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Friday, November 27, 2020

I soldi (Usa) alla Casaleggio spingono i grillini nel partito di Conte

Un’altra tegola si abbatte su M5s, rendendo ormai impresentabile l’ex partito degli onesti. Il resto lo stanno facendo la Calabria, Berlusconi e il Pd

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

ilsussidiario.net, 27 novembre 2020 

Un’altra tegola si abbatte su M5s. “Casaleggio a libro paga della Philip Morris”: il Riformista svela che la società che controlla il Movimento 5 Stelle “ha incassato da Philip Morris Italia la maxi somma di 1.950.166 euro e 74 centesimi, al netto dell’Iva”. Il giornale diretto da Piero Sansonetti ha visionato bonifici e fatture, dimostrando che la multinazionale Usa ha ricevuto da M5s in cambio una cospicua riduzione delle accise sul tabacco che le ha garantito introiti enormi. Si tratti o no di illecito, il partito dell’onestà riceve un altro duro colpo, che potrebbe accelerare la crisi del governo Conte 2 e la formazione del partito contiano.

“È notevole che a 24 ore di distanza lo scoop sui due milioni di euro della multinazionale Usa delle sigarette alla ditta Casaleggio, che controlla il primo partito italiano, non sia stato ripreso da nessuno, tranne che dal Sussidiario e dall’AdnKronos” commenta Mauro Suttora, giornalista, collaboratore di Huffington Post, già corrispondente dagli Usa per varie testate.

Perché notevole?

Quando capita qualcosa a Renzi, dopo dieci minuti tutti i siti d’informazione sono pieni di notizie, reazioni, commenti. Sui grillini, invece, silenzio. Non c’è neanche la scusa di non fare pubblicità alla concorrenza, perché il Riformista è un piccolo quotidiano neanche distribuito in tutte le edicole, che non rappresenta certo una minaccia per i grandi giornali.

È per il rapporto con Philip Morris che Casaleggio si è sfilato per tempo dalla conduzione di M5s?

Non penso che Casaleggio junior si sia sfilato per questo conflitto d’interessi, anche perché lui non lo considera tale. Ha infatti definito “fantasiosa” la notizia: non perché ne contesti la verità, ma perché prosegue nella commedia di non ritenere la sua Casaleggio Associati il cuore pulsante dei grillini. E naturalmente, come tutti i potenti colti in castagna, ha annunciato querela. Intimidire non fa mai male.

Il Riformista ha analizzato il periodo di fatturazione. O c’è un’inchiesta aperta, e le fatture escono dal fascicolo del pm; o c’è una talpa in Casaleggio; o – più intrigante – per Philip Morris M5s è diventato scomodo. È una multinazionale americana, e negli Usa è cambiato il presidente.

Per la verità la notizia che la Casaleggio fosse a libro paga del colosso del tabacco è uscita in parte già un anno fa sul Fatto Quotidiano prima che Travaglio si appiattisse a sogliola su Conte e i grillini. Ma si parlava solo di qualche consulenza mensile da 50mila euro. Ora invece si scopre che questi versamenti proseguono da due anni, fino a raggiungere la cifra – enorme per una piccola società come la Casaleggio – di 2,3 milioni.

E sulla fonte?

Sulla fonte non so nulla. Potrebbe essere una talpa grillina, della corrente governista di Di Maio ormai in rotta con i movimentisti del rampollo Casaleggio e di Di Battista.

In un modo o nell’altro, l’onestà era già perduta. Restano gli oscuri legami esteri, prima con il Venezuela, poi con una multinazionale Usa. Cosa dobbiamo pensare?

Diceva Montanelli: “Ho incontrato tanti mascalzoni che non sono moralisti, ma nessun moralista che non sia anche un mascalzone”. I grillini fanno la morale a tutti gli altri partiti da ben 13 anni, il primo Vaffa-day è del 2007. Ma ci hanno messo poco ad adeguarsi agli “incassi” dei politici.

A chi pensi?

L’eurodeputato 5 Stelle Giarrusso, ex Iena tv, è stato beccato a incassare dalla stessa Philip Morris 14mila euro per le sue spese elettorali. Fino a poco tempo fa un grillino che avesse osato farsi propaganda personale sarebbe stato espulso sui due piedi. Ricordo che l’ex eurodeputato Tamburrano e la Taverna declinarono mie offerte di intervista perché, dicevano, “poi i nostri colleghi ci massacrano accusandoci di esibizionismo”.

Forse i soldi a Giarrusso e a Casaleggio fanno parte di un unico “pacchetto” della lobby del tabacco.

Può darsi. Ottimo investimento, peraltro: il governo grillino ha abbassato le tasse alla Philip Morris per decine di milioni. Povero Di Battista, che per anni ha tuonato contro lobbies e multinazionali del tabacco. Da notare che la Casaleggio prende soldi anche da Lottomatica, in barba alle crociate grilline contro i giochi d’azzardo e la ludopatia, e da un oligopolista come Onorato, che controlla sia Moby che Tirrenia. Avete provato a prendere un traghetto per la Sardegna in agosto? Prezzi modici?

Il Sussidiario ha dedicato diversi articoli alla crisi della sanità in Calabria, una casamatta dei 5 Stelle. È un fronte pericoloso solo per M5s o anche per Conte e il governo?

Il Sud è stato il granaio dei grillini, e sarà la loro tomba. Alle regionali due mesi fa in Campania e Puglia sono crollati dal 40 al 12 per cento. Ma già alle precedenti elezioni in Calabria, vinte dalla povera Jole Santelli insultata dal ras grillino calabro Morra, il M5s si era liquefatto. Il governo Conte si regge su 300 parlamentari grillini che perderebbero quasi tutti il seggio, se si votasse. 

Forse per questo Conte sta tessendo la trama di un suo partito, di cui si parla da tempo. Ha un futuro?

Certo. Il partito neodemocristiano di Conte è accreditato del 10% dai sondaggi. Il commissario Arcuri, attraverso la sua Invitalia, sta innaffiando con 280 milioni di finanziamenti pubblici il collegio elettorale pugliese del premier. E non è un caso che un ministro grillino come Spadafora sia un ex Udeur. Non per nulla l’insulto più sanguinoso rivolto da Di Battista ai governisti è: “State diventando come l’Udeur”.

Confermi quello che ci avevi detto, pronosticando l’avvicinamento a Conte dei parlamentari grillini più capaci?

Sì. Anche Crimi, che da dieci anni era il proconsole della Casaleggio in Lombardia, l’ha mollata per mettersi con Di Maio. E pensare che Casaleggio padre lo aveva salvato, nonostante fosse stato trombato alle regionali del 2010.

Il partito contiano sarebbe un contenitore centrista. Ha o avrebbe ancora, come si diceva qualche tempo fa, il placet di Oltretevere?

Certamente. Non dobbiamo mai dimenticare che Conte è uno dei prodotti meglio riusciti del convitto romano Villa Nazareth del potentissimo cardinale di sinistra Silvestrini, guidato dall’attuale segretario di Stato vaticano Parolin.

Il Corriere scrive che a qualcuno nel Pd non dispiacerebbe votare a maggio. Lo credi possibile?

Finché il Pd nei sondaggi resta inchiodato al 20% e Renzi al 3%, difficile che lo auspichino.

L’altra ipotesi sarebbe l’agognato rimpasto di governo. È uno scenario più realistico? Attenzione però: in un rimpasto si sa come si entra, ma non come si esce.

Infatti. In teoria, se si cambiasse solo qualche ministro, Conte verrebbe rafforzato: inutile far cadere un governo appena rinnovato. Ma ormai molti nel Pd dicono “rimpasto” per dire “via Conte”, considerato troppo logoro e anche invadente: pare faccia di tutto per accumulare potere nei gangli del sottopotere e parastato, piazzando fedelissimi e avocando competenze alla presidenza del Consiglio.

Federico Ferraù

Wednesday, February 10, 2010

Il Vietnam di Bersani

LA CRISI DEL PD SECONDO PANSA, PASQUINO E CALDAROLA

Oggi, 3 febbraio 2010

di Mauro Suttora

Ogni settimana uno scivolone. Prima la sconfitta alle primarie in Puglia, dove il Partito democratico col suo 26 per cento si è fatto battere da Nichi Vendola, capo di un partitino del due per cento (Sinistra e libertà). Poi le dimissioni del sindaco di Bologna Flavio Delbono, per i favori alla ex amante e segretaria. Infine la scelta del candidato governatore in Campania, Vincenzo De Luca, contestata da Antonio Di Pietro.Che succede al partito guidato da Pier Luigi Bersani? «Rischia di fare la fine della Dc», avverte Giampaolo Pansa. «È nato male, rimetterlo assieme sarà complicato», sentenzia Gianfranco Pasquino. «Anche Bersani segue il destino dei segretari del pd, che durano pochi mesi», commenta Giuseppe Caldarola con Oggi.

Abbiamo chiesto a questi tre personaggi, che il Pd lo conoscono molto da vicino, di spiegare la crisi che avviluppa il primo partito d’opposizione a meno di due mesi dalle delicate elezioni regionali. E, in particolare, il travaglio personale del segretario Bersani che, in sella da appena tre mesi, sembra già logorato. Tanto che l’ex premier Romano Prodi chiede pubblicamente (e polemicamente): «Chi comanda nel Pd?»

«Quello di Bersani non è un Vietnam che riguarda solo lui. La disfatta tocca l’intero progetto del Partito democratico»: Pasquino da New York, dove è fellow dell’Italian Academy alla Columbia University, fornisce un giudizio drastico. Il professore conosce bene i suoi polli: è stato infatti senatore della Sinistra indipendente, e poi del Pds, dal 1983 al ‘96. L’anno scorso è stato l’unico nella sinistra bolognese a opporsi a Delbono, ma con una lista civica personale ha raccolto solo il due per cento. Allora sembrava un grillo parlante.

«Appetito sessuale»

Oggi, dopo il disastro, accusa: «L’irrefrenabile appetito sessuale del sindaco era conosciuto da tutti, si sapeva dei suoi viaggi frequenti con la segretaria. Ma, come ho detto, il problema non è personale, è di struttura. Basta vedere la fine che hanno già fatto i due fondatori del Pd: Fassino e Rutelli. Dopo appena due anni il primo è sparito, il secondo se n’è andato. Il disastro, dopo Veltroni e Franceschini, è oggi ereditato da Bersani, che è l’uomo più capace, affidabile e competente. Ha dimostrato effettive capacità di governo quand’era ministro».
E allora, come mai non riesce a governare il suo partito?
«Perché il Pd è ormai composto da duecentomila persone che non saprebbero in quale altro modo vivere se perdessero la propria carica di consigliere circoscrizionale, comunale, provinciale, regionale, parlamentare o funzionario nominato in qualche ente. Non hanno una professione alla quale tornare, sono obbligati a fare politica per sempre. Perfino Ghedini può permettersi di litigare con Berlusconi, riprenderebbe a fare l’avvocato. Invece la casta dei politici di professione è inamovibile».
È l’argomento di Berlusconi contro «i politici che non hanno mai lavorato».
«Non è un insulto. Avrei qualche difficoltà a dire se e quando D’Alema o Fassino, e lo dico con affetto, hanno mai lavorato».
Qual è la soluzione, allora?
«Non il limite dei mandati, che ora colpisce i sindaci dopo otto anni. Un giovane che si dà alla politica può pianificare la propria carriera e, passando da un consiglio comunale alla Provincia, alla Regione e poi al Parlamento, coprendo tutto il cursus honorum dopo quarant’anni arriva alla pensione. Ecco perché quasi tutti i giovani politici oggi, al di là della retorica e delle loro polemiche contro i “vecchi”, sono solo ambiziosi arrivisti».
E allora? «Dovremmo eleggere soltanto chi ha già una posizione professionale alla quale fare ritorno».

Dc con pci? «impossibile»

Anche Giuseppe Caldarola è stato nel cuore del potere Ds. Direttore dell’Unità dal ‘96 al ‘98, deputato fino a due anni fa, se n’è andato alla nascita del Pd: «Che in realtà non è mai nato, perché non si possono mettere assieme le culture di Pci e Dc».
Bersani sembrava il candidato ideale.
«Ma il partito democratico mangerà anche lui. È incredibile la refrattarietà di questa formazione a qualsiasi leader. E non se ne esce con le ricette di Cacciari o Chiamparino su nuovi Ulivi o chissà cos’altro. Bersani è una persona piacevole e concreta, ma è il contrario del leader politico moderno, perché non ama il palcoscenico e non trascina. Potrebbe essere una risorsa, ma non per quella macchina tritasassi che è il Pd».
Quindi?
«Sciogliere il Pd e tornare a prima: una partito socialista moderno, come la tedesca Spd, che si allea a un centro cattolico moderato in attesa del declino di Berlusconi».
«Ma l’unica cosa che Bersani non può permettersi di fare è attendere», tuona Pansa, che ha trasferito la sua storica rubrica Bestiario dall’Espresso al quotidiano Il Riformista.
«“Meglio tirare a campare che tirare le cuoia” era il motto di Andreotti, ma ormai il partito democratico è balcanizzato. Ci sono tanti clan regionali comandati da cacicchi. Bersani può solo usare la poca forza rimasta per cambiare politica e linguaggio, scardinando una linea che non dà più frutti».

No ai clandestini

Per esempio? «Dica che i magistrati non devono andare in tv, scrivere sui giornali, partecipare a convegni politici ed essere eletti in Parlamento. Combatta gli evasori fiscali permettendo di scaricare le spese, cosicché tutti chiederanno le ricevute. Ammetta che gli immigrati clandestini aumentano la criminalità...».