Showing posts with label nichi vendola. Show all posts
Showing posts with label nichi vendola. Show all posts

Thursday, October 08, 2020

Ripristinati i vitalizi, staffilata ai demagoghi

PUBBLICATE LE MOTIVAZIONI, DIVENTA ESECUTIVA LA SENTENZA CHE ANNULLA I TAGLI AI PARLAMENTARI

di Mauro Suttora

Huffington Post, 8 ottobre 2020

Gli ex senatori ai quali erano stati tagliati i vitalizi li riavranno tutti indietro, e con gli arretrati. Con il deposito delle motivazioni il 5 ottobre è diventata infatti esecutiva la sentenza di giugno che ha annullato il taglio del 60% dell'ottobre 2018. 

Il tribunale interno del senato, la cosiddetta 'commissione contenziosa' formata dal presidente Giacomo Caliendo (Forza Italia), Simone Pillon (Lega), Alessandra Riccardi (ex M5s, ora Lega) e da due giuristi, fra cui il relatore Giuseppe Dalla Torre, ha dovuto ammettere che il taglio voluto dai grillini (ma festeggiato ufficialmente da quasi tutti i partiti) "si discosta sensibilmente dai paradigmi costituzionali in materia di certezza del diritto, legalità, eguaglianza, solidarietà, laddove tocca retroattivamente i criteri di calcolo in base ai quali fu a suo tempo determinato, per ciascun parlamentare, il quantum della prestazione dovuta. Il provvedimento infatti incide sull’atto genetico costitutivo del diritto al vitalizio e non sul rapporto in essere, perché non interviene per giustificate esigenze a limitarne l’importo, ma modifica gli atti con cui furono predisposti i provvedimenti di liquidazione per i singoli parlamentari".

Una bella staffilata per i demagoghi che s'illudevano di poter toccare impunemente dei diritti acquisiti. La deliberazione cancellata, infatti, disponeva "con effetti retroattivi una nuova determinazione dell’importo dovuto a ciascun ex parlamentare, incidendo su un diritto soggettivo perfetto qual è quello derivante dal provvedimento di liquidazione a suo tempo prodotto". 

Il punto critico riguarda "la revisione dei coefficienti di trasformazione che hanno un effetto distorcente, laddove determinano sensibili riduzioni dei vitalizi negli importi di minore entità, mentre rimangono senza effetto per quelli di importo massimo. In questo modo si incide, talora accentuatamente, sulla qualità della vita dei percettori di vitalizi di minore consistenza, con l’effetto sul piano giuridico di intaccare principi costituzionali posti a garanzia della dignità della persona umana, della eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale, e della solidarietà”.

La sentenza, insomma, stabilisce che la tesi degli "ex parlamentari ladri" è falsa e diffamatoria. E che il taglio dei vitalizi viola la Costituzione e l'abc dello stato di diritto. Intanto, però, in questi due anni un centinaio di ex parlamentari che attendevano il giudizio della corte sono defunti. Rossana Rossanda, per esempio, che aveva perso il 72% dei suoi 2.120 euro netti. La sua amica Luciana Castellina, 91 anni, altro volto storico della sinistra, ha subìto un taglio ancor più doloroso: l'84%, passando da 3.140 euro a 500.

Ora anche la Camera dovrà adeguarsi alla sberla del senato contro il provvedimento abborracciato di riduzione. Quindi l’ex ministro socialista Claudio Martelli, eletto per quattro legislature, tornerà a percepire 8.455 euro lordi rispetto agli attuali 3.400. Veltroni riavrà i suoi novemila euro mensili tagliati a seimila, Vendola risalirà da cinque a ottomila, Prodi ne recupererà mille. Felici anche Gino Paoli e Cicciolina, il cui vitalizio di 3.100 euro lordi per una sola legislatura era stato ridotto a mille.

Mauro Suttora


Monday, April 30, 2012

Parla il Grillo furioso

67 COMIZI IN 25 GIORNI: IL COMICO GENOVESE E' L'UNICO LEADER NAZIONALE CHE STA FACENDO CAMPAGNA ELETTORALE PER IL VOTO DEL 6 MAGGIO. ECCO COSA DICE

dal nostro inviato a Palazzolo (Brescia) Mauro Suttora - foto di Maki Galimberti



Oggi, 24 aprile 2012

«Sì, toccatemi! Così vi tolgo un po’ del debito che avete addosso…»

Arriva Beppe Grillo per un comizio a Palazzolo sull’Oglio, paese al confine fra Bergamo e Brescia. È il terzo di oggi: prima è stato ad Arese (Milano) dagli operai dell’ex Alfa Romeo smantellata, poi andrà a Desenzano sul Garda.
Entusiasmo fra i 300 che lo circondano sul prato del parco comunale.

Grillo è l’unico leader politico italiano che sta facendo campagna elettorale con comizi in tutti i paesi e città dove si vota il 6 maggio. Il suo tour in camper dura 25 giorni con 67 tappe, dal Piemonte alla Sicilia.

L’esordio comico è da applauso garantito: «Cittadini di Palazzolo, voi avete regalato natali illustri al Paese, avete partorito soggetti importanti: Maurizio Belpietro, Luisa Corna, che pare sia responsabile di qualcosa…»

Non ha paura che succeda a lei qualcosa? È senza scorta, ai suoi comizi non c’è polizia, solo qualche vigile urbano.

«Gli agenti sono già troppo occupati, li costringono a scortare i magnaccia della politica. Qualcosa faranno, certo qualcosa inventeranno. Magari con qualche trucco rimanderanno le elezioni politiche. Io sono sotto processo per diffamazione. E i giornalisti continuano ad accusarmi: sono un miliardario, avevo una Ferrari vent’anni fa…

La settimana scorsa ero a Fabriano, l’Ansa è uscita con un comunicato: clamoroso, Grillo ha parcheggiato il suo camper contromano! Ma è una notizia? Cosa scriveranno adesso, che sul camper ho scoreggiato?»

Per i sondaggi ora siete il terzo partito.

«Non è vero che siamo il terzo partito, siamo il primo movimento. Hanno scoperto che abbiamo il sette per cento, l’otto, forse il dieci? Ma a me non interessa, so solo che gli altri partiti sono già scomparsi: il 92 per cento li manda aff…. Noi su Facebook siamo 800 mila, e ognuno di questi ha 50 amici: siamo quattro milioni».

Facile attaccare i partiti, adesso.

«Sì, dicono che sono un demagogo, imbonitore, populista… Ma il male se lo fanno da soli, io non invento nulla. Basta leggere i giornali ogni mattina. Ora Rigor Montis, o Mortis, fa politica col the: invita i segretari di partito a prendere i pasticcini. Alfano: con quegli occhi non sai dove guardarlo, ti viene la labirintite… Casini, l’Anthony Perkins delle vecchie mignotte: quando il suo Cuffaro presidente della Sicilia era processato disse: “Se lo condannano, dò le dimissioni”. Quello ora è in carcere, lui è ancora lì. Bersani: meglio fare le punte a un riccio. Vuole fare gestire l’acqua alle multinazionali. No, no, tutta questa gente è finita. Scaroni, il capo dell’Eni, che decide la nostra politica energetica è uno che ha patteggiato un anno e quattro mesi per le tangenti che aveva dato al Psi».

Sul finanziamento pubblico le stanno facendo un regalo grosso così.

«Ora qualcuno propone che i partiti rinuncino almeno alla fetta di 180 milioni di luglio. Ma è saltato subito su il tesoriere del Pd che ha detto: “Siete pazzi? Quei soldi ce li siamo già mangiati”. Perché quelli ancora prima di prendere i soldi se li fanno scontare in banca. Provate voi ad andare in banca a farvi scontare qualcosa».

Un politico che salva? Vendola?

«Ma se parla male di me tutti i giorni! Eppure in Puglia l’avevo aiutato. Poi, appena eletto, va a dare 140 milioni di euro a don Verzè, vuole privatizzare l’acquedotto pugliese e fa cinque inceneritori. No, è il sistema che è tutto marcio. Tanto vale fare come in Belgio: sono rimasti due anni senza governo, è andata benissimo.

L’Islanda era andata in bancarotta? Ha chiuso le banche, non hanno pagato gli arretrati alle banche straniere. Facciamo anche noi così. Le banche francesi hanno 300 miliardi dei nostri debiti? Non ve li paghiamo più, peggio per voi. Come succede a tutti noi quando perdiamo in Borsa: nessuno ci ridà i soldi se le azioni vanno giù».

È vero che mira ai voti della Lega?

«Il tour elettorale lo faccio in tutta Italia, non solo al Nord. I capi leghisti sembrano quelli dell’ultima scena del film Le Iene di Tarantino, quando si sparano fra loro. Vorrei avere io un tesoriere come Belsito, quello aveva già capito tutto: l’euro va a puttane, quindi investo in oro, diamanti e Tanzania…»

Ma quando critica le tasse o la cittadinanza automatica per i figli degli immigrati, non strizza l’occhio agli elettori leghisti?

«Lo dico chiaro: pagare le tasse è la cosa più giusta del mondo, bisogna farlo. Il problema è che i nostri politici, i responsabili del nostro debito, quelli che lo hanno creato, si giustificano dicendo: i conti vanno male perché ci sono gli evasori. Ma anche se pagassimo il doppio, loro ruberebbero il doppio.

Quindi: le tasse vanno pagate, ma stabilendo prima la destinazione d’uso. Lo devono dire prima, se con i nostri soldi vogliono comprare aerei da guerra o fare Tav che costano il triplo che in Francia e Spagna. Da anni chiediamo i “bilanci partecipativi” nei comuni e nelle regioni. Altrimenti avremo sempre il costo del lavoro più alto d’Europa, ma gli stipendi più bassi».

Quindi nessun appello contro le tasse?

«I disastri li combinano da soli, ogni giorno ne inventano una nuova. L’Imu, per esempio. Il mio commercialista è dovuto andare in analisi: si paga in due rate, no in tre, però non si sa ancora quanto, poi magari ci sarà un conguaglio… Ho visto la dichiarazione dei redditi di un operaio in Danimarca: due paginette, se la compila da solo, non deve dare soldi al patronato per farsi aiutare».

Come finanziare la politica?
«Come noi: niente soldi pubblici, niente sedi, niente funzionari da pagare. Tutto in rete. Tutti volontari, con sottoscrizioni. Dopo le regionali del 2010 avevamo diritto a un milione e 700 mila euro di rimborso elettorale. Non l’abbiamo preso, è tornato allo stato. Ai nostri quattro consiglieri regionali eletti in Piemonte ed Emilia ho fatto un corso di economia genovese. Si sono autoridotti lo stipendio, invece di prendere 12 mila al mese vivono benissimo con 2.500.

Andiamo avanti con l’entusiasmo, io faccio queste serate e non paga nessuno. È la forza delle nostre idee, altro che le “ideone” che non vengono al ministro Passera. Siamo come il partito dei Pirati in Germania, ragazzi di vent’anni che sono arrivati al dieci per cento. Il nostro consigliere comunale appena eletto a Milano, Mattia Calise, ha 21 anni. È troppo giovane, è inesperto? Certo, non sa ancora come rubare e truccare i bilanci…»

Ha una ricetta contro la crisi?

«Intanto c’è un dato da toccarsi i co…: 170 mila imprese hanno chiuso negli ultimi mesi. Questi pensano al rialzo dello spread, ma e il tasso di suicidio che aumenta. Dobbiamo essere veloci, perché se continua così in un anno falliscono 600 mila aziende. Ma ci sono, 600 mila aziende in Italia? Altro che Grecia.

Questi politici hanno rovinato due generazioni, che dovranno ripagare il debito. Non si accorgono che sta arrivando uno tsunami di disperazione».

Quindi?

«Noi diciamo: cambiare totalmente la classe politica. E poi buona amministrazione, risparmio, efficienza energetica, raccolta differenziata dei rifiuti. Perché, per esempio, Palazzolo è al 40 per cento della differenziata, mentre i paesi vicini sono al 70? Perché perfino le aziende della nettezza urbana e le municipalizzate le hanno ridotte a poltronifici?»

Il vostro sarà il classico voto di protesta. Un tempo gli scontenti, se non si astenevano, votavano radicale o Lega. Ma che garanzie danno i vostri candidati?

«Sono cittadini incensurati, il che in Italia per chi fa politica è già molto. E non sono professionisti della politica: fanno due mandati, poi a casa. Non come Formigoni, che è al quarto mandato mentre per legge non dovrebbe superarne due. E il Pd che non può dire niente, perché anche il suo Errani in Emilia è al terzo.

Noi invece a Desenzano candidiamo sindaco una bibliotecaria, e nelle liste abbiamo gente che lavora: cuochi, elettricisti, tecnici informatici. In ogni caso, meglio un salto nel buio con il movimento Cinque stelle che il suicidio assistito con gli altri».

Mauro Suttora
















Wednesday, April 25, 2012

Finanziamento pubblico

360 MILIONI ANNUI DI SOLDI STATALI AI PARTITI. CHE STANNO UCCIDENDO LA POLITICA

di Mauro Suttora

Oggi, 18 aprile 2012

È da 40 anni che promettono. «Grazie al finanziamento pubblico non prenderemo più tangenti», disse il personalmente onestissimo Ugo La Malfa, segretario Pri, dopo che nel 1973 si scoprì che i petrolieri davano il 5 per cento a tutti i partiti di governo. I quali ci misero solo 16 giorni a confezionare la legge per incassare 45 miliardi di lire l'anno (250 milioni in euro odierni). «La Voce Repubblicana è salva», gioì La Malfa. Ancora oggi il giornale del Pri sopravvive con 630 mila euro annui di contributi statali.

Ma è da 20 anni che truffano. Nel 1993, infatti, il 90 per cento degli italiani bocciò il finanziamento pubblico. Percentuale altissima, mai raggiunta nella storia d'Italia. Ribadita con il 71% di un altro referendum radicale nel 2000, senza quorum. E confermata ancor oggi da tutti i sondaggi.

Eppure, i partiti continuano a prendere soldi statali. Dal '97 hanno cercato di farlo con il 4 per mille: chi voleva indicava il proprio contributo sulla dichiarazione Irpef. Un fiasco colossale: solo l'8 per cento aderì, 56 milioni di introito previsti, solo 5 incassati. Allora hanno inventato il trucco dei «rimborsi elettorali»: 200 milioni annui. Che si aggiungono ai 36 che la Camera dà ai gruppi parlamentari, ai 38 del Senato, ai 45 delle Regioni e ai 41 per i giornali di partito. Totale: 360 milioni.

Niente da fare: continuano a rubare. Lo hanno appena dimostrato i casi clamorosi dei tesorieri della Margherita (confluita nel Pd) Luigi Lusi e della Lega Nord Francesco Belsito. Nonché le proteste di alcuni deputati ex An, che non capiscono bene dove siano finiti vari milioni dopo la fusione con Forza Italia nel Pdl. Ma anche gli scandali che ormai ogni settimana colpiscono politici di ogni partito in ogni parte d'Italia: dalla Lombardia di Roberto Formigoni (consiglio regionale decimato) alla Puglia di Nichi Vendola (due avvisi di garanzia).

«Il finanziamento ai partiti è il cancro della democrazia»: lo dice Guido Rossi, ex presidente della Consob che di solito misura le parole. È preoccupato anche Pier Luigi Bersani, segretario Pd: «L'antipolitica rischia di uccidere i partiti». Beppe Grillo vola nei sondaggi. Ma i politici non danno segni di ravvedimento. Anzi. Sono scesi in campo personalmente i tre più importanti di loro, i segretari dei maggiori partiti (Pdl, Pd, Udc) Bersani, Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini, per firmare un disegno di legge per la «trasparenza» del finanziamento pubblico. Non un centesimo in meno, ma «controllato» da società di revisione dei conti.

«La verità è che senza soldi pubblici dovremmo chiudere», confessa Antonio Misiani, tesoriere Pd, bocconiano bergamasco. Ma come? I rimborsi elettorali non dovrebbero servire, appunto, per finanziare le campagne elettorali? E non è dimostrato che per le campagne i partiti spendono molto meno, solo 33 milioni l'anno in media? E che quindi tutto il resto finisce (fraudolentemente) all'attività ordinaria dei partiti, per pagare sedi, stipendi, fondazioni (le nuove correnti)?

Le decine di milioni rubate da Lusi o investite da Belsito in Tanzania rappresentano proprio quel surplus di soldi che i politici si vedono piovere addosso (2.300 milioni dal ’94 a oggi), e non sanno più dove mettere. Antonio Di Pietro è accusato da Elio Veltri, ex dirigente del suo partito, di gestione personalistica dei «rimborsi» elettorali. Gli ex margheritini non si sono neppure accorti degli ammanchi milionari di Lusi. «Siamo parte lesa», protestano Francesco Rutelli e Rosy Bindi. «Ma come possono candidarsi a governare dei politici che non riescono neppure a controllare il proprio tesoriere?», domanda perfido Ignazio Marino, loro compagno di partito.

«Non c’è da stupirsi», dice Mario Staderini, segretario di Radicali italiani, «abbiamo lottato da soli per 35 anni contro il finanziamento pubblico, e ora la bomba esplode. Dallo scandalo Lockheed a Tangentopoli, i fatti dimostrano che i soldi pubblici non moralizzano la politica. Anzi. I Lusi e i Belsito non sono mele marce, ma il prodotto di un sistema criminogeno che falsa il gioco democratico».

La soluzione, allora? Il modello liberale, con partiti sorretti da sottoscrizioni private. «Adottiamo il 5 per mille», propone Alfano, dimenticando il flop di 15 anni fa. Provocato però da un difetto: nella dichiarazione Irpef non si poteva indicare il singolo partito da finanziare, era un contributo per tutti. E chi mai vuole dar soldi a partiti per cui non simpatizza? L’obiezione era: non si possono «schedare» i finanziatori di ciascun partito, costringendoli a dichiarare la propria scelta. Ma è un argomento che non tiene, perché l’8 per mille alle varie Chiese garantisce invece la privacy.

«Lo Stato, poi, può contribuire alla politica non dando soldi ai burocrati di partito», propone Staderini, «ma offrendo gratis servizi a tutti i cittadini: luoghi per assemblee e riunioni, autenticatori per le firme, conoscibilità delle proposte grazie a programmi di informazione».

Perché il vero dramma dei partiti è che i soldi pubblici e il professionismo hanno ucciso il volontariato e i contributi spontanei. «Coprono appena il 10 per cento dei nostri costi», ammette Misiani del Pd. Ormai vediamo i politici come una «casta» di privilegiati con stipendi da 12 mila euro netti al mese. «Di politica campano 100 mila persone in Italia», commenta amaro Cesare Salvi, ex senatore Ds autore del libro Il costo della democrazia.

La vera «antipolitica» è quella dei politici di professione e dei partiti personalisti in cui spadroneggia un «Capo» (quasi tutti, Grillo compreso), che hanno espropriato i cittadini del gusto per la partecipazione diretta alla vita pubblica.
Mauro Suttora

Wednesday, December 28, 2011

Una brutta fazenda

DON VERZE' IN BRASILE

Cos'è successo al San Raffaele

di Mauro Suttora

Oggi, 21 dicembre 2011

Costa venti milioni di euro il jet intercontinentale di lusso Challenger con cui don Luigi Verzè e il suo vice Mario Cal volavano in Brasile. A Salvador di Bahia il padrone del San Raffaele aveva costruito un ospedale, con 17 miliardi di lire della Cooperazione italiana. Ma aveva anche due «fazendas», fattorie con piantagioni di cocco, mango, banane e uva senza semi. E nella più bella, con piscina in riva all'oceano, invitava spesso amici dall'Italia. Come l'attore Renato Pozzetto, suo socio nella compagnia aerea che gestiva gli elicotteri del pronto soccorso dell'ospedale milanese.

Nel 2007 don Verzè, in preda a una delle sue imbarazzanti megalomanie, si regalò quel costoso giocattolino per evitare i fastidiosi check-in degli aeroporti. Poi però i debiti della Fondazione San Raffaele peggiorarono, le banche non rinnovavano più i fidi, e il prudente Pozzetto l'anno scorso si è ritirato dalla società, l'Airviaggi. In perdita: la sua quota del 30 per cento svalutata ad appena 3 mila euro, praticamente zero.

Solo una briciola, in confronto al gigantesco «buco» provocato dal sacerdote veronese. Sembrava fosse di un miliardo nove mesi fa, quando è stato svelato. Ora è salito a un miliardo e mezzo. Il Vaticano ha estromesso don Verzè. Cal si è suicidato. Centinaia di fornitori premono furibondi per essere pagati. Il faccendiere Piero Daccò è in carcere per bancarotta fraudolenta e associazione per delinquere. La scorsa settimana è finito al fresco anche l'ex direttore finanziario.

L'accusa: tangenti del 3-5 per cento sugli appalti. Il sospetto: che le buste alte centimetri piene di biglietti da 500, rivelate dalla segretaria di Cal, finissero a politici e dirigenti della regione Lombardia. La quale copre quasi tutto il bilancio dell'ospedale: più di mezzo miliardo l'anno. Ancora lo scorso agosto, 41 milioni per «premi di eccellenza». In totale, 3,3 miliardi di soldi pubblici finiti al San Raffaele negli ultimi cinque anni. Ma la pioggia di finanziamenti non ha evitato il crac.

Com'è potuto accadere? Nessuno si era accorto di nulla? Il San Raffaele è una fondazione, quindi non deve esibire i bilanci. Daccò nega di avere pagato pubblici ufficiali. Però conosceva tutti. Ospitava perfino il governatore lombardo Roberto Formigoni sul suo yacht Ad Maiora a Porto Cervo. Ma il vero «amico di tutti» era l'incredibile don Verzè, ammirato da tutti i premier: Giulio Andreotti (che andò in Brasile a inaugurare l'ospedale), Bettino Craxi, Silvio Berlusconi. Il San Raffaele è nato 40 anni fa, accanto alla Milano Due della Fininvest. Assieme riuscirono a far deviare le rotte degli aerei su Linate.

Ultimo estimatore del vulcanico prete bipartisn: il governatore pugliese Nichi Vendola, sponsor del nuovo San Raffaele a Taranto. Anche un altro ex comunista è stato sedotto da don Verzè: Massimo Cacciari, primo rettore della facoltà di Filosofia dell'università privata San Raffaele nel 2002. Lì si è laureata Barbara, figlia di Berlusconi.

«Io vado avanti, la provvidenza seguirà», rispondeva don Verzè a chi gli chiedeva se non facesse passi più lunghi della gamba. Anche quando ha speso 200 milioni di euro per l’enorme cupola accanto alla tangenziale Est di Milano. Sotto la quale in luglio si è suicidato il suo braccio destro Cal. Che disperazione, appena due anni dopo queste foto di «dolce vita» in piscina. E che tristezza, sentire il socio veneto della fazenda brasiliana confessare in tv a Report di rapporti sessuali con ragazze 14enni: «Pedofila, prostituzione? Ma no, qui ci vanno tutti. Sennò loro, poverine, cosa fanno?».

«Don Verzè si presentava come un miliardario con jet privato, circondato da donne e ragazzi», ha raccontato Pedro Lino, consigliere della corte dei conti dello stato di Bahia. Per anni console onorario italiano a Salvador, città di quattro milioni di abitanti, è stata Liliana Ronzoni, direttrice dell’ospedale brasiliano. Riservato a chi ha un’assicurazione, cioè non i poveri. Per loro il San Raffaele brasileiro ha aperto ambulatori esterni. Così non paga le tasse, perché è considerato «umanitario».

Don Verzè e i suoi amici spesso arrivavano alla fazenda in elicottero, per evitare le cinque ore in suv nero cilindrata 3.000 con aria condizionata da Salvador a Conde. Lì trovavano tre piscine, campi da tennis, ponies, gabbie con scimmie. Una fissa , quella del «don» per le gabbie. All’ultimo piano sotto la cupola di Milano, che aveva preteso tutto per lui e addobbato con arredamenti per quattro milioni, teneva una voliera per i pappagalli.

Gli ospiti in Brasile stavano in bungalows. Alle 8 della domenica mattina don Verzè celebrava messa. Superata, quindi, la sospensione a divinis subìta nel 1973 dall’arcivescovo di Milano. Prima di mangiare, a tavola, segno della croce per tutti.

Don Verzè ha fondato una propria congregazione, i «Sigilli». Quasi tutti i dirigenti (soprattutto donne) del San Raffaele ne fanno parte. Pronunciano voto di castità, devozione, purezza. Non di povertà. Una decina di loro, compreso il don, vivono in una lussuosa ex cascina ristrutturata vicino al San Raffaele. Con tre cuochi e tre chef, pagati dalla fondazione col buco miliardario.
Mauro Suttora

Wednesday, August 10, 2011

Bersani galleggia

UN MESE FA IL PD AVEVA IL VENTO IN POPPA. POI SONO ARRIVATI SCANDALI E TANGENTI CHE HANNO RIPORTATO NEI GUAI LA SINISTRA

Oggi, 1 agosto 2011

di Mauro Suttora

E pensare che soltanto un mese fa tutto sembrava andare per il meglio. Sull’onda delle vittorie alle amministrative e al referendum, il Partito democratico superava per la prima volta nei sondaggi il Popolo della libertà: 29 a 28 per cento. Il premier Silvio Berlusconi, assediato dalle inchieste P3 e P4, era in affanno. Per questo aveva chiesto al fedelissimo Angelino Alfano di lasciare la carica di ministro della Giustizia e di diventare segretario del Pdl. Gli alleati della Lega Nord fremevano.

Sperava in un bis del ribaltone

Lui, Pierluigi Bersani, segretario Pd da un anno e mezzo, dopo mesi di tribolazioni (i due sindaci vincenti a Milano e Napoli, Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris, non appartengono al Pd) sembrava per la prima volta tranquillo e veramente in sella: «Il vento è cambiato», ripeteva fiducioso. E strizzava l’occhio ai leghisti, sperando in un bis del «tradimento» con cui Umberto Bossi mandò a casa Berlusconi nel 1994.

Poi è arrivata la valanga. Prima l’arresto del manager genovese Franco Pronzato, consigliere d’amministrazione dell’Enac (Ente nazionale aviazione civile) ed ex responsabile Pd del trasporto aereo. Il quale ammette di aver ricevuto da Vincenzo Morichini, «facilitatore» di appalti pubblici e finanziatore della fondazione Italiani Europei di Massimo D’Alema, 20 mila euro in contanti. La somma sarebbe uscita lo scorso Natale dalle tasche di Viscardo Paganelli, proprietario della Rotkopf: una società aeronautica che ha ottenuto da Enac, grazie a Pronzato, l’abilitazione al trasporto passeggeri per l’isola d’Elba.

Inoltre, nel 2010 D’Alema ha viaggiato cinque volte gratis sugli aerotaxi Rotkopf. Imbarazzante: «Se avessi saputo quello che poi è emerso, sarei andato a piedi», ha commentato il padre nobile del Pd. E Bersani: «Pronzato è stato mio collaboratore 11 anni fa, quand’ero ministro dei Trasporti. Ma terremo gli occhi bene aperti».

Invece molti senatori Pd gli occhi sembrano averli chiusi il 20 luglio, quando hanno contribuito a salvare dagli arresti domiciliari Alberto Tedesco (Pd), ex assessore di Nichi Vendola in Puglia accusato di corruzione e concussione. Contemporaneamente, proprio quel giorno la Camera ha spedito in carcere il deputato Pdl Alfonso Papa, ex magistrato accusato di spifferare segreti d’ufficio ai suoi compari della cosiddetta «loggia P4». Insomma, due pesi e due misure: i parlamentari di sinistra liberi, quelli di destra in prigione.

Ma il peggio, per il povero Bersani, doveva ancora arrivare. Quello stesso maledetto 20 luglio è esplosa la notizia dell’accusa contro il suo ex braccio destro Filippo Penati. E da allora per il Pd è ricominciata la via crucis. Eugenio Scalfari ha ricordato mesto l’intervista che lui stesso fece a Enrico Berlinguer esattamente trent’anni fa, luglio 1981, nella quale il segretario del Pci rivendicava orgoglioso la «diversità» della sinistra che (allora) non rubava.

E a destra Tremonti barcolla

Nel frattempo, la destra non gode. Anzi. Il ministro più potente e rispettato del governo, Giulio Tremonti, appare in grande difficoltà per la casa di Roma fornitagli dall’amico e collaboratore Marco Milanese (ex guardia di Finanza, oggi deputato Pdl). Anche per Milanese i magistrati hanno chiesto l’arresto (corruzione e associazione per delinquere). Tremonti ha ammesso di avergli versato (in contanti, lui ministro che le tasse dovrebbe farle pagare) 4 mila euro al mese.

Per sfuggire a tutte queste amarezze, Bersani è andato a distrarsi con la moglie a Pantelleria, accettando un invito nella villa dell’ex ministro Pd Vincenzo Visco. Peccato che proprio nel giorno in cui le nostre foto sono state scattate (giovedì 28 luglio) la Camera fosse in regolare seduta. Il deputato Bersani risulta quindi uno degli 85 assenti ingiustificati.

Una «bigiata» che, rispetto a tutto il resto, appare come un peccato veniale: in fondo, il segretario Pd ha soltanto mancato il voto sulla legge per la «riqualificazione dei centri storici». Speriamo almeno che il volo al mare non gli procuri imbarazzi, come a D’Alema.

Mauro Suttora

Wednesday, February 10, 2010

Il Vietnam di Bersani

LA CRISI DEL PD SECONDO PANSA, PASQUINO E CALDAROLA

Oggi, 3 febbraio 2010

di Mauro Suttora

Ogni settimana uno scivolone. Prima la sconfitta alle primarie in Puglia, dove il Partito democratico col suo 26 per cento si è fatto battere da Nichi Vendola, capo di un partitino del due per cento (Sinistra e libertà). Poi le dimissioni del sindaco di Bologna Flavio Delbono, per i favori alla ex amante e segretaria. Infine la scelta del candidato governatore in Campania, Vincenzo De Luca, contestata da Antonio Di Pietro.Che succede al partito guidato da Pier Luigi Bersani? «Rischia di fare la fine della Dc», avverte Giampaolo Pansa. «È nato male, rimetterlo assieme sarà complicato», sentenzia Gianfranco Pasquino. «Anche Bersani segue il destino dei segretari del pd, che durano pochi mesi», commenta Giuseppe Caldarola con Oggi.

Abbiamo chiesto a questi tre personaggi, che il Pd lo conoscono molto da vicino, di spiegare la crisi che avviluppa il primo partito d’opposizione a meno di due mesi dalle delicate elezioni regionali. E, in particolare, il travaglio personale del segretario Bersani che, in sella da appena tre mesi, sembra già logorato. Tanto che l’ex premier Romano Prodi chiede pubblicamente (e polemicamente): «Chi comanda nel Pd?»

«Quello di Bersani non è un Vietnam che riguarda solo lui. La disfatta tocca l’intero progetto del Partito democratico»: Pasquino da New York, dove è fellow dell’Italian Academy alla Columbia University, fornisce un giudizio drastico. Il professore conosce bene i suoi polli: è stato infatti senatore della Sinistra indipendente, e poi del Pds, dal 1983 al ‘96. L’anno scorso è stato l’unico nella sinistra bolognese a opporsi a Delbono, ma con una lista civica personale ha raccolto solo il due per cento. Allora sembrava un grillo parlante.

«Appetito sessuale»

Oggi, dopo il disastro, accusa: «L’irrefrenabile appetito sessuale del sindaco era conosciuto da tutti, si sapeva dei suoi viaggi frequenti con la segretaria. Ma, come ho detto, il problema non è personale, è di struttura. Basta vedere la fine che hanno già fatto i due fondatori del Pd: Fassino e Rutelli. Dopo appena due anni il primo è sparito, il secondo se n’è andato. Il disastro, dopo Veltroni e Franceschini, è oggi ereditato da Bersani, che è l’uomo più capace, affidabile e competente. Ha dimostrato effettive capacità di governo quand’era ministro».
E allora, come mai non riesce a governare il suo partito?
«Perché il Pd è ormai composto da duecentomila persone che non saprebbero in quale altro modo vivere se perdessero la propria carica di consigliere circoscrizionale, comunale, provinciale, regionale, parlamentare o funzionario nominato in qualche ente. Non hanno una professione alla quale tornare, sono obbligati a fare politica per sempre. Perfino Ghedini può permettersi di litigare con Berlusconi, riprenderebbe a fare l’avvocato. Invece la casta dei politici di professione è inamovibile».
È l’argomento di Berlusconi contro «i politici che non hanno mai lavorato».
«Non è un insulto. Avrei qualche difficoltà a dire se e quando D’Alema o Fassino, e lo dico con affetto, hanno mai lavorato».
Qual è la soluzione, allora?
«Non il limite dei mandati, che ora colpisce i sindaci dopo otto anni. Un giovane che si dà alla politica può pianificare la propria carriera e, passando da un consiglio comunale alla Provincia, alla Regione e poi al Parlamento, coprendo tutto il cursus honorum dopo quarant’anni arriva alla pensione. Ecco perché quasi tutti i giovani politici oggi, al di là della retorica e delle loro polemiche contro i “vecchi”, sono solo ambiziosi arrivisti».
E allora? «Dovremmo eleggere soltanto chi ha già una posizione professionale alla quale fare ritorno».

Dc con pci? «impossibile»

Anche Giuseppe Caldarola è stato nel cuore del potere Ds. Direttore dell’Unità dal ‘96 al ‘98, deputato fino a due anni fa, se n’è andato alla nascita del Pd: «Che in realtà non è mai nato, perché non si possono mettere assieme le culture di Pci e Dc».
Bersani sembrava il candidato ideale.
«Ma il partito democratico mangerà anche lui. È incredibile la refrattarietà di questa formazione a qualsiasi leader. E non se ne esce con le ricette di Cacciari o Chiamparino su nuovi Ulivi o chissà cos’altro. Bersani è una persona piacevole e concreta, ma è il contrario del leader politico moderno, perché non ama il palcoscenico e non trascina. Potrebbe essere una risorsa, ma non per quella macchina tritasassi che è il Pd».
Quindi?
«Sciogliere il Pd e tornare a prima: una partito socialista moderno, come la tedesca Spd, che si allea a un centro cattolico moderato in attesa del declino di Berlusconi».
«Ma l’unica cosa che Bersani non può permettersi di fare è attendere», tuona Pansa, che ha trasferito la sua storica rubrica Bestiario dall’Espresso al quotidiano Il Riformista.
«“Meglio tirare a campare che tirare le cuoia” era il motto di Andreotti, ma ormai il partito democratico è balcanizzato. Ci sono tanti clan regionali comandati da cacicchi. Bersani può solo usare la poca forza rimasta per cambiare politica e linguaggio, scardinando una linea che non dà più frutti».

No ai clandestini

Per esempio? «Dica che i magistrati non devono andare in tv, scrivere sui giornali, partecipare a convegni politici ed essere eletti in Parlamento. Combatta gli evasori fiscali permettendo di scaricare le spese, cosicché tutti chiederanno le ricevute. Ammetta che gli immigrati clandestini aumentano la criminalità...».

Wednesday, June 10, 2009

Elezioni 2009

di Mauro Suttora

Oggi, 3 giugno

Chi supererà la «tagliola» del quattro per cento? E’ questa una delle due grandi novità delle elezioni europee del 6-7 giugno: per la prima volta, le liste che non raggiungono questa quota non eleggono nessuno. Si prevede una strage.
L’altra primizia è che si comincia a votare già dalle 15 di sabato pomeriggio, fino alle 22. E poi come sempre la domenica, dalle 7 alle 22. Subito dopo comincerà lo scrutinio, in tutti i 27 Paesi dell’Unione europea. Questa volta ci saranno le preferenze (al massimo tre), quindi si prevede qualche sorpresa all’interno delle liste.
Accorpate al voto per Bruxelles, poi, ci sono le amministrative. Che coinvolgono quasi tutte le principali città e province italiane: 34 milioni di elettori su 50. Fra i capoluoghi di regione, in quattro si vota per il Comune (Bologna, Firenze, Perugia, Bari) e in sei per la Provincia (Torino, Milano, Venezia, L’Aquila, Napoli, Potenza). Al voto 62 province, 4.281 comuni, nessuna regione.
Ecco le liste che partecipano alle Europee, in ordine di grandezza secondo i sondaggi:

Pdl (Popolo della libertà)
Silvio Berlusconi è capolista in tutta Italia. Al numero due ci sono Ignazio La Russa nel Nordovest, Alberto Balboni (Nordest), Roberta Angelilli (Centro), Salvatore Tatarella (fratello dello scomparso Pinuccio) al Sud, e l’ex sindaco di Lula (Nuoro) Maddalena Calia nelle Isole. Iva Zanicchi si candida nel Nordovest, ultima in ordine alfabetico, al 19° posto. Nel Nordest Elisabetta Gardini è al decimo posto, nel Sud Clemente Mastella al settimo.

Pd (Partito democratico).
Nel Nordovest il capolista è Sergio Cofferati, ex segretario Cgil e sindaco di Bologna. Segue la ex dc Patrizia Toia. Nel Nordest Luigi Berlinguer, fratello di Enrico ed ex ministro dell’Istruzione. Al Centro c’é il presentatore del Tg1 David Sassoli, al Sud l’ex ministro Paolo De Castro seguito dalla giornalista anticamorra del Mattino di Napoli Rosaria Capacchione. Apre la lista nelle Isole Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso dalla mafia.

Lega Nord
Capolista ovunque è Umberto Bossi. Gli altri sono Matteo Salvini, deputato e consigliere comunale a Milano, l’europarlamentare uscente Mario Borghezio, il 29enne veronese Lorenzo Fontana nel Nordest e Francesco Speroni, storico eurodeputato 61enne.

Idv (Italia dei Valori)
Antonio Di Pietro capolista in tutta Italia, seguito dall’ex magistrato Luigi De Magistris e dal giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio che ne raccontato le gesta. Fra i candidati il filosofo Gianteresio Vattimo detto Gianni, ex di Rifondazione comunista, Giorgio Schultze del partito umanista, Sonia Alfano dell’Associazione vittime della mafia e lo scrittore Giorgio Pressburger.

Udc (Unione di centro)
Il Casini capolista nella circoscrizione Centro non è Pierferdinando, ma Carlo del Movimento per la vita, che precede Gianni Rivera. Spiccano al Nordovest Magdi Cristiano Allam, convertito al cattolicesimo, Emanuele Filiberto di Savoia e John Balzarini, ex compagno di Fiona Swarovski. Capolisti al Sud Ciriaco De Mita, 82 anni, e il lucano Angelo Sanza, ex Dc e Forza Italia.

Rifondazione Comunisti ital.
Guidano le liste al Nordovest Vittorio Agnoletto, capo noglobal nel 2001 a Genova, e la scienziata Margherita Hack. Nel Nordest Oliviero Diliberto e la pacifista Lidia Menapace. Al Sud Massimo Villone, ex senatore Ds, autore con Cesare Salvi del libro Il costo della democrazia che denunciò la casta politica prima del volume omonimo di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.

Sinistra e libertà
E’ un’alleanza fra metà Rifondazione, verdi e socialisti. Capilista Monica Frassoni, il presidente della Puglia Nichi Vendola, l’attore Bebo Storti («conte Uguccione»), Claudio Fava e, al Centro, la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, ostaggio in Iraq nel 2005.

Lista Pannella Bonino
I radicali, guidati dai leader storici Marco Pannella ed Emma Bonino, schierano l’eurodeputato uscente Marco Cappato, Mina Welby vedova di Piero, Maria Antonietta Farina vedova Coscioni e l’architetto napoletano Aldo Loris Rossi.

Autonomia
E’ un’alleanza tecnica, per superare la soglia del 4%, fra la Destra di Francesco Storace e Teodoro Buontempo, il Mpa (Movimento per l’autonomia) del governatore siciliano Raffaele Lombardo, l’Alleanza di centro dell’ex Tg1 e Udc Francesco Pionati e i Pensionati di Carlo Fatuzzo.

Fiamma tricolore
L’estrema destra è guidata da Luca Romagnoli, eurodeputato uscente. Nel 2004 riuscì a ottenere un seggio con lo 0,7 dei voti, questa volta l’impresa è quasi impossibile.

Liberaldemocratici Melchiorre
Il cognome dell’ex sottosegretaria alla Giustizia del governo Prodi (2006-8) Daniela Melchiorre, eletta poi deputata Pd, campeggia sul simbolo.

Partito comunista lavoratori
La terza lista di estrema sinistra è la meno favorita dai sondaggi. Si presenta solo nelle circoscrizioni Nordest, Nordovest e Centro, guidata dal trotskista Marco Ferrando.

Liste civiche Beppe Grillo
Alle europee non si presentano gli Amici di Beppe Grillo, che però partecipano alle elezioni di una sessantina di comuni (quasi tutti quelli più importanti) con «Liste civiche a cinque stelle».

Mauro Suttora