LA ZARINA DI BERLUSCONI
di Mauro Suttora
Oggi, 20 ottobre 2010
Secondo i più appassionati fra i suoi sostenitori, Silvio Berlusconi è un misto di Gesù Cristo, Napoleone, Giulio Cesare e re Sole. Quindi, ora che il premier sembra essersi stufato dei vari Bondi, Cicchitto, La Russa, Verdini, Gasparri e Quagliariello che lo attorniano ma creano solo casini (o ci sono finiti dentro), Daniela Santanchè è messa benissimo. A detta di alcuni, sarà lei la nuova segretaria del Popolo delle libertà.
Gesù, infatti, amava i figliol prodighi. Affidò addirittura la Chiesa a Pietro, che lo rinnegò tre volte. E allora, che importa se nel 2008 la Santanché tradì Berlusconi con Storace, osando perfino candidarsi premier contro di lui? Silvio l’ha perdonata. Anzi, l’ha nominata sottosegretaria otto mesi fa, visto che non avendo raggiunto il quattro per cento è rimasta fuori dal Parlamento, come Bertinotti.
Napoleone amava i colpi di scena. Vinceva battaglie e guerre perché era imprevedibile. Proprio come Silvio. Che dopo la sorpresa del predellino, ce ne sta sicuramente apparecchiando altre. Santanchè compresa.
E poi Giulio Cesare. Al diavolo i cursus honorum: prima di lui, per comandare nell’antica Roma (diventando console) bisognava inerpicarsi in una noiosa carriera da politico di professione: tribuno, questore, edile, pretore, censore... Il divo Giulio fece piazza pulita di tutta questa burocrazia. E così anche Berlusconi, il quale ha magicamente creato dal nulla eurodeputate ventenni e ministri trentenni, senza costringerli a gavette da consiglieri circoscrizionali o provinciali prima di portarli a Strasburgo o al governo. Nulla osta, quindi, che la Santanché venga installata a capo del primo partito d’Italia: in fondo fa politica da undici anni, tempo abbastanza lungo per i fulminei parametri berlusconiani.
E Luigi XIV di Francia? Nella Versailles del ’700 l’importanza dei ministri si misurava con la loro vicinanza al re Sole durante i banchetti. Oggi, con l’«accessibilità» a Berlusconi ad Arcore o a palazzo Grazioli. E da qualche mese la Santanché, invidiatissima, è una delle poche cui Silvio risponde sempre quando lei telefona, o porge l’orecchio se gli sussurra nelle riunioni. Ormai è fidatissima: quasi quanto l’indispensabile Letta e gli scudieri della giustizia, il ministro Alfano e l’avvocato Ghedini.
Se Berlusconi non riuscirà a issare Daniela al comando unico del Pdl, quindi, sarà più che altro per non dispiacere alle altre pretendenti. Si mormora infatti di un triumvirato rosa shocking, con la Santanché affiancata dalle junior Mariastella Gelmini (ex Forza Italia) e Giorgia Meloni (ex An). E ambizioni ne hanno molte altre suscettibili favorite (politiche), dalla veterana Prestigiacomo alla Carfagna, fino alla più recente ma scalpitante Brambilla.
Intanto, l’inesauribile zarina continua a macinare affari, uomini e politica. Dopo la discoteca Billionaire di Porto Cervo con Flavio Briatore e Lele Mora, e lo stabilimento Twiga di Forte dei Marmi (200 euro al giorno, soci ancora Briatore più Paolo Brosio e Marcello Lippi), si è lanciata nella pubblicità. La sua Visibilia (14 milioni di fatturato, 12 di debiti) fino a tre settimane fa riusciva nel miracolo di essere contemporaneamente la concessionaria di due quotidiani concorrenti: Libero e Il Giornale. Adesso Belpietro si è sganciato, accusandola di avere privilegiato Feltri. E si capisce: con il secondo Daniela vorrebbe rilevare la proprietà del Giornale da Paolo Berlusconi, oppure fondare una nuova testata di cui ha già depositato il nome: Fuori dal coro. Intanto, lavora anche per i giornali gratuiti DNews e Metro, e per il nuovo settimanale Io Spio.
Ora poi è anche sentimentalmente legata ad Alessandro Sallusti, numero due di Feltri. E numero tre dei suoi compagni, dopo il chirurgo estetico Paolo Santanchè, sposato nell’82 a soli 21 anni, e l’industriale farmaceutico lucano Canio Mazzaro. Quel che pensa degli uomini che reputa poco decisi, come Fini e gli ex colleghi di An, Daniela lo ha detto chiaramente: «Hanno le palle di velluto». Poi si è corretta: «Ora è estate, ce le hanno di lino». Altre sue frasi passate alla storia: «Per fare carriera non l’ho mai data», e «Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do...»
In politica, la Santanché ultimamente si è specializzata nell’anti-islamismo. Scelta intelligente, lavoro assicurato per i prossimi trent’anni. Richiestissima nei dibattiti tv come interlocutrice aggressiva di imam: baruffa, share e blob garantiti. Una volta è riuscita a dire in diretta: «Maometto era un pedofilo. L’ultima delle sue mogli aveva nove anni». Putiferio. Ora deve girare con la scorta.
Mauro Suttora
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Wednesday, October 27, 2010
Wednesday, May 12, 2010
Le case dei ministri
CASA NOSTRA: I POLITICI A ROMA ABITANO QUI
di Mauro Suttora
Oggi, 12 maggio 2010
Dopo le dimissioni del ministro Claudio Scajola e la scenata tv di Massimo D’Alema, che ha mandato «a farsi fottere» il condirettore del Giornale Alessandro Sallusti per una questione di affitti, sorge spontanea la domanda: quanto pagano i nostri politici per le case in cui vivono a Roma?
Lo abbiamo chiesto a tutti i ministri. Molti non hanno avuto problemi a rispondere. Alcuni nel dettaglio, fino alla data d’acquisto e all’importo del mutuo. Altri, invece, si sono addirittura offesi perla domanda: «Ho diritto alla privacy», ci hanno detto. Un’addetta stampa ha perfino obiettato: «Ci sono i terroristi, il mio ministro ha ricevuto minacce di morte». Come se sapere il prezzo del suo appartamento (mica l’indirizzo) potesse attirare Al Qaeda.
ANAGRAFE PUBBLICA DEGLI ELETTI
Se passasse la proposta radicale del 2008 di istituire un’«Anagrafe pubblica degli eletti e nominati», regnerebbe la trasparenza su centinaia di migliaia di consiglieri comunali e regionali, parlamentari e consulenti.
«Ma finora solo la Camera dei deputati e pochi consigli comunali l’hanno approvata Roma, Torino, Napoli i più grandi. Senza però passare all’attuazione concreta», dice il segretario dei radicali Mario Staderini, il quale tre anni fa sollevò proprio su Oggi il caso di un intero palazzo nel centro di Roma acquistato dal Senato, che adesso si scopre essere finito nei maneggi della «cricca» della Protezione civile.
Siamo allora ricorsi al fai-da-te partendo dal vertice, cioè dai 22 membri del governo. Le ministre più «aperte» sono state le donne. Mariastella Gelmìni (Istruzione) ha dichiarato di pagare 2.500 euro mensili d’affitto per la sua casa romana.
«Io ho comprato un appartamento di 160 metri quadri in centro il 18 febbraio 2009, per 930 mila euro. Ho acceso un mutuo a tasso fisso di 450 mila euro, che me ne costa quattromila al mese», ci ha detto precisissima Mara Carfagna (Pari opportunità). Trasparente anche Giorgia Meloni: «Abitavo con mia madre alla Garbatella, ma lì i prezzi ormai sono troppo alti. Così l’anno scorso ho preso 50 metri quadri con terrazzo all’Ardeatino, per 370 mila col mutuo».
Anche il ministro Roberto Calderoli (Semplificazione) sta in affitto in periferia (65 metri quadri da un privato), e da buon leghista tiene a precisare: «Non ho mai pensato di comprare a Roma, perché ritengo che la casa la si debba acquistare sul territorio, nella città in cui si vive». Riassumiamo le altre risposte nel box della pagina accanto.
Le case hanno fatto soffrire molto i politici negli ultimi quindici anni. Lontani sono i tempi in cui i massimi capi Dc, Psi, Pci e anche Msi (Segni e Amendola, Mancini e Almirante, Pertini e Jervolino) si accontentavano di vivere tutti assieme in case in cooperativa fatte costruire su viale Cristoforo Colombo o al Trionfale, lontanissimo dal centro. Il primo a dar scandalo fu Ciriaco De Mita cui l’Inpdai (l’ente pensionistico dei dirigenti) nell’88 concesse un attico ad affitto irrisorio in via del Tritone.
E per un altro equo canone da un ente a Trastevere Vittorio Feltri tanto bastonò D’Alema con la «Affittopoli» nel ‘95 che l’allora segretario Pds preferì trasferirsi nel quartiere Prati. Assieme a lui finirono sulla graticola altri big beneficiati dall’equo canone: Giuliano Amato in via Veneto, Rocco Buttiglione in via delle Tre Madonne ai Parioli (fra le più eleganti della capitale), Pierferdinando Casini, Franca Chiaromonte, Maura Cossutta, i sindacalisti Franco Marini e Sergio D’Antoni, Clemente Mastella, Luciano Violante, Walter Veltroni.
Nulla d’illegale, e a volte con affitti di tutto rispetto: Buttiglione pagava due milioni e mezzo all’Ira. Ma in altri casi il risparmio era notevole, e sommandolo per venti o trent’anni si arrivava a cifre non lontane da quella che ha inguaiato Scajola.
La seconda puntata dello scandalo è arrivata nel 2007, quando si è scoperto che molte di queste case erano state vendute dagli enti ai politici con grossi sconti. Così Casini ha pagato per cinque appartamenti con 30 vani nello stesso palazzo 1,8 milioni di euro. Li ha dati all’ex moglie, alle due figlie e all’ex suocera. Mastella ha avuto cinque appartamenti con 26 vani più terrazzo e box per 1,2 milioni sul lungotevere Flaminio, più un appartamentone in largo Arenula.
Veltroni ha riscattato 190 mq dietro piazza Fiume per 377 mila euro nel 2005: duemila euro al metro quadro, un terzo delle quotazioni di mercato. Raffaele Bonanni, segretario Cìsl, ha avuto otto vani per 200 mila euro; a Violante soggiorno, quattro camere e terrazzo in zona Fori per 327 mila euro; Francesco Pionati (ex giornalista Tgl, deputato) attico e superattico a Monteverde Vecchio con vista su Trastevere per 260 mila euro del 2001.
Anche le segretarie dei politici ricevono benefici: quella dell’ex ministro della Difesa Arturo Parisi si è vista assegnare una casa in via Margutta dall’Ente di assistenza per i ciechi. Insomma, per essere efficace l’Anagrafe pubblica dovrebbe essere allargata anche ai parenti e ai collaboratori degli eletti.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 12 maggio 2010
Dopo le dimissioni del ministro Claudio Scajola e la scenata tv di Massimo D’Alema, che ha mandato «a farsi fottere» il condirettore del Giornale Alessandro Sallusti per una questione di affitti, sorge spontanea la domanda: quanto pagano i nostri politici per le case in cui vivono a Roma?
Lo abbiamo chiesto a tutti i ministri. Molti non hanno avuto problemi a rispondere. Alcuni nel dettaglio, fino alla data d’acquisto e all’importo del mutuo. Altri, invece, si sono addirittura offesi perla domanda: «Ho diritto alla privacy», ci hanno detto. Un’addetta stampa ha perfino obiettato: «Ci sono i terroristi, il mio ministro ha ricevuto minacce di morte». Come se sapere il prezzo del suo appartamento (mica l’indirizzo) potesse attirare Al Qaeda.
ANAGRAFE PUBBLICA DEGLI ELETTI
Se passasse la proposta radicale del 2008 di istituire un’«Anagrafe pubblica degli eletti e nominati», regnerebbe la trasparenza su centinaia di migliaia di consiglieri comunali e regionali, parlamentari e consulenti.
«Ma finora solo la Camera dei deputati e pochi consigli comunali l’hanno approvata Roma, Torino, Napoli i più grandi. Senza però passare all’attuazione concreta», dice il segretario dei radicali Mario Staderini, il quale tre anni fa sollevò proprio su Oggi il caso di un intero palazzo nel centro di Roma acquistato dal Senato, che adesso si scopre essere finito nei maneggi della «cricca» della Protezione civile.
Siamo allora ricorsi al fai-da-te partendo dal vertice, cioè dai 22 membri del governo. Le ministre più «aperte» sono state le donne. Mariastella Gelmìni (Istruzione) ha dichiarato di pagare 2.500 euro mensili d’affitto per la sua casa romana.
«Io ho comprato un appartamento di 160 metri quadri in centro il 18 febbraio 2009, per 930 mila euro. Ho acceso un mutuo a tasso fisso di 450 mila euro, che me ne costa quattromila al mese», ci ha detto precisissima Mara Carfagna (Pari opportunità). Trasparente anche Giorgia Meloni: «Abitavo con mia madre alla Garbatella, ma lì i prezzi ormai sono troppo alti. Così l’anno scorso ho preso 50 metri quadri con terrazzo all’Ardeatino, per 370 mila col mutuo».
Anche il ministro Roberto Calderoli (Semplificazione) sta in affitto in periferia (65 metri quadri da un privato), e da buon leghista tiene a precisare: «Non ho mai pensato di comprare a Roma, perché ritengo che la casa la si debba acquistare sul territorio, nella città in cui si vive». Riassumiamo le altre risposte nel box della pagina accanto.
Le case hanno fatto soffrire molto i politici negli ultimi quindici anni. Lontani sono i tempi in cui i massimi capi Dc, Psi, Pci e anche Msi (Segni e Amendola, Mancini e Almirante, Pertini e Jervolino) si accontentavano di vivere tutti assieme in case in cooperativa fatte costruire su viale Cristoforo Colombo o al Trionfale, lontanissimo dal centro. Il primo a dar scandalo fu Ciriaco De Mita cui l’Inpdai (l’ente pensionistico dei dirigenti) nell’88 concesse un attico ad affitto irrisorio in via del Tritone.
E per un altro equo canone da un ente a Trastevere Vittorio Feltri tanto bastonò D’Alema con la «Affittopoli» nel ‘95 che l’allora segretario Pds preferì trasferirsi nel quartiere Prati. Assieme a lui finirono sulla graticola altri big beneficiati dall’equo canone: Giuliano Amato in via Veneto, Rocco Buttiglione in via delle Tre Madonne ai Parioli (fra le più eleganti della capitale), Pierferdinando Casini, Franca Chiaromonte, Maura Cossutta, i sindacalisti Franco Marini e Sergio D’Antoni, Clemente Mastella, Luciano Violante, Walter Veltroni.
Nulla d’illegale, e a volte con affitti di tutto rispetto: Buttiglione pagava due milioni e mezzo all’Ira. Ma in altri casi il risparmio era notevole, e sommandolo per venti o trent’anni si arrivava a cifre non lontane da quella che ha inguaiato Scajola.
La seconda puntata dello scandalo è arrivata nel 2007, quando si è scoperto che molte di queste case erano state vendute dagli enti ai politici con grossi sconti. Così Casini ha pagato per cinque appartamenti con 30 vani nello stesso palazzo 1,8 milioni di euro. Li ha dati all’ex moglie, alle due figlie e all’ex suocera. Mastella ha avuto cinque appartamenti con 26 vani più terrazzo e box per 1,2 milioni sul lungotevere Flaminio, più un appartamentone in largo Arenula.
Veltroni ha riscattato 190 mq dietro piazza Fiume per 377 mila euro nel 2005: duemila euro al metro quadro, un terzo delle quotazioni di mercato. Raffaele Bonanni, segretario Cìsl, ha avuto otto vani per 200 mila euro; a Violante soggiorno, quattro camere e terrazzo in zona Fori per 327 mila euro; Francesco Pionati (ex giornalista Tgl, deputato) attico e superattico a Monteverde Vecchio con vista su Trastevere per 260 mila euro del 2001.
Anche le segretarie dei politici ricevono benefici: quella dell’ex ministro della Difesa Arturo Parisi si è vista assegnare una casa in via Margutta dall’Ente di assistenza per i ciechi. Insomma, per essere efficace l’Anagrafe pubblica dovrebbe essere allargata anche ai parenti e ai collaboratori degli eletti.
Mauro Suttora
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