spiacevoli conferme?
L. «Mah, un po’ tutti, da Brunetta in su. Li guardo, e continuano a sembrarmi personaggi staccati dalla realtà».

Ci sono ottime donne ministro nel governo Letta: Josefa Idem, Emma Bonino, Cécile Kyenge... Concorda?
L. «Vedremo. La Bonino era nostra candidata al Quirinale, ma sui beni pubblici come l’acqua siamo distanti: troppo liberista».
C. «Vedremo».

I vostri candidati presidenti erano tutti di sinistra: Rodotà, Gabanelli, Strada, Imposimato, Dario Fo... Perderete i voti dei delusi del centrodestra?
L. «Non siamo di sinistra, ma pragmatici e di buon senso. Non abbiamo ideologie e preconcetti».
C. «Non facciamo calcoli elettorali».

Grillo dice di voler arrivare al 50 e anche al 100 per cento dei voti. Velleitario?
L. «Lo dice perché auspica che i cittadini partecipino di più alla politica, controllando gli eletti. Solo così si impedisce che diventino casta».
C. «È una previsione, se gli altri continuano così».

Se cadesse il governo, appoggereste un nuovo premier di vostro gradimento? O alzereste lo stesso muro?
L. «Siamo sempre stati disponibili al cambiamento. Vero, però».
C. «Riproporremo un governo di alto profilo, al di sopra dei partiti».

Che fine ha fatto la piattaforma per far votare on line i vostri registrati?
L. «Non me lo dica. Siamo disperati. Pare che parta entro l’estate».
C. «C’è già, l’abbiamo utilizzata per le primarie: Parlamentarie, Regionalie, Quirinalie. A breve la useremo anche in modalità più evoluta».

Davvero vi dimetterete da capigruppo?
L. «Non vedo l’ora di tornare al mio beato anonimato. Evviva la rotazione trimestrale delle cariche».
C. «Certo, il 15 giugno come previsto».

Più simpatica Santanché o Gelmini?
L. «Mai incontrate, anche se sono deputate. La Gelmini una volta, di sfuggita».

Lei viene chiamata Roberta “Simpatia” Lombardi.
«Allora sono fortunata, visti certi altri soprannomi...»
Mauro Suttora

Wednesday, May 30, 2012

La frana della Lega Nord

DOPO LE RIVELAZIONI DI 'OGGI', LA BATOSTA AL VOTO

di Mauro Suttora

Oggi, 21 maggio 2012

Il 9 aprile, Pasquetta, le agenzie di stampa annunciano l’intervista di Oggi ad Alessandro Marmello, autista di Renzo Bossi («Trota»): «Al figlio di Umberto passo contanti ritirati dalle casse della Lega a mio nome». Quattro video confermano l’accusa. Dopo poche ore Renzo Bossi si dimette da consigliere regionale della Lombardia.

Inizia così la frana della famiglia Bossi e della Lega Nord. Un mese dopo, arriva l’avviso di garanzia per appropriazione indebita di finanziamento pubblico a Umberto, Renzo e l’altro fratello, Riccardo. Ai quali, si scopre, il tesoriere della Lega Francesco Belsito pagava uno «stipendio» di 5 mila euro al mese, oltre ad avere acquistato lauree in Albania per Renzo e per la guardia del corpo di Rosi Mauro, tuttora vicepresidente del Senato, già fedelissima di Bossi ma ora espulsa dalla Lega. Belsito è indagato per truffa e riciclaggio: aveva investito in oro e diamanti parte dei rimborsi elettorali, finiti anche a Cipro e in Tanzania. Rapporti sospetti perfino con la ‘ndrangheta.

Il voto del 6 e 20 maggio ha punito la Lega. Unico sindaco eletto al primo turno quello di Verona, Flavio Tosi. Risultati pessimi nelle ex roccaforti: 5% a Belluno, 6 ad Alessandria, 7 a Monza, 8 a Como. Leghisti battuti perfino a Cassano Magnago (Varese), dov’è nato Umberto Bossi, e a Mozzo (Bergamo), dove vive l’ex ministro Roberto Calderoli. Il quale per ora guida il partito assieme a Manuela Dal Lago e a Roberto Maroni. Quest’ultimo sarà eletto segretario unico nel congresso alla fine di giugno.

Per la Lega sarà dura riconquistare il 12% delle regionali 2010, e il 35% in Veneto. Regione, quest’ultima, guidata dal leghista Luca Zaia, così come il Piemonte è in mano a Roberto Cota. Ma dopo la rottura con il Pdl e l’opposizione al governo Monti, tutti i giochi sono aperti.
m.s.

Wednesday, January 25, 2012

Capodanno alle Maldive

I POLITICI POSSONO ANDARE IN VACANZA DOVE VOGLIONO. MA SE SCELGONO LE MALDIVE PROPRIO ADESSO, NON SONO BUONI POLITICI

di Mauro Suttora

Oggi, 18 gennaio 2012

Ma si rendono conto che il clima è cambiato? I nostri politici di professione svacanzano alle Maldive per Capodanno in suites da migliaia di euro al giorno, e si scandalizzano per lo scandalo: «Che c'è di strano, era l'anniversario di matrimonio, era il sessantesimo compleanno, avevamo lavorato tanto, abbiamo pagato tutto...»

Naturalmente. Nessun reato. Avevano tutto il diritto di andare dove volevano. Ma proprio in questo momento, dovevano andare in uno dei posti più lussuosi della Terra? Ora che scattano i sacrifici da loro causati e imposti: benzina alle stelle, addizionali Irpef, pensionati non più protetti dall'inflazione?

La nostra copertina della settimana scorsa ha fatto il giro del mondo. Il quotidiano spagnolo Abc ha ripubblicato le foto di Schifani, Rutelli, Casini e Fini negli atolli, mentre agli italiani tocca «ajustarse el cinturòn», stringere la cinghia. I tedeschi hanno fatto il paragone con la loro cancelliera Angela Merkel, che per Natale si è accontentata di un'austera pensione a tre stelle a Pontresina (Svizzera). E noi abbiamo fotografato il sindaco di Londra Boris Johnson, venuto in ferie pure lui senza scorta in un tre stelle nella nostra Champoluc (Aosta): auto a noleggio, in fila allo skilift.

Anche in Italia c'è chi ha capito. A cominciare da Mario Monti, Capodanno a Roma con figli e nipotini. «Ma a palazzo Chigi!», ha tuonato Roberto Calderoli, immaginando chef e camerieri in livrea. Invece nell'alloggio di servizio a cucinare il cotechino e a servire a tavola c'erano solo la signora Monti e sua sorella. Povero Calderoli: ora è indagato lui per truffa perché si è scoperto che da ministro usò un aereo di Stato per andare a Cuneo a trovare il figlio della compagna. Danno erariale: 10 mila euro.

La musica è cambiata per i nuovi ministri e sottosegretari. Carlo Malinconico non ha fatto neppure in tempo ad ambientarsi, che ha dovuto dimettersi per avere accettato in passato soggiorni gratis all'hotel Pellicano di Porto Ercole (Grosseto) da un esponente della «Cricca». Filippo Patroni Griffi è indagato per un appartamento di 100 metri quadri dietro al Colosseo comprato dall'Inps per soli 170 mila euro. Profilo basso anche per Corrado Passera: non più villona sull'Appia o casa da 11 mila euro al mese d'affitto in via Madonnina a Milano per la nuova moglie; con lei si è appena trasferito in un anonimo appartamento ai Parioli.

Un nuovo rigore, contraddetto però dalla vecchia classe politica che non vuole sentir parlare di tagli ai propri stipendi o pensioni d’oro. L’abolizione delle Province? Contestata. Maria Elisabetta Casellati, non più sottosegretario, a Cortina continua a esibire la scorta. Il presidente della provincia di Bolzano guadagna più del presidente Usa Barack Obama (25 mila euro al mese), il suo vice più di quello francese Nicolas Sarkozy, il capo della provincia di Trento prende 2 mila euro al mese più della Merkel.

«Non ho niente contro la ricchezza», ci dice la commentatrice Marina Terragni, «chi ha guadagnato soldi onestamente ha il diritto di spenderli. Ma se un politico di carriera in questo particolare momento non capisce che farsi fotografare ai tropici a Capodanno è disastroso, non è un bravo politico. Non è sintonizzato con lo spirito del tempo. Oltretutto è una scelta tragicomica, da cinepanettone, quella delle Maldive. Lo sanno che lì ci sono i paparazzi. Cosa gli costava andarsene in Maremma - perchè di solito i politici a Roma lì hanno la villa - e starsene tranquilli? Avrebbero anche evitato lo choc da fuso orario, perché a una certa età non è che certi sbalzi caldo/freddo facciano benissimo... Consiglio l'Italia, la prossima volta. Il nostro è il Paese più bello del mondo. E in più non si rischia di fare una brutta fine, alle prossime elezioni». Ovvero: se non per sobrietà, contenetevi almeno per furbizia.

Più perfida Ambra Angiolini, «Casta diva» tv, che a Piazza pulita su La Sette ha commentato: «Non si può più nemmeno fuggire nell’oceano Indiano, che si incappa nella trippetta flaccida di Schifani».

C'è cascato anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, nella trappola intercontinentale da 800 euro a notte: fotografato in un resort thailandese. Uno dei pochi politici di nome che ha dribblato sapientemente il problema è stato Pierluigi Bersani: Capodanno a Bettola (Piacenza), dai suoceri.

Insomma, a ben cinque anni dalla pubblicazione del libro La Casta, che ha svelato i privilegi dei 100 mila politici italiani a tempo pieno, poco è cambiato. Tante promesse e annunci, ma quasi nessun risparmio effettivo. Anche dopo il taglio del 10 per cento a tutti gli stipendi d’oro pubblici, uno stenografo al Senato continua a guadagnare 260 mila euro l’anno: il doppio del vicepresidente degli Stati Uniti. E un barbiere 130 mila. Totale per il Parlamento: un miliardo e mezzo l’anno. Gli sprechi continuano, e anche le ostentazioni.
Mauro Suttora

Saturday, May 21, 2011

parla l'unica ministra libica

INTERVISTA A SALWA DAGHILI

di Mauro Suttora

per Io Donna, settimanale del Corriere della Sera

Bengasi, 21 maggio 2011



Porta il velo, ma il disegno è Burberry. Arab chic, e non le domando se è originale: è già abbastanza imbarazzata. Quando le ho chiesto l’età ha scherzato timida: «Non gliela dico, è il solo segreto di stato che abbiamo qui a Bengasi».

Però anche la rivoluzione di Libia, come quelle tunisina ed egiziana, vola sui social network. E lì Salwa Daghili rivela i suoi 44 anni. Unica donna fra i tredici ministri nel «governo» (ufficialmente: «consiglio provvisorio») della nuova Libia libera. La incontro nel suo ufficio, al piano terra di un’elegante palazzina circondata da giardino sul lungomare di Bengasi. Proprio qui 80 anni fa stava lo spietato generale Rodolfo Graziani, e nel 2008 Silvio Berlusconi firmò lo sciagurato accordo di amicizia con Muammar Gheddafi.

«Non sono passati tre mesi dalla rivoluzione del 17 febbraio», dice Salwa, «e ancora non ci rendiamo bene conto di essere liberi dopo 42 anni». Lei viene da una famiglia facoltosa e numerosa: cinque fratelli, quattro sorelle. Suo padre, uomo d’affari, finì tre anni in prigione e agli arresti domiciliari sotto il colonnello. Poi però ha potuto viaggiare. «Avevo 15 anni quando visitammo Roma, il Vaticano, Milano… Mi piacque molto Verona», dice Salwa nel suo compìto francese.

La laurea in legge, «la vita in un clima di perenne paura», il matrimonio con un medico, i tre figli che ora hanno 15, 13 e 9 anni. Qualche stagione in Polonia dietro al marito andato lì a lavorare, poi lui ha seguito lei a Parigi per ben quattro anni: «Nel primo ho imparato bene il francese, quindi ho ottenuto il dottorato in diritto costituzionale alla Sorbona. In Francia ho capito l’importanza dei diritti dell’uomo. Anzi, della persona… Due anni fa siamo tornati a Bengasi. Come docente universitaria di diritto cercavo di instillare nei miei studenti l’amore per la legalità. Era il mio unico, piccolo modo di battermi contro il regime».

Poi, improvvisa, l’ondata. Tutti i giovani libici, esaltati dalle rivolte di Tunisi e Cairo viste sulla tv Al Jazeera, si danno appuntamento in strada il 17 febbraio: l’anniversario degli morti del 2006 davanti al consolato italiano di Bengasi. «Ufficialmente protestavamo contro la maglietta anti-islam di quel vostro ministro [il leghista Roberto Calderoli, ndr], ma il vero bersaglio era Gheddafi».

Questa volta, incredibilmente, la rivolta riesce. Molti poliziotti e soldati, invece di sparare contro i giovani, passano con loro. «Ero in strada anch’io, e pure i miei figli. Quello grande di 15 anni continua ad aiutare i rivoluzionari, ho dovuto imporgli il coprifuoco: alle dieci di sera, a casa».

Ora Salwa è incaricata di preparare la costituzione della nuova Libia: «Quando sarà tutta unita, Tripoli compresa», tiene a precisare. È andata a Parigi a chiedere consigli e a prendere contatti. «Sanciremo il rispetto dei diritti individuali e di tutte le minoranze». Anche quelle religiose? «Certo. In Libia attualmente con ci sono ebrei né cristiani, tranne i lavoratori filippini che sono scappati. Ma state sicuri: non diventeremo un altro Iran. I libici sono musulmani praticanti, ma moderati».

A duecento metri dalla palazzina bianca di Salwa Daghili incontriamo le altre «donne della rivoluzione». Le sorelle Bugaighis innanzitutto, belle e vistose, anche perché i loro capelli corvini non sono nascosti da foulard. La 44enne Salwa, avvocatessa, è portavoce del Consiglio provvisorio nell’ex palazzo del tribunale, il primo a essere conquistato dagli insorti. Anche lei madre di tre figli, sempre in prima fila alle manifestazioni che vengono ancora organizzate per fornire uno sfogo all’entusiasmo dei giovani – frustrati dallo stallo militare – e qualche occasione fotografica ai pochi giornalisti rimasti a Bengasi.

Sua sorella Iman, 49, era professore di odontoiatria all’università, e non sa quando riprenderanno le lezioni: «C’è ancora così tanto da fare. All’inizio pensavamo che Gheddafi sarebbe caduto entro pochi giorni, poi entro qualche settimana. Ora capiamo che è questione di mesi. Prima o poi succederà, ne siamo sicure. Ma intanto dobbiamo fare andare avanti uno stato. Abbiamo ricominciato a esportare un po’ di petrolio dal porto di Tobruk, ma cento milioni di dollari al mese non bastano. Per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici ci vorrebbe il quadruplo».

«Al governo a Bengasi ora ci sono ingegneri, professori, avvocati», spiega Najla Mangoush, madre separata di Gaida, 10 anni, e Raghad, 5. «Io parlo bene l’inglese, quindi tengo i rapporti con diplomatici e giornalisti. Siamo tutti volontari. Ma quanto potrà durare il nostro entusiasmo?»

Mauro Suttora

Wednesday, May 12, 2010

Le case dei ministri

CASA NOSTRA: I POLITICI A ROMA ABITANO QUI

di Mauro Suttora

Oggi, 12 maggio 2010

Dopo le dimissioni del ministro Claudio Scajola e la scenata tv di Massimo D’Alema, che ha mandato «a farsi fottere» il condirettore del Giornale Alessandro Sallusti per una questione di affitti, sorge spontanea la domanda: quanto pagano i nostri politici per le case in cui vivono a Roma?

Lo abbiamo chiesto a tutti i ministri. Molti non hanno avuto problemi a rispondere. Alcuni nel dettaglio, fino alla data d’acquisto e all’importo del mutuo. Altri, invece, si sono addirittura offesi perla domanda: «Ho diritto alla privacy», ci hanno detto. Un’addetta stampa ha perfino obiettato: «Ci sono i terroristi, il mio ministro ha ricevuto minacce di morte». Come se sapere il prezzo del suo appartamento (mica l’indirizzo) potesse attirare Al Qaeda.

ANAGRAFE PUBBLICA DEGLI ELETTI
Se passasse la proposta radicale del 2008 di istituire un’«Anagrafe pubblica degli eletti e nominati», regnerebbe la trasparenza su centinaia di migliaia di consiglieri comunali e regionali, parlamentari e consulenti.
«Ma finora solo la Camera dei deputati e pochi consigli comunali l’hanno approvata Roma, Torino, Napoli i più grandi. Senza però passare all’attuazione concreta», dice il segretario dei radicali Mario Staderini, il quale tre anni fa sollevò proprio su Oggi il caso di un intero palazzo nel centro di Roma acquistato dal Senato, che adesso si scopre essere finito nei maneggi della «cricca» della Protezione civile.

Siamo allora ricorsi al fai-da-te partendo dal vertice, cioè dai 22 membri del governo. Le ministre più «aperte» sono state le donne. Mariastella Gelmìni (Istruzione) ha dichiarato di pagare 2.500 euro mensili d’affitto per la sua casa romana.

«Io ho comprato un appartamento di 160 metri quadri in centro il 18 febbraio 2009, per 930 mila euro. Ho acceso un mutuo a tasso fisso di 450 mila euro, che me ne costa quattromila al mese», ci ha detto precisissima Mara Carfagna (Pari opportunità). Trasparente anche Giorgia Meloni: «Abitavo con mia madre alla Garbatella, ma lì i prezzi ormai sono troppo alti. Così l’anno scorso ho preso 50 metri quadri con terrazzo all’Ardeatino, per 370 mila col mutuo».

Anche il ministro Roberto Calderoli (Semplificazione) sta in affitto in periferia (65 metri quadri da un privato), e da buon leghista tiene a precisare: «Non ho mai pensato di comprare a Roma, perché ritengo che la casa la si debba acquistare sul territorio, nella città in cui si vive». Riassumiamo le altre risposte nel box della pagina accanto.

Le case hanno fatto soffrire molto i politici negli ultimi quindici anni. Lontani sono i tempi in cui i massimi capi Dc, Psi, Pci e anche Msi (Segni e Amendola, Mancini e Almirante, Pertini e Jervolino) si accontentavano di vivere tutti assieme in case in cooperativa fatte costruire su viale Cristoforo Colombo o al Trionfale, lontanissimo dal centro. Il primo a dar scandalo fu Ciriaco De Mita cui l’Inpdai (l’ente pensionistico dei dirigenti) nell’88 concesse un attico ad affitto irrisorio in via del Tritone.

E per un altro equo canone da un ente a Trastevere Vittorio Feltri tanto bastonò D’Alema con la «Affittopoli» nel ‘95 che l’allora segretario Pds preferì trasferirsi nel quartiere Prati. Assieme a lui finirono sulla graticola altri big beneficiati dall’equo canone: Giuliano Amato in via Veneto, Rocco Buttiglione in via delle Tre Madonne ai Parioli (fra le più eleganti della capitale), Pierferdinando Casini, Franca Chiaromonte, Maura Cossutta, i sindacalisti Franco Marini e Sergio D’Antoni, Clemente Mastella, Luciano Violante, Walter Veltroni.

Nulla d’illegale, e a volte con affitti di tutto rispetto: Buttiglione pagava due milioni e mezzo all’Ira. Ma in altri casi il risparmio era notevole, e sommandolo per venti o trent’anni si arrivava a cifre non lontane da quella che ha inguaiato Scajola.

La seconda puntata dello scandalo è arrivata nel 2007, quando si è scoperto che molte di queste case erano state vendute dagli enti ai politici con grossi sconti. Così Casini ha pagato per cinque appartamenti con 30 vani nello stesso palazzo 1,8 milioni di euro. Li ha dati all’ex moglie, alle due figlie e all’ex suocera. Mastella ha avuto cinque appartamenti con 26 vani più terrazzo e box per 1,2 milioni sul lungotevere Flaminio, più un appartamentone in largo Arenula.

Veltroni ha riscattato 190 mq dietro piazza Fiume per 377 mila euro nel 2005: duemila euro al metro quadro, un terzo delle quotazioni di mercato. Raffaele Bonanni, segretario Cìsl, ha avuto otto vani per 200 mila euro; a Violante soggiorno, quattro camere e terrazzo in zona Fori per 327 mila euro; Francesco Pionati (ex giornalista Tgl, deputato) attico e superattico a Monteverde Vecchio con vista su Trastevere per 260 mila euro del 2001.

Anche le segretarie dei politici ricevono benefici: quella dell’ex ministro della Difesa Arturo Parisi si è vista assegnare una casa in via Margutta dall’Ente di assistenza per i ciechi. Insomma, per essere efficace l’Anagrafe pubblica dovrebbe essere allargata anche ai parenti e ai collaboratori degli eletti.

Mauro Suttora