Friday, March 01, 2013
Chi sono gli eletti 5 stelle
di Mauro Suttora
Oggi, 26 febbraio 2013
COMPONE SONETTI
Paola Taverna, 43 anni, Roma
«Me rappresento solo, de te nun c’ho bisogno
anzi me fai un po’ schifo
e me riprenno er sogno
ritrovo orgoglio, stima e pure convinzione
che sto cesso che me consegni
lo ritrasformo in nazione».
La senatrice Paola Taverna è la poetessa del movimento. I suoi sonetti in romanesco sono assai apprezzati dagli attivisti. Lei vive a Torre Maura col figlio di dieci anni («è la mia vita»), ed è orgogliosa delle proprie radici popolari. Si sveglia alle 5 per andare nel laboratorio medico dov’è impiegata.
Attiva dal 2007, non credeva ai propri occhi quattro mesi fa, quando le è arrivata l’e-mail di Grillo con l’invito a candidarsi: «I 5 Stelle sono l’unica e ultima possibilità per cambiare il Paese. Non voglio andare a fare giochi di palazzo, sarò solo la portavoce di semplici cittadini come me. So quanto è difficile e ingiusta la vita che ci costringono a fare».
PRIORITA' CARCERI
Giulia Sarti, 26 anni, Rimini
Alle primarie ha preso 362 voti: la più votata di tutta l’Emilia-Romagna, che tanti grattacapi ha dato a Grillo, con l’espulsione del consigliere regionale Giovanni Favia (passato a Ingroia ma trombato al voto) e della bolognese Federica Salsi, «rea» di essere andata a Ballarò. Giulia si è laureata tre mesi fa in Legge con tesi sui referendum. D’estate lavora come animatrice in spiaggia, ma la sua passione è il giornalismo: «A 12 anni intervistai la moglie del presidente Ciampi per il giornalino della scuola».
Per lei «il M5S non è solo un progetto politico, è anche un modo di vivere. In questi anni ho imparato cosa significa condurre una vita più sostenibile, fare la raccolta differenziata, rispettare l’ambiente e cambiare le proprie abitudini, dalla spesa all’alimentazione. Piccoli gesti che innescano grandi cambiamenti. Alla Camera vorrei occuparmi di Giustizia e delle carceri che scoppiano».
IL SUDAMERICANO
Alessandro Di Battista, 34 anni, Roma
Laureato in Lettere e filosofia al Dams, master in Tutela internazionale dei diritti umani, anni di cooperazione in Congo, Patagonia, Cile, Bolivia, Amazzonia. «In Colombia studio i fenomeni criminali: narcos, paramilitarismo, sicariato. Dal 2011 collaboro come giornalista al blog di Grillo. Pubblico un reportage sui disastri di Enel-Guatemala, su cui viene aperta un’inchiesta parlamentare.
L’anno scorso la Casaleggio Associati mi commissiona il libro Sicari a cinque euro. Parto per Ecuador, Panama, Guatemala, Colombia e mi concentro sulle possibili soluzioni: legalizzare la droga, riforma agraria, socializzare l’economia, decrescita felice».
Il fascino del terzomondista colpisce il cuore delle grilline romane, ma Alessandro vuole anche cose più terra terra: «Enogastronomia e turismo responsabile. L’Italia deve tornare a essere il Paese più visitato al mondo».
LA PIU' VOTATA D'ITALIA
Paola Carinelli, 32 anni, Milano
Alle primarie on line ha avuto 600 voti: il triplo della seconda classificata, la più votata d’Italia nel Movimento 5 Stelle. Figlia di un industriale chimico, single, gran pallavolista, è impiegata in una ditta di spedizioni internazionali. Ma negli ultimi anni è stata soprattutto il perno organizzativo del movimento nella città più importante d’Italia. Che ha eletto il suo primo consigliere grillino due anni fa. Non disdegna i compiti più umili: fino a pochi giorni fa smistava manifesti e volantini.
Laureata in Mediazione linguistica, Paola ha un gran spirito di gruppo: «Nel M5S ci sono stati momenti difficili, ma sono serviti per crescere. Le difficoltà le abbiamo affrontate e superate assieme al gruppo». Priorità: «Togliere i soldi alla politica: abolire i rimborsi elettorali, ridurre al minimo tutte le spese. E, soprattutto, partecipazione diretta dei cittadini».
PORTABORSE DI LOTTA
Laura Castelli, 26 anni, Torino
La sua candidatura aveva provocato qualche malumore: «La portaborse fa carriera, come negli altri partiti». Ma lei, dopo la laurea breve in Economia aziendale, il curriculum ce l’ha: progetto Sbankiamoli per le banche etiche, studi sulla gestione dei parchi, identificazione delle forze dell’ordine, lotta contro i treni che trasportano scorie nucleari.
Assistente del consigliere regionale Davide Bono dal 2010, la sua esperienza le servirà a Roma per «riordinare la fiscalità di cittadini e imprese: creazione di un cassetto fiscale, Iva per cassa, revisione degli studi di settore».
Caspita, che noia per una ventenne. Ma lei insiste: «Vogliamo introdurre criteri di finanza etica e impatto ambientale minimi obbligatori. E creare posti di lavoro con una pianificazione energetica e industriale nuova, ecosostenibile». E il debito pubblico? «Ci vuole un audit».
LAVORA "NEL LUSSO"
Roberta Lombardi, 39 anni, Roma
Laureata in legge, tesi di diritto commerciale internazionale, master alla Luiss, Roberta Lombardi è una veterana dei 5 Stelle romani. Che hanno avuto una storia travagliata: dei quattro eletti alle comunali del 2008, solo uno è rimasto con Grillo. Gli altri sono passati a Di Pietro, uno addirittura all’Udc.
Lei è appena diventata mamma («di un bellissimo pupo di dieci mesi»), ma lavora da quando aveva 19 anni. E dopo aver fatto la babysitter, la segretaria e l’impiegata, oggi sta in «un’azienda romana che fa arredamento d’interni chiavi in mano per clienti top spender (emiri, oligarchi russi, miliardari vari,). Lavoro quindi nel settore del lusso e del made in Italy».
Imbarazzata, visto il pauperismo di molti grillini? No, anzi: «Sono fiera di portare nel mondo il meglio dell’Italia. Che voglio torni a essere un Paese civile anche in politica».
Mauro Suttora
Thursday, February 28, 2013
Il trionfo di Grillo. E adesso?
IL TRIONFO DI GRILLO
I suoi eletti sono 160 sconosciuti. Non hanno mai fatto politica. Non si sono mai incontrati fra loro. E non hanno soldi, sedi, capi. Ecco cosa faranno
di Mauro Suttora
Oggi, 26 febbraio 2013
E adesso? I primi a non crederci sono loro, i grillini. «’Amo fatto er botto», dice Paola Taverna, neosenatrice 5 Stelle. Corre al Viminale dopo aver visto gli spogli delle sue cinque sezioni romane: «Siamo dappertutto il primo partito, spalla a spalla con Pd e Pdl. Pazzesco». Negli ultimi giorni prima del voto, quando pubblicare i sondaggi era proibito, sui siti internet di Grillo qualcuno sparava: «Siamo il primo partito». Ma sembravano auspici, più che previsioni. Certo, le piazze dei comizi erano piene. Certo, gli scandali che toccavano gli altri partiti (Finmeccanica, Montepaschi) erano quotidiani. Però tutti ritenevano una vittoria arrivare al 20 per cento. E invece.
Tutti i palazzi del potere italiano sono travolti dallo tsunami Grillo. Che finora era solo il simpatico slogan del suo tour di comizi. Ma che alle quattro del pomeriggio del 25 febbraio si è concretizzato, travolgendo ogni previsione. Lo spread va alle stelle, le Borse crollano. Centrodestra e centrosinistra sono appaiati. Il vincitore è il signor Beppe Grillo, professione comico. Instabilità assicurata.
MAI SUCCESSO IN OCCIDENTE
Non era mai successo, nella storia delle democrazie occidentali, che un partito fatto di dilettanti della politica ottenesse un tale risultato al suo debutto. Si offende, Pasquale Caterisano, grillino comasco della prima ora, a sentir parlare di «inesperienza»: «Siamo cittadini normali, capacissimi di far quadrare i conti di una famiglia, e anche di un’azienda. Quindi anche di un ente pubblico. Se essere “inesperti” di politica significa non rubare, per noi è un vanto».
Il problema è che non solo tutti i 150 parlamentari di Grillo sono debuttanti a Roma. Ma che nessuno di loro, diversamente dai leghisti vent’anni fa, è stato mai neppure consigliere regionale, provinciale, comunale, o perfino di quartiere. Era una delle regole per partecipare alle primarie del M5S: essere politicamente «vergini».
Grillo non ha permesso neppure che si seguisse un cursus honorum, come avveniva nell’antica Roma: chi è stato eletto nei Comuni e Regioni qualche anno fa non ha potuto fare il salto in Parlamento. Una delle regole ferree del M5S, infatti, è che bisogna «rispettare il mandato». Quindi completarlo fino in fondo, senza saltare in un’istituzione più importante dopo tre o quattro anni.
Risultato: gli eletti in Parlamento sono stati pescati fra gli esclusi dei voti amministrativi precedenti, per assicurare fedeltà ed evitare assalti di arrivisti dell’ultima ora. Chiunque si fosse presentato per il M5S alle comunali o regionali dal 2008 a oggi, ma non fosse stato eletto, ha potuto partecipare alle primarie.
Vito Crimi: «Non frequenteremo la buvette»
Cosa faranno adesso questi signori Smith immacolati che arrivano a Roma? «Non frequenteremo le buvette di Camera e Senato, per non fare brutti incontri», scherza Vito Crimi, neosenatore, 42 anni. E' nato a Palermo ma emigrato a Brescia per lavorare come impiegato alla Corte d’Appello. Eletto senatore, negli ultimi tempi sembra lui l'eletto 5 stelle al quale Grillo si appoggia di più.
Appare sempre lui alla sua destra durante le ultime occasioni più importanti, come l’unica conferenza stampa mai effettuata dal comico genovese: organizzata a Roma in gennaio per protestare contro un simbolo farlocco, quasi uguale a quello del M5S, che in un primo tempo era stato accettato dal Viminale. Ma nel movimento vige l’egualitarismo più assoluto. I presidenti dei gruppi parlamentari, ad esempio, ruoteranno ogni tre mesi.
Il movimento è senza soldi, senza sedi, senza funzionari, senza congressi, si coordina solo in rete, sui «meetup» di internet. E' «liquido», quindi non esistono vice-Grillo. Non ci sono segretari regionali, provinciali, comunali. Non c’è alcuna gerarchia. Gli eletti non si conoscono neppure fra loro. Prenderanno solo 2.500 euro netti al mese come parlamentari, e rifiutano il finanziamento pubblico.
Casaleggio: «Ora ci vuole competenza»
Il guru Gianroberto Casaleggio, timidissimo, è salito sul palco dell’ultimo comizio a Roma. Ha pronunciato poche parole, ma profetiche: «Ricordo uno slogan del 1968, “Fantasia al potere”. Oltre alla fantasia e alla creatività, abbiamo bisogno anche di trasparenza, onestà e competenza. Senza queste, non cambieremo nulla».
I grillini sono per la democrazia diretta, quindi contro i politici di carriera. Vogliono la cancellazione dei finanziamenti pubblici a partiti e giornali. E privatizzare la Rai, tranne un canale. Si concentreranno sulle loro priorità: dimezzamento dei parlamentari, degli stipendi dei parlamentari e dei costi della politica. Proporranno referendum abrogativi, ma anche propositivi. E senza quorum.
Mauro Suttora
Wednesday, February 27, 2013
I tre Grillo
IL TRIONFO DEL MOVIMENTO 5 STELLE
È una rivoluzione. Nella storia dei paesi occidentali non era mai successo che un gruppo di sconosciuti dilettanti della politica, al debutto, diventasse il primo partito.
Ora il futuro degli italiani dipende dalle scelte del suo leader.
Per capire che cosa ci aspetta, ecco chi è l’uomo che ha sbancato alle elezioni
Oggi, 25 febbraio 2013
di Mauro Suttora
Chi è veramente Beppe Grillo? Probabilmente non lo sa neppure lui. Troppo distanti sono le tre versioni di questo 64enne geniale: prima cocco della tv del regime democristiano (figlioccio di Pippo Baudo, 1977-92), poi apostolo dell’ecologia antitecnologica (spaccava computer sul palco dei teatri, 1993-2004), infine cantore della Rete e capopopolo (2005-oggi).
Il punto di svolta è la sera del 15 novembre 1986. Durante Fantastico 7, il varietà del sabato sera presentato da Baudo, gli scappa l'ormai leggendaria battuta contro Bettino Craxi, allora premier e capo del Psi, l’uomo più potente d’Italia: «I socialisti erano in Cina, e Martelli chiede a Craxi: “Ma se qui sono tutti socialisti, a chi rubano?”».
La vulgata recita che da allora, dopo furibonda telefonata di Craxi a Baudo, Grillo sarebbe stato espulso dalla Rai. Nient’affatto. Anzi, ogni sua successiva apparizione era garanzia di audience, perché l’odore di zolfo attirava gli spettatori. Fin dove si sarebbe spinto il comico nell’offesa? Nel frattempo, inoltre, il dc Ciriaco De Mita aveva fatto fuori Craxi. Quindi via libera a Grillo per memorabili e lunghe comparsate a Sanremo nell’88 e '89. Dove con i suoi impareggiabili tempi teatrali, apparentemente spontanei e invece studiatissimi (come oggi), poteva andare avanti all’infinito sul filo del rasoio del vaffa al politico.
I suoi autori allora erano Michele Serra (oggi ancora a Sanremo a scrivere testi, ma per Fabio Fazio) e Stefano Benni. Memorabile l’insulto a Jovanotti, che ancora lo odia.
Altra curiosità: sì, Grillo ha lavorato anche per Silvio Berlusconi. Almeno tre Telegatti, ma anche il suo terzo e ultimo film, scritto da Benni e prodotto dalla berlusconiana Rete Italia. Musiche di Fabrizio De Andrè, coprotagonista Jerry Hall, moglie di Mick Jagger dei Rolling Stones. Berlusconi non si arricchì grazie a questo film, ma oggi può dichiarare con sufficienza: «Sì, Grillo ha lavorato per me. Ottimo comico, è rimasto tale».
Intanto però, sulle orme di Giorgio Gaber, Grillo preferisce il teatro (poi i palasport, con prezzi non popolari) alla tv. E vira sull’ecologia. Il suo primo recital si chiama ironicamente Buone notizie. E trova uno sbocco tv nel dicembre ’93, quando grazie a Tangentopoli i partiti allentano il controllo sulla Rai. Vanno in onda due puntate del Beppe Grillo Show in prima serata su Rai1. Uno sfracello: 15 milioni incollati a sentire Grillo già trasformato in Savonarola.
Ed ecco Beppe nella sua seconda incarnazione. Successo straordinario nelle tournée, tutto esaurito, incassi e redditi miliardari. Villa a Porto Cervo, yacht, bella vita, la seconda moglie persiana Parvin (ex di un calciatore). Insomma, ognuno si porta dietro le sue contraddizioni: anticonsumista, ma vita privata molto smeralda accanto a Flavio Briatore (ho scritto «accanto», caro avvocato di Grillo, non «con»).
Oltre all’ambientalismo l’inesauribile Beppe, curioso ed eclettico come tutti gli autodidatti (non si è laureato, e neppure il suo guru Gianroberto Casaleggio) trova altri bersagli: il signoraggio delle banche, combattuto dal professor Giacinto Auriti, e soprattutto le memorabili campagne da difensore dei piccoli azionisti Telecom e Parmalat, contro le grandi truffe di regime.
Il terreno erà già seminato per il terzo Grillo: il politico che surfa sulla Rete. Casaleggio gli compare davanti nel camerino, è amore a prima vista. Poi la decisione di lanciare il blog nazionale e attrarre proseliti nei Meetup (piattaforma Usa, scelta contestata dai puristi di sinistra). Infine, nel 2007, il primo Vaffa-Day.
Il resto è storia. In memoria del Vaffa, la V del MoVimento 5 Stelle resta in maiuscolo. E maiuscolo è il vaffa appena decretato dagli elettori contro tutti gli altri partiti.
Così, abbiamo la prima rivoluzione guidata da un miliardario simpaticissimo, e dal suo moVimento che ha sede (Casaleggio Associati) fra Montenapoleone e La Scala, a Milano, in una zona da 20 mila euro al metro quadro. Buon divertimento.
Mauro Suttora
Wednesday, February 20, 2013
Per chi votano i vip?
LO ABBIAMO CHIESTO A 30 PERSONAGGI DELLA CULTURA, SPORT E SPETTACOLO
di Mauro Suttora e Alice Corti
Oggi, 8 febbraio 2013
Il più appassionato è Carlo Rossella, presidente Medusa Film, già direttore di Tg1, Tg5, Stampa e Panorama: «Voterò per il mio amico Silvio Berlusconi. Al di là della politica, per amicizia, perché gli voglio bene. Scriverei ‘W Berlusconi’ sulla scheda anche se non fosse candidato».
Monica Bellucci invece è innamorata di Mario Monti: «Ha fatto un ottimo lavoro. Viaggio per il mondo ma sono italiana, voterò certamente».
Per chi voteranno i personaggi di tv, cultura, musica, sport e spettacolo? Ecco alcune risposte, con poche certezze e molti dubbi. Alessandro Cecchi Paone, conduttore tv: «Socialisti di Nencini, nella coalizione di centrosinistra per Bersani premier. In mancanza dei radicali, sono gli unici che mettono ai primi posti del programma la laicità e i diritti civili per le coppie gay e di fatto».
Sabrina Colle, attrice, va invece sul geografico: «Voterò per qualunque cosa possa far male al Pdl. E, visto che Paola Concia è come me di Avezzano e alla fine il Pd, dopo tante difficoltà, la candida in Abruzzo, sceglierò lei».
Sicuro anche Edoardo Boncinelli, genetista: «Voterò Monti. Mi è piaciuto per come ha voluto rinnovare l’Italia». Stessa preferenza per Lory Del Santo, showgirl: «Monti, perché ci vuole qualcosa che sfugga alla distinzione destra/sinistra».
Patrizio Rispo, protagonista di Un posto al sole (Rai3), sta invece per Beppe Grillo: «Provo molta rabbia per quel che sta accadendo nel nostro Paese. Il senso della politica è finito, morto. È diventato un gioco in mano ai peggiori. Per questo ho deciso di votare Movimento 5 Stelle: perché composto da comuni cittadini. Persone come noi, che si scontrano con i problemi reali. È l’unica scelta possibile prima di scendere in piazza con i forconi».
Non hanno dubbi e voteranno Pd i giornalisti Corrado Augias e Luca Telese: «Alle primarie ho scelto Bersani rispetto a Matteo Renzi», precisa quest’ultimo, «e ora confermerò questa mia decisione».
Pd senza tentennamenti anche per Bianca Pitzorno, scrittrice («Voterò in Sardegna. Prima votavo Pci, l’ho seguito in tutte le sue evoluzioni negli anni») e Alba Parietti, opinionista: «Sono sempre stata di sinistra, e lo sarò sempre».
Tradizioni opposte per Antonio Rossi, olimpionico di canoa: «Sono candidato per Roberto Maroni in Lombardia alle regionali. Vengo da una famiglia di centro, ho sempre avuto idee moderate. Nel 2009 sono stato assessore allo Sport nella provincia di Lecco, una bella esperienza».
Quanto a Marco Travaglio, giornalista, sta attento al voto utile: «Alla Camera Ingroia, al Senato Grillo perché Ingroia non raggiunge il quorum».
INDECISI
Pino Daniele, cantante: ««Non so per chi voterò. In cabina elettorale chiuderò gli occhi e farò una croce. I confini tra partiti non ci sono più. Sta diventando tutto un casino. Dare una mia canzone per un inno di un partito? Dipende. Alla Lega no... anzi, a Maroni gliela darei, ma in napoletano. Non dimentichiamo che è l’unico bluesman che abbiamo in Parlamento».
La conduttrice tv Eleonora Daniele è alla ricerca di «novità e rinnovamento. Chiunque vinca, si dia da fare per i giovani. Fondamentale è anche l’agricoltura, troppo trascurata: è ora che i politici si ricordino della campagna e delle persone che ci lavorano».
Il suo collega Davide Mengacci ha «un’idea di massima, conservatrice, ma gli ultimi avvenimenti mi fanno tentennare. Lo scenario politico è viscido, scivoloso, mi confonde un po’ le idee. Sono di destra come estrazione, però ora sono andato a ingrossare il partito degli indecisi».
Esitanti pure la showgirl Loredana Lecciso («Nessuno schieramento mi convince totalmente») e Sabina Guzzanti, comica: «Non so chi votare, se votare, e se chiedo in giro stanno tutti più o meno come me».
DILEMMI INTELLETTUALI
Filippo Facci, giornalista: «Sono indeciso tra tre opzioni: Fratelli d’Italia di La Russa, Crosetto e Meloni, Radicali di Pannella o Fare per fermare il declino di Oscar Giannino». Dubbiosa anche l’attrice Lella Costa: «Sicuramente centrosinistra, ma devo ancora decidere il partito».
Andrea De Carlo, scrittore: «Non so cosa voterò. Chiunque ‘salga’ al governo dovrà continuare il lavoro iniziato da Monti. La politica ha fatto danni spaventosi, con responsabilità condivise dalle varie parti. So però per chi non voterò: Berlusconi. Ha portato al disastro l’immagine dell’Italia all’estero, anche se non da solo».
Michele Mirabella, conduttore tv: «Ho le idee molto chiare, sono un progressista, voto a sinistra. Ma devo constatare che i programmi di tutti gli schieramenti non sono ben definiti».
Andrea Giordana, attore: «La mia sarà una scelta progressista. Vorrei votare la cosa più giusta per i giovani, per tanta gente che è senza lavoro. Il capitalismo ha registrato una sonora sconfitta: la conseguenza è che la classe media è diventata povera».
Ascanio Celestini, attore e scrittore: «Andrò a votare per lo stesso motivo per cui differenzio l’immondizia, pur sapendo che poi verrà ammucchiata tutta insieme in una discarica illegale. Lo faccio per me, sperando che prima o poi avrà un senso partecipare a questa cerimonia svuotata di significato. Peccato che il mio voto se lo prenderanno loro, ma non votarli sarebbe lo stesso. Le idrovore del partitismo succhiano tutto. Per fortuna molti hanno capito che fare politica significa occuparsi direttamente della propria condizione. E questo accade felicemente lontano dai partiti. Succede senza delega dalla Val Susa allo stretto di Messina, dove libertà è partecipazione».
NON LO VOGLIONO DIRE
Riccardo Iacona, giornalista: «Sulla politica ho idee molto chiare, ma chi fa il mio mestiere non dovrebbe esprimerle. Non aggiungerei nulla al dibattito politico. A dire il vero quest’anno sono ancora indeciso su chi orienterò il mio voto. In ogni caso, sarà segreto».
Pino Insegno, conduttore tv: «Di politica e di voto non voglio parlare. Non l’ho mai fatto e non voglio espormi in questo momento di confusione generale. Ho le mie idee, ma le tengo per me». Ritroso anche l’attore Massimo Ciavarro, attore: «Nel dibattito elettorale deve prevalere la privacy. Con me in cabina elettorale non entra nessuno».
Maddalena Corvaglia, showgirl: «So per chi votare, ma su questo argomento non mi sono mai esposta». Rocco Papaleo, attore: «Non mi va di parlare». Idem per il suo collega Giorgio Tirabassi, attore. E Giancarlo Magalli, presentatore: «So bene chi non votare, più che su chi votare. Ma non mi esprimo».
REFRATTARIO STORICO
Enrico Mentana, direttore Tg7: «Nelle ultime elezioni non ho mai votato. Non credo che lo farò nemmeno questa volta, anche se non ho ancora deciso. Devo fare ancora i confronti in tv con i leader, non posso dare l’idea di tifare per qualcuno».
Alice Corti e Mauro Suttora
Wednesday, February 13, 2013
parla la presunta amante segreta di Formigoni
Alicia Pascual, dalla Spagna con amore
Oggi, 13 febbraio 2013
di Mauro Suttora
"Non so se Formigoni sia bisessuale. Di sicuro gli piacciono le donne. Ci siamo frequentati per cinque anni, dal 2006 al 2011. E più di una volta mi ha dato la prova concreta di non rispettare il suo voto di castità…
Quanto a quello di povertà, fra ville in Costa Smeralda, cene con chef privato e yacht lunghi 40 metri, non capisco bene che cosa la povertà significhi, per lui.
L'ho conosciuto attraverso la mia amica Erika Daccò. Ci siamo incontrate la prima volta a una fiera di gioielli a Ginevra. Lei faceva la pierre, io lavoravo per Van Cleef & Arpels. Poi l'ho rivista nel negozio di Sankt Moritz, davanti all'hotel Palace.
Nell'estate 2004 andai a lavorare nel negozio di Van Cleef a Porto Cervo, e lei è stata la mia guida nella Costa Smeralda. Tutte le estati sullo yacht del padre di Erika. E lì ho incontrato Formigoni.
All'inizio, dal 2006 al 2009, ci siamo frequentati solo come amici. Mi aveva fatto un'ottima impressione: una persona buona, deliziosa, educata. Pensavo fosse un prete. E io mi comportavo come una suora.
Poi, qualche bacio rubato. Ha cominciato a farmi la corte mandandomi messaggini al telefono, il mio fidanzato era gelosissimo. Quand'ero in Canada a visitare le cascate del Niagara mi scriveva "vieni a casa".
Mi aveva promesso di farmi lavorare per le Poste Italiane, in un ufficio di rappresentanza con l'estero, visto che parlo sei lingue. Allora lavoravo stabile in un negozio di Roma che poi chiuse.
Finii all'ufficio postale di via del Casal del Marmo, all'estrema periferia, dietro via Trionfale, attraverso un'agenzia di lavoro temporaneo. "Per iniziare", mi avevano detto. Ci rimasi qualche mese, poi mi dissero che l'ufficio per l'estero non apriva più.
Nell'aprile 2011 sono andata a lavorare per un mese a Milano, nel negozio di Cartier. Ogni giovedì sera Formigoni mi invitava a cena e poi mi accompagnava in albergo.
Ero in auto con lui, dietro c'era la macchina con la scorta. Ma in quelle occasioni gli dissi di no, ormai mi ero di nuovo fidanzata. Il nostro è stato un amore proibito.
Quando mi hanno detto che il papà di Erika era stato arrestato ero in piazza Augusto Imperatore a Roma, sono scoppiata a piangere come una bimba per lo choc. Non sapevo nulla di tutto quel che c'era dietro le nostre stupende vacanze in Sardegna».
Mauro Suttora
Wednesday, February 06, 2013
Berlusconi con Grillo?
SORPRESA: SU MOLTE COSE IL CAVALIERE E IL COMICO VANNO D'ACCORDO. DALL'IMU AL FINANZIAMENTO PUBBLICO, DALL'EUROPA A EQUITALIA, UNA CURIOSA SINTONIA. E PERFINO SU ASILI NIDO E SPAZZATURA...
di Mauro Suttora
Oggi, 6 febbraio 2012
di Mauro Suttora
Oggi, 6 febbraio 2012
Benvenuti al festival delle promesse. «Al primo consiglio
dei ministri abolirò l’Imu prima casa e restituirò quella del 2012», giura
Silvio Berlusconi. «Il primo atto del nuovo Parlamento dev’essere la riforma
della legge elettorale», scrive il premier Mario Monti sulla propria Agenda. «Al
primo punto il lavoro, sul quale il peso del fisco deve alleggerirsi», proclama
Pier Luigi Bersani, candidato premier del Partito democratico.
Queste le priorità. Ma sulle questioni principali, quali
sono le differenze fra i partiti che chiedono il nostro voto domenica 24
febbraio? E dove invece si assomigliano, a sorpresa?
Imu
È incredibile l’importanza dell’Imposta municipale unica, ex
Ici, rispetto al suo magro gettito: quello sulla prima casa dà appena quattro
miliardi annui, lo 0,5% del bilancio statale. Ma gli italiani sono molto
sensibili a questa voce: nel 2006 Berlusconi capovolse i sondaggi e quasi vinse
le elezioni promettendone l’abolizione. Due anni dopo, arrivato al governo,
mantenne la promessa.
Un anno fa l’odiata tassa è stata reintrodotta (maggiorata)
dal governo Monti, come primo provvedimento. E adesso Berlusconi sta cercando
il bis del 2006 e 2008, imperniando la sua campagna proprio contro l’Imu.
Poco vale obiettargli che anche il suo Pdl votò a favore
dell’Imu nel dicembre 2011 (gli unici contrari furono Lega Nord e Idv di
Antonio Di Pietro). Ora il no la alla patrimoniale sulla prima casa è diventata
la bandiera di tutto il centrodestra. Con due curiosi alleati: il Movimento 5
stelle di Beppe Grillo, e Rivoluzione civile di Antonio Ingroia (che ha dentro
Rifondazione comunista, verdi e dipietristi).
Bersani risponde promettendo di alzare la franchigia dagli
attuali 200 a 500 euro (due miliardi e mezzo di gettito in meno, recuperabili
con un aumento sulle prime case di lusso). E perfino Monti è costretto a indietreggiare:
«Superata l’emergenza finanziaria, ora l’Imu si può correggere», ha azzardato
il premier.
Quindi, se non saprirà, l’Imu diventerà un’imposta fortemente
«progressiva»: i ricchi pagheranno un’aliquota più alta.
Soldi pubblici alla politica
Altra voce importantissima simbolicamente anche se bassa in
termini finanziari (meno di un miliardo annuo) è quella del finanziamento
pubblico ai partiti. Introdotto nel 1974, oggetto di vari referendum (il primo
dei radicali nel ’78, quello vinto nel ’93), oggi si chiama «rimborso
elettorale». «Da abolire subito», dicono Pdl e Lega Nord, anche qui spalleggiati
da Grillo. Monti è per una «drastica riduzione». Più cauto il Pd: «Riduzione».
Ingroia non ne parla, quindi si presume sia l’unico a volerlo mantenere, anche
se l’Idv che lo sostiene lo avversava; propone però il taglio della diaria per
i parlamentari e un «tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali».
E qui si entra negli altri «costi della politica», che
comprendono quelli per il funzionamento delle Camere (un miliardo e mezzo), i
soldi pubblici ai giornali di partito (150 milioni), i «contributi» ai gruppi
nazionali e regionali che hanno visto le più recenti ruberie. Il Pd dice che i
politici non devono guadagnare «più della media europea», ma una commissione ha
già fallito nel determinare quale sia questa media. Il Pdl vuole dimezzare
eletti e stipendi. I grillini già si autoriducono del 75% i propri stipendi:
2.500 euro mensili netti. Monti non si pronuncia: propone solo il divieto di
cumulo fra indennità parlamentare e le altre retribuzioni di eletti che non
lasciano il proprio lavoro.
Europa
Pd e Monti la mettono al primo posto: «È la sola possibilità
per salvare l’Italia, non c’è futuro fuori dall’Europa». Anche Pdl e Lega si
dicono europeisti: «Accelerare l’unione politica, economica bancaria e
fiscale». Però precisano: «Superare una politica europea di sola austerità». Insomma,
non vogliono quel che vuole Monti, difensore del «fiscal compact» che impone di
diminuire il debito pubblico di un ventesimo ogni anno, fino al 60% sul Pil
permesso dal trattato di Maastricht. Rigorista europeista , oltre a Monti, è soltanto
Oscar Giannino di Fare per fermare il declino.
Nel no all’austerità imposta da Bruxelles, però, il
centrodestra trova sintonie nel Pd («L’equilibrio di bilancio non può diventare
un obiettivo in sé»), e soprattutto in Grillo e Ingroia, contrari al «fiscal
compact». Nessuno, comunque, osa dire no all’euro: soltanto Grillo propone un
referendum sulla moneta unica.
Tutti insieme su asili e spazzatura
Fra le piccole e grandi proposte, alcune raggiungono
l’unanimità. Tutti vogliono aumentare gli asili nido, per esempio: misura
ritenuta essenziale per permettere alle donne di lavorare. Dove, non si sa
bene, visti gli attuali tassi di disoccupazione.
Curiosamente, anche la raccolta differenziata dei rifiuti è
presente in tutti i programmi: l’emergenza spazzatura delle città del Sud va
superata col riciclaggio. Poi però cominciano i distinguo: «Rifiuti zero,
niente discariche e inceneritori», spara Grillo. Per gli altri questo è un
terreno minato. L’unico a uscire dal vago è Monti: «Nei migliori esempi europei
lo smaltimento in discarica è stato azzerato». Ma non osa dire che qualche
inceneritore (pardon: termovalorizzatore) ci vorrà ancora, pr non continuare a
spedire a caro prezzo i nostri rifiuti a bruciare in Olanda o Germania.
No alle nozze gay
Non le vuole nessuno. Pd e Ingroia si limitano al «riconoscimento
giuridico delle coppie omosessuali». Il Pdl invece «difende la famiglia,
comunità naturale fondata sul matrimonio fra uomo e donna». Silenzio anche da
Monti e Giannino. Neanche il movimento di Grillo ne accenna nel suo programma,
anche se il comico si è detto a favore.
75 per cento al Nord
Pensate che tenere nel Nord il 75 per cento delle tasse
versate dal Nord sia una sparata della Lega Nord? Nossignori: è la proposta
ufficiale anche del Pdl. Anche qui, però, bando alla retorica. Si scopre
infatti che già oggi il 66% delle imposte resta al Nord. Non saranno quindi
pochissime decine di miliardi in pù ad arricchirlo, o in meno a impoverire il
Sud.
Ma voi che avete fatto?
Nessuno dei tre maggiori schieramenti risponde alla domanda:
perché non avete fatto quel che proponete quando siete stati al governo? Perché
il Pd dal 2006 al 2008, Pdl e Lega dal 2008 al 2011 e Monti nell’ultimo anno
hanno avuto la possibilità di agire concretamente. E non sempre i fatti hanno
corrisposto alle parole: infatti le tasse sono aumentate, l’evasione fiscale
non è diminuita, le provincie non sono state abolite, e la Casta politica
mangia e ruba allegramente, dalle ostriche alla Nutella.
Mauro Suttora
Wednesday, January 30, 2013
Liste pulite
VIA GLI INQUISITI, CONDANNATI E RICICLATI DA TUTTI I PARTITI
di Mauro Suttora
Oggi, 23 gennaio 2013
Il primo a dover rinunciare alla candidatura è stato Alessio De Giorgi, messo in lista da Mario Monti in quanto gay: aveva dei siti internet imbarazzanti.
Poi Oscar Giannino ha ringraziato Il Fatto Quotidiano per avergli segnalato che il suo candidato Giosafat Di Trapani, della Confindustria siciliana, era stato condannato (poi prescritto) per favoreggiamento al sindaco mafioso Vito Ciancimino: fuori anche lui. Infine, pulizia nel Pd: via Mirello Crisafulli di Enna, un altro candidato siciliano e uno campano, sempre per guai con la giustizia.
L’unico a salvarsi è stato Antonio Endrizzi, ex assessore berlusconiano di Como riciclatosi in poche settimane nel Movimento 5 Stelle: i grillini lo hanno difeso dagli articoli di Gianni Barbacetto sul Fatto.
La resistenza più accanita è stata quella di Nicola Cosentino, ex sottosegretario Pdl di Casal di Principe (Caserta) accusato di rapporti con la camorra. Solo la Camera lo ha salvato dall’arresto chiesto dai magistrati che indagano sul clan dei casalesi. Se perde l’immunità parlamentare, finisce dritto in carcere. Per questo si è scontrato fino all’ultimo con Silvio Berlusconi in persona per tenere il posto in lista. Al quale invece ha rinunciato Marco Milanese, deputato Pdl già braccio destro del ministro Giulio Tremonti, indagato per tangenti. Anche Denis Verdini è indagato, ma lui invece svetta come capolista nella sua Toscana.
Guarda chi si candida
SUDAMERICANE ESUBERANTI, MOGLI DI PIANISTI, COPPIE DI INDAGATI. E POI RICICLATI, PARACADUTATI, PARENTI
Oggi, 30 gennaio 2013
di Mauro Suttora
Sono ben 512 i parlamentari uscenti che si ricandidano. Ce la faranno a conquistare uno dei 945 posti disponibili fra Camera e Senato? Alla faccia del rinnovamento, molti di loro sono stati messi in lista in posti garantiti: basta essere in cima, e il seggio è sicuro. Perché non esistono voti di preferenza: più che eletti, con la legge «Porcellum» si viene nominati dai capi dei propri partiti.
Iliana Calabrò (foto sopra) ha buone possibilità di arrivare a Roma dall’Argentina, come senatrice eletta all’estero. È una matura soubrette famosa per avere imitato Meg Ryan, simulando un orgasmo in diretta televisiva.
Rappresenta la vendetta del senatore uscente Pdl Esteban Juan Caselli, che ha rotto con il suo ex partito e ha candidato la signora, madre di due figli, in un partito dal nome simile: «Italiani per la libertà».
È invece una pidiellina doc Simonetta Losi: cantante e moglie di Danilo Mariani, il pianista nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore (Monza), testimone al processo Ruby, commerciante di abbigliamento intimo, consigliere comunale a Sarteano (Siena), vicecoordinatrice provinciale Pdl e ora candidata in Toscana per la Camera al sesto posto. Dovrebbe farcela.
Poi c’è una «coppia diabolica» in Liguria. Lui, Giovanni Paladini, ex poliziotto e sindacalista, è deputato di Italia dei Valori dal 2008. Stesso partito per la moglie Marylin Fusco, diventata nel 2010 assessore regionale all’Urbanistica e vicepresidente della giunta Burlando, cariche che ha dovuto lasciare in autunno per un avviso di garanzia di abuso d’ufficio e truffa. Due settimane fa, seconda tegola: sono entrambi indagati, con altri, per peculato sui fondi regionali dell’Idv. Invece di utilizzare i 230 mila euro annui per fare politica, i dipietristi li avrebbero spesi per arredamenti, divani, vestiti e valigie.
Reggiseno push-up e cinque mutande
Poi, altre spese personali come gli 82 euro per biancheria intima femminile (un reggiseno push-up e cinque slip), circa 4.000 in alimentari, qualche centinaio in profumeria e un’ottantina in lavanderia per cuscini, federe, lenzuola, accappatoio, piumone e cuscini. Infine, 21.500 euro di bar e ristoranti.
Nel frattempo, Paladini e moglie hanno cambiato partito: lasciato Antonio Di Pietro, sono entrati nel Centro Democratico di Bruno Tabacci e Massimo Donadi (alleato del Pd). Lei, Marylin, è sempre consigliere regionale. Lui adesso è capolista in Liguria nella coalizione che sostiene Pier Luigi Bersani.
Stava con Di Pietro anche il più famoso di tutti i riciclati: Domenico Scilipoti, che nel 2010 passò con Berlusconi salvandone il governo dopo la rottura di Gianfranco Fini. Ora per garantirgli la rielezione il Pdl ha dovuto «paracadutarlo» in Calabria, dopo che l’Abruzzo lo ha rifiutato.
Emigrati da Roma al nord
È finito inopinatamente capolista Pdl in Liguria, invece, Augusto Minzolini, ex direttore berlusconiano del Tg1. Paracadutati in collegi sicuri piemontesi i Pdl Daniele Capezzone (ex segretario radicale) e Annagrazia Calabria, che quando fu eletta nel 2008 era la deputata più giovane d’Italia.
Qualche malumore anche nel Centro, dove la cognata di Pier Ferdinando Casini Silvia Noé, consigliere regionale Udc in Emilia, ha l’elezione assicurata alla Camera. Paracadutismo pure a sinistra: a Salerno alcuni pieddini protestano per la candidatura di Enrico Letta.
Mauro Suttora
Tuesday, January 22, 2013
giornalisti candidati
Giornalisti candidati alle politiche del 24 febbraio 2013
Oggi, 16 gennaio 2013
SANDRO RUOTOLO Da Santoro a Ingroia
Napoletano, da un quarto di secolo è la spalla di Michele Santoro. Cominciarono nel 1988 a Samarcanda, poi Rosso e Nero, Tempo reale e tutti i programmi fino all’attuale Servizio Pubblico, passando anche per i tre anni di Moby Dick (1996-99) nella tv del detestato Silvio Berlusconi.
CHIARA GERONZI Dal Tg5 al Pdl
Romana, figlia di Cesare Geronzi (banchiere ed ex presidente di Generali assicurazioni), da 15 anni lavora al Tg5 dove conduce l’edizione delle 13. Coinvolta in Calciopoli, è stata prosciolta senza neppure il rinvio a giudizio.
MASSIMO MUCCHETTI Dal Corriere della Sera al Pd
Bresciano, specializzato in economia, per quasi vent’anni ha lavorato all’Espresso, dov’è stato vicedirettore. Con la stessa carica è approdato al Corriere della Sera nove anni fa. È stato vittima di spionaggio informatico da parte di Telecom. Capolista Pd al Senato in tutta la regione Lombardia.
CORRADINO MINEO Da Rainews al Pd
Nato a Partanna (Trapani), nipote dell’omonimo matematico, è da sette anni direttore di Rainews. Ex manifesto (come Ruotolo), nel ‘78 entra in Rai. Vice di Sandro Curzi al Tg3, per 11 anni corrispondente da Parigi e New York, è capolista Pd al Senato nella sua Sicilia.
MARIO SECHI Dal quotidiano Il Tempo a Monti
Sardo, da tre anni direttore del quotidiano romano Il Tempo, in precedenza vicedirettore di Giornale, Libero e Panorama. Abbandona Berlusconi e approda al Centro
di Mario Monti.
Vezzali candidata di Monti
VERSO IL VOTO. LA SCELTA DI VALENTINA, CONTRARIAMENTE A QUELLA DI JOSEFA IDEM, SUSCITA POLEMICHE. ECCO PERCHÈ
Oggi, 16 gennaio 2013
di Mauro Suttora
Oggi, 16 gennaio 2013
di Mauro Suttora
Ma cosa gli fa, alle donne? Non Silvio Berlusconi, il seduttore. Mario Monti, il freddo professore: al quale è bastata una telefonata per convincere l’atleta più medagliata d’Italia, Valentina Vezzali, a candidarsi con lui. «Ho subito detto sì, con entusiasmo», dice la campionessa di scherma di Jesi (Ancona). «Poi ci siamo incontrati. È bastata una stretta di mano. Ho deciso di far parte della sua squadra perché Monti è una persona seria che crede nella famiglia, nei valori come l’etica e la morale. Credo che possa fare veramente qualcosa per risollevare le sorti dell’Italia».
Così adesso, dopo sei medaglie d’oro olimpiche, un argento, due bronzi e 11 coppe del mondo in 23 anni di carriera, Supervale è capolista per le sue Marche nella Lista civica di Monti.
La canoista ha superato le primarie
Non è l’unica sportiva di vaglia a scendere in campo. Josefa Idem, cinque medaglie di canoa in otto olimpiadi, si candida col suo Pd cui è iscritta da 12 anni, del quale è stata assessore nella propria città di Ravenna, e dopo essersi sottoposta al vaglio delle primarie. Forse per questa storia consolidata, la sua candidatura non suscita le polemiche che invece stanno colpendo la Vezzali.
«La vezzosa Vezzali si farà toccare da Monti?», la prende in giro Aldo Grasso sulla prima pagina del Corriere della Sera. Il riferimento è a quella serata a Porta a Porta nel 2008, quando Valentina disse la famosa frase a Berlusconi: «Da lei, presidente, mi farei toccare». Parole inquietanti, viste le predilezioni del premier. E che appiccicarono subito alla Vezzali l’etichetta di berlusconiana. «Ma era una semplice battuta», dice lei oggi, «travisata e strumentalizzata da chi non conosce la scherma. Lo invitai a incrociare le lame in studio. Lui disse che non mi avrebbe toccato neanche con un fiore. E io replicai: da lei mi farei toccare. Ma solo perché “toccare”, nel gergo schermistico, significa affondare una stoccata. Era una risposta sportiva e gentile. Quanto ci hanno ricamato...»
Insomma, lei non è di centrodestra?
«Guardi, a Quattro Castella, in provincia di Reggio Emilia, c’è una via intestata al mio bisnonno Oliviero Bernieri, che è stato un partigiano. Al funerale della mia bisnonna partecipò anche Sandro Pertini. Le origini della mia famiglia sono chiare. Come si può essere diffusa una voce del genere?»
Tra i fans, tuttavia, le accuse imperversano. Qualcuno la definisce «opportunista». Altri si spingono oltre. Lei risponde: «Ho letto attentamente i vostri commenti e sono dispiaciuta nel leggere che alcuni di voi non mi danno fiducia in ambito politico», scrive sul suo sito la fuoriclasse del fioretto mondiale.
«Mi dispiace», aggiunge, «che la mia scelta di “salire in politica” sia vista come l’approdo in un mondo fatto di poltrone e benefici economici. È questo profondo senso di sfiducia verso la politica che mi lascia l’amaro in bocca, più di ogni altro giudizio sulla mia persona. È anche per questo motivo che ho scelto di dire sì alla proposta avanzatami da Monti. Conoscete il mio carattere e la mia determinazione. Ecco, credetemi, saranno queste le due “armi” che utilizzerò per fare in modo che la politica torni a essere vista come servizio alla collettività».
La difende il compaesano Claudio Viola: «Sono enormemente amareggiato nel leggere insulti e minacce. Valentina, indipendentemente dallo schieramento politico, ha fatto benissimo a mettersi a disposizione. Noi italiani siamo solo un popolo di tifosi da stadio: “Con me o contro di me”. Non esiste comprensione».
Valentina è incinta al quinto mese, a maggio darà un fratellino a Pietro. Ma dopo, vuole tornare in pedana per partecipare alle sua sesta olimpiade a Rio de Janeiro nel 2016.
Di Francisca e Trillini alleate
Quando, dopo aver conquistato il bronzo a Londra lo scorso agosto, annunciò che avrebbe continuato a gareggiare, per molti fu una sorpresa. Anche per le sue compagne di squadra del fioretto, Elisa Di Francisca e Arianna Errigo, che avevano vinto oro e argento, permettendo all’Italia di conquistare una storica tripletta.
Adesso la Di Francisca ha annunciato che si farà allenare da Giovanna Trillini nel Palascherma di Jesi. Cioè dalla schermitrice jesina che fu spodestata dalla Vezzali come migliore d’Italia. Jesi, caso unico al mondo, vanta tre donne d’oro olimpiche di fioretto. Forse è anche per sfuggire alla morsa delle due rivali, la giovane e l’anziana, che Valentina prende la strada di Montecitorio.
Mauro Suttora
Sunday, January 13, 2013
La finta 'imprenditrice' di Santoro
Francesca Salvador, 52 anni, di Vittorio Veneto (Treviso) è la bella signora che ha parlato da un’impalcatura a Berlusconi durante l’ultima puntata di Servizio Pubblico.
Santoro l’ha presentata come “imprenditrice”. In realtà non lo è. E’ solo la figlia benestante di un commerciante d’armi.
Santoro l’ha presentata come “imprenditrice”. In realtà non lo è. E’ solo la figlia benestante di un commerciante d’armi.
La Salvador è uno dei tanti assist che Santoro ha regalato a Berlusconi. La signora infatti ha ripetuto le solite lamentele dei “poveri” imprenditori vessati dalle banche che non prestano più soldi. Ha aggiunto un tocco di complottismo, dicendo che Monti lavora per Goldman Sachs e Trilateral. E Berlusconi l’ha applaudita.
Non manca ovviamente l'antisemitismo, con una simpatica accusa di nazismo a Israele, e con la spiegazione della strage di ragazzini in Norvegia nel 2011: Oslo punita per essere stata la prima a riconoscere lo stato palestinese… La nostra Salvador si è esibita in un elogio della marijuana.
Insomma, la classica sottocultura web che attecchisce fra gli sprovveduti, e che di solito emerge in tv solo in programmi trash come quello di Gianluigi Paragone (di cui infatti la Salvador è stata ospite). Chi la spara più grossa vince. Questa volta ha vinto Berlusconi, grazie a Santoro e alla nuova economista-filosofa trevigiana…
Sunday, January 06, 2013
Riciclati con Grillo
CLAMOROSO!
Un capolista del M5S di Grillo in Lombardia, Antonio Endrizzi, già assessore ed ex Forza Italia, si fa raccogliere le firme per presentarsi al voto del 24 febbraio 2013 dai suoi amici pdl:
http://www.forzacavallasca.it/ cavallasca/ oggi-a-cavallasca-raccolta-firm e-per-il-m5s/
se qualcuno ha dubbi su chi sono questi di forza cavallasca, ecco qua:
http://www.forzacavallasca.it/ info/
Un capolista del M5S di Grillo in Lombardia, Antonio Endrizzi, già assessore ed ex Forza Italia, si fa raccogliere le firme per presentarsi al voto del 24 febbraio 2013 dai suoi amici pdl:
http://www.forzacavallasca.it/
se qualcuno ha dubbi su chi sono questi di forza cavallasca, ecco qua:
http://www.forzacavallasca.it/
-50 giorni dal voto
Oggi, 2 gennaio 2013
di Mauro Suttora
La «salita in politica» di Mario Monti ha sorpreso molti. Il
premier preferisce dire così, invece di «scendere in campo», per rispetto
all’attività che ha abbracciato da un anno. Ma il risultato non cambia. La
decisione di partecipare direttamente alle elezioni del 24 febbraio, invece di
restare «sopra le parti», ha scatenato le reazioni più diverse.
Entusiasti, ovviamente, i centristi. Pier Ferdinando Casini,
Gianfranco Fini e tutti coloro che coltivavano da tempo la speranza di
agganciarsi a Monti ora possono usare nelle loro liste il nome del premier. In
concreto, secondo i sondaggi, questo significa quadruplicare i voti: dal 5 fino
al 20 per cento.
Il centrosinistra invece è perplesso. Pier Luigi Bersani non
critica la scelta del premier, ma sperava che non si schierasse. In cambio
della sua neutralità probabilmente gli avrebbe offerto la presidenza della
Repubblica. Ora ha un avversario in più, che potrebbe impedirgli di avere la
maggioranza al Senato (quella alla Camera sembra abbastanza sicura per il Pd).
Sivio Berlusconi invece è scatenato: «Monti ha tradito la
sua posizione di tecnico», lo accusa. E promette addirittura una commissione
d’inchiesta sul «golpe» che lo avrebbe disarcionato nel 2011, ispirato da
poteri forti europei e dalla detestata Angela Merkel, cancelliera tedesca.
Alle ali, Beppe Grillo come sempre non fa distinzioni fra
Monti, Pd e Pdl: tutti da cacciare. Idem la Lega, che ha una sola parola d’ordine:
«Il 75 per cento delle nostre tasse resti al Nord». E all’estrema sinistra si
candida Antonio Ingroia, magistrato antimafia: con lui Antonio Di Pietro e il
sindaco di Napoli Luigi De Magistris.
Ma forse i più delusi dall’inedito Monti che smette i panni
di Cincinnato per gettarsi nella mischia sono i due suoi ex sostenitori più
importanti: il presidente Giorgio Napolitano ed Eugenio Scalfari, fondatore del
quotidiano La Repubblica. Il primo ha cercato di dissuaderlo, senza esito. Il
secondo adesso lo implora: «Non creare una nuova Dc».
Il Vaticano, in effetti, ha già «benedetto» il nuovo Centro
montiano. Sperando che non finisca stritolato dal bipolarismo, come accadde a
Partito popolare e patto Segni nel 1993. C’è anche un altro curioso indizio che
porta alla Dc. La prima riunione dei montiani è stata ospitata nel convento
delle suore di Sion a Trastevere (Roma): a poche decine di metri c’è un altro
convento, Santa Dorotea, dove nel ’59 nacque la maggiore corrente
democristiana.
Padrone di casa è stato il ministro Andrea Riccardi, della
vicina comunità di Sant’Egidio. E lì, in sole tre ore, si è consumata la prima
clamorosa rottura fra i centristi. Corrado Passera, considerato finora il
ministro tecnico più disponibile a trasformarsi in politico, ha subito
rinunciato dopo il rifiuto di Casini a formare una lista unica.
Così, alla Camera si presenteranno varie formazioni unite soltanto
dal comune richiamo all’Agenda Monti: Udc, Fli di Fini, Italia Futura di Luca
Montezemolo. Ma anche il presidente della Ferrari, come Passera, non si
candida. Al massimo i due verranno ripescati come ministri.
Tutto, naturalmente, dipenderà dal voto. Se il Pd avrà la
maggioranza assoluta anche al Senato, potrà governare da solo. Unico alleato:
Nichi Vendola di Sel (Sinistra e libertà). Ma se si ripetesse la situazione del
2006, quando Romano Prodi dipendeva dal voto dei senatori a vita per la sua
risicata maggioranza, Bersani dovrà chiedere aiuto a Monti e Casini. In cambio,
potrebbe concedere loro il Quirinale e vari ministeri.
Fra i ministri del centrosinistra, pare che rientreranno
dalla finestra i big usciti dalla porta: Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Non
più parlamentari, per loro si parla di dicasteri importanti come Esteri e
Interni.
Nel centrodestra non ci si aspetta granché da queste elezioni.
I sondaggi sono quello che sono. Sarà già tanto conquistare il secondo posto
dietro al Pd, senza essere superati dal Movimento 5 stelle di Grillo e dal
Centro di Monti. Berlusconi è alla sua sesta candidatura, dopo tre vittorie
(1994, 2001, 2008) e due sconfitte (1996, 2006). Forse Monti spera di attirare
nella propria orbita altri big berlusconiani, oltre agli ex ministri Giuseppe
Pisanu e Franco Frattini. Ma per ora il carniere è semivuoto. Anzi, l’attacco
più duro contro il premier viene proprio da destra: «Monti è come le banche,
che ti massacrano tutto l’anno e a Natale ti regalano un’inutile agenda», è la
perfida battuta di Daniela Santanché.
Mauro Suttora
Wednesday, January 02, 2013
Silvio VI°
La resurrezione di Berlusconi, che si candida per la terza volta
Oggi, 20 dicembre 2012
di Mauro Suttora
Età di alcuni personaggi storici quando "tornarono in
campo":
Churchill 76 (come
Berlusconi oggi)
De Gaulle 68
Napoleone 46
Mussolini 60
Peron 78
Fanfani 74, 79
Giolitti 77
Aveva gli stessi anni di
Silvio Berlusconi oggi (76) Winston Churchill nel 1951, quando tornò premier
sei anni dopo la bocciatura da parte degli ingrati inglesi, nonostante avesse vinto
la Seconda guerra mondiale. E Juan Domingo Peron era ancora più anziano nel
1973, quando a 78 anni ridiventò presidente del'Argentina.
Non è questione d'età,
quindi. La «resurrezione» di Berlusconi, che si candida presidente del
Consiglio per la sesta volta un anno dopo l'uscita da palazzo Chigi per opera
di Mario Monti e di Giorgio Napolitano, ha parecchi precedenti nella storia.
Data la statura del
personaggio, cominciamo con Napoleone.
Il quale perse il potere giovanissimo, a 46 anni nel 1814, ma in fretta lo
riconquistò dopo pochi mesi d'esilio all'isola d'Elba. Non è comunque un
paragone beneaugurante per il nostro Silvio: com'è noto il suo ritorno durò
appena cento giorni, prima della definitiva sconfitta a Waterloo nel 1815 e il
secondo esilio in un'isola assai più lontana, Sant'Elena.
Più a lungo durò il tragico «secondo tempo» di
Benito Mussolini, dopo la
defenestrazione del 25 luglio 1943. Nel giro di due mesi il dittatore era già
tornato a guidare la repubblica di Salò. Che però, reggendosi solo grazie ai
tedeschi, dopo un anno e mezzo crollò.
Sono quelli di due grandi leader democratici,
quindi, gli esempi più promettenti per Berlusconi. Churchill durò al potere quattro anni nella sua terza vita politica
(dopo la prima come ministro conservatore dal 1908 al ’29 e la seconda come
premier anti-Hitler dal ’40 al ’45). Nel 1955 abbandonò per sempre il potere,
ma senza essere sconfitto: lasciò spontaneamente Downing Street al suo delfino
Anthony Eden, dopo aver vinto anche il Nobel della Letteratura.
L’altro famoso «revenant» del ’900 è stato il
generale Charles De Gaulle.
Dimessosi sdegnoso da presidente nel 1946, fu richiamato in servizio a furor di
popolo nel ’58, all’età di 68 anni. Un anno da premier, e poi ben dieci anni
come primo presidente della Quinta Repubblica francese. Neppure il maggio ’68
riuscì a scalzarlo. Se ne andò un anno dopo, ma lasciando anche lui l’Eliseo al
fedelissimo Georges Pompidou.
Molto più lungo, e in esilio a Madrid, il
«digiuno» patito da Peron dopo la
fine della sua prima presidenza (1946-’55): diciotto anni. Tornò a Buenos Aires
nel ’73 a fianco della seconda moglie Isabel, che però non riuscì a sostituire
la prima moglie Evita nel cuore degli argentini. E dopo otto mesi il vecchio
populista morì d’infarto.
E in Italia? Berlusconi può rifarsi a due
anziani statisti richiamati in servizio per risolvere situazioni turbolente. Il
77enne liberale Giovanni Giolitti
nel 1920 formò il suo quinto governo, sei anni dopo il quarto, di fronte alle
opposte turbolenze rosse e nere. Ma durò appena un anno, e alla fine i fascisti
prevalsero.
Meno drammatici gli ultimi ritorni al governo
del democristiano aretino Amintore Fanfani,
già premier nel 1954, nel ’58 e poi fino al ’63, prima di diventare il ministro
degli esteri di Aldo Moro con il centrosinistra. Nel 1982, a 74 anni, sostituì
per pochi mesi Giovanni Spadolini a palazzo Chigi, perché la Dc non voleva
andare al voto dell’83 sotto il primo premier laico.
Soprannominato «rieccolo» da Indro Montanelli,
Fanfani guidò di nuovo il governo nel 1987 per la sesta volta a ben 79 anni: appena
tre mesi, anche qui giusto il tempo di gestire le elezioni dopo la
defenestrazione del socialista Bettino Craxi.
Mauro Suttora
Wednesday, December 19, 2012
Ma quando si vota?
di Mauro Suttora
Oggi, 19 dicembre 2012
Mancano soltanto 45 giorni al 3
febbraio, data fissata dal Tar per le elezioni regionali del Lazio, ma non si
sa ancora nulla. Si voterà, non si voterà? «Richiami nei prossimi giorni»,
rispondono sconsolati al ministero degli Interni. In nessun Paese di democrazia
occidentale era mai successo un disastro del genere. Siamo nell’incertezza più
assoluta.
Sono in ballo quattro elezioni: le
politiche nazionali (Camera e Senato), più le regionali in Lombardia, Lazio e
Molise. Per nessuna di queste, a pochissime settimane dal voto, è fissata una
data. Per i partiti già rappresentati in Parlamento e nei tre consigli
regionali, poco male: presenteranno le liste dei candidati anche all’ultimo
minuto.
Ma tutti gli altri (Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, i Radicali di
Marco Pannella ed Emma Bonino, Verso la Terza Repubblica di Luca Cordero di
Montezemolo, La Destra di Francesco Storace ed altri) devono raccogliere
moltissime firme. Per le Politiche addirittura 160 mila. Impossibile che ce la
facciano. L’unico senza problemi sembra Grillo: ai suoi banchetti c’è la fila
per sottoscrivere.
E pensare che, per legge, la
raccolta firme dovrebbe iniziare sei mesi prima. Ma la regola salta in caso di
voto anticipato. E questo è il caso di tutte e quattro le elezioni. Le
politiche arrivano due mesi prima la scadenza naturale (aprile) per non
accavallarsi con il voto per il nuovo presidente della Repubblica.
L’unica cosa
sicura, adesso, è che andremo alle urne in febbraio. Naturalmente la soluzione
più logica è che si voti nello stesso giorno dappertutto: risparmio di soldi
per lo stato e di tempo per i cittadini. Ma per gli azzeccagarbugli la
semplicità non è una virtù. Possiamo solo sperare che prima o poi il Consiglio
dei ministri si svegli e decida. Deve
comunque farlo, prima di Natale. Altrimenti si slitta a marzo.
Wednesday, December 12, 2012
Com'è finita all'Acna di Cengio?
PRIMA DELL'ILVA DI TARANTO, ERA QUESTA FABBRICA IN PROVINCIA DI SAVONA IL SIMBOLO DELL'INQUINAMENTO INDUSTRIALE IN ITALIA. DOPO DECENNI DI LOTTE, È STATA CHIUSA NEL 1999. 700 DIPENDENTI HANNO PERSO IL POSTO. MA LA VAL BORMIDA È RINATA. SIAMO ANDATI A VEDERE COM'È LA SITUAZIONE OGGI, E SE PUO' ESSERE UN ESEMPIO PER L'ILVA
dal nostro inviato Mauro Suttora
Cortemilia (Cuneo), 5 dicembre 2012
Cesare Canonica ricorda quella volta che gli tornò indietro un intero carico di vino dal ristorante di Molini Triora (Imperia): il dolcetto era acido e puzzava, inquinato dalla nebbia al fenolo. Adesso la sua cantina produce 70 mila litri all’anno, nei terrazzamenti di Torre Bormida crescono anche Arneis e Chardonnay, sua figlia Emanuela ha sposato Lorenzo Novelli che fa andare avanti gli affari, e soprattutto nel 2011 è nata la stupenda Ludovica, occhi verdi.
Alberto Gallo dopo la chiusura della fabbrica ha aperto l’agriturismo Bertorella proprio in riva al fiume Bormida, che prima era a volte rosso a volte nero, mentre ora è tornato azzurro. E Ginetto Pellerino è potuto tornare al suo lavoro in banca, dopo anni di battaglie contro il mostro che inquinava. Le ha appena raccontate in un libro: Acna, gli anni della lotta (edizioni arabAFenice, Boves). E da poco Patricia Dao, scrittrice francese e traduttrice della poetessa Alda Merini, ha pubblicato anche lei un romanzo su quell'epoca epica. Purtroppo è morto (in un incidente stradale) il suo compagno Renzo Fontana, anima di quelle lotte.
Acna di Cengio. Un nome che, come l’Ilva di Taranto o l’Icmesa di Seveso, è sinonimo di fabbrica tossica. Vent’anni fa fece scoppiare una mezza guerra civile fra la Liguria e il Piemonte: l’impianto chimico infatti dava lavoro a 700 dipendenti in provincia di Savona, ma i suoi scarichi avvelenavano l’intera val Bormida, per cento chilometri giù fino a Acqui Terme (Alessandria). Un Giro d’Italia venne bloccato, al festival di Sanremo 1989 Gino Paoli e Al Bano-Romina cantarono esibendo la spilletta “Val Bormida Pulita”. Alla fine, nel 1999, la fabbrica venne chiusa. La bonifica non è ancora terminata: un immenso sarcofago di cemento copre tre milioni di metri cubi di fanghi tossici. Ma nella valle la vita è rinata, l’agricoltura e il turismo si sono sviluppati, operai e contadini hanno fatto la pace.
È un modello esportabile a Taranto? «A Cengio c’è stata collaborazione fra istituzioni, ambientalisti, industria e politici», dice il senatore Ignazio Marino (Pd), «che hanno superato il blocco della scelta fra diritto al lavoro e salute». Più cauto Pellerino: «La fabbrica era già scesa dai 4mila dipendenti del 1979 a 700. Quando chiuse, tredici anni fa, erano rimasti in 200. Fra prepensionamenti e altri ammortizzatori, il colpo per i lavoratori è stato pian piano riassorbito. Ma a Taranto i numeri sono diversi».
Ed è diversa soprattutto la situazione sociale: 12 mila posti di lavoro, 20 mila con l’indotto, nel Sud depresso e in periodo di crisi. Le alternative alla disoccupazione (agricoltura, turismo, industrie pulite) offrono poche centinaia di posti. In Liguria e Piemonte, invece, il benessere è diffuso. Le industrie di Cairo Montenotte e Savona resistono. E l’alta Langa gode del boom del vino, oltre alle nocciole che riforniscono la Ferrero di Alba per la Nutella e ai turisti svizzeri, inglesi e tedeschi che comprano casolari per trasformarli in ville di lusso.
Detto questo, però, l’Acna (come la Ruhr in Germania) resta un modello di transizione ecologica. Anche perché l’Azienda coloranti nazionali e affini, come si chiamava, era nata addirittura nel 1882 come dinamitificio, e quindi era ben radicata nella storia locale. Con un solo difetto: buttava nel fiume i propri scarichi. Il primo pretore, di Mondovì, intervenne nel 1909 per vietare l’utilizzo dell’acqua potabile dai pozzi di Saliceto, Camerana e Monesiglio, i comuni subito a valle di Cengio: la falda era già compromessa.
Poi fu impossibile usare l’acqua della «Burmia» anche in agricoltura. E allora nel 1938 ben 600 contadini citarono l’Acna per danni. Probabilmente la prima class action per inquinamento nel mondo. Scoppia la guerra, cade il fascismo, arriva la libertà ma nel ‘62, dopo 24 anni, un giudice dà loro torto e li condanna a pagare le spese processuali. Dice addirittura che i residui chimici nell’acqua sono utili come fertilizzanti...
I primi cortei risalgono a quell’epoca, guidati dal deputato locale Antonio Giolitti (prima Pci, poi Psi). Ma la svolta arriva ‘grazie’ a Seveso e alla conseguente legge Merli sulle acque reflue. L’Acna (di proprietà prima Montecatini, poi Montedison, Enimont e infine Eni), che produce materiali di chimica di base, è fuorilegge. Ma ci vorrà il primo ministro verde all’Ambiente, Edo Ronchi nel 1996, a imporre un’impossibile depurazione e quindi la chiusura. Ora all’area ex-Acna è interessata l’Agrimovil, società di Singapore, per un impianto a combustibile vegetale (paglia e scarti di mais). «E per noi è finito un incubo durato un secolo», conclude Pellerino.
Subscribe to:
Posts (Atom)