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Thursday, April 15, 2021

Sui vitalizi ha vinto Del Turco. La legge del contrappasso punisce M5s

RIPRISTINATO DAL SENATO PER L'EX GOVERNATORE D'ABRUZZO OGGI GRAVEMENTE MALATO. GLI ERA STATO TOLTO SEI ANNI FA

di Mauro Suttora

HuffPost, 15 aprile 2021

Ha vinto Ottaviano Del Turco. O quel che resta di lui, visto che il 76enne ex vice di Luciano Lama nella Cgil e governatore d’Abruzzo ha Parkinson, Alzheimer, un tumore, e non riconosce più neanche i familiari. Oggi, dopo una furibonda battaglia di due ore da parte degli unici contrari, i grillini, il consiglio di presidenza del Senato ha ripristinato il suo vitalizio. Gli era stato tolto sei anni fa dall’ex presidente di palazzo Madama, Pietro Grasso, dopo la condanna di Del Turco per una tangente.

Proprio questa settimana il suo unico accusatore Vincenzo Angelini, già re delle cliniche private abruzzesi, ha avuto confermati in Cassazione gli otto anni di carcere per malversazioni col servizio sanitario regionale. Con sequestro di tutto il suo patrimonio.

Il colpo di scena per Del Turco è arrivato ieri, con la sentenza dell’organo interno del Senato che ha decretato l’incostituzionalità della delibera Grasso-Boldrini del 2015: non può esistere un ‘supplemento di pena’ in base soprattutto alla legge sul reddito di cittadinanza di due anni fa. Cioè il provvedimento simbolo dei 5 stelle. Per un’incredibile nemesi, insomma, sono stati proprio i grillini a ripristinare, senza volerlo, l’odiato vitalizio per il politico più da loro odiato: Roberto Formigoni.

Anche lui condannato come Del Turco, ma non per reati di terrorismo o mafia. E poiché non è né latitante né evaso, gli si applica lo stesso trattamento dei beneficiari del reddito di cittadinanza, che possono perderlo soltanto in questi casi.

È anche curioso che il relatore della sentenza sia stato il senatore leghista Pillon: si è così spezzato l’asse populista forcaiolo Lega-M5s.

Oggi, per quel principio giuridico sconosciuto ai grillini che si chiama equivalenza per analogia (trattare egualmente situazioni simili), dopo il ripristino dei 3.400 euro mensili di vitalizio a Formigoni, è stato ridata una somma simile anche a Del Turco. 

Il quale, tiene a precisare il figlio Guido, “non si è mai impossessato di un solo euro di denaro pubblico della sanità abruzzese. Mio padre è stato assolto da tutte le venticinque originarie imputazioni per le quali fu arrestato con molti esponenti della sua giunta, poi assolti anche essi, con l’accusa di aver preso sei milioni da Angelini. Sono rimaste in piedi solo quattro ipotizzate dazioni di denaro per 850mila euro. Ma la stessa condanna riconosce che quelle pretese ‘mazzette’ da parte di Angelini, mai provate oltre le sue parole, furono del tutto estranee alle risorse della sanità pubblica”.

Mauro Suttora

Wednesday, February 13, 2013

parla la presunta amante segreta di Formigoni

Alicia Pascual, dalla Spagna con amore

Oggi, 13 febbraio 2013

di Mauro Suttora

"Non so se Formigoni sia bisessuale. Di sicuro gli piacciono le donne. Ci siamo frequentati per cinque anni, dal 2006 al 2011. E più di una volta mi ha dato la prova concreta di non rispettare il suo voto di castità… 

Quanto a quello di povertà, fra ville in Costa Smeralda, cene con chef privato e yacht lunghi 40 metri, non capisco bene che cosa la povertà significhi, per lui.

L'ho conosciuto attraverso la mia amica Erika Daccò. Ci siamo incontrate la prima volta a una fiera di gioielli a Ginevra. Lei faceva la pierre, io lavoravo per Van Cleef & Arpels. Poi l'ho rivista nel negozio di Sankt Moritz, davanti all'hotel Palace. 

Nell'estate 2004 andai a lavorare nel negozio di Van Cleef a Porto Cervo, e lei è stata la mia guida nella Costa Smeralda. Tutte le estati sullo yacht del padre di Erika. E lì ho incontrato Formigoni.

All'inizio, dal 2006 al 2009, ci siamo frequentati solo come amici. Mi aveva fatto un'ottima impressione: una persona buona, deliziosa, educata. Pensavo fosse un prete. E io mi comportavo come una suora. 

Poi, qualche bacio rubato. Ha cominciato a farmi la corte mandandomi messaggini al telefono, il mio fidanzato era gelosissimo. Quand'ero in Canada a visitare le cascate del Niagara mi scriveva "vieni a casa".

Mi aveva promesso di farmi lavorare per le Poste Italiane, in un ufficio di rappresentanza con l'estero, visto che parlo sei lingue. Allora lavoravo stabile in un negozio di Roma che poi chiuse. 

Finii all'ufficio postale di via del Casal del Marmo, all'estrema periferia, dietro via Trionfale, attraverso un'agenzia di lavoro temporaneo. "Per iniziare", mi avevano detto. Ci rimasi qualche mese, poi mi dissero che l'ufficio per l'estero non apriva più. 

Nell'aprile 2011 sono andata a lavorare per un mese a Milano, nel negozio di Cartier. Ogni giovedì sera Formigoni mi invitava a cena e poi mi accompagnava in albergo. 
Ero in auto con lui, dietro c'era la macchina con la scorta. Ma in quelle occasioni gli dissi di no, ormai mi ero di nuovo fidanzata. Il nostro è stato un amore proibito.

Quando mi hanno detto che il papà di Erika era stato arrestato ero in piazza Augusto Imperatore a Roma, sono scoppiata a piangere come una bimba per lo choc. Non sapevo nulla di tutto quel che c'era dietro le nostre stupende vacanze in Sardegna».
Mauro Suttora     

Wednesday, December 28, 2011

Una brutta fazenda

DON VERZE' IN BRASILE

Cos'è successo al San Raffaele

di Mauro Suttora

Oggi, 21 dicembre 2011

Costa venti milioni di euro il jet intercontinentale di lusso Challenger con cui don Luigi Verzè e il suo vice Mario Cal volavano in Brasile. A Salvador di Bahia il padrone del San Raffaele aveva costruito un ospedale, con 17 miliardi di lire della Cooperazione italiana. Ma aveva anche due «fazendas», fattorie con piantagioni di cocco, mango, banane e uva senza semi. E nella più bella, con piscina in riva all'oceano, invitava spesso amici dall'Italia. Come l'attore Renato Pozzetto, suo socio nella compagnia aerea che gestiva gli elicotteri del pronto soccorso dell'ospedale milanese.

Nel 2007 don Verzè, in preda a una delle sue imbarazzanti megalomanie, si regalò quel costoso giocattolino per evitare i fastidiosi check-in degli aeroporti. Poi però i debiti della Fondazione San Raffaele peggiorarono, le banche non rinnovavano più i fidi, e il prudente Pozzetto l'anno scorso si è ritirato dalla società, l'Airviaggi. In perdita: la sua quota del 30 per cento svalutata ad appena 3 mila euro, praticamente zero.

Solo una briciola, in confronto al gigantesco «buco» provocato dal sacerdote veronese. Sembrava fosse di un miliardo nove mesi fa, quando è stato svelato. Ora è salito a un miliardo e mezzo. Il Vaticano ha estromesso don Verzè. Cal si è suicidato. Centinaia di fornitori premono furibondi per essere pagati. Il faccendiere Piero Daccò è in carcere per bancarotta fraudolenta e associazione per delinquere. La scorsa settimana è finito al fresco anche l'ex direttore finanziario.

L'accusa: tangenti del 3-5 per cento sugli appalti. Il sospetto: che le buste alte centimetri piene di biglietti da 500, rivelate dalla segretaria di Cal, finissero a politici e dirigenti della regione Lombardia. La quale copre quasi tutto il bilancio dell'ospedale: più di mezzo miliardo l'anno. Ancora lo scorso agosto, 41 milioni per «premi di eccellenza». In totale, 3,3 miliardi di soldi pubblici finiti al San Raffaele negli ultimi cinque anni. Ma la pioggia di finanziamenti non ha evitato il crac.

Com'è potuto accadere? Nessuno si era accorto di nulla? Il San Raffaele è una fondazione, quindi non deve esibire i bilanci. Daccò nega di avere pagato pubblici ufficiali. Però conosceva tutti. Ospitava perfino il governatore lombardo Roberto Formigoni sul suo yacht Ad Maiora a Porto Cervo. Ma il vero «amico di tutti» era l'incredibile don Verzè, ammirato da tutti i premier: Giulio Andreotti (che andò in Brasile a inaugurare l'ospedale), Bettino Craxi, Silvio Berlusconi. Il San Raffaele è nato 40 anni fa, accanto alla Milano Due della Fininvest. Assieme riuscirono a far deviare le rotte degli aerei su Linate.

Ultimo estimatore del vulcanico prete bipartisn: il governatore pugliese Nichi Vendola, sponsor del nuovo San Raffaele a Taranto. Anche un altro ex comunista è stato sedotto da don Verzè: Massimo Cacciari, primo rettore della facoltà di Filosofia dell'università privata San Raffaele nel 2002. Lì si è laureata Barbara, figlia di Berlusconi.

«Io vado avanti, la provvidenza seguirà», rispondeva don Verzè a chi gli chiedeva se non facesse passi più lunghi della gamba. Anche quando ha speso 200 milioni di euro per l’enorme cupola accanto alla tangenziale Est di Milano. Sotto la quale in luglio si è suicidato il suo braccio destro Cal. Che disperazione, appena due anni dopo queste foto di «dolce vita» in piscina. E che tristezza, sentire il socio veneto della fazenda brasiliana confessare in tv a Report di rapporti sessuali con ragazze 14enni: «Pedofila, prostituzione? Ma no, qui ci vanno tutti. Sennò loro, poverine, cosa fanno?».

«Don Verzè si presentava come un miliardario con jet privato, circondato da donne e ragazzi», ha raccontato Pedro Lino, consigliere della corte dei conti dello stato di Bahia. Per anni console onorario italiano a Salvador, città di quattro milioni di abitanti, è stata Liliana Ronzoni, direttrice dell’ospedale brasiliano. Riservato a chi ha un’assicurazione, cioè non i poveri. Per loro il San Raffaele brasileiro ha aperto ambulatori esterni. Così non paga le tasse, perché è considerato «umanitario».

Don Verzè e i suoi amici spesso arrivavano alla fazenda in elicottero, per evitare le cinque ore in suv nero cilindrata 3.000 con aria condizionata da Salvador a Conde. Lì trovavano tre piscine, campi da tennis, ponies, gabbie con scimmie. Una fissa , quella del «don» per le gabbie. All’ultimo piano sotto la cupola di Milano, che aveva preteso tutto per lui e addobbato con arredamenti per quattro milioni, teneva una voliera per i pappagalli.

Gli ospiti in Brasile stavano in bungalows. Alle 8 della domenica mattina don Verzè celebrava messa. Superata, quindi, la sospensione a divinis subìta nel 1973 dall’arcivescovo di Milano. Prima di mangiare, a tavola, segno della croce per tutti.

Don Verzè ha fondato una propria congregazione, i «Sigilli». Quasi tutti i dirigenti (soprattutto donne) del San Raffaele ne fanno parte. Pronunciano voto di castità, devozione, purezza. Non di povertà. Una decina di loro, compreso il don, vivono in una lussuosa ex cascina ristrutturata vicino al San Raffaele. Con tre cuochi e tre chef, pagati dalla fondazione col buco miliardario.
Mauro Suttora

Monday, July 19, 2010

Cappato, Marra e Bruti Liberati

LO STRANO SALVATAGGIO DELLA LISTA FORMIGONI

di Mauro Suttora

18 luglio 2010

Dove ha fallito la P3, sta riuscendo un altissimo magistrato di sinistra? Il presidente della corte d’Appello di Milano Alfonso Marra, nonostante le pressioni del faccendiere avellinese Pasquale Lombardi ora in carcere con i sodali Carboni e Martino, non fu capace di far riammettere la lista di Roberto Formigoni alle regionali di marzo. Anche per questa totale inefficienza la «nuova P2» è stata liquidata da Berlusconi come composta da «quattro pensionati sfigati».

A risolvere il pasticcio fu poi Piermaria Piacentini, presidente del Tar lombardo indagato nell’inchiesta sulla «cricca» Balducci-Anemone. Quanto a Marra, «Fofò» per gli amici, la sua carriera è finita ad appena cinque mesi dalla prestigiosa nomina milanese: il Csm ha avviato il procedimento disciplinare, mentre l’Anm parla addirittura di espulsione.

Il dirigente radicale Marco Cappato, persa la battaglia contro Formigoni in sede di ricorso elettorale, non si è dato però per vinto: ha presentato denuncia penale per quella che definisce «la falsificazione delle firme sui moduli della lista Formigoni: duemila su 3.500 erano pre-datate rispetto alla lista dei candidati».

L’allora procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, tuttavia, ha chiesto l’archiviazione anche di questo procedimento. «Dobbiamo capirne le motivazioni», dice Cappato, «perché la sua richiesta non è stata ancora accolta. Basterebbe un rapido controllo delle firme per rendersi conto delle irregolarità. A questo punto, mi auguro che anche in Lombardia, come in Piemonte, sia fatta luce sull’illegalità del voto».

Nel frattempo, Bruti Liberati è stato nominato procuratore capo a Milano. E l’elezione al Csm in maggio, contrariamente a quella di Marra a febbraio, è stata ad ampia maggioranza. Hanno sostenuto Bruti Liberati anche i consiglieri di centrodestra, compreso il «laico» Michele Saponara (ex sottosegretario di Forza Italia) e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, del quale oggi il Pd chiede le dimissioni per aver partecipato a cene della «nuova loggia P3», anche se non risulta indagato.

Una nomina trasversale, insomma, per il 65enne magistrato marchigiano, colonna della corrente di sinistra Magistratura Democratica e già segretario dell’Anm. Che secondo alcuni ha rappresentato una specie di «spartizione» nel palazzo di Giustizia milanese: Marra per il centrodestra, Bruti Liberati per il centrosinistra.

Non è un mistero infatti che anche a febbraio la nomina di Marra provocò grosse polemiche, e gli schieramenti si divisero. Gli votò contro Giuseppe Maria Berruti, fratello del deputato Pdl Massimo, mentre da sinistra gli giunsero i consensi di Celestina Tinelli (Pd) e perfino del vicepresidente Nicola Mancino. Il candidato naturale era Renato Rordorf, ma adesso dalle telefonate della P3 caldeggianti il nome di Marra emerge che si riteneva impossibile che entrambe le cariche finissero in mano alla sinistra. Paradossalmente, però, Bruti Liberati sul caso Formigoni si è dimostrato finora più «utile» di Marra.

Mauro Suttora

Wednesday, November 04, 2009

Sandra Mastella e Rosanna Gariboldi

STORIE PARALLELE DI DUE LADIES DELLA POLITICA

Entrambe accusate di associazione per delinquere

di Mauro Suttora

26 ottobre 2009

Chi dice donna dice danno. Sarà anche un proverbio stupido, ma come non pensarci di fronte alle disavventure parallele delle mogli di Clemente Mastella e di Giancarlo Abelli?
Conosciutissimo il primo, ex ministro della Giustizia di Ceppaloni (Benevento) che all’inizio dell’anno scorso ha provocato la caduta del governo Prodi proprio a causa delle sue traversie giudiziarie. Sconosciuto il secondo a chi non è di Pavia, ma potentissimo come numero due sia del coordinatore nazionale Pdl Sandro Bondi, sia del governatore lombardo Roberto Formigoni, tanto da essere soprannominato «il Faraone».

La signora Sandra Lonardo in Mastella, fatta eleggere dal marito alla presidenza del consiglio regionale campano, è accusata di associazione per delinquere, ed è stata colpita da un provvedimento singolare: l’espulsione dalla sua regione, e anche da provincie confinanti con la Campania come Frosinone, Isernia o Campobasso. Cosicché ora sta leggendo gli sterminati atti che la accusano nella sua casa romana di lungotevere Flaminio, anch’essa discussa perché acquistata a prezzo di favore da un ente previdenziale, così come altri due appartamenti nello stesso palazzo, finiti ai figli.

Peggio è capitato alla signora Rosanna Gariboldi in Abelli. Fatta eleggere dal marito assessore provinciale a Pavia, è finita nel carcere milanese di San Vittore con l’accusa di essersi pure lei associata per delinquere: con l’imprenditore delle discariche Giuseppe Grossi, finito dentro per riciclaggio di 22 milioni di euro di fondi neri, appropriazione indebita, frode fiscale e corruzione.

Insomma, a sud come a nord, è tornata Tangentopoli? E nelle ruberie sono coinvolte anche donne, come ai tempi della signora Poggiolini e della moglie di Lamberto Dini, e più recentemente delle lady Asl di Roma e Bari?
Lo decideranno i giudici. Intanto, però, queste due belle signore lanciatissime in politica hanno inguaiato i rispettivi coniugi-pigmalioni.

Mastella, che negli ultimi mesi è passato per l’ennesima volta da sinistra a destra facendosi eleggere eurodeputato Pdl a giugno, è colpito anch’egli dal divieto di dimora in Campania. Ma occorre l’autorizzazione a procedere di Strasburgo. Anche Abelli, deputato a Roma, gode di privilegi, e li usa: in questi giorni è stato due volte in prigione a trovare la moglie. L’accesso libero e senza preavviso a tutte le prigioni italiane era stato concesso ai parlamentari per ispezionare le condizioni dei detenuti. Ma Abelli, forse accecato dall’amore, ha trasformato questa facoltà in un’assistenza ad personam.

Le due storie parallele sono entrambe condite da auto di lusso, case ed aerei. Una Porsche Cayenne da 90 mila euro viene indicata dalla pubblica accusa come indizio di collegamento fra un clan camorrista di Marcianise (Caserta) e il figlio di Mastella, Pellegrino, che l’avrebbe avuta per 77 mila euro pagati dal consigliere regionale Udeur Nicola Ferraro, il cui cugino era affiliato alla cosca dei casalesi. «Non conosco il titolare dell’autosalone di Marcianise, e ho regolarmente pagato io l’auto», ribatte Mastella junior.

Una Porsche coupé 911 è invece quella che Grossi ha concesso «in uso» alla coppia Abelli a Milano: «Ma gli pago un regolare canone mensile di 743 euro», spiega Abelli. Non si capisce però perché mai un deputato non può prendere in leasing una porsche da un normale concessionario, invece di farsela dare da un re delle discariche in affari con regione e governo.

Anche villa Mastella a Ceppaloni è finita nel mirino dei magistrati. Secondo l’accusa, i lavori di costruzione e restauro sarebbero stati «pagati» dalla coppia con decine di contratti pubblici affidati alla ditta edile. Mentre a Milano gli Abelli beneficiavano di un vasto appartamento, anche quello concesso da Grossi. «Ma pago l’affitto di tasca mia», si giustifica Abelli, e non con soldi datigli in precedenza dallo stesso Grossi, come sospetta la procura.

Gli aerei, infine. Fu un volo di stato usato per andare da Roma al Gran premio di Monza nel 2007 a inguaiare Mastella e il figlio, fotografati all’imbarco. Ora è invece l’aereo privato del re delle discariche milanesi Grossi che, si scopre, viene usato come un taxi (ma gratis) ogni martedì e venerdì da Abelli, per i suoi trasferimenti da Milano alle sedute parlamentari romane. «Non ne ricavo alcun vantaggio», ribatte Abelli, «anzi, faccio risparmiare la Camera dei deputati che non deve rimborsare i viaggi».

Ma questi potrebbero anche essere dettagli folkloristici di malcostume. Il nocciolo delle accuse ai Mastella e agli Abelli è ben più grave. I primi sono accusati dai magistrati di essersi creati un vero e proprio feudo: l’Arpac (Agenzia regionale protezione ambiente Campania), che ha assunto quasi tutti i propri 655 dipendenti tramite raccomandazioni. «Raccomandare non è reato», dice Mastella. Ma se lo si fa su scala industriale, colonizzando un intero ente che eroga centinaia di milioni di appalti, forse qualche problema c’è. Soprattutto in Campania, dove come l’ambiente venga «protetto» lo si è visto con lo scandalo spazzatura.

Quanto alla coppia del Nord, la Gariboldi Abelli aveva un conto cifrato in una banca di Montecarlo, sul quale per ben dodici volte, dal 2001 al 2008, ha ricevuto da Grossi ingenti somme e per tre volte gliene rinviò, con un guadagno per sè di un milione e 200 mila euro. Insomma, i magistrati sospettano che lo abbia aiutato a riciclare 22 milioni di euro sovraffatturati per la bonifica dell’area Santa Giulia/Montecity a Rogoredo (Milano).

Sandra Lonardo Mastella non si è dimessa da presidente del consiglio regionale campano. Rosanna Gariboldi Abelli, invece, non entrerà in quello lombardo, dove stava per essere candidata alle elezioni che si terranno fra cinque mesi. Bloccata in extremis.

Mauro Suttora

Wednesday, October 14, 2009

Il film 'Barbarossa'

ALLA PRIMA DEL KOLOSSAL LEGHISTA CON L'EURODEPUTATO MARIO BORGHEZIO

di Mauro Suttora

Oggi, 3 ottobre 2009

«Il cinghiale è un simbolo celtico. E anche il bosco». Mario Borghezio si appassiona al film Barbarossa fin dalla prima scena. Federico di Svevia è a caccia in una foresta, ma caduto a terra rischia di essere sopraffatto da un cinghiale. Un Alberto da Giussano ragazzino lo salva con la sua faretra, e l’imperatore tedesco lo ringrazia regalandogli un pugnale.

Siamo alla prima del kolossal, in un cortile del castello Sforzesco a Milano. C’è tutto lo stato maggiore della Lega Nord. A due metri da noi, in prima fila, siedono il premier Silvio Berlusconi e il ministro Giulio Tremonti, accanto a Umberto Bossi e Roberto Maroni. Il film del regista Renzo Martinelli, prodotto dalla Rai, è costato 22 milioni.

«Roma era debole e malata anche ottocento anni fa», commenta Borghezio, quando sullo schermo appare un papa succube del Barbarossa. «Sempre luogo di intrallazzi». Gli intrallazzi per la verità non mancano anche fra i comuni lombardi. Alcuni (Pavia, Como, Cremona) parteggiano per l’imperatore contro Milano, Lodi ne chiede la completa distruzione. E anche nel Piemonte di Borghezio, il Monferrato ghibellino si contrappone ad Alessandria guelfa. «La madre dei collaborazionisti è sempre incinta», sussurra l’eurodeputato leghista.

Poi si vedono gli esattori imperiali che si fanno odiare estorcendo ai lombardi tasse del trenta per cento: «Il disprezzo per i cittadini, allora come oggi, passa attraverso imposte esose e persecuzione fiscale. Così nasce la richiesta di libertà».

I milanesi sono divisi fra i sottomessi al Barbarossa e chi, come Alberto da Giussano (Raz Degan), vuole ribellarsi: «C’è sempre chi rinuncia a combattere, ma la storia costringe a prendere decisioni. La libertà non la regala nessuno, bisogna lottare per conquistarla. Alcuni padani capiscono che sono in stato di schiavitù, ma altri si tirano indietro. Anche oggi abbondano i rinunciatari».

Barbarossa circonda Milano con il suo esercito: «Per fortuna adesso non siamo più assediati, però siamo sempre insidiati dai mille traffici del potere centralista romano», commenta Borghezio.

Rasa al suolo la capitale lombarda nel 1162, Federico ne disperde gli abitanti sopravvissuti in sei direzioni diverse: «Roma da sempre vince e divide, ci mette gli uni contro gli altri. Solo la divisione fra padani consente al padrone di comandare».

Cominciano le prime riunioni segrete a Pontida: «Sembrano i primi incontri della Lega, ai tempi del secessionismo. Anche noi avevamo paura di essere ascoltati dal nemico. E quel Barozzi, emissario imperiale, i ricorda certi prefetti, simboli del governo centrale».

Per Borghezio, insomma, la lotta per l’autonomia è uguale oggi come nel dodicesimo secolo. Le somiglianze fra la Lega lombarda di allora e quella odierna sono tante: «La rapina fiscale è uguale, ma allora come ora ci sono i risvegliatori di popoli: Alberto da Giussano, Umberto Bossi. E il Carroccio resta il nostro simbolo primordiale».

Arriva la riscossa finale con la battaglia di Legnano, 1176: il Barbarossa si ritira in Germania dopo la vittoria dei lombardi. Che prevalgono anche grazie all’invenzione dei carri dotati di falci, che sterminano i cavalieri tedeschi: «La grande risorsa del fai da te padano...», commenta soddisfatto Borghezio. Che alla fine del film si alza e si mette in fila dietro a Bossi verso il catering.

Anche i leghisti ora hanno il loro Braveheart. E non dovranno più applaudire il Mel Gibson eroe medievale della Scozia indipendente. Unica concessione: per venderlo all’estero, il film ha dovuto essere intitolato al Barbarossa. Ma il vero protagonista si chiama Alberto/Umberto.

Mauro Suttora

Wednesday, July 01, 2009

Roberto Formigoni in yacht con Alicia

FORMIGONI NON BALLA DA SOLO

IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA SCATENATO A CAPRERA

Tre anni fa lo avevamo «beccato» con una bella spagnola. Ora il casto Roberto ci ricasca. È solo un' amica, come giura lui, o qualcosa di più?

di Mauro Suttora

Porto Cervo, 1 luglio 2009

Sembra un po' Gei Ar del serial tv Dallas, il governatore della Lombardia, con quel cappello bianco da cow boy. Invece Roberto Formigoni, 62 anni, non si trova in Texas. Sta trascorrendo un simpatico weekend di relax all' isola di Caprera, a bordo dello yacht Ad Maiora

La Sardegna avrà anche perso il vertice G8, che si doveva tenere dall' 8 luglio alla Madda lena ed è stato spostato all' Aquila, ma i vip sulle megabarche fioccano come sempre. Formigoni era col fratello, la cognata e altri amici. E ha dimostrato una predilezione per una bella signora che, si sussurra in Costa Smeralda, si chiama Alicia, età 32 anni, spagnola, professione pubbliche relazioni nel ramo gioielli, residenze fra Barcellona, Parigi e Londra.

Già tre anni fa i nostri fotografi avevano «pizzicato» la coppia al mare. Questa volta Formigoni, di ottimo umore, improvvisa una danza con la caliente spagnola. E Alicia si lascia trasportare dall'entusiasmo del governatore, accennando pure lei un paso doble sul ponte del megayacht. Poi in quattro si avventurano sul gommone-tender per un'escursione. Ma sfortunatamente l'imbarcazione impatta su uno scoglio, e così Formigoni & company devono chiamare l'equipaggio per farsi recuperare.

Archiviata la relazione con Emanuela Talenti, con la quale comunque ogni tanto è avvistato a cena nel ristorante Gatto Nero di Rovenna, sopra Cernobbio (Como), il governatore non disdegna le amicizie femminili. 
Fa sempre parte del gruppo Memores Domini, che all' interno di Comunione e Liberazione pratica una vita di preghiera, povertà e castità. Anche Alicia farebbe parte del gruppo. Ma ciò non impedisce a entrambi di frequentare, ridere e scherzare con esponenti del sesso opposto.

MIRA A RUOLI NAZIONALI
L'anno prossimo si voterà per le regionali, e Formigoni è dato vincente per la quarta volta consecutiva in Lombardia. Un record. Ma non è un mistero che il governatore miri da anni a più prestigiosi incarichi di livello nazionale. Silvio Berlusconi, però, finora non ha assecondato questa sua ambizione.

Tre mesi fa il suo ex collaboratore Marco De Petro è stato condannato a due anni di carcere per corruzione (tangente da un milione di dollari) nello scandalo Oil for Food sulle vendite di petrolio iracheno. Ma Formigoni non è stato toccato dall' inchiesta.
Mauro Suttora