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Wednesday, November 04, 2009

Sandra Mastella e Rosanna Gariboldi

STORIE PARALLELE DI DUE LADIES DELLA POLITICA

Entrambe accusate di associazione per delinquere

di Mauro Suttora

26 ottobre 2009

Chi dice donna dice danno. Sarà anche un proverbio stupido, ma come non pensarci di fronte alle disavventure parallele delle mogli di Clemente Mastella e di Giancarlo Abelli?
Conosciutissimo il primo, ex ministro della Giustizia di Ceppaloni (Benevento) che all’inizio dell’anno scorso ha provocato la caduta del governo Prodi proprio a causa delle sue traversie giudiziarie. Sconosciuto il secondo a chi non è di Pavia, ma potentissimo come numero due sia del coordinatore nazionale Pdl Sandro Bondi, sia del governatore lombardo Roberto Formigoni, tanto da essere soprannominato «il Faraone».

La signora Sandra Lonardo in Mastella, fatta eleggere dal marito alla presidenza del consiglio regionale campano, è accusata di associazione per delinquere, ed è stata colpita da un provvedimento singolare: l’espulsione dalla sua regione, e anche da provincie confinanti con la Campania come Frosinone, Isernia o Campobasso. Cosicché ora sta leggendo gli sterminati atti che la accusano nella sua casa romana di lungotevere Flaminio, anch’essa discussa perché acquistata a prezzo di favore da un ente previdenziale, così come altri due appartamenti nello stesso palazzo, finiti ai figli.

Peggio è capitato alla signora Rosanna Gariboldi in Abelli. Fatta eleggere dal marito assessore provinciale a Pavia, è finita nel carcere milanese di San Vittore con l’accusa di essersi pure lei associata per delinquere: con l’imprenditore delle discariche Giuseppe Grossi, finito dentro per riciclaggio di 22 milioni di euro di fondi neri, appropriazione indebita, frode fiscale e corruzione.

Insomma, a sud come a nord, è tornata Tangentopoli? E nelle ruberie sono coinvolte anche donne, come ai tempi della signora Poggiolini e della moglie di Lamberto Dini, e più recentemente delle lady Asl di Roma e Bari?
Lo decideranno i giudici. Intanto, però, queste due belle signore lanciatissime in politica hanno inguaiato i rispettivi coniugi-pigmalioni.

Mastella, che negli ultimi mesi è passato per l’ennesima volta da sinistra a destra facendosi eleggere eurodeputato Pdl a giugno, è colpito anch’egli dal divieto di dimora in Campania. Ma occorre l’autorizzazione a procedere di Strasburgo. Anche Abelli, deputato a Roma, gode di privilegi, e li usa: in questi giorni è stato due volte in prigione a trovare la moglie. L’accesso libero e senza preavviso a tutte le prigioni italiane era stato concesso ai parlamentari per ispezionare le condizioni dei detenuti. Ma Abelli, forse accecato dall’amore, ha trasformato questa facoltà in un’assistenza ad personam.

Le due storie parallele sono entrambe condite da auto di lusso, case ed aerei. Una Porsche Cayenne da 90 mila euro viene indicata dalla pubblica accusa come indizio di collegamento fra un clan camorrista di Marcianise (Caserta) e il figlio di Mastella, Pellegrino, che l’avrebbe avuta per 77 mila euro pagati dal consigliere regionale Udeur Nicola Ferraro, il cui cugino era affiliato alla cosca dei casalesi. «Non conosco il titolare dell’autosalone di Marcianise, e ho regolarmente pagato io l’auto», ribatte Mastella junior.

Una Porsche coupé 911 è invece quella che Grossi ha concesso «in uso» alla coppia Abelli a Milano: «Ma gli pago un regolare canone mensile di 743 euro», spiega Abelli. Non si capisce però perché mai un deputato non può prendere in leasing una porsche da un normale concessionario, invece di farsela dare da un re delle discariche in affari con regione e governo.

Anche villa Mastella a Ceppaloni è finita nel mirino dei magistrati. Secondo l’accusa, i lavori di costruzione e restauro sarebbero stati «pagati» dalla coppia con decine di contratti pubblici affidati alla ditta edile. Mentre a Milano gli Abelli beneficiavano di un vasto appartamento, anche quello concesso da Grossi. «Ma pago l’affitto di tasca mia», si giustifica Abelli, e non con soldi datigli in precedenza dallo stesso Grossi, come sospetta la procura.

Gli aerei, infine. Fu un volo di stato usato per andare da Roma al Gran premio di Monza nel 2007 a inguaiare Mastella e il figlio, fotografati all’imbarco. Ora è invece l’aereo privato del re delle discariche milanesi Grossi che, si scopre, viene usato come un taxi (ma gratis) ogni martedì e venerdì da Abelli, per i suoi trasferimenti da Milano alle sedute parlamentari romane. «Non ne ricavo alcun vantaggio», ribatte Abelli, «anzi, faccio risparmiare la Camera dei deputati che non deve rimborsare i viaggi».

Ma questi potrebbero anche essere dettagli folkloristici di malcostume. Il nocciolo delle accuse ai Mastella e agli Abelli è ben più grave. I primi sono accusati dai magistrati di essersi creati un vero e proprio feudo: l’Arpac (Agenzia regionale protezione ambiente Campania), che ha assunto quasi tutti i propri 655 dipendenti tramite raccomandazioni. «Raccomandare non è reato», dice Mastella. Ma se lo si fa su scala industriale, colonizzando un intero ente che eroga centinaia di milioni di appalti, forse qualche problema c’è. Soprattutto in Campania, dove come l’ambiente venga «protetto» lo si è visto con lo scandalo spazzatura.

Quanto alla coppia del Nord, la Gariboldi Abelli aveva un conto cifrato in una banca di Montecarlo, sul quale per ben dodici volte, dal 2001 al 2008, ha ricevuto da Grossi ingenti somme e per tre volte gliene rinviò, con un guadagno per sè di un milione e 200 mila euro. Insomma, i magistrati sospettano che lo abbia aiutato a riciclare 22 milioni di euro sovraffatturati per la bonifica dell’area Santa Giulia/Montecity a Rogoredo (Milano).

Sandra Lonardo Mastella non si è dimessa da presidente del consiglio regionale campano. Rosanna Gariboldi Abelli, invece, non entrerà in quello lombardo, dove stava per essere candidata alle elezioni che si terranno fra cinque mesi. Bloccata in extremis.

Mauro Suttora

Friday, June 20, 2008

Festa del cinema a Roma

La Capitale del debito fa pure la Festa del Cinema

Liberiamo la cultura dal Festival dei dittatori

di Mauro Suttora

Libero, 20 giugno 2008

Nei Paesi civili i politici non si intromettono nella cultura. Non la finanziano (con soldi altrui) con la scusa di «aiutarla» o «promuoverla». Infatti negli Stati Uniti non esiste un ministero della Cultura, né quella sciagura che sono gli assessori alla Cultura. La Gran Bretagna ha capitolato soltanto nel 1992, ma il nuovo Ministry of Culture britannico ha soprattutto il compito di preservare biblioteche e monumenti.

Solo i dittatori vogliono controllare la cultura. Per questo Mussolini creò nel ’32 la Mostra del cinema di Venezia. E il festival di Cannes nacque qualche anno dopo perché i francesi erano stufi delle interferenze fasciste e naziste a Venezia.

Dove il cinema funziona c’è poco bisogno di festival. Infatti a Hollywood ci sono gli Oscar, che si risolvono in una serata dopo un voto fra 5.800 professionisti del settore (non di una giuria di una decina di smandrappati). Ed è una cerimonia privata, senza finanziamenti pubblici.
Gli unici due festival di una certa rilevanza negli Usa (Sundance e Tribeca) sono legati all’impegno personale di Robert Redford e Robert De Niro, ad eventi particolari (il Tribeca è nato dopo l’11 settembre 2001 per risollevare le sorti del quartiere), e hanno pochissimi contributi pubblici.

Nei Paesi civili hanno letto Orson Welles. L’unico «aiuto» che i politici danno alle arti è la detassazione dei soldi investiti dai privati. Invece a Roma vige ancora, da duemila anni, la legge del «panem et circenses». Gli italiani trovano normale che chi ha il potere lo mantenga tramite l’elargizione di spettacoli, a carico dell’erario.

Dopo gli imperatori e i papi, a Roma 33 anni fa arrivò Renato Nicolini. Il primo «assessore alla Cultura» d’Italia. L’inventore dell’«estate romana». Un genio (sul serio, senza ironia: infatti i politici professionisti lo hanno fatto fuori). Due anni fa, invece, è nata la festa del Cinema. Una disgrazia. E non solo perché ha scialacquato decine di milioni in una città con sette miliardi di debito e in un Paese in rosso per 1.600 miliardi. Ma perché ha sbagliato tempo e luogo.

Il tempo. «Ma sono pazzi?», ho quando ho saputo che la festa del cinema di Roma si sarebbe svolta solo un mese dopo il festival di Venezia. Cioè di un evento che bene o male richiama l’attenzione mondiale, e dove infatti vengono un sacco di attori famosi. Che certo non ritornano in Italia dopo cinque settimane, anche se hanno un nuovo film da promuovere. Si chiama «cannibalizzazione». Sarebbe come se Parigi organizzasse una sua festa del cinema a giugno, un mese dopo Cannes.

E poi, ottobre. A Roma in ottobre da sempre non si trova una camera d’albergo vuota. E’ altissima stagione. Come ogni Pro loco sa, gli eventi si organizzano invece per tirar su la bassa stagione.
Ma mi hanno spiegato: «L’auditorium è libero solo in ottobre, prima che inizi la stagione dell’orchestra di Santa Cecilia». Quindi: decidono di organizzare un evento internazionale, prenotando decine di camere nei migliori alberghi e rompendo le balle ai turisti veri, quelli che pagano di tasca propria, solo per sistemare i bilanci in deficit dell’Auditorium (un altro esempio di soldi pubblici scialacquati nel faraonismo pseudoculturale dei politici).

Il luogo, infine. «La festa del cinema ha rilanciato l’immagine di Roma», dichiarò il sindaco Walter Veltroni dopo la prima edizione. Come se la città più bella del mondo avesse bisogno di un lifting d’immagine. Ma i festival fateli a Manfredonia, Monza, Monfalcone: tutte cittadine il cui nome giustamente comincia per M…

Dice: «Molte spese sono coperte dagli sponsor». Te li raccomando, gli «sponsor» a Roma. Sono quasi tutte aziende statali, parastatali, o comunque in debito di favori presso i politici. Certo che Lottomatica finanzia tanti circenses a Roma, invitando i papaveri in prima fila: chi gliela rinnova, altrimenti, la concessione per giochi e lotterie? Certo che la Camera di commercio romana è generosissima con Comune, Provincia e Regione: quante sue aziende dipendono da commesse pubbliche, licenze, permessi, varianti al piano regolatore?

La verità è che a Roma c’è poco o nulla di non parastatale. Perfino la Chiesa lo è diventata, con l’8 per mille. Ma lo spettacolo più buffo è la gente di spettacolo che chiede l’elemosina al burocrate. Il cinema italiano che, con le sale semivuote tranne Christian De Sica, Moccia e Pieraccioni, pretende soldi statali per fare film. E protesta se tagliano il Fus (Fondo unico spettacolo), che finanzia il sottobosco di produttori, maestranze, attori, comparse e pierre alla perenne ricerca di favori, lavoretti, consulenzine da dieci o centomila euro. Non a caso il film vincitore della prima festa del cinema di Roma, nel 2006, s’intitolava «Fare la vittima». Qualcuno l’ha visto?

A questo servono le feste del cinema. A regalare i soldi di chi non va al cinema a quelli che fanno un cinema che fa scappare dai cinema.
Sono andato alla prima dell’ultimo film con Nanni Moretti. All’uscita, davanti al cinema Sacher, c’era un caos calmo di auto blu e limousine parcheggiate. Tutte di sinistra. Al neosindaco di Roma Alemanno e al neoministro della Cultura Sandro Bondi un solo augurio: tagliate. Liberate la cultura.

Mauro Suttora