Oggi, 2 gennaio 2013
di Mauro Suttora
La «salita in politica» di Mario Monti ha sorpreso molti. Il
premier preferisce dire così, invece di «scendere in campo», per rispetto
all’attività che ha abbracciato da un anno. Ma il risultato non cambia. La
decisione di partecipare direttamente alle elezioni del 24 febbraio, invece di
restare «sopra le parti», ha scatenato le reazioni più diverse.
Entusiasti, ovviamente, i centristi. Pier Ferdinando Casini,
Gianfranco Fini e tutti coloro che coltivavano da tempo la speranza di
agganciarsi a Monti ora possono usare nelle loro liste il nome del premier. In
concreto, secondo i sondaggi, questo significa quadruplicare i voti: dal 5 fino
al 20 per cento.
Il centrosinistra invece è perplesso. Pier Luigi Bersani non
critica la scelta del premier, ma sperava che non si schierasse. In cambio
della sua neutralità probabilmente gli avrebbe offerto la presidenza della
Repubblica. Ora ha un avversario in più, che potrebbe impedirgli di avere la
maggioranza al Senato (quella alla Camera sembra abbastanza sicura per il Pd).
Sivio Berlusconi invece è scatenato: «Monti ha tradito la
sua posizione di tecnico», lo accusa. E promette addirittura una commissione
d’inchiesta sul «golpe» che lo avrebbe disarcionato nel 2011, ispirato da
poteri forti europei e dalla detestata Angela Merkel, cancelliera tedesca.
Alle ali, Beppe Grillo come sempre non fa distinzioni fra
Monti, Pd e Pdl: tutti da cacciare. Idem la Lega, che ha una sola parola d’ordine:
«Il 75 per cento delle nostre tasse resti al Nord». E all’estrema sinistra si
candida Antonio Ingroia, magistrato antimafia: con lui Antonio Di Pietro e il
sindaco di Napoli Luigi De Magistris.
Ma forse i più delusi dall’inedito Monti che smette i panni
di Cincinnato per gettarsi nella mischia sono i due suoi ex sostenitori più
importanti: il presidente Giorgio Napolitano ed Eugenio Scalfari, fondatore del
quotidiano La Repubblica. Il primo ha cercato di dissuaderlo, senza esito. Il
secondo adesso lo implora: «Non creare una nuova Dc».
Il Vaticano, in effetti, ha già «benedetto» il nuovo Centro
montiano. Sperando che non finisca stritolato dal bipolarismo, come accadde a
Partito popolare e patto Segni nel 1993. C’è anche un altro curioso indizio che
porta alla Dc. La prima riunione dei montiani è stata ospitata nel convento
delle suore di Sion a Trastevere (Roma): a poche decine di metri c’è un altro
convento, Santa Dorotea, dove nel ’59 nacque la maggiore corrente
democristiana.
Padrone di casa è stato il ministro Andrea Riccardi, della
vicina comunità di Sant’Egidio. E lì, in sole tre ore, si è consumata la prima
clamorosa rottura fra i centristi. Corrado Passera, considerato finora il
ministro tecnico più disponibile a trasformarsi in politico, ha subito
rinunciato dopo il rifiuto di Casini a formare una lista unica.
Così, alla Camera si presenteranno varie formazioni unite soltanto
dal comune richiamo all’Agenda Monti: Udc, Fli di Fini, Italia Futura di Luca
Montezemolo. Ma anche il presidente della Ferrari, come Passera, non si
candida. Al massimo i due verranno ripescati come ministri.
Tutto, naturalmente, dipenderà dal voto. Se il Pd avrà la
maggioranza assoluta anche al Senato, potrà governare da solo. Unico alleato:
Nichi Vendola di Sel (Sinistra e libertà). Ma se si ripetesse la situazione del
2006, quando Romano Prodi dipendeva dal voto dei senatori a vita per la sua
risicata maggioranza, Bersani dovrà chiedere aiuto a Monti e Casini. In cambio,
potrebbe concedere loro il Quirinale e vari ministeri.
Fra i ministri del centrosinistra, pare che rientreranno
dalla finestra i big usciti dalla porta: Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Non
più parlamentari, per loro si parla di dicasteri importanti come Esteri e
Interni.
Nel centrodestra non ci si aspetta granché da queste elezioni.
I sondaggi sono quello che sono. Sarà già tanto conquistare il secondo posto
dietro al Pd, senza essere superati dal Movimento 5 stelle di Grillo e dal
Centro di Monti. Berlusconi è alla sua sesta candidatura, dopo tre vittorie
(1994, 2001, 2008) e due sconfitte (1996, 2006). Forse Monti spera di attirare
nella propria orbita altri big berlusconiani, oltre agli ex ministri Giuseppe
Pisanu e Franco Frattini. Ma per ora il carniere è semivuoto. Anzi, l’attacco
più duro contro il premier viene proprio da destra: «Monti è come le banche,
che ti massacrano tutto l’anno e a Natale ti regalano un’inutile agenda», è la
perfida battuta di Daniela Santanché.
Mauro Suttora