Showing posts with label mario borghezio. Show all posts
Showing posts with label mario borghezio. Show all posts

Wednesday, May 22, 2013

Duello Michaela-Cécile

LA SOTTOSEGRETARIA BIANCOFIORE E LA MINISTRO KJENGE: AGLI ANTIPODI

Oggi, 8 maggio 2013

di Mauro Suttora


Non fosse per quella benedetta ricrescita di capelli che ogni tanto svela la verità, Michaela Biancofiore sarebbe l’esatto contrario di Cécile Kyenge: (finta) bionda, nata a Bolzano (seppur romano-pugliese), di destra. E poi il cognome, un destino di purezza.
Era stata nominata sottosegretaria alle Pari opportunità. Ma lei ha subito ha perso l’opportunità di dimostrare il proprio valore, causa poco opportune dichiarazioni «omofobe» come «chi va con i trans ha seri problemi di posizionamento sessuale», «oggi purtroppo l’omosessualità è estremamente comune», «i gay si autoghettizzano, sono una casta». Spostata ad altro incarico.

Molte dichiarazioni anche su Cécile Kyenge, nuova ministra per l’Integrazione: «In un Paese civile non lo sarebbe mai diventata», l’ha accarezzata l’eurodeputato leghista Mario Borghezio, «è un elogio dell’incompetenza, fa parte di un governo bonga bonga». Lei ha risposto sobria, spiazzando i politicamente corretti: «Non dite che sono “di colore”: sono fiera di essere nera».

Nata nel Katanga, Congo profondo: padre benestante funzionario statale, capo villaggio con quattro mogli e 37 figli. Cécile voleva studiare medicina all’università, in Congo i burocrati la obbligano a iscriversi a farmacia, lei si ribella e riesce a ottenere una borsa di studio per la Cattolica di Roma. Arriva 30 anni fa, per mantenersi lavora come badante. Si specializza in oculistica, vent’anni fa si sposa con un ingegnere italiano, acquista la cittadinanza, ha due figlie oggi adolescenti: Giulia e Maisha. A Modena dove vive fonda un’associazione che aiuta gli immigrati, nel 2004 è consigliere di zona Ds, nel 2009 consigliere provinciale Pd. Eletta deputata in febbraio, la sua bandiera è lo «ius soli»: significa «legge del suolo», si è cittadini del Paese dove si nasce e non di quello dei propri genitori.
       
Michaela invece diventa berlusconiana già nel ’94, dopo il diploma magistrale. Si definisce «imprenditrice nel settore del wellness», ma è stata anche assistente alla regia in film di Carlo Verdone prodotti da Mario Cecchi Gori (Al lupo, al lupo, Maledetto il giorno che ti ho incontrato). «Sono una kamikaze imbottita di tritolo berlusconiano puro», dice, e non si toglie mai l’anello di Damiani che Silvio le ha regalato. Già fidanzata dell’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, che dieci anni fa la nominò «consigliere per le autonomie locali», consigliere provinciale Forza Italia nel 2003, deputata dal 2006. E adesso non vede l’ora di opporsi alle idee di Cécile.
Mauro Suttora

Wednesday, October 14, 2009

Il film 'Barbarossa'

ALLA PRIMA DEL KOLOSSAL LEGHISTA CON L'EURODEPUTATO MARIO BORGHEZIO

di Mauro Suttora

Oggi, 3 ottobre 2009

«Il cinghiale è un simbolo celtico. E anche il bosco». Mario Borghezio si appassiona al film Barbarossa fin dalla prima scena. Federico di Svevia è a caccia in una foresta, ma caduto a terra rischia di essere sopraffatto da un cinghiale. Un Alberto da Giussano ragazzino lo salva con la sua faretra, e l’imperatore tedesco lo ringrazia regalandogli un pugnale.

Siamo alla prima del kolossal, in un cortile del castello Sforzesco a Milano. C’è tutto lo stato maggiore della Lega Nord. A due metri da noi, in prima fila, siedono il premier Silvio Berlusconi e il ministro Giulio Tremonti, accanto a Umberto Bossi e Roberto Maroni. Il film del regista Renzo Martinelli, prodotto dalla Rai, è costato 22 milioni.

«Roma era debole e malata anche ottocento anni fa», commenta Borghezio, quando sullo schermo appare un papa succube del Barbarossa. «Sempre luogo di intrallazzi». Gli intrallazzi per la verità non mancano anche fra i comuni lombardi. Alcuni (Pavia, Como, Cremona) parteggiano per l’imperatore contro Milano, Lodi ne chiede la completa distruzione. E anche nel Piemonte di Borghezio, il Monferrato ghibellino si contrappone ad Alessandria guelfa. «La madre dei collaborazionisti è sempre incinta», sussurra l’eurodeputato leghista.

Poi si vedono gli esattori imperiali che si fanno odiare estorcendo ai lombardi tasse del trenta per cento: «Il disprezzo per i cittadini, allora come oggi, passa attraverso imposte esose e persecuzione fiscale. Così nasce la richiesta di libertà».

I milanesi sono divisi fra i sottomessi al Barbarossa e chi, come Alberto da Giussano (Raz Degan), vuole ribellarsi: «C’è sempre chi rinuncia a combattere, ma la storia costringe a prendere decisioni. La libertà non la regala nessuno, bisogna lottare per conquistarla. Alcuni padani capiscono che sono in stato di schiavitù, ma altri si tirano indietro. Anche oggi abbondano i rinunciatari».

Barbarossa circonda Milano con il suo esercito: «Per fortuna adesso non siamo più assediati, però siamo sempre insidiati dai mille traffici del potere centralista romano», commenta Borghezio.

Rasa al suolo la capitale lombarda nel 1162, Federico ne disperde gli abitanti sopravvissuti in sei direzioni diverse: «Roma da sempre vince e divide, ci mette gli uni contro gli altri. Solo la divisione fra padani consente al padrone di comandare».

Cominciano le prime riunioni segrete a Pontida: «Sembrano i primi incontri della Lega, ai tempi del secessionismo. Anche noi avevamo paura di essere ascoltati dal nemico. E quel Barozzi, emissario imperiale, i ricorda certi prefetti, simboli del governo centrale».

Per Borghezio, insomma, la lotta per l’autonomia è uguale oggi come nel dodicesimo secolo. Le somiglianze fra la Lega lombarda di allora e quella odierna sono tante: «La rapina fiscale è uguale, ma allora come ora ci sono i risvegliatori di popoli: Alberto da Giussano, Umberto Bossi. E il Carroccio resta il nostro simbolo primordiale».

Arriva la riscossa finale con la battaglia di Legnano, 1176: il Barbarossa si ritira in Germania dopo la vittoria dei lombardi. Che prevalgono anche grazie all’invenzione dei carri dotati di falci, che sterminano i cavalieri tedeschi: «La grande risorsa del fai da te padano...», commenta soddisfatto Borghezio. Che alla fine del film si alza e si mette in fila dietro a Bossi verso il catering.

Anche i leghisti ora hanno il loro Braveheart. E non dovranno più applaudire il Mel Gibson eroe medievale della Scozia indipendente. Unica concessione: per venderlo all’estero, il film ha dovuto essere intitolato al Barbarossa. Ma il vero protagonista si chiama Alberto/Umberto.

Mauro Suttora