LE PROVOCAZIONI DI FILIPPO ROSSI E DEGLI ALTRI GIORNALISTI FINIANI
di Mauro Suttora
Oggi, 25 agosto 2010
Provate a cercare su Google la parola «Fare futuro». Il nome della fondazione di Gianfranco Fini batte «fare l’amore» e «fare soldi» per cinque milioni di risultati contro mezzo milione e 400 mila, rispettivamente. Incredibile: le due attività più piacevoli della vita stracciate da un sito politico. Questo spiega ed è spiegato (causa ed effetto) dall’estate più pazza nella storia dei partiti italiani: un intero agosto passato da tv e giornali a registrare ogni sospiro di Fini e del suo nuovo avversario, il premier Silvio Berlusconi che lo rese «presentabile» nel 1993, e col quale appena due anni fa aveva fondato il Popolo della Libertà.
«Il berlusconismo è fatto di ricatti, menzogne, editti e killeraggio», ha scritto Filippo Rossi, direttore della rivista online di Fare futuro. Definizione durissima, che neppure gli oppositori del Partito democratico userebbero. Ormai siamo in territorio Di Pietro-Grillo. Presa di distanza immediata, quindi da parte dei 44 parlamentari transfughi finiani: «Editoriale fuori misura», hanno tagliato corto i capigruppo Italo Bocchino e Pasquale Viespoli.
Ma l’autore non fa marcia indietro: «A Fare futuro siamo commentatori e giornalisti», ci dice Rossi, «non facciamo direttamente politica, ma cultura. E registriamo sensazioni che abbiamo dentro di noi o attorno a noi».
Rossi come Vittorio Feltri? Il direttore del webmagazine finiano come quello de Il Giornale berlusconiano, che dopo la rottura non lascia passar giorno senza un titolo a nove colonne in prima pagina contro Fini? Giornalisti entrambi, Rossi e Feltri mitragliano all’impazzata. Poi arrivano i politici a smentire, attenuare, minimizzare. Ma intanto il danno è fatto, le parole sono state dette e scritte, il clima avvelenato.
Rossi non accetta il paragone con Feltri (o con Maurizio Belpietro, direttore di Libero, l’altro quotidiano belusconofilo altrettanto aggressivo): «Noi facciamo analisi politiche, non attacchi personali». Beh, accusare i berlusconiani di essere dei killer... «E cosa fanno da un anno, se non accusare Fini di qualsiasi nefandezza? Gettano cacca nel ventilatore, e alla fine qualche schizzo resta attaccato. Si sono ridotti ad attaccare il fratello della compagna di Fini, oppure a rovistare fra le fatture di una cucina Scavolini».
A proposito: non sarebbe meglio che Fini, per tacitare le accuse, dicesse sempre tutto e subito?
«In che senso?»
Che spieghi chi c’è dietro le società fantasma che hanno acquistato la casa di Montecarlo affittata dal fratello della sua compagna Elisabetta Tulliani, e se quella cucina l’ha comprata per lui. Magari aggiungendo: «Se ho commesso qualche stupidaggine, l’ho fatto per amore». Gli italiani capirebbero. Almeno quelli che tengono famiglia. Cioè quasi tutti.
«Ma figurarsi se il presidente della Camera deve abbassarsi a rispondere. Non può partecipare a questo gioco al massacro. Ha già dato abbastanza spiegazioni. D’altra parte, lo stesso Feltri ammette che si tratta soltanto di “questioni di galateo politico”. Non stiamo parlando certo di reati, di cui invece sono formalmente accusati vari dirigenti berlusconiani. Insomma, non è ridicolo che tutto il dibattito politico di una nazione, con i problemi che abbiamo, debba ruotare attorno a un piano rialzato a Montecarlo, una cucina componibile, una schedina Enalotto?»
Beh, è capitato anche a Clinton e Monica, a Sarkozy e Carla.
«Ecco. Invece noi vorremmo parlare di politica, possibilmente».
À la guerre comme à la guerre, però. Quindi, adesso ai giornali berlusconiani Elisabetta Tulliani risponde solo con querele: contro Il Giornale, Libero, il settimanale Panorama. Una linea dura suggerita probabilmente da Giulia Bongiorno, l’avvocata-deputata in questi giorni più vicina alla coppia Fini-Tulliani. Era stata lei a mettere una pietra tombale sul primo matrimonio di Fini con Daniela Di Sotto, trovando un accordo che impedisse alla signora di recriminare. Ora, invece, nessuna spiegazione all’opinione pubblica, nessun cedimento.
E poi ci sono i giornalisti mandati avanti a lanciare provocazioni, un po’ come vent’anni fa Gorbacev utilizzava Eltsin, «kamikaze della perestroika». Oltre a Rossi (ex Tempo e Italia Settimanale di Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco) fra i finiani brilla la stella di Flavia Perina, direttrice del quotidiano dell’ex An, Il Secolo. Una somiglianza con la governatrice del Lazio Renata Polverini, ogni volta che apre bocca è un carico da novanta. I metodi del Pdl? «Stalinisti». La legge sul «processo breve», ritenuta non trattabile da Berlusconi? «Deve servire solo a snellire la macchina della giustizia». E poi, sul suo giornale, giù paginate urticanti per i benpensanti della destra vandeana. «Aperture» su tutto: coppie di fatto, testamento biologico, cittadinanza agli immigrati, procreazione assistita...
Gli ex missini sono diventati radicali? Hanno rubato loro il mestiere di baluardo della laicità? Con «dibattiti culturali» come questi, da parte dei finiani, scintille garantite.
Mauro Suttora
Wednesday, September 01, 2010
Cinque genitori per una figlia
UN GAY SARDO, EX ASSISTENTE DI ORIANA FALLACI, HA UNA FIGLIA CON IL SUO MARITO AMERICANO GRAZIE A DUE MADRI: UNA SURROGATA E UNA BIOLOGICA
di Mauro Suttora
New York, 25 agosto 2010
«Pensando a Oriana, definirei la mia storia “Lettera a una bambina che non sarebbe mai nata”. Perché se fossi rimasto in Italia non sarei mai potuto diventare padre in questo modo».
Sandro Sechi, 40 anni, ora è una persona felice nella sua casa di Brooklyn. Nato a Sassari, laureato in Letteratura russa a Milano, in America ha veramente trovato l’America. Emigrato a New York, è stato assistente della grande scrittrice Oriana Fallaci negli ultimi anni della sua vita, fino al 2006. Ha raccontato quella straordinaria esperienza nel libro Gli occhi di Oriana (Fazi). Nello stesso periodo, cinque anni fa, oltre al lavoro ha trovato l’amore: Erik Mercer, 41 anni, psicologo di omicidi incarcerati, che negli Stati Uniti rischiano la pena di morte. Lo ha conosciuto in una palestra di Manhattan, poi è arrivata la convivenza.
«Lo stato di New York è uno dei tre - oltre al Rhode Island e al Maryland - che riconosce le coppie di fatto», ci spiega Sechi. Il che gli permette di essere coperto dall’assicurazione sanitaria di Erik. Lui a Manhattan dirige la scuola di lingue «Italian Forever» presso il consolato d’Italia, e ha tradotto in inglese sia Gli occhi di Oriana, sia il libro L’Angelo degli assassini che ha scritto su Erik, cui è interessato l’editore Usa Harper Collins.
Due anni fa, la grande decisione: Sandro ed Erik desiderano un figlio. Ma proprio un figlio loro, non adottato. Un’amica d’infanzia di Erik a Boston, Rachel Segall, ebrea praticante, sposata e madre di tre figli, si è offerta come madre surrogata, d’accordo con il marito Tony. «Un atto di generosità incredibile», dice Sechi. Ma ha messo a disposizione solo il proprio utero: gli ovuli impiantati sono di un’altra donna.
In totale, quindi, sono cinque gli adulti coinvolti nella nascita di Rachel Maria, venuta alla luce il 14 agosto alle sette del mattino nell’ospedale Beth Israel di Boston. «Pesava tre chili e tre etti», racconta raggiante Sechi, «era lunga 51 centimetri». E ora l’hanno portata a casa, a New York.
Nessun dubbio etico, Sechi? «Erik ed io abbiamo meditato a lungo su questa nostra scelta, che in Italia sarebbe impossibile. Primo, perché non c’è il matrimonio gay, secondo perché non sono riconosciute neanche le coppie di fatto, terzo perché la legge del 2004 proibisce la fecondazione assistita eterologa, cioè al di fuori di una coppia eterosessuale sposata. Figurarsi per le coppie omosessuali!».
Ammetterà che, vista dall’Italia, questa vostra paternità può sembrare un’«americanata». «Io sono cattolico praticante. So che la mia Chiesa condanna l’omosessualità. Ma non quella di Erik, i cui genitori anzi sono entrambi pastori protestanti. E suo padre mi ha presentato senza problemi in chiesa ai loro fedeli come “compagno di nostro figlio”».
E la sua famiglia? «Gli italiani sono più avanti del governo e della gerarchia religiosa. Quando sono tornato a Sassari per informare i miei, due fratelli, due sorelle e sei nipoti dell’arrivo di Rachel Maria, tutti erano entusiasti e abbiamo festeggiato a spumante. Maria è il nome di mia madre, morta poco dopo il mio incontro con Erik. Rachel, in omaggio alla madre surrogata».
Com’è andata, in concreto? «Abbiamo firmato un contratto di venti pagine su responsabilità, diritti e obblighi di tutti noi cinque. Ci siamo sottoposti a due visite psicologiche in una clinica della fertilità: la prima insieme, la seconda in coppie separate. Poi abbiamo visto le foto da bambina e da adulta delle possibili donatrici di ovulo, con un documento di una quindicina di pagine con tutti i dati necessari a partire dai bisnonni, per evitare il rischio di malattie genetiche».
A pagamento? «Sì, e con costi alti. Ci ha aiutati Seth MacFarlane, autore della serie tv I Griffin e cugino di mio marito».
Con Erik vi siete sposati? «Il matrimonio era necessario per avere i nostri due nomi sul certificato di nascita della bimba. Così nel marzo di quest’anno siamo andati a sposarci in Massachusetts, uno dei cinque stati americani che permette le nozze gay».
Cosa sapete della madre biologica? «Che è una bellissima ragazza metà americana e metà italiana, come noi. Fra l’altyro, gli ovuli di una studentessa di Harvard o Yale costano il triplo, perché qui l’istruzione è considerata un fattore importante. Ma per contratto è anonima, percepisce un compenso, non saprà il risultato della fecondazione assistita, non potremo incontrarla».
Ma di voi, chi è il padre? «Erik ha fecondato tre ovuli, io due. Ne sono stati impiantati tre, non sappiamo di chi. Gli altri due sono congelati, se vorremo un altro figlio. Anche questo è proibito in Italia».
Quindi non sapete chi è il padre? «No, se Rachel Maria non assomiglierà vistosamente a uno di noi. Così nessuno sarà geloso...»
Chissà cosa avrebbe detto Oriana. «Lei nel ’75 pubblicò la famosa Lettera a un bambino mai nato, in cui si diceva desiderosa di poter usufruire di quella misteriosa tecnologia che permetteva il trapianto dell’embrione in un altro utero, cosicché lei potesse godersi la maternità senza la sofferenza dell’immobilismo forzato a letto impostole dal dottore. Ma quelli erano i bei tempi dell’Oriana, ben diversi dagli ultimi anni in cui, nel libro L’Apocalisse, si batte furiosamente contro le adozioni e i matrimoni omosessuali, o quando condanna l’eutanasia. Certo non mi avrebbe approvato. Non per credo personale, però: solo per far polemica, come al solito».
Ma quando la vostra Rachel Maria sarà grande, cosa le direte?
«Che ci sono tanti tipi di famiglie, e che anche la nostra si impegna a fare felici i propri figli e a insegnar loro i valori del vivere civile».
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
New York, 25 agosto 2010
«Pensando a Oriana, definirei la mia storia “Lettera a una bambina che non sarebbe mai nata”. Perché se fossi rimasto in Italia non sarei mai potuto diventare padre in questo modo».
Sandro Sechi, 40 anni, ora è una persona felice nella sua casa di Brooklyn. Nato a Sassari, laureato in Letteratura russa a Milano, in America ha veramente trovato l’America. Emigrato a New York, è stato assistente della grande scrittrice Oriana Fallaci negli ultimi anni della sua vita, fino al 2006. Ha raccontato quella straordinaria esperienza nel libro Gli occhi di Oriana (Fazi). Nello stesso periodo, cinque anni fa, oltre al lavoro ha trovato l’amore: Erik Mercer, 41 anni, psicologo di omicidi incarcerati, che negli Stati Uniti rischiano la pena di morte. Lo ha conosciuto in una palestra di Manhattan, poi è arrivata la convivenza.
«Lo stato di New York è uno dei tre - oltre al Rhode Island e al Maryland - che riconosce le coppie di fatto», ci spiega Sechi. Il che gli permette di essere coperto dall’assicurazione sanitaria di Erik. Lui a Manhattan dirige la scuola di lingue «Italian Forever» presso il consolato d’Italia, e ha tradotto in inglese sia Gli occhi di Oriana, sia il libro L’Angelo degli assassini che ha scritto su Erik, cui è interessato l’editore Usa Harper Collins.
Due anni fa, la grande decisione: Sandro ed Erik desiderano un figlio. Ma proprio un figlio loro, non adottato. Un’amica d’infanzia di Erik a Boston, Rachel Segall, ebrea praticante, sposata e madre di tre figli, si è offerta come madre surrogata, d’accordo con il marito Tony. «Un atto di generosità incredibile», dice Sechi. Ma ha messo a disposizione solo il proprio utero: gli ovuli impiantati sono di un’altra donna.
In totale, quindi, sono cinque gli adulti coinvolti nella nascita di Rachel Maria, venuta alla luce il 14 agosto alle sette del mattino nell’ospedale Beth Israel di Boston. «Pesava tre chili e tre etti», racconta raggiante Sechi, «era lunga 51 centimetri». E ora l’hanno portata a casa, a New York.
Nessun dubbio etico, Sechi? «Erik ed io abbiamo meditato a lungo su questa nostra scelta, che in Italia sarebbe impossibile. Primo, perché non c’è il matrimonio gay, secondo perché non sono riconosciute neanche le coppie di fatto, terzo perché la legge del 2004 proibisce la fecondazione assistita eterologa, cioè al di fuori di una coppia eterosessuale sposata. Figurarsi per le coppie omosessuali!».
Ammetterà che, vista dall’Italia, questa vostra paternità può sembrare un’«americanata». «Io sono cattolico praticante. So che la mia Chiesa condanna l’omosessualità. Ma non quella di Erik, i cui genitori anzi sono entrambi pastori protestanti. E suo padre mi ha presentato senza problemi in chiesa ai loro fedeli come “compagno di nostro figlio”».
E la sua famiglia? «Gli italiani sono più avanti del governo e della gerarchia religiosa. Quando sono tornato a Sassari per informare i miei, due fratelli, due sorelle e sei nipoti dell’arrivo di Rachel Maria, tutti erano entusiasti e abbiamo festeggiato a spumante. Maria è il nome di mia madre, morta poco dopo il mio incontro con Erik. Rachel, in omaggio alla madre surrogata».
Com’è andata, in concreto? «Abbiamo firmato un contratto di venti pagine su responsabilità, diritti e obblighi di tutti noi cinque. Ci siamo sottoposti a due visite psicologiche in una clinica della fertilità: la prima insieme, la seconda in coppie separate. Poi abbiamo visto le foto da bambina e da adulta delle possibili donatrici di ovulo, con un documento di una quindicina di pagine con tutti i dati necessari a partire dai bisnonni, per evitare il rischio di malattie genetiche».
A pagamento? «Sì, e con costi alti. Ci ha aiutati Seth MacFarlane, autore della serie tv I Griffin e cugino di mio marito».
Con Erik vi siete sposati? «Il matrimonio era necessario per avere i nostri due nomi sul certificato di nascita della bimba. Così nel marzo di quest’anno siamo andati a sposarci in Massachusetts, uno dei cinque stati americani che permette le nozze gay».
Cosa sapete della madre biologica? «Che è una bellissima ragazza metà americana e metà italiana, come noi. Fra l’altyro, gli ovuli di una studentessa di Harvard o Yale costano il triplo, perché qui l’istruzione è considerata un fattore importante. Ma per contratto è anonima, percepisce un compenso, non saprà il risultato della fecondazione assistita, non potremo incontrarla».
Ma di voi, chi è il padre? «Erik ha fecondato tre ovuli, io due. Ne sono stati impiantati tre, non sappiamo di chi. Gli altri due sono congelati, se vorremo un altro figlio. Anche questo è proibito in Italia».
Quindi non sapete chi è il padre? «No, se Rachel Maria non assomiglierà vistosamente a uno di noi. Così nessuno sarà geloso...»
Chissà cosa avrebbe detto Oriana. «Lei nel ’75 pubblicò la famosa Lettera a un bambino mai nato, in cui si diceva desiderosa di poter usufruire di quella misteriosa tecnologia che permetteva il trapianto dell’embrione in un altro utero, cosicché lei potesse godersi la maternità senza la sofferenza dell’immobilismo forzato a letto impostole dal dottore. Ma quelli erano i bei tempi dell’Oriana, ben diversi dagli ultimi anni in cui, nel libro L’Apocalisse, si batte furiosamente contro le adozioni e i matrimoni omosessuali, o quando condanna l’eutanasia. Certo non mi avrebbe approvato. Non per credo personale, però: solo per far polemica, come al solito».
Ma quando la vostra Rachel Maria sarà grande, cosa le direte?
«Che ci sono tanti tipi di famiglie, e che anche la nostra si impegna a fare felici i propri figli e a insegnar loro i valori del vivere civile».
Mauro Suttora
parla Benedetto Della Vedova
"VOGLIAMO SOLO UN PARTITO DI CENTRODESTRA MODERNO"
Oggi, 25 agosto 2010
di Mauro Suttora
Della Vedova, che ci fa con tutti quei «terroni»?
L’imperturbabile Benedetto valtellinese, «colombissima» finiana, non si scompone: «I settentrionali non ci mancano: Valditara, la Moroni, la Germontani, Menia...»
Ma la stragrande maggioranza di voi 44 parlamentari di Libertà e futuro è meridionale. Infatti si parla di nuova «Lega Sud».
«Fini fa bene a chiedere garanzie sul federalismo. Ora sono in Grecia in vacanza: a causa di Atene perfino la Germania ha tremato. Allo stesso modo, la Lombardia non può ignorare Calabria e Sicilia. Lo dice uno come me, che più di nord non si può...»
È di Sondrio anche il suo ex amico Tremonti.
«Lo conobbi nel 2000, quando trattai con lui per conto di Pannella. Poi purtroppo invece della Bonino scelse Bossi. E oggi non posso condividere le sue analisi contro il mercatismo».
Così come Berlusconi condivide pochissimo di Fini.
«L’unica cosa che vogliamo è un centrodestra moderno, europeo. Come quelli di Cameron, Merkel, Sarkozy. Diventati premier dopo confronti intestini non da poco».
Proprio quel che Silvio detesta: le lotte interne ai partiti.
«Ma tutti i partiti del mondo democratico sono “contendibili”: c’è competizione di idee, e ci si conta nei congressi, o alle primarie».
Partiti del secolo scorso, dicono nel Pdl.
«Non mi pare. Obama e la Clinton si sono scannati alle primarie, e ora governano assieme. Blair e Brown si detestavano. Non parliamo dei due capi francesi del centrodestra, Sarkozy e Villepin, finiti in tribunale».
Appunto.
«Al congresso di fondazione del Pdl Fini disse: “So di essere in minoranza su alcuni temi: bioetica, immigrazione. Non pretendo nulla, solo dibattito”. Il confronto è l’essenza del liberalismo. Qualcuno nel Pdl vuole il centralismo democratico, ma è quello ad essere vecchissimo. Possibile che in una città europea come Milano siamo ridotti a dover scegliere fra La Russa, Cl e Calderoli?»
Verdini dice che il Pdl serve per diffondere le idee di Berlusconi fra la gente.
«Raccapricciante. Vedo in giro troppi analfabeti della politica».
Immigrati: c’era una volta la legge Bossi-Fini.
«Chi prende il filobus 90/91 a Milano prova disagio. La sinistra dice: non dovete avere paura. La Lega dice: dovete averla. Noi diciamo: i problemi non vanno né negati né creati, ma governati».
Quando ha parlato l’ultima volta con Berlusconi?
«Cinque mesi fa. Mi dispiace che ora come editore avalli il tentativo di distruzione di un avversario politico interno».
Non sopportava lo stillicidio di critiche di Fini.
«“Stillicidio” non è una categoria politica, ma sociologica. In realtà non abbiamo mai votato contro il governo. Questi sono i fatti. E non vogliamo farlo nel futuro. Tutto il resto è solo racconto fantasioso di Feltri».
Ma a destra Fini non è più tanto amato.
«Se invece di Feltri leggessero Ferrara, giornalista altrettanto vicino a Berlusconi e intelligente, gli elettori di centrodestra penserebbero diversamente».
Due mesi fa immaginava che sarebbe successo tutto questo casino?
«No. Pensavo che in Berlusconi avrebbe prevalso l’intuito politico, che avrebbe accettato nel suo interesse di un Pdl più aperto e inclusivo».
Finirete in un partito di centro con Casini, Rutelli e Montezemolo?
«No. Vogliamo rimanere nel centrodestra. Ma se vogliono distruggerci, ricorreremo alla legittima difesa».
Oggi, 25 agosto 2010
di Mauro Suttora
Della Vedova, che ci fa con tutti quei «terroni»?
L’imperturbabile Benedetto valtellinese, «colombissima» finiana, non si scompone: «I settentrionali non ci mancano: Valditara, la Moroni, la Germontani, Menia...»
Ma la stragrande maggioranza di voi 44 parlamentari di Libertà e futuro è meridionale. Infatti si parla di nuova «Lega Sud».
«Fini fa bene a chiedere garanzie sul federalismo. Ora sono in Grecia in vacanza: a causa di Atene perfino la Germania ha tremato. Allo stesso modo, la Lombardia non può ignorare Calabria e Sicilia. Lo dice uno come me, che più di nord non si può...»
È di Sondrio anche il suo ex amico Tremonti.
«Lo conobbi nel 2000, quando trattai con lui per conto di Pannella. Poi purtroppo invece della Bonino scelse Bossi. E oggi non posso condividere le sue analisi contro il mercatismo».
Così come Berlusconi condivide pochissimo di Fini.
«L’unica cosa che vogliamo è un centrodestra moderno, europeo. Come quelli di Cameron, Merkel, Sarkozy. Diventati premier dopo confronti intestini non da poco».
Proprio quel che Silvio detesta: le lotte interne ai partiti.
«Ma tutti i partiti del mondo democratico sono “contendibili”: c’è competizione di idee, e ci si conta nei congressi, o alle primarie».
Partiti del secolo scorso, dicono nel Pdl.
«Non mi pare. Obama e la Clinton si sono scannati alle primarie, e ora governano assieme. Blair e Brown si detestavano. Non parliamo dei due capi francesi del centrodestra, Sarkozy e Villepin, finiti in tribunale».
Appunto.
«Al congresso di fondazione del Pdl Fini disse: “So di essere in minoranza su alcuni temi: bioetica, immigrazione. Non pretendo nulla, solo dibattito”. Il confronto è l’essenza del liberalismo. Qualcuno nel Pdl vuole il centralismo democratico, ma è quello ad essere vecchissimo. Possibile che in una città europea come Milano siamo ridotti a dover scegliere fra La Russa, Cl e Calderoli?»
Verdini dice che il Pdl serve per diffondere le idee di Berlusconi fra la gente.
«Raccapricciante. Vedo in giro troppi analfabeti della politica».
Immigrati: c’era una volta la legge Bossi-Fini.
«Chi prende il filobus 90/91 a Milano prova disagio. La sinistra dice: non dovete avere paura. La Lega dice: dovete averla. Noi diciamo: i problemi non vanno né negati né creati, ma governati».
Quando ha parlato l’ultima volta con Berlusconi?
«Cinque mesi fa. Mi dispiace che ora come editore avalli il tentativo di distruzione di un avversario politico interno».
Non sopportava lo stillicidio di critiche di Fini.
«“Stillicidio” non è una categoria politica, ma sociologica. In realtà non abbiamo mai votato contro il governo. Questi sono i fatti. E non vogliamo farlo nel futuro. Tutto il resto è solo racconto fantasioso di Feltri».
Ma a destra Fini non è più tanto amato.
«Se invece di Feltri leggessero Ferrara, giornalista altrettanto vicino a Berlusconi e intelligente, gli elettori di centrodestra penserebbero diversamente».
Due mesi fa immaginava che sarebbe successo tutto questo casino?
«No. Pensavo che in Berlusconi avrebbe prevalso l’intuito politico, che avrebbe accettato nel suo interesse di un Pdl più aperto e inclusivo».
Finirete in un partito di centro con Casini, Rutelli e Montezemolo?
«No. Vogliamo rimanere nel centrodestra. Ma se vogliono distruggerci, ricorreremo alla legittima difesa».
Monday, August 23, 2010
Reportage: Irlanda del Nord
IL CIELO SOPRA BELFAST
Un nuovo quartiere per celebrare i cent'anni del Titanic. Il vecchio mercato coperto tirato a lucido. Chef stellati acclamati da tutta Europa. Frotte di giovani che popolano storici pub e night club very cool. E la guerra civile? L'hanno messa al muro...
di Mauro Suttora
I viaggi del Sole, agosto 2010
Se arrivate a Belfast in aereo, controllate sul biglietto la sigla dell'aeroporto. Bfs? È quello internazionale. Qui giunge l'unico volo diretto con l'Italia, da Roma (Aer Lingus). Ma se provenite da Londra, ci sono buone probabilità che atterriate nell'unico aeroporto al mondo intitolato a un calciatore: George Best. Il campione nato a Belfast vinse Coppa dei Campioni e Pallone d'oro con il Manchester United nel 1968. Indisciplinato, geniale e alcolista, è morto nel 2005 a soli 59 anni, ma per gli inglesi è rimasto un idolo popolare amato quanto i Beatles. E in Irlanda del Nord lo è ancora di più.
Ora John Kindness, lo scultore che undici anni fa realizzò la statua più curiosa di Belfast, un salmone blu (Big Fish) di dieci metri a Donegall Quay sul fiume Lagan, ne sta preparando un'altra di George Best ad altezza naturale. Verrà collocata nel punto più bello della città, il prato davanti al palazzo del Comune, quando i nordirlandesi smetteranno di litigare anche sull'importanza di George Best, oltre che sull'altra celebrità contemporanea locale, il rocker Van Morrison, che però li ha snobbati trasferendosi in California.
Il sole dopo la tempesta
L'importante, intanto, è che abbiano smesso di combattere, i nordirlandesi. Tutte le guerre sono stupide, ma quella civile fra cattolici e protestanti, durata tre decenni (1968-98) e costata tremila morti, lo è stata in particolar modo. A noi italiani piace drammatizzare tutto, e abbiamo chiamato "Anni di Piombo" quelli del nostro terrorismo. I britannici e gli irlandesi, viceversa, amano l'understatement, e si riferiscono alla loro nuova e crudele Guerra dei Trent'anni semplicemente come The Troubles. Letteralmente: i problemi, i disordini.
Ora l'ex capo dell'Ira Martin McGuinness è vicepremier. Il capo del braccio politico Sinn Féin, Gerry Adams, pure lui accusato di terrorismo, è un rispettato parlamentare britannico. E l'ultraottantenne leader degli estremisti protestanti, il reverendo Ian Paisley, sta per essere nominato Lord dalla Regina Elisabetta. Il merito di aver messo d'accordo le opposte fazioni, per la cronaca, va all'ex presidente Usa Bill Clinton.
Oggi chi vuole rendersi conto dell'atmosfera cupa in cui l'Ulster era precipitato per tre decenni può effettuare un giro turistico fra i murales cattolici e protestanti nelle rispettive roccaforti, Falls Road e Shankill Road, alla periferia ovest di Belfast. Il muro che separa i quartieri adiacenti e diseredati è ancora in piedi, e gli slogan non sono affatto pacifici: dall'una e dall'altra parte, simmetricamente simili, abbondano le invettive militariste. Anche quando si commemorano Bobby Sands e gli altri suicidi tramite sciopero della fame del 1981. Ma è roba del passato. Merito anche dei tanti film (a cominciare da La moglie del soldato di Neil Jordan), libri (come Eureka Street di Robert McLiam Wilson) e canzoni ( Sunday Bloody Sunday degli U2) che hanno smitizzato le figure degli "eroi" violenti.
Così, dopo dodici anni di pace, oggi Belfast è ridiventata una tranquilla città di mezzo milione di abitanti, un po' irlandese e un po' britannica, non bella, ma affascinante, soprattutto se la si frequenta il venerdì e il sabato sera, quando i giovani invadono la scena. Con divertenti orde di ragazze rumorose e un po' brille che vagano per la città in minigonna e scarpe laccate dai colori fosforescenti. Il rock prevale sulle ballate tradizionali. Si fa amicizia subito con tutti, magari in piedi davanti al bancone, sorseggiando birra nelle serate affollatissime. Che però, almeno nei pub, terminano all'una di notte. Dopo, chi vuole proseguire la festa si trasferisce sotto il Merchant Hotel di Waring Street, dove c'è la discoteca migliore della città: Ollie's.
Appuntamento al pub
Le decine di pub continuano però a essere l'attrazione principale della città. I più caratteristici sono visitabili con un giro a piedi di due ore: il Pub Walking Tour (www.belfastpubtours.com, tel. 0044-2892683665, chiedere di Judy). Utile, anche perché alcuni dei locali migliori sono nascosti in vicoli secondari difficilmente scovabili senza una guida.
Il Morning Star in Pottinger's Entry, per esempio, nato già nel 1810, fu ristorante per marinai e posta per il cambio dei cavalli. Vicino, guarda caso, oggi c'è una sala corse e i clienti più assidui del locale sono proprio gli scommettitori. Il White's Tavern è invece il più antico: 1630. Nel Wine Cellar Entry suonano folk dal vivo. Mentre il Kelly's Cellars in Bank Street, datato 1720 e pieno di cimeli, espone la scritta in gaelico Céad míle fáite, centomila benvenuti.
Infine il John Hewitt (intitolato all' omonimo poeta, 1907-1987), in Donegall Street, nel quartiere studentesco dell'università dell'Ulster accanto alla severa cattedrale protestante di Belfast, St. Anne, che ha conquistato il titolo di miglior gastropub di quest'anno. Perché, al contrario di quello che si possa pensare, la cucina irlandese è squisita e molto raffinata. Qualunque cosa ci sia nel piatto: zuppe di pesce, di verdura o di cereali; salmone, nasello, o rombo; cozze o ostriche; filetto di manzo, agnello, anatra, coniglio, o vellutati e purè di patate; pane di cereali o bap, la pagnotta soffice di Belfast, o ancora le scones, le focaccine da imburrare.
E la nave va
Il gioiello di Belfast adesso è il cantiere del Titanic, dove cent'anni fa fu progettato e costruito il transatlantico. Da poco è visitabile sia via mare con un tour dal porto (www. laganboatcompany.com, tel. 0044-2890330844, partenze di fronte alla scultura Big Fish, chiedere del loquacissimo Derek), sia via terra grazie a un piccolo museo che sarà ampliato in vista del centenario del varo nel 2012.
Su quelli che una volta furono gli sterminati cantieri navali Harland and Wolff, con le loro due maxigru gialle soprannominate Sansone e Golia, sta sorgendo la città del futuro: quel Titanic Quarter, sulla Queen's Island, dedicato alla nave più conosciuta della storia, costruita qui a partire dal 1909 e affondata nel viaggio inaugurale per la nota collisione con l'iceberg.
Gli irlandesi ci tengono a precisare: «Quando salpò da Belfast era perfetta, tutta a posto. Non è colpa nostra se chi era al timone, guarda caso un inglese, il capitano Edward Smith, l'ha portata al disastro».
Il futuro oltre la crisi
Oggi Belfast non detiene più il primato mondiale per la costruzione delle navi da crociera, ma le gru all'opera ci sono lo stesso. Sono quelle che stanno costruendo il nuovo quartiere residenziale: un investimento da sette miliardi di sterline e di quindici anni di lavori per nuovi edifici nell'area portuale che era rimasta abbandonata. Certo la crisi si fa sentire e i lavori vanno a rilento, ma entro il 2012 dovrebbe essere pronto il nuovo, grande museo del Titanic, a forma di transatlantico, per festeggiare degnamente il secolo di un mito che continua a generare lavoro e intrattenimento.
E il restyling, si fa per dire, ha colpito anche un'altra icona cittadina, il St. George's Market , lo storico mercato coperto da poco restaurato, con banchi di formaggi, pâté, carne, pesce, bacon, salsicce, biscotti, dolci. Il suo fascino non è stato intaccato neppure dall' apertura di due sterminati centri commerciali moderni in centro, Victoria Square e Castle Court, con le loro centinaia di negozi e decine di ristoranti. Persino il tradizionale stile irlandese cerca venti di novità. Così Avoca (41 Arthur Street, tel. 0044-2890279950, www.avoca.ie), catena di boutique dell'orgoglio tessile made in Ireland, dagli abiti all'arredamento, indugia tra stampe e colori di tendenza.
Per finire, vale la pena recarsi appena fuori città e vedere il palazzo di Stormont. Enorme, inversamente proporzionale al numero di abitanti dell' Irlanda del Nord (appena 1,7 milioni), fu costruito dagli inglesi come ostentazione del loro potere dopo l' indipendenza del resto d' Irlanda nel 1921. Volevano una copia del Campidoglio di Washington, ma dopo la crisi economica del 1929 l'edificio rimase senza cupola.
Tutta Belfast in 10 mosse
1. Donegall Square
Il grande prato rasato di fronte al palazzo del Comune, costruito in stile rinascimentale nel 1906 al posto dell'antico White Linen Hall, è più di una semplice distesa verde. Qui ci si sdraia a prendere il (raro) sole, ed è uno dei principali luoghi di ritrovo della città (www. gotobelfast.com). Sul lato nord della piazza, la Linen Hall Library è una vecchia e silenziosa biblioteca con visite guidate (www.linenhall.com).
2. Palazzo di Stormont
A 7 km da Belfast, è l'ex sede del Parlamento nordirlandese, e oggi ospita la Northern Ireland Assembly. Vicino all'edificio c'è il castello omonimo. Gli edifici sono chiusi al pubblico, ma il grande parco è aperto fino alle 19.30. Upper Newtownards Road, tel. 0044-2890520700.
3. The Crown Liquor Saloon
Il pub più importante della città, voluto da Patrick Flanagan nel 1885, all'interno di un edificio del 1826 in perfetto stile vittoriano con interni decorati in vetri e piastrelle colorate. Un vero monumento cittadino. 46 Great Victoria Street, tel. 00442890243187, www.crownbar.com.
4. St. George's Market
Lo storico mercato coperto è uno degli edifici più antichi della città. Quasi 250 negozi che vendono di tutto, dall'antiquariato alla frutta fresca. 12-20, East Bridge Street, tel. 0044-2890435704, www.belfastcity.gov.uk/stgeorge.
5. Victoria Square Un moderno shopping center che occupa un intero isolato con 50 negozi e 17 ristoranti. 1 Victoria Square, tel. 0044-2890322277, www.victoriasquare.com.
6. Castle Court
L'altro enorme centro commerciale è tristemente famoso perché subì ben nove attentati dell'Ira: cinque durante la costruzione e quattro dopo l'apertura. Un altro punto caldo della città. Si trova all' incrocio tra Royal Avenue e Berry Street (tel. 0044-2890234591, www.westfi eld.com/castlecourt).
7. Titanic's Dock
Un museo realizzato nei cantieri, allora tra i più grandi del mondo, che costruirono il Titanic a cui, in questa zona a un km a nord dell'Odyssey Arena, è dedicato l'intero quartiere. In attesa del 2012 e del centenario del transatlantico (tel. 00442890737813, www.titanicsdock.com e www.titanicinbelfast.com).
8. Le vie dei murales
Oltre 130 murales nella parte ovest della città che raccontano la guerra civile irlandese. Ci sono quelli dell'Ira in Falls Road, e quelli dei protestanti in Shankill Road. Tra i più famosi, il grande murale che ritrae Bobby Sands, l'attivista nordirlandese morto per lo sciopero della fame nel 1981. Si organizzano anche visite guidate (info, www. belfastattractions.co.uk/peacewall.php).
9. Quartiere Universitario
Un isolato su Donegall Street che a pochi passi riunisce tre icone cittadine: la Chiesa di Sant'Anna, la prima cattedrale protestante e quella che contiene la croce celtica più grande d'Irlanda; l'University of Ulster, un campus specializzato nell'insegnamento delle arti figurative, e il John Hewitt Bar, dedicato al famoso poeta socialista di Belfast e che ospita famosi artisti e musicisti locali (www.thejohnhewitt.com).
10. Ulster Museum
Nelle vicinanze della Queen's University, l'università più importante e famosa della città, l'edificio, che si trova all'interno del Giardino Botanico (da non perdere anche la Palm House, edificio interamente in vetro e ferro battuto), ospita il Museo Nazionale e le Gallerie d'Arte dell'Irlanda del Nord. Botanic Gardens, tel. 0044-2890440000, www.ulstermuseum.org.uk.
L'ARTE DI INVECCHIARE
È la distilleria di whiskey più antica del mondo. Anche di tutte quelle scozzesi. E attenzione: whiskey si scrive con la "e", all'irlandese. Fu nel 1608 che il signor Bushmills chiese e ottenne dal re Giacomo I la licenza. E oggi più di 100 mila turisti la visitano ogni anno. Si vede il malto essiccato in enormi forni chiusi, che poi va a fermentare mescolato a lievito e acqua di sorgente. Tre distillazioni invece delle due dello scotch, quindi invecchiamento nelle enormi botti. Dopo un'attesa che va da tre a ventuno anni, arriva il momento dell'imbottigliamento (con macchinari italiani). Durante la visita il profumo può dare alla testa. E alla fine c'è la degustazione, con assaggi paralleli di scotch e bourbon americano. Dal 2005 il whiskey Bushmills fa parte della multinazionale Diageo, che produce anche gli champagne Dom Pérignon e Moët&Chandon.
Per prenotare i tour guidati: tel. 0044-2820733218, www.bushmills.com. Si dorme e si mangia nell'adiacente Bushmills Inn, 9 Dunluce Road, www.bushmillsinn.com, tel 0044-2820732339.
I sentieri di san Patrizio
Dagli antichi conventi ai nuovi musei, dal cuore del Mourne ai villaggi costieri, gli itinerari per conoscere la regione settentrionale del Paese. Tra scogliere e seafood bar. Sulle orme del santo irlandese
Irlanda e san Patrizio, coppia inscindibile. Fiumi di birra nelle parate verdi del 17 marzo in tutto il mondo, ma anche percorso spirituale sulle orme del monaco che nel IV secolo cristianizzò l'isola del trifoglio. Si comincia da Downpatrick, a sud di Belfast, dove sorge il St. Patrick Centre (saintpatrickcentre.com), un museo interattivo con video che mostrano Patrizio che racconta la propria vita e grande schermo con filmati per completare la spiegazione. Vicino, c'è la sua tomba: una lastra di granito su un prato accanto alla cattedrale (protestante) di Downpatrick. Insieme al santo sono sepolte reliquie di altri famosi santi irlandesi, come Brigida e Colombano.
Ma per immergersi nell'atmosfera in cui fiorì il monachesimo di quell'epoca, conviene raggiungere la vicina isola di Mahee, nel grande golfo di Strangford Lough (20 km a sud di Belfast). Qui sorge la collina del Nendrum Monastic Site (ni-environment.gov.uk/nendrum), il convento più antico d' Irlanda, dove il custode Norman Patton, da Pasqua a settembre, illustra brillantemente la vita quotidiana dell' epoca. Ne rimangono pochi ma significativi resti, dopo la distruzione da parte dei Vichinghi prima dell'anno Mille.
La capitale ecclesiastica di tutta l'Irlanda (sud compreso), è invece Armagh, paese di 15 mila abitanti dove, su due colli, sorgono, una di fronte all'altra, le principali cattedrali irlandesi: una cattolica e costruita solo nel XIX secolo, l'altra protestante. Sono il simbolo della sanguinosa divisione di cinque secoli e sono state edificate qui, dove i primati d'Irlanda hanno sempre rifiutato di andarsene, e non a Dublino o a Belfast, perché qui si stabilì san Patrizio.
Accanto a quella protestante è consigliabile una visita alla Public Library (armaghrobinsonlibrary.org), fondata nel 1771, e custode della prima edizione dei Viaggi di Gulliver annotata da Jonathan Swift, che si può sfogliare.
Sempre a sud di Belfast, si trova la residenza georgiana di Hillsborough, sede del segretario britannico per l'Irlanda del Nord (detestato dai cattolici) e dei reali inglesi quando arrivano a visitare la loro parte di isola. Il parco è aperto al pubblico, e anche il villaggio omonimo merita una visita.
Ma per chi desidera una full immersion nella natura dell'Irlanda del Nord, c'è il Tollymore Park Forest, un immenso parco attrezzato sui monti Mourne con campeggio, centro outdoor e orto botanico (tollymore.com). Un vero paradiso per escursionisti e sportivi e per chi, come le scolaresche da Irlanda e Inghilterra, vuole provare una spedizione in tenda.
Arrivati sulla costa, Dundrum è la patria dei frutti di mare pescati nella baia di fronte. Ampia la scelta di seafood bars, tra cui lo storico Mourne (mourneseafood. com). Alle porte di Newcastle, c'è invece uno dei più caratteristici golf hotel della regione: lo Slieve Donard Resort, con l'immancabile spa (slieve-donard.hotel-rv. com).
Poco oltre il confine, che ormai non ci si accorge più di varcare se non fosse per il cambio sterlina-euro, il menhir celtico in mezzo al campo da golf del Ballymascanlon House Hotel, vicino a Dundalk, rappresenta l'attrazione nella contea di Louth (www. ballymascanlon.com).
Ma anche a nord di Belfast la costa nasconde meraviglie. Una strada panoramica tocca tutte le nove glens, le baie con villaggi storici fra cui Cushendun e Carnlough. Qui sorge il Londonderry Arms Hotel, costruito nel 1848 e comprato da Winston Churchill per trascorrervi le vacanze (glensofantrim.com). Verso Ballycastle, il paesaggio si fa sempre più scosceso. Dopo questa piccola cittadina dell'Antrim, c'è un ponte di corda sospeso a 24 metri sul mare tra pareti rocciose: il Carrick-A-Rede Rope Bridge, massima attrazione per grandi e piccini.
Prima di Bushmills, ecco la maggiore meraviglia naturale dell'Irlanda del Nord, le scogliere della Giant's Causeway: 40 mila rocce basaltiche esagonali alte fino a 160 metri. Qui le antiche leggende celtiche raccontano di giganti che lasciavano le impronte dei loro piedi camminando fra l'isola e la prospiciente Scozia.
Infine, all'estremo nord dell'Irlanda del Nord, il castello di Dunluce. Costruito nel XIII secolo dal conte dell'Ulster ma ormai abbandonato, divenne famoso in tutto il mondo nel 1973: quando i Led Zeppelin lo utilizzarono per illustrare la copertina del loro disco Houses of the Holy.
COME ARRIVARE
Aer Lingus (www. aerlingus.com) vola a Belfast International da Roma Fiumicino a partire da 50 euro.
Flybe (www.flybe.com) vola a Belfast City Airport da Milano Malpensa da 300 euro. Flybe ha anche voli interni da Belfast per Newcastle e altre città dell' Irlanda del Nord. Per i diversi collegamenti con treni e bus consultare il sito del turismo della città www.gotobelfast.com.
DOVE MANGIARE
James Street South
È il ristorante più alla moda di Belfast a due passi dal municipio. Il proprietario-chef Niall McKenna è stato incoronato dalla Bbc come il migliore dell'Irlanda del Nord. 21 James Street, tel. 0044-2890434310, jamesstreetsouth.co.uk. Menu a partire da 18 euro.
Ginger Bistro
Cucina elaborata dentro un locale chic ricavato nell' ex infermeria di un carcere: lombatina con insalata giapponese, wasabi e ginger, fi letto di nasello con insalata calda di patate e fagiolini. 7-8 Hope Street, tel. 0044-2890244421, www.gingerbistro.com. Menu da 7 euro.
McHugh's Bar
Uno dei migliori pub, fra la torre pendente del principe Albert e la statua del Salmone lungo il fiume Lagan. 29-31 Queen's Square, www.mchughsbar.com, tel 00442890509999. Prima colazione da 2,50 euro.
Bittles Bar
Alle pareti sono appesi due grandi quadri: uno ritrae sul bancone i maggiori scrittori irlandesi (Joyce, Oscar Wilde, George Bernard Shaw e Beckett), l' altro i due eroi moderni di Belfast (il calciatore George Best e il musicista Van Morrison). Ideale per uno spuntino. Victoria Square, tel. 00442890311088. Menu da 15 euro.
The John Hewitt Bar
Il miglior gastropub del 2010. Oltre a una ricca carta di birre e vini, fi letto di salmone alla griglia, agnello al cumino, maiale grigliato in salsa di pepe nero. A due passi dalla Cattedrale. 51 Donegall Street, tel. 00442890233768, www. thejohnhewitt.com. Menu da 8,50 euro.
Bar Retro
Nella piazza principale di Hillsborough, ottima cucina e ambiente raffinato. Anche per lunch fugaci. Si trova a 20 chilometri da Belfast. 3 The Square, Hillsborough, Contea di Down, tel. 00442892682985, www. barretrohillsborough. co.uk. Menu a partire da 20 euro
Manor Park
Il miglior ristorante irlandese 2010 è ad Armagh, dove, dal 1152, ci sono le dimore degli arcivescovi della Chiesa anglicana e di quella cattolica. Lo chef James Neilly prepara piatti ispirati alla cucina francese con ingredienti di stagione. A 55 km da Belfast. 2 College Hill, Armagh, tel. 00442837515353, www. manorparkrestaurant. co.uk. Menu a partire da 25 euro.
DOVE DORMIRE
Fitzwilliam Hotel
Un quattro stelle nuovissimo, elegante e centrale. Alla sera, il bar del pianoterra si anima di bella gente. Great Victoria Street, Belfast, tel. 004428 90442080, www. fitzwilliamhotelbelfast. com. Speciali offerte estive con doppia a partire da 127 euro.
Europa
L'hotel più famoso di Belfast, inaugurato quarant'anni fa e tristemente celebre perché fra il 1972 e il '94 l'Ira lo ha danneggiato con bombe per ben 33 volte. Ci hanno dormito Bill Clinton nel 1994, quando venne a siglare la pace tra gli irlandesi, e sua moglie Hillary nel 2009 come segretario di Stato. Great Victoria Street, tel. 00442890271066, www.hastingshotels. com/europa-belfast. Doppia da 170 euro.
Merchant Hotel
Una nuova estensione di questo elegante hotel in stile déco, con 38 nuove camere e una nuova lussuosa spa viene inaugurata nell'estate 2010. L'hotel ospita anche la discoteca Ollie's, la migliore della città. 35-39 Waring Street, tel. 00442890234888, www. themerchanthotel.com e www.olliesclub.com. Doppia speciale estate da 230 euro.
Slieve Donard Resort
Uno dei migliori golf hotel della regione, con tanto di bella spa annessa, vicino a Mourne Mountains e alla città di Downpatrick, nella contea di Down, sudest dell'Irlanda del Nord. A 250 chilometri da Belfast. Downs Road, Newcastle, tel. 00442843721066, www. hastingshotels.com/ slieve-donard-resort-andspa. Doppia a partire da 242 euro.
Londonderry Arms Hotel
Qui, in questo villaggio di pescatori, sulla costa della contea di Antrim, Winston Churchill passava le sue vacanze. A 46 chilometri da Belfast. 20 Harbour Road, Carnlough, tel. 0044-2828885255, glensofantrim.com. Doppia da 115 euro.
Mauro Suttora
Un nuovo quartiere per celebrare i cent'anni del Titanic. Il vecchio mercato coperto tirato a lucido. Chef stellati acclamati da tutta Europa. Frotte di giovani che popolano storici pub e night club very cool. E la guerra civile? L'hanno messa al muro...
di Mauro Suttora
I viaggi del Sole, agosto 2010
Se arrivate a Belfast in aereo, controllate sul biglietto la sigla dell'aeroporto. Bfs? È quello internazionale. Qui giunge l'unico volo diretto con l'Italia, da Roma (Aer Lingus). Ma se provenite da Londra, ci sono buone probabilità che atterriate nell'unico aeroporto al mondo intitolato a un calciatore: George Best. Il campione nato a Belfast vinse Coppa dei Campioni e Pallone d'oro con il Manchester United nel 1968. Indisciplinato, geniale e alcolista, è morto nel 2005 a soli 59 anni, ma per gli inglesi è rimasto un idolo popolare amato quanto i Beatles. E in Irlanda del Nord lo è ancora di più.
Ora John Kindness, lo scultore che undici anni fa realizzò la statua più curiosa di Belfast, un salmone blu (Big Fish) di dieci metri a Donegall Quay sul fiume Lagan, ne sta preparando un'altra di George Best ad altezza naturale. Verrà collocata nel punto più bello della città, il prato davanti al palazzo del Comune, quando i nordirlandesi smetteranno di litigare anche sull'importanza di George Best, oltre che sull'altra celebrità contemporanea locale, il rocker Van Morrison, che però li ha snobbati trasferendosi in California.
Il sole dopo la tempesta
L'importante, intanto, è che abbiano smesso di combattere, i nordirlandesi. Tutte le guerre sono stupide, ma quella civile fra cattolici e protestanti, durata tre decenni (1968-98) e costata tremila morti, lo è stata in particolar modo. A noi italiani piace drammatizzare tutto, e abbiamo chiamato "Anni di Piombo" quelli del nostro terrorismo. I britannici e gli irlandesi, viceversa, amano l'understatement, e si riferiscono alla loro nuova e crudele Guerra dei Trent'anni semplicemente come The Troubles. Letteralmente: i problemi, i disordini.
Ora l'ex capo dell'Ira Martin McGuinness è vicepremier. Il capo del braccio politico Sinn Féin, Gerry Adams, pure lui accusato di terrorismo, è un rispettato parlamentare britannico. E l'ultraottantenne leader degli estremisti protestanti, il reverendo Ian Paisley, sta per essere nominato Lord dalla Regina Elisabetta. Il merito di aver messo d'accordo le opposte fazioni, per la cronaca, va all'ex presidente Usa Bill Clinton.
Oggi chi vuole rendersi conto dell'atmosfera cupa in cui l'Ulster era precipitato per tre decenni può effettuare un giro turistico fra i murales cattolici e protestanti nelle rispettive roccaforti, Falls Road e Shankill Road, alla periferia ovest di Belfast. Il muro che separa i quartieri adiacenti e diseredati è ancora in piedi, e gli slogan non sono affatto pacifici: dall'una e dall'altra parte, simmetricamente simili, abbondano le invettive militariste. Anche quando si commemorano Bobby Sands e gli altri suicidi tramite sciopero della fame del 1981. Ma è roba del passato. Merito anche dei tanti film (a cominciare da La moglie del soldato di Neil Jordan), libri (come Eureka Street di Robert McLiam Wilson) e canzoni ( Sunday Bloody Sunday degli U2) che hanno smitizzato le figure degli "eroi" violenti.
Così, dopo dodici anni di pace, oggi Belfast è ridiventata una tranquilla città di mezzo milione di abitanti, un po' irlandese e un po' britannica, non bella, ma affascinante, soprattutto se la si frequenta il venerdì e il sabato sera, quando i giovani invadono la scena. Con divertenti orde di ragazze rumorose e un po' brille che vagano per la città in minigonna e scarpe laccate dai colori fosforescenti. Il rock prevale sulle ballate tradizionali. Si fa amicizia subito con tutti, magari in piedi davanti al bancone, sorseggiando birra nelle serate affollatissime. Che però, almeno nei pub, terminano all'una di notte. Dopo, chi vuole proseguire la festa si trasferisce sotto il Merchant Hotel di Waring Street, dove c'è la discoteca migliore della città: Ollie's.
Appuntamento al pub
Le decine di pub continuano però a essere l'attrazione principale della città. I più caratteristici sono visitabili con un giro a piedi di due ore: il Pub Walking Tour (www.belfastpubtours.com, tel. 0044-2892683665, chiedere di Judy). Utile, anche perché alcuni dei locali migliori sono nascosti in vicoli secondari difficilmente scovabili senza una guida.
Il Morning Star in Pottinger's Entry, per esempio, nato già nel 1810, fu ristorante per marinai e posta per il cambio dei cavalli. Vicino, guarda caso, oggi c'è una sala corse e i clienti più assidui del locale sono proprio gli scommettitori. Il White's Tavern è invece il più antico: 1630. Nel Wine Cellar Entry suonano folk dal vivo. Mentre il Kelly's Cellars in Bank Street, datato 1720 e pieno di cimeli, espone la scritta in gaelico Céad míle fáite, centomila benvenuti.
Infine il John Hewitt (intitolato all' omonimo poeta, 1907-1987), in Donegall Street, nel quartiere studentesco dell'università dell'Ulster accanto alla severa cattedrale protestante di Belfast, St. Anne, che ha conquistato il titolo di miglior gastropub di quest'anno. Perché, al contrario di quello che si possa pensare, la cucina irlandese è squisita e molto raffinata. Qualunque cosa ci sia nel piatto: zuppe di pesce, di verdura o di cereali; salmone, nasello, o rombo; cozze o ostriche; filetto di manzo, agnello, anatra, coniglio, o vellutati e purè di patate; pane di cereali o bap, la pagnotta soffice di Belfast, o ancora le scones, le focaccine da imburrare.
E la nave va
Il gioiello di Belfast adesso è il cantiere del Titanic, dove cent'anni fa fu progettato e costruito il transatlantico. Da poco è visitabile sia via mare con un tour dal porto (www. laganboatcompany.com, tel. 0044-2890330844, partenze di fronte alla scultura Big Fish, chiedere del loquacissimo Derek), sia via terra grazie a un piccolo museo che sarà ampliato in vista del centenario del varo nel 2012.
Su quelli che una volta furono gli sterminati cantieri navali Harland and Wolff, con le loro due maxigru gialle soprannominate Sansone e Golia, sta sorgendo la città del futuro: quel Titanic Quarter, sulla Queen's Island, dedicato alla nave più conosciuta della storia, costruita qui a partire dal 1909 e affondata nel viaggio inaugurale per la nota collisione con l'iceberg.
Gli irlandesi ci tengono a precisare: «Quando salpò da Belfast era perfetta, tutta a posto. Non è colpa nostra se chi era al timone, guarda caso un inglese, il capitano Edward Smith, l'ha portata al disastro».
Il futuro oltre la crisi
Oggi Belfast non detiene più il primato mondiale per la costruzione delle navi da crociera, ma le gru all'opera ci sono lo stesso. Sono quelle che stanno costruendo il nuovo quartiere residenziale: un investimento da sette miliardi di sterline e di quindici anni di lavori per nuovi edifici nell'area portuale che era rimasta abbandonata. Certo la crisi si fa sentire e i lavori vanno a rilento, ma entro il 2012 dovrebbe essere pronto il nuovo, grande museo del Titanic, a forma di transatlantico, per festeggiare degnamente il secolo di un mito che continua a generare lavoro e intrattenimento.
E il restyling, si fa per dire, ha colpito anche un'altra icona cittadina, il St. George's Market , lo storico mercato coperto da poco restaurato, con banchi di formaggi, pâté, carne, pesce, bacon, salsicce, biscotti, dolci. Il suo fascino non è stato intaccato neppure dall' apertura di due sterminati centri commerciali moderni in centro, Victoria Square e Castle Court, con le loro centinaia di negozi e decine di ristoranti. Persino il tradizionale stile irlandese cerca venti di novità. Così Avoca (41 Arthur Street, tel. 0044-2890279950, www.avoca.ie), catena di boutique dell'orgoglio tessile made in Ireland, dagli abiti all'arredamento, indugia tra stampe e colori di tendenza.
Per finire, vale la pena recarsi appena fuori città e vedere il palazzo di Stormont. Enorme, inversamente proporzionale al numero di abitanti dell' Irlanda del Nord (appena 1,7 milioni), fu costruito dagli inglesi come ostentazione del loro potere dopo l' indipendenza del resto d' Irlanda nel 1921. Volevano una copia del Campidoglio di Washington, ma dopo la crisi economica del 1929 l'edificio rimase senza cupola.
Tutta Belfast in 10 mosse
1. Donegall Square
Il grande prato rasato di fronte al palazzo del Comune, costruito in stile rinascimentale nel 1906 al posto dell'antico White Linen Hall, è più di una semplice distesa verde. Qui ci si sdraia a prendere il (raro) sole, ed è uno dei principali luoghi di ritrovo della città (www. gotobelfast.com). Sul lato nord della piazza, la Linen Hall Library è una vecchia e silenziosa biblioteca con visite guidate (www.linenhall.com).
2. Palazzo di Stormont
A 7 km da Belfast, è l'ex sede del Parlamento nordirlandese, e oggi ospita la Northern Ireland Assembly. Vicino all'edificio c'è il castello omonimo. Gli edifici sono chiusi al pubblico, ma il grande parco è aperto fino alle 19.30. Upper Newtownards Road, tel. 0044-2890520700.
3. The Crown Liquor Saloon
Il pub più importante della città, voluto da Patrick Flanagan nel 1885, all'interno di un edificio del 1826 in perfetto stile vittoriano con interni decorati in vetri e piastrelle colorate. Un vero monumento cittadino. 46 Great Victoria Street, tel. 00442890243187, www.crownbar.com.
4. St. George's Market
Lo storico mercato coperto è uno degli edifici più antichi della città. Quasi 250 negozi che vendono di tutto, dall'antiquariato alla frutta fresca. 12-20, East Bridge Street, tel. 0044-2890435704, www.belfastcity.gov.uk/stgeorge.
5. Victoria Square Un moderno shopping center che occupa un intero isolato con 50 negozi e 17 ristoranti. 1 Victoria Square, tel. 0044-2890322277, www.victoriasquare.com.
6. Castle Court
L'altro enorme centro commerciale è tristemente famoso perché subì ben nove attentati dell'Ira: cinque durante la costruzione e quattro dopo l'apertura. Un altro punto caldo della città. Si trova all' incrocio tra Royal Avenue e Berry Street (tel. 0044-2890234591, www.westfi eld.com/castlecourt).
7. Titanic's Dock
Un museo realizzato nei cantieri, allora tra i più grandi del mondo, che costruirono il Titanic a cui, in questa zona a un km a nord dell'Odyssey Arena, è dedicato l'intero quartiere. In attesa del 2012 e del centenario del transatlantico (tel. 00442890737813, www.titanicsdock.com e www.titanicinbelfast.com).
8. Le vie dei murales
Oltre 130 murales nella parte ovest della città che raccontano la guerra civile irlandese. Ci sono quelli dell'Ira in Falls Road, e quelli dei protestanti in Shankill Road. Tra i più famosi, il grande murale che ritrae Bobby Sands, l'attivista nordirlandese morto per lo sciopero della fame nel 1981. Si organizzano anche visite guidate (info, www. belfastattractions.co.uk/peacewall.php).
9. Quartiere Universitario
Un isolato su Donegall Street che a pochi passi riunisce tre icone cittadine: la Chiesa di Sant'Anna, la prima cattedrale protestante e quella che contiene la croce celtica più grande d'Irlanda; l'University of Ulster, un campus specializzato nell'insegnamento delle arti figurative, e il John Hewitt Bar, dedicato al famoso poeta socialista di Belfast e che ospita famosi artisti e musicisti locali (www.thejohnhewitt.com).
10. Ulster Museum
Nelle vicinanze della Queen's University, l'università più importante e famosa della città, l'edificio, che si trova all'interno del Giardino Botanico (da non perdere anche la Palm House, edificio interamente in vetro e ferro battuto), ospita il Museo Nazionale e le Gallerie d'Arte dell'Irlanda del Nord. Botanic Gardens, tel. 0044-2890440000, www.ulstermuseum.org.uk.
L'ARTE DI INVECCHIARE
È la distilleria di whiskey più antica del mondo. Anche di tutte quelle scozzesi. E attenzione: whiskey si scrive con la "e", all'irlandese. Fu nel 1608 che il signor Bushmills chiese e ottenne dal re Giacomo I la licenza. E oggi più di 100 mila turisti la visitano ogni anno. Si vede il malto essiccato in enormi forni chiusi, che poi va a fermentare mescolato a lievito e acqua di sorgente. Tre distillazioni invece delle due dello scotch, quindi invecchiamento nelle enormi botti. Dopo un'attesa che va da tre a ventuno anni, arriva il momento dell'imbottigliamento (con macchinari italiani). Durante la visita il profumo può dare alla testa. E alla fine c'è la degustazione, con assaggi paralleli di scotch e bourbon americano. Dal 2005 il whiskey Bushmills fa parte della multinazionale Diageo, che produce anche gli champagne Dom Pérignon e Moët&Chandon.
Per prenotare i tour guidati: tel. 0044-2820733218, www.bushmills.com. Si dorme e si mangia nell'adiacente Bushmills Inn, 9 Dunluce Road, www.bushmillsinn.com, tel 0044-2820732339.
I sentieri di san Patrizio
Dagli antichi conventi ai nuovi musei, dal cuore del Mourne ai villaggi costieri, gli itinerari per conoscere la regione settentrionale del Paese. Tra scogliere e seafood bar. Sulle orme del santo irlandese
Irlanda e san Patrizio, coppia inscindibile. Fiumi di birra nelle parate verdi del 17 marzo in tutto il mondo, ma anche percorso spirituale sulle orme del monaco che nel IV secolo cristianizzò l'isola del trifoglio. Si comincia da Downpatrick, a sud di Belfast, dove sorge il St. Patrick Centre (saintpatrickcentre.com), un museo interattivo con video che mostrano Patrizio che racconta la propria vita e grande schermo con filmati per completare la spiegazione. Vicino, c'è la sua tomba: una lastra di granito su un prato accanto alla cattedrale (protestante) di Downpatrick. Insieme al santo sono sepolte reliquie di altri famosi santi irlandesi, come Brigida e Colombano.
Ma per immergersi nell'atmosfera in cui fiorì il monachesimo di quell'epoca, conviene raggiungere la vicina isola di Mahee, nel grande golfo di Strangford Lough (20 km a sud di Belfast). Qui sorge la collina del Nendrum Monastic Site (ni-environment.gov.uk/nendrum), il convento più antico d' Irlanda, dove il custode Norman Patton, da Pasqua a settembre, illustra brillantemente la vita quotidiana dell' epoca. Ne rimangono pochi ma significativi resti, dopo la distruzione da parte dei Vichinghi prima dell'anno Mille.
La capitale ecclesiastica di tutta l'Irlanda (sud compreso), è invece Armagh, paese di 15 mila abitanti dove, su due colli, sorgono, una di fronte all'altra, le principali cattedrali irlandesi: una cattolica e costruita solo nel XIX secolo, l'altra protestante. Sono il simbolo della sanguinosa divisione di cinque secoli e sono state edificate qui, dove i primati d'Irlanda hanno sempre rifiutato di andarsene, e non a Dublino o a Belfast, perché qui si stabilì san Patrizio.
Accanto a quella protestante è consigliabile una visita alla Public Library (armaghrobinsonlibrary.org), fondata nel 1771, e custode della prima edizione dei Viaggi di Gulliver annotata da Jonathan Swift, che si può sfogliare.
Sempre a sud di Belfast, si trova la residenza georgiana di Hillsborough, sede del segretario britannico per l'Irlanda del Nord (detestato dai cattolici) e dei reali inglesi quando arrivano a visitare la loro parte di isola. Il parco è aperto al pubblico, e anche il villaggio omonimo merita una visita.
Ma per chi desidera una full immersion nella natura dell'Irlanda del Nord, c'è il Tollymore Park Forest, un immenso parco attrezzato sui monti Mourne con campeggio, centro outdoor e orto botanico (tollymore.com). Un vero paradiso per escursionisti e sportivi e per chi, come le scolaresche da Irlanda e Inghilterra, vuole provare una spedizione in tenda.
Arrivati sulla costa, Dundrum è la patria dei frutti di mare pescati nella baia di fronte. Ampia la scelta di seafood bars, tra cui lo storico Mourne (mourneseafood. com). Alle porte di Newcastle, c'è invece uno dei più caratteristici golf hotel della regione: lo Slieve Donard Resort, con l'immancabile spa (slieve-donard.hotel-rv. com).
Poco oltre il confine, che ormai non ci si accorge più di varcare se non fosse per il cambio sterlina-euro, il menhir celtico in mezzo al campo da golf del Ballymascanlon House Hotel, vicino a Dundalk, rappresenta l'attrazione nella contea di Louth (www. ballymascanlon.com).
Ma anche a nord di Belfast la costa nasconde meraviglie. Una strada panoramica tocca tutte le nove glens, le baie con villaggi storici fra cui Cushendun e Carnlough. Qui sorge il Londonderry Arms Hotel, costruito nel 1848 e comprato da Winston Churchill per trascorrervi le vacanze (glensofantrim.com). Verso Ballycastle, il paesaggio si fa sempre più scosceso. Dopo questa piccola cittadina dell'Antrim, c'è un ponte di corda sospeso a 24 metri sul mare tra pareti rocciose: il Carrick-A-Rede Rope Bridge, massima attrazione per grandi e piccini.
Prima di Bushmills, ecco la maggiore meraviglia naturale dell'Irlanda del Nord, le scogliere della Giant's Causeway: 40 mila rocce basaltiche esagonali alte fino a 160 metri. Qui le antiche leggende celtiche raccontano di giganti che lasciavano le impronte dei loro piedi camminando fra l'isola e la prospiciente Scozia.
Infine, all'estremo nord dell'Irlanda del Nord, il castello di Dunluce. Costruito nel XIII secolo dal conte dell'Ulster ma ormai abbandonato, divenne famoso in tutto il mondo nel 1973: quando i Led Zeppelin lo utilizzarono per illustrare la copertina del loro disco Houses of the Holy.
COME ARRIVARE
Aer Lingus (www. aerlingus.com) vola a Belfast International da Roma Fiumicino a partire da 50 euro.
Flybe (www.flybe.com) vola a Belfast City Airport da Milano Malpensa da 300 euro. Flybe ha anche voli interni da Belfast per Newcastle e altre città dell' Irlanda del Nord. Per i diversi collegamenti con treni e bus consultare il sito del turismo della città www.gotobelfast.com.
DOVE MANGIARE
James Street South
È il ristorante più alla moda di Belfast a due passi dal municipio. Il proprietario-chef Niall McKenna è stato incoronato dalla Bbc come il migliore dell'Irlanda del Nord. 21 James Street, tel. 0044-2890434310, jamesstreetsouth.co.uk. Menu a partire da 18 euro.
Ginger Bistro
Cucina elaborata dentro un locale chic ricavato nell' ex infermeria di un carcere: lombatina con insalata giapponese, wasabi e ginger, fi letto di nasello con insalata calda di patate e fagiolini. 7-8 Hope Street, tel. 0044-2890244421, www.gingerbistro.com. Menu da 7 euro.
McHugh's Bar
Uno dei migliori pub, fra la torre pendente del principe Albert e la statua del Salmone lungo il fiume Lagan. 29-31 Queen's Square, www.mchughsbar.com, tel 00442890509999. Prima colazione da 2,50 euro.
Bittles Bar
Alle pareti sono appesi due grandi quadri: uno ritrae sul bancone i maggiori scrittori irlandesi (Joyce, Oscar Wilde, George Bernard Shaw e Beckett), l' altro i due eroi moderni di Belfast (il calciatore George Best e il musicista Van Morrison). Ideale per uno spuntino. Victoria Square, tel. 00442890311088. Menu da 15 euro.
The John Hewitt Bar
Il miglior gastropub del 2010. Oltre a una ricca carta di birre e vini, fi letto di salmone alla griglia, agnello al cumino, maiale grigliato in salsa di pepe nero. A due passi dalla Cattedrale. 51 Donegall Street, tel. 00442890233768, www. thejohnhewitt.com. Menu da 8,50 euro.
Bar Retro
Nella piazza principale di Hillsborough, ottima cucina e ambiente raffinato. Anche per lunch fugaci. Si trova a 20 chilometri da Belfast. 3 The Square, Hillsborough, Contea di Down, tel. 00442892682985, www. barretrohillsborough. co.uk. Menu a partire da 20 euro
Manor Park
Il miglior ristorante irlandese 2010 è ad Armagh, dove, dal 1152, ci sono le dimore degli arcivescovi della Chiesa anglicana e di quella cattolica. Lo chef James Neilly prepara piatti ispirati alla cucina francese con ingredienti di stagione. A 55 km da Belfast. 2 College Hill, Armagh, tel. 00442837515353, www. manorparkrestaurant. co.uk. Menu a partire da 25 euro.
DOVE DORMIRE
Fitzwilliam Hotel
Un quattro stelle nuovissimo, elegante e centrale. Alla sera, il bar del pianoterra si anima di bella gente. Great Victoria Street, Belfast, tel. 004428 90442080, www. fitzwilliamhotelbelfast. com. Speciali offerte estive con doppia a partire da 127 euro.
Europa
L'hotel più famoso di Belfast, inaugurato quarant'anni fa e tristemente celebre perché fra il 1972 e il '94 l'Ira lo ha danneggiato con bombe per ben 33 volte. Ci hanno dormito Bill Clinton nel 1994, quando venne a siglare la pace tra gli irlandesi, e sua moglie Hillary nel 2009 come segretario di Stato. Great Victoria Street, tel. 00442890271066, www.hastingshotels. com/europa-belfast. Doppia da 170 euro.
Merchant Hotel
Una nuova estensione di questo elegante hotel in stile déco, con 38 nuove camere e una nuova lussuosa spa viene inaugurata nell'estate 2010. L'hotel ospita anche la discoteca Ollie's, la migliore della città. 35-39 Waring Street, tel. 00442890234888, www. themerchanthotel.com e www.olliesclub.com. Doppia speciale estate da 230 euro.
Slieve Donard Resort
Uno dei migliori golf hotel della regione, con tanto di bella spa annessa, vicino a Mourne Mountains e alla città di Downpatrick, nella contea di Down, sudest dell'Irlanda del Nord. A 250 chilometri da Belfast. Downs Road, Newcastle, tel. 00442843721066, www. hastingshotels.com/ slieve-donard-resort-andspa. Doppia a partire da 242 euro.
Londonderry Arms Hotel
Qui, in questo villaggio di pescatori, sulla costa della contea di Antrim, Winston Churchill passava le sue vacanze. A 46 chilometri da Belfast. 20 Harbour Road, Carnlough, tel. 0044-2828885255, glensofantrim.com. Doppia da 115 euro.
Mauro Suttora
Wednesday, August 18, 2010
Estate calda per i politici
Quest'anno tutti al mare (in attesa di votare...)
VACANZE AVVELENATE: I POLITICI NON SMETTONO DI DIRSELE E DARSELE
Non era mai successo: in pieno agosto governo e opposizione lottano ancora. Ma è soprattutto dentro la maggioranza che la guerra infuria. Così i potenti si rovinano le ferie. Ecco come
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Non era mai successo. Quest' anno la politica non va in vacanza. I politici, in teoria, sì: Gianfranco Fini ad Ansedonia (Grosseto), il presidente Giorgio Napolitano a Stromboli, Pier Luigi Bersani in Ogliastra (Sardegna), Massimo D'Alema a Gallipoli in Puglia dove come sempre troverà l'autoctono Rocco Buttiglione.
Ma, contrariamente agli anni scorsi, i problemi politici rimangono bollenti quanto il sole d' agosto. E continuano a occupare i titoli principali di giornali e telegiornali: «Tregua fra Berlusconi e Fini o rottura?». E in caso di rottura: «Il governo cade?» E se cade: «Un altro governo o elezioni?». E in caso di elezioni: «A novembre o a marzo?»
FERRAGOSTO IN CARCERE
Ormai siamo a Ferragosto. A fine mese, con i festival dei partiti e il meeting di Cl a Rimini, riprende la stagione politica. L'8 settembre riapre la Camera. Ma questa volta l'estate non placa le polemiche. Mai, nel recente passato, le fibrillazioni del Palazzo erano riuscite a fare notizia in modo così ossessivo. Viene registrato ogni sospiro di Italo Bocchino da Panarea, ogni vaticinio di Umberto Bossi dalla Valcamonica, ogni auspicio di Benedetto Della Vedova dalla contigua Valtellina. Il simbolo di questa frenesia senza soste è Silvio Berlusconi. Che rinuncia addirittura alle ferie, e a Villa Certosa (Porto Rotondo) preferisce Tor Crescenza (periferia di Roma). «Sempre di stracchino si tratta...», scherza qualcuno.
L'unico altro politico che rimane nella capitale, perché odia le vacanze, è Marco Pannella: passa come sempre il Ferragosto visitando i carcerati a Regina Coeli. Dovranno invece visitare il premier (non a Regina Coeli come auspicherebbe Antonio Di Pietro dal suo trattore a Montenero di Bisaccia, Molise) gli sfortunati collaboratori più stretti: Sandro Bondi e Denis Verdini pendolari dalla Versilia, Ignazio La Russa dalla Sicilia, Fabrizio Cicchitto pure lui ad Ansedonia, vicino di villa di Fini e Giuliano Amato.
Ma perché tutto questo tourbillon ? «Piaccia o no», risponde Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, «alla maggioranza degli italiani sembra ancora piacere Berlusconi. La realtà è questa. Dunque, niente elezioni anticipate né altri governi». E allora, come se ne esce? «In un solo modo: con un accordo di legislatura fra tutte le componenti del centrodestra: Pdl, Lega, Futuro e Libertà di Fini». Possibile? «Obbligato».
Dissente il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari: «Le lingue dei politici sono biforcute per definizione, ma mai come ora il gioco degli inganni è stato lo strumento principe per la conquista del potere. Berlusconi è il figlio imbarbarito dell' antipolitica, del qualunquismo e dell' anarchismo. Inutile sperare di trasformarlo in un leader liberal-democratico».
INNAMORATO RESPINTO
Paradossalmente, concorda con Scalfari dalla sponda opposta di destra Vittorio Feltri, direttore del Giornale . Anche lui ritiene impossibile un accordo Berlusconi-Fini, perché quest' ultimo dopo l' espulsione dal Pdl «è come un innamorato folle respinto dalla fidanzata: si vendica uccidendola, poi si spara». Elezioni anticipate, allora? «Sarebbe la soluzione più corretta. Ma non è sicuro che Napolitano la adotti. Nulla gli vieta di tentare la formazione di un nuovo esecutivo con dentro tutti: Pd, Idv, finiani, Udc. Al Senato non avrebbero la maggioranza, perché Pdl e Lega conservano un senatore in più. Ma volete che i ribaltonisti non riescano a comprarsi un tizio qualunque per trenta denari?».
Intanto i ministri Alfano, Calderoli, Tremonti e Fitto preparano un accordo Berlusconi-Fini su quattro punti: giustizia, federalismo, fisco e Sud. «Un'intesa può essere raggiunta facilmente», sostiene De Bortoli, «tranne che sulla giustizia. Quello è uno scoglio difficilmente superabile. La saggezza suggerirebbe di accantonare le leggi ad personam e mettere al primo posto le esigenze dei cittadini».
Come la velocizzazione della giustizia civile: riforma auspicata anche da Adolfo Urso, viceministro finiano rimasto nel governo assieme ad Andrea Ronchi, e che per questo ha votato diversamente dai 43 fuoriusciti sulla mozione Caliendo. Ma ai berlusconiani stanno molto più a cuore la nuova legge Alfano (di livello costituzionale, dopo la bocciatura della Corte) per l'immunità delle alte cariche dello Stato, e quella sul processo «breve». «È proprio qui il nocciolo del problema: Fini spera che prima o poi le grane giudiziarie eliminino Berlusconi», dice Feltri.
«Sarà Bossi a decidere la partita», prevede Scalfari, «è lui a tenere in pugno il manico del bastone. La giustizia non gli interessa: per la Lega quella è solo merce di scambio, l'ha già ceduta a Berlusconi. I leghisti vogliono invece carta bianca sul federalismo e su fisco e Sud, che ne sono due sfaccettature. Sul federalismo Bossi non accetta condizionamenti».
In effetti, è da 23 anni - da quando entrarono per la prima volta in Parlamento - che i leghisti si battono per il federalismo. E ora che è in dirittura d'arrivo, se non lo ottengono o se lo vedono annacquato, tornerebbero a minacciare la secessione. Ma è difficile che i finiani, in buona parte provenienti dal Sud, accettino il federalismo, che inevitabilmente penalizzerà le loro regioni.
Quindi elezioni anticipate? I leghisti non le temono, i sondaggi dicono che farebbero il pieno al Nord. Anche a spese del Pdl. Quanto al Pd, è quello messo peggio, quindi farà di tutto per evitare il voto. Intanto, prosegue il martellamento dei giornali di Berlusconi contro Fini. «Cacciamo gli affaristi!», è lo slogan con cui il presidente della Camera ha aperto la campagna di iscrizioni per il suo nuovo partito, Futuro e libertà. Ma i berlusconiani gli rinfacciano la casa di Montecarlo lasciata ad An da una ricca ereditiera, e finita chissà come al fratello della compagna di Fini dopo un'apparente svendita a una società caraibica. L'estate è calda.
Mauro Suttora
VACANZE AVVELENATE: I POLITICI NON SMETTONO DI DIRSELE E DARSELE
Non era mai successo: in pieno agosto governo e opposizione lottano ancora. Ma è soprattutto dentro la maggioranza che la guerra infuria. Così i potenti si rovinano le ferie. Ecco come
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Non era mai successo. Quest' anno la politica non va in vacanza. I politici, in teoria, sì: Gianfranco Fini ad Ansedonia (Grosseto), il presidente Giorgio Napolitano a Stromboli, Pier Luigi Bersani in Ogliastra (Sardegna), Massimo D'Alema a Gallipoli in Puglia dove come sempre troverà l'autoctono Rocco Buttiglione.
Ma, contrariamente agli anni scorsi, i problemi politici rimangono bollenti quanto il sole d' agosto. E continuano a occupare i titoli principali di giornali e telegiornali: «Tregua fra Berlusconi e Fini o rottura?». E in caso di rottura: «Il governo cade?» E se cade: «Un altro governo o elezioni?». E in caso di elezioni: «A novembre o a marzo?»
FERRAGOSTO IN CARCERE
Ormai siamo a Ferragosto. A fine mese, con i festival dei partiti e il meeting di Cl a Rimini, riprende la stagione politica. L'8 settembre riapre la Camera. Ma questa volta l'estate non placa le polemiche. Mai, nel recente passato, le fibrillazioni del Palazzo erano riuscite a fare notizia in modo così ossessivo. Viene registrato ogni sospiro di Italo Bocchino da Panarea, ogni vaticinio di Umberto Bossi dalla Valcamonica, ogni auspicio di Benedetto Della Vedova dalla contigua Valtellina. Il simbolo di questa frenesia senza soste è Silvio Berlusconi. Che rinuncia addirittura alle ferie, e a Villa Certosa (Porto Rotondo) preferisce Tor Crescenza (periferia di Roma). «Sempre di stracchino si tratta...», scherza qualcuno.
L'unico altro politico che rimane nella capitale, perché odia le vacanze, è Marco Pannella: passa come sempre il Ferragosto visitando i carcerati a Regina Coeli. Dovranno invece visitare il premier (non a Regina Coeli come auspicherebbe Antonio Di Pietro dal suo trattore a Montenero di Bisaccia, Molise) gli sfortunati collaboratori più stretti: Sandro Bondi e Denis Verdini pendolari dalla Versilia, Ignazio La Russa dalla Sicilia, Fabrizio Cicchitto pure lui ad Ansedonia, vicino di villa di Fini e Giuliano Amato.
Ma perché tutto questo tourbillon ? «Piaccia o no», risponde Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, «alla maggioranza degli italiani sembra ancora piacere Berlusconi. La realtà è questa. Dunque, niente elezioni anticipate né altri governi». E allora, come se ne esce? «In un solo modo: con un accordo di legislatura fra tutte le componenti del centrodestra: Pdl, Lega, Futuro e Libertà di Fini». Possibile? «Obbligato».
Dissente il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari: «Le lingue dei politici sono biforcute per definizione, ma mai come ora il gioco degli inganni è stato lo strumento principe per la conquista del potere. Berlusconi è il figlio imbarbarito dell' antipolitica, del qualunquismo e dell' anarchismo. Inutile sperare di trasformarlo in un leader liberal-democratico».
INNAMORATO RESPINTO
Paradossalmente, concorda con Scalfari dalla sponda opposta di destra Vittorio Feltri, direttore del Giornale . Anche lui ritiene impossibile un accordo Berlusconi-Fini, perché quest' ultimo dopo l' espulsione dal Pdl «è come un innamorato folle respinto dalla fidanzata: si vendica uccidendola, poi si spara». Elezioni anticipate, allora? «Sarebbe la soluzione più corretta. Ma non è sicuro che Napolitano la adotti. Nulla gli vieta di tentare la formazione di un nuovo esecutivo con dentro tutti: Pd, Idv, finiani, Udc. Al Senato non avrebbero la maggioranza, perché Pdl e Lega conservano un senatore in più. Ma volete che i ribaltonisti non riescano a comprarsi un tizio qualunque per trenta denari?».
Intanto i ministri Alfano, Calderoli, Tremonti e Fitto preparano un accordo Berlusconi-Fini su quattro punti: giustizia, federalismo, fisco e Sud. «Un'intesa può essere raggiunta facilmente», sostiene De Bortoli, «tranne che sulla giustizia. Quello è uno scoglio difficilmente superabile. La saggezza suggerirebbe di accantonare le leggi ad personam e mettere al primo posto le esigenze dei cittadini».
Come la velocizzazione della giustizia civile: riforma auspicata anche da Adolfo Urso, viceministro finiano rimasto nel governo assieme ad Andrea Ronchi, e che per questo ha votato diversamente dai 43 fuoriusciti sulla mozione Caliendo. Ma ai berlusconiani stanno molto più a cuore la nuova legge Alfano (di livello costituzionale, dopo la bocciatura della Corte) per l'immunità delle alte cariche dello Stato, e quella sul processo «breve». «È proprio qui il nocciolo del problema: Fini spera che prima o poi le grane giudiziarie eliminino Berlusconi», dice Feltri.
«Sarà Bossi a decidere la partita», prevede Scalfari, «è lui a tenere in pugno il manico del bastone. La giustizia non gli interessa: per la Lega quella è solo merce di scambio, l'ha già ceduta a Berlusconi. I leghisti vogliono invece carta bianca sul federalismo e su fisco e Sud, che ne sono due sfaccettature. Sul federalismo Bossi non accetta condizionamenti».
In effetti, è da 23 anni - da quando entrarono per la prima volta in Parlamento - che i leghisti si battono per il federalismo. E ora che è in dirittura d'arrivo, se non lo ottengono o se lo vedono annacquato, tornerebbero a minacciare la secessione. Ma è difficile che i finiani, in buona parte provenienti dal Sud, accettino il federalismo, che inevitabilmente penalizzerà le loro regioni.
Quindi elezioni anticipate? I leghisti non le temono, i sondaggi dicono che farebbero il pieno al Nord. Anche a spese del Pdl. Quanto al Pd, è quello messo peggio, quindi farà di tutto per evitare il voto. Intanto, prosegue il martellamento dei giornali di Berlusconi contro Fini. «Cacciamo gli affaristi!», è lo slogan con cui il presidente della Camera ha aperto la campagna di iscrizioni per il suo nuovo partito, Futuro e libertà. Ma i berlusconiani gli rinfacciano la casa di Montecarlo lasciata ad An da una ricca ereditiera, e finita chissà come al fratello della compagna di Fini dopo un'apparente svendita a una società caraibica. L'estate è calda.
Mauro Suttora
Craxi, pagami gli alimenti!
LA TELENOVELA DI DUE DIVORZIATI FAMOSI
Laura D'Este, ex moglie del fratello di Bettino, accusa: «Antonio mi ha ridotta a farmi sfamare dalla Caritas. Mentre lui...»
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Lo dicono le statistiche: in tutto il mondo luglio e agosto sono i mesi più difficili per le ex mogli che ricevono gli alimenti dall'ex coniuge. Sarà per le spese da affrontare per mandare la nuova famiglia in vacanza, sarà per l'Irpef pagata in giugno, sarà per il rallentamento delle entrate in estate... Fatto sta che in questi mesi si impennano le denunce per i ritardi o i mancati pagamenti dell'assegno di mantenimento. Non fanno eccezione i nomi famosi.
«Sono disperata: ho chiesto alla Caritas che mi mandino qualche pacco di alimenti per poter mangiare. Non mi rimangono neanche i soldi per fare la spesa»: questa è la drammatica confessione che fa a Oggi la signora Laura D'Este, 70 anni. La quale non ha ancora ricevuto, dall'inizio di luglio, i 7.150 euro semestrali dovuti dall'ex marito Antonio Craxi.
SPOSATI NEL 1965
Non è la prima volta che il fratello dell'ex premier Bettino, noto soprattutto per la sua devozione al guru indiano Sai Baba, viene accusato dall'ex moglie (sposata nel 1965 dopo tre anni di fidanzamento) di ritardi nell'onorare gli impegni verso la ex moglie. Nel '95 la signora D'Este si rivolse proprio a noi per denunciare che il mensile di un milione e mezzo di lire veniva versato in ritardo. Ma che, soprattutto, non bastava a permetterle di vivere decorosamente, visto che doveva pagare più di un milione d'affitto per l'appartamento milanese in cui vive, in via Castelbarco.
Quindici anni dopo, ci risiamo. Nel frattempo, con le rivalutazioni per l'inflazione, il mensile è passato a 1.190 euro. «Che sarebbe anche una cifra accettabile», ci dice la signora D'Este, «se, come al solito, non ne dovessi pagare 770 per affitto e spese condominiali. E, con i prezzi di Milano, anche se mi trasferissi in una casa più piccola non potrei risparmiare granché».
Quel che fa imbestialire la signora è che, mentre lei è costretta in queste ristrettezze, il suo ex condurrebbe una vita più che agiata. Dice: «Antonio è proprietario di un'azienda agricola di dieci ettari a Magenta, in provincia di Milano: il club Modus Vivendi, con piscina, sauna, maneggio e una clinica di scienze ayurvediche. Mi ha sempre detto che non ha soldi, ma a me risulta che abbia anche uno yacht a Nizza e una villa vicino a Deauville in Normandia, non so se intestati a lui o alla sua nuova moglie francese».
Disgrazia nella disgrazia, alla signora D'Este la scorsa settimana si è incrinata una vertebra alzando un vaso sul balcone di casa: «I dottori mi dicono che devo mettermi un corsetto di ferro. Ma costa 600 euro, e io non me lo posso permettere. Così come anche molte medicine».
Dopo il sollecito e il precetto, la signora ha sporto querela-denuncia contro l'ex marito, col quale non parla da due anni.
«Ha detto a mio figlio, che è ormai grande, di mantenermi lui», accusa l'ex signora Craxi. «Ma mio figlio ha la sua famiglia a cui badare, non posso certo gravare su di lui. E ormai sono sola, non ho più parenti a cui rivolgermi».
FAMIGLIA BENE DI UDINE
La signora D'Este proviene da una famiglia benestante di Udine: padre medico, nonno magistrato. «Nel '62 studiavo lingue all'università Bocconi di Milano, ho conosciuto Antonio Craxi lì. È riuscito a laurearsi con il minimo dei voti. Allora non aveva il becco di un quattrino: veniva a prendermi con l'auto del padre, e poi si faceva pagare la benzina da me».
Quando avete divorziato?
«Nel 1975, ma eravamo separati già da sei anni. I dissapori cominciarono subito dopo il matrimonio. Litigavamo sempre più spesso, cominciò a mancarmi di rispetto. Avrei potuto tornare in Friuli dai miei con i bimbi piccoli e insegnare, ma lui me lo proibì: "No, i miei figli devono stare a Milano, altrimenti te li faccio portare via". Ho rinunciato perfino a risposarmi».
E lui si è risposato?
«Ha avuto quattro figli dalla sua nuova compagna francese, Sylvie. E il confronto fra loro e la vita che ha imposto ai nostri figli è penoso. Quando s' invaghì di Sai Baba andava parecchie volte all' anno in India. Solamente il costo dei suoi biglietti aerei sarebbe bastato a noi tre per vivere un anno intero».
Signora, non converrebbe dopo così tanti anni farsi liquidare dal suo ex con una somma una tantum e magari una casa di proprietà che le tolga almeno il pensiero dell'affitto?
«Lo avevo proposto ad Antonio quando l'ente che possiede questo palazzo vendette gli appartamenti, proponendoli innanzitutto agli affittuari. Lui ci pensò, sembrava fosse disposto ad acquistarlo e a lasciarmelo in usufrutto, ma poi non se ne fece nulla».
Molti ex trovano difficile pagare una grossa somma ogni sei mesi. Non vi converrebbe accordarvi per versamenti mensili o bimestrali, per non accumulare crediti troppo alti?
«L'importante è che paghi. Basterebbe che vendesse uno solo dei suoi cavalli. E io vado avanti cinque anni».
Mauro Suttora
Laura D'Este, ex moglie del fratello di Bettino, accusa: «Antonio mi ha ridotta a farmi sfamare dalla Caritas. Mentre lui...»
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Lo dicono le statistiche: in tutto il mondo luglio e agosto sono i mesi più difficili per le ex mogli che ricevono gli alimenti dall'ex coniuge. Sarà per le spese da affrontare per mandare la nuova famiglia in vacanza, sarà per l'Irpef pagata in giugno, sarà per il rallentamento delle entrate in estate... Fatto sta che in questi mesi si impennano le denunce per i ritardi o i mancati pagamenti dell'assegno di mantenimento. Non fanno eccezione i nomi famosi.
«Sono disperata: ho chiesto alla Caritas che mi mandino qualche pacco di alimenti per poter mangiare. Non mi rimangono neanche i soldi per fare la spesa»: questa è la drammatica confessione che fa a Oggi la signora Laura D'Este, 70 anni. La quale non ha ancora ricevuto, dall'inizio di luglio, i 7.150 euro semestrali dovuti dall'ex marito Antonio Craxi.
SPOSATI NEL 1965
Non è la prima volta che il fratello dell'ex premier Bettino, noto soprattutto per la sua devozione al guru indiano Sai Baba, viene accusato dall'ex moglie (sposata nel 1965 dopo tre anni di fidanzamento) di ritardi nell'onorare gli impegni verso la ex moglie. Nel '95 la signora D'Este si rivolse proprio a noi per denunciare che il mensile di un milione e mezzo di lire veniva versato in ritardo. Ma che, soprattutto, non bastava a permetterle di vivere decorosamente, visto che doveva pagare più di un milione d'affitto per l'appartamento milanese in cui vive, in via Castelbarco.
Quindici anni dopo, ci risiamo. Nel frattempo, con le rivalutazioni per l'inflazione, il mensile è passato a 1.190 euro. «Che sarebbe anche una cifra accettabile», ci dice la signora D'Este, «se, come al solito, non ne dovessi pagare 770 per affitto e spese condominiali. E, con i prezzi di Milano, anche se mi trasferissi in una casa più piccola non potrei risparmiare granché».
Quel che fa imbestialire la signora è che, mentre lei è costretta in queste ristrettezze, il suo ex condurrebbe una vita più che agiata. Dice: «Antonio è proprietario di un'azienda agricola di dieci ettari a Magenta, in provincia di Milano: il club Modus Vivendi, con piscina, sauna, maneggio e una clinica di scienze ayurvediche. Mi ha sempre detto che non ha soldi, ma a me risulta che abbia anche uno yacht a Nizza e una villa vicino a Deauville in Normandia, non so se intestati a lui o alla sua nuova moglie francese».
Disgrazia nella disgrazia, alla signora D'Este la scorsa settimana si è incrinata una vertebra alzando un vaso sul balcone di casa: «I dottori mi dicono che devo mettermi un corsetto di ferro. Ma costa 600 euro, e io non me lo posso permettere. Così come anche molte medicine».
Dopo il sollecito e il precetto, la signora ha sporto querela-denuncia contro l'ex marito, col quale non parla da due anni.
«Ha detto a mio figlio, che è ormai grande, di mantenermi lui», accusa l'ex signora Craxi. «Ma mio figlio ha la sua famiglia a cui badare, non posso certo gravare su di lui. E ormai sono sola, non ho più parenti a cui rivolgermi».
FAMIGLIA BENE DI UDINE
La signora D'Este proviene da una famiglia benestante di Udine: padre medico, nonno magistrato. «Nel '62 studiavo lingue all'università Bocconi di Milano, ho conosciuto Antonio Craxi lì. È riuscito a laurearsi con il minimo dei voti. Allora non aveva il becco di un quattrino: veniva a prendermi con l'auto del padre, e poi si faceva pagare la benzina da me».
Quando avete divorziato?
«Nel 1975, ma eravamo separati già da sei anni. I dissapori cominciarono subito dopo il matrimonio. Litigavamo sempre più spesso, cominciò a mancarmi di rispetto. Avrei potuto tornare in Friuli dai miei con i bimbi piccoli e insegnare, ma lui me lo proibì: "No, i miei figli devono stare a Milano, altrimenti te li faccio portare via". Ho rinunciato perfino a risposarmi».
E lui si è risposato?
«Ha avuto quattro figli dalla sua nuova compagna francese, Sylvie. E il confronto fra loro e la vita che ha imposto ai nostri figli è penoso. Quando s' invaghì di Sai Baba andava parecchie volte all' anno in India. Solamente il costo dei suoi biglietti aerei sarebbe bastato a noi tre per vivere un anno intero».
Signora, non converrebbe dopo così tanti anni farsi liquidare dal suo ex con una somma una tantum e magari una casa di proprietà che le tolga almeno il pensiero dell'affitto?
«Lo avevo proposto ad Antonio quando l'ente che possiede questo palazzo vendette gli appartamenti, proponendoli innanzitutto agli affittuari. Lui ci pensò, sembrava fosse disposto ad acquistarlo e a lasciarmelo in usufrutto, ma poi non se ne fece nulla».
Molti ex trovano difficile pagare una grossa somma ogni sei mesi. Non vi converrebbe accordarvi per versamenti mensili o bimestrali, per non accumulare crediti troppo alti?
«L'importante è che paghi. Basterebbe che vendesse uno solo dei suoi cavalli. E io vado avanti cinque anni».
Mauro Suttora
Wednesday, August 11, 2010
parla Lele Mora
ERO IO L'IMPERATORE DELL'HOLLYWOOD
Oggi, 4 agosto 2010
Lele Mora, l’imperatore dell’Hollywood era lei.
«Per dieci anni, alla domenica sera, stavo seduto nel privé su una poltrona a forma di trono».
Perché?
«Un po’ per scherzo, un po’ perché venendo dalla campagna la cosa mi piaceva. Ma la vera ragione era un’altra».
Quale?
«Ricevo 500 mail al giorno di giovani che vogliono entrare nel mondo dello spettacolo. Impossibile trovare il tempo di incontrarli tutti».
E allora?
«Venivano loro lì. Così non c’era bisogno del richiamo di nomi famosi per riempire il locale. Bastavo io».
Le serate con coca di cui parlano Belen e la Ribas.
«Mai vista, la cocaina. Io sono assolutamente contro la droga. Neanche fumo e bevo».
Ha fatto tre mesi di carcere per cocaina nel 1989.
«Completamente prosciolto. Fu terribile».
Mai vista, allora, la coca?
«Vedo chi la vende e chi la prende, come tutti. Ti fermano addirittura per dartela, qui sotto in viale Monza come in corso Como».
Dilaga.
«È la piaga di questi anni. Ormai la prendono tutti, anche gli operai al sabato».
E quindi?
«Se chiudono l’Hollywood, dovrebbero chiudere tutti i locali del mondo».
Battaglia persa?
«Mai darsi per vinti. Io aiuto don Mazzi».
Erano complici anche vigili e poliziotti.
«Ci sono sempre gli insospettabili».
Tanto vale legalizzare.
«Non saprei prendere posizione, non sono un politico».
Almeno non ci guadagnano i mafiosi.
«È come per l’alcol».
Cioé?
«Vogliono chiudere le discoteche alle due. Ma i ragazzi bevono lo stesso, nei baracchini».
E attorno a lei?
«Ho allontanato dalla mia agenzia personaggi come la Ribas, la Lodo, la Fabiani».
Perché?
«Non c’era più feeling».
Diplomatico.
«Io ai miei ragazzi ho fatto solo del bene. Ma non tutti sono riconoscenti».
Corona?
«Ai figli si perdona sempre. Anche a quelli più ribelli».
Lo hanno beccato per la terza volta senza patente.
«Non è quello che vuol far credere di essere».
E cos’è, allora?
«Buono, furbo. E malato di denaro».
Siete accusati di Iva evasa su 17 milioni.
«Lui non so. Io per fatture di poche centinaia di migliaia».
Come vanno gli affari?
«Non tanto bene».
Dopo Vallettopoli del 2007?
«Ero crollato da 50 a uno. Trent’anni di lavoro distrutti».
L’hanno abbandonata in tanti?
«No. Molti li ho lasciati io. Ora curo 80 artisti».
Gli addii più dolorosi?
«Simona Ventura e Valter Nudo. Lei dopo 14 anni. Lui mi ha tradito tre volte».
In che senso?
«Se n’è andato, non ha combinato niente, è tornato, l’ho ripreso in agenzia, l’ho rilanciato, mi ha mollato di nuovo».
Chi le è stato fedele?
«Tanti: la Ferilli, Ornella Muti, De Sica, D’Eusanio, Yespica. E poi Casalegno, Caldonazzo, Platinette, Remo Girone...»
Ora come va l’agenzia?
«Ci stiamo riprendendo, ma che fatica».
Questo suo ufficio brilla sempre.
«Lavoro come un matto. L’altra sera ho inaugurato un casinò ad Abbazia, in Croazia. Dodici ore d’auto. Ieri a Verona e poi a Bari».
Stanno finendo gli anni Zero. Lei, con Briatore, è stato il simbolo del decennio.
«Ho creato e lanciato tanti sconosciuti. A Belen ho dato il permesso di soggiorno, era clandestina. E poi la Falchi...»
Metà dei personaggi tv erano suoi.
«Anche tre quarti».
Si pente di qualcosa?
«Ho gonfiato anche “fenomeni” che non sanno fare niente. Senza talento e cultura».
Lei invece colleziona lauree ad honorem, le vedo appese lì dietro.
«Due in Scienza della comunicazione. Un'altra me la stanno per dare a Perugia. E poi la mia».
In?
«Economia e commercio, a Bologna».
Era uno degli uomini più potenti d’Italia.
«I veri potenti sono altri: politici, industriali, banchieri».
Lei no?
«Ho solo lavorato tanto, cominciando da Patty Pravo e Loredana Berté negli anni ‘70».
Un drogato di lavoro.
«Ecco. Questa è la mia unica droga. Vivo per lavorare, invece di lavorare per vivere».
Si vede che le piace.
«Sì, ma ho trascurato la famiglia».
Se l’è portata dietro: sua figlia lavora con lei.
«Anche mio figlio e mio genero».
Quindi non si è mai sentito importante? Neppure sul trono?
«Una volta la mia faccia non la conosceva nessuno. Ora che è nota, non posso fare più nulla».
Cioé?
«Appena faccio pipì fuori dal vasino mi segnalano».
L’hanno segnalata con Berlusconi fra le guglie del Duomo, due settimane fa.
«Sono andato per il concerto di Aznavour. Mi ha invitato un mio amico imprenditore di Roma, anche perché costava duemila euro a biglietto».
Che fa, prende le distanze?
«Assolutamente no. Amo Berlusconi come imprenditore, politico e uomo di parola».
Vota Pdl?
«Politicamente sono mussoliniano, perché lo erano i miei genitori».
Quindi ha votato Storace.
«No. Mussoliniano, non fascista».
L’hanno vista a un comizio Pdl.
«Ho aiutato la campagna di due amici: Podestà per la provincia di Milano, e Giorgio Pozzi a Como».
Insomma, è di destra.
«Ma solo personalmente. Sul lavoro niente politica».
Bipartisan.
«Sì. Infatti la Ferilli è di sinistra».
Oggi è il 2 agosto. Vacanze?
«Detesto il sole. Per questo sono bianco come un latticino»
Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
Lele Mora, l’imperatore dell’Hollywood era lei.
«Per dieci anni, alla domenica sera, stavo seduto nel privé su una poltrona a forma di trono».
Perché?
«Un po’ per scherzo, un po’ perché venendo dalla campagna la cosa mi piaceva. Ma la vera ragione era un’altra».
Quale?
«Ricevo 500 mail al giorno di giovani che vogliono entrare nel mondo dello spettacolo. Impossibile trovare il tempo di incontrarli tutti».
E allora?
«Venivano loro lì. Così non c’era bisogno del richiamo di nomi famosi per riempire il locale. Bastavo io».
Le serate con coca di cui parlano Belen e la Ribas.
«Mai vista, la cocaina. Io sono assolutamente contro la droga. Neanche fumo e bevo».
Ha fatto tre mesi di carcere per cocaina nel 1989.
«Completamente prosciolto. Fu terribile».
Mai vista, allora, la coca?
«Vedo chi la vende e chi la prende, come tutti. Ti fermano addirittura per dartela, qui sotto in viale Monza come in corso Como».
Dilaga.
«È la piaga di questi anni. Ormai la prendono tutti, anche gli operai al sabato».
E quindi?
«Se chiudono l’Hollywood, dovrebbero chiudere tutti i locali del mondo».
Battaglia persa?
«Mai darsi per vinti. Io aiuto don Mazzi».
Erano complici anche vigili e poliziotti.
«Ci sono sempre gli insospettabili».
Tanto vale legalizzare.
«Non saprei prendere posizione, non sono un politico».
Almeno non ci guadagnano i mafiosi.
«È come per l’alcol».
Cioé?
«Vogliono chiudere le discoteche alle due. Ma i ragazzi bevono lo stesso, nei baracchini».
E attorno a lei?
«Ho allontanato dalla mia agenzia personaggi come la Ribas, la Lodo, la Fabiani».
Perché?
«Non c’era più feeling».
Diplomatico.
«Io ai miei ragazzi ho fatto solo del bene. Ma non tutti sono riconoscenti».
Corona?
«Ai figli si perdona sempre. Anche a quelli più ribelli».
Lo hanno beccato per la terza volta senza patente.
«Non è quello che vuol far credere di essere».
E cos’è, allora?
«Buono, furbo. E malato di denaro».
Siete accusati di Iva evasa su 17 milioni.
«Lui non so. Io per fatture di poche centinaia di migliaia».
Come vanno gli affari?
«Non tanto bene».
Dopo Vallettopoli del 2007?
«Ero crollato da 50 a uno. Trent’anni di lavoro distrutti».
L’hanno abbandonata in tanti?
«No. Molti li ho lasciati io. Ora curo 80 artisti».
Gli addii più dolorosi?
«Simona Ventura e Valter Nudo. Lei dopo 14 anni. Lui mi ha tradito tre volte».
In che senso?
«Se n’è andato, non ha combinato niente, è tornato, l’ho ripreso in agenzia, l’ho rilanciato, mi ha mollato di nuovo».
Chi le è stato fedele?
«Tanti: la Ferilli, Ornella Muti, De Sica, D’Eusanio, Yespica. E poi Casalegno, Caldonazzo, Platinette, Remo Girone...»
Ora come va l’agenzia?
«Ci stiamo riprendendo, ma che fatica».
Questo suo ufficio brilla sempre.
«Lavoro come un matto. L’altra sera ho inaugurato un casinò ad Abbazia, in Croazia. Dodici ore d’auto. Ieri a Verona e poi a Bari».
Stanno finendo gli anni Zero. Lei, con Briatore, è stato il simbolo del decennio.
«Ho creato e lanciato tanti sconosciuti. A Belen ho dato il permesso di soggiorno, era clandestina. E poi la Falchi...»
Metà dei personaggi tv erano suoi.
«Anche tre quarti».
Si pente di qualcosa?
«Ho gonfiato anche “fenomeni” che non sanno fare niente. Senza talento e cultura».
Lei invece colleziona lauree ad honorem, le vedo appese lì dietro.
«Due in Scienza della comunicazione. Un'altra me la stanno per dare a Perugia. E poi la mia».
In?
«Economia e commercio, a Bologna».
Era uno degli uomini più potenti d’Italia.
«I veri potenti sono altri: politici, industriali, banchieri».
Lei no?
«Ho solo lavorato tanto, cominciando da Patty Pravo e Loredana Berté negli anni ‘70».
Un drogato di lavoro.
«Ecco. Questa è la mia unica droga. Vivo per lavorare, invece di lavorare per vivere».
Si vede che le piace.
«Sì, ma ho trascurato la famiglia».
Se l’è portata dietro: sua figlia lavora con lei.
«Anche mio figlio e mio genero».
Quindi non si è mai sentito importante? Neppure sul trono?
«Una volta la mia faccia non la conosceva nessuno. Ora che è nota, non posso fare più nulla».
Cioé?
«Appena faccio pipì fuori dal vasino mi segnalano».
L’hanno segnalata con Berlusconi fra le guglie del Duomo, due settimane fa.
«Sono andato per il concerto di Aznavour. Mi ha invitato un mio amico imprenditore di Roma, anche perché costava duemila euro a biglietto».
Che fa, prende le distanze?
«Assolutamente no. Amo Berlusconi come imprenditore, politico e uomo di parola».
Vota Pdl?
«Politicamente sono mussoliniano, perché lo erano i miei genitori».
Quindi ha votato Storace.
«No. Mussoliniano, non fascista».
L’hanno vista a un comizio Pdl.
«Ho aiutato la campagna di due amici: Podestà per la provincia di Milano, e Giorgio Pozzi a Como».
Insomma, è di destra.
«Ma solo personalmente. Sul lavoro niente politica».
Bipartisan.
«Sì. Infatti la Ferilli è di sinistra».
Oggi è il 2 agosto. Vacanze?
«Detesto il sole. Per questo sono bianco come un latticino»
Mauro Suttora
Cocaina a Milano
DOPO IL SEQUESTRO DELL'HOLLYWOOD, VIAGGIO NELLE NOTTI BIANCHE DELLE DISCOTECHE
Oggi, 4 agosto 2010
di Mauro Suttora
È qui la coca? Mezzanotte, venerdì sera, Milano, parco Sempione. Nel ristorante della discoteca Old Fashion intime coppie e allegre tavolate stanno finendo la cena. Fra un po’ si sposteranno nel dehors sotto il bel palazzo in mattoni rossi della Triennale. Sta per cominciare la musica, o almeno quel ritmo di rumori ossessivi che l’ha sostituita nelle discoteche.
È il primo week-end di agosto, ma ci sono ancora giovani eleganti in giro per Milano. Gli argomenti di conversazione sono due: dove si va in vacanza, e l’Hollywood. Il locale più alla moda della città, appena chiuso per droga. Che ha fatto notizia non per la droga, ovviamente: quella scorre a fiumi e nei fiumi finisce, secondo le analisi delle acque del Po. Gira nei locali notturni dai tempi dello scandalo al Number One, via Turati, primi anni ’70. E non solo: «Diecimila dosi consumate ogni giorno a Milano, 15 mila nei fine settimana, anche da manager», calcola meticolosa la Asl.
Ora però per la prima volta un magistrato svela una verità più imbarazzante: spacciatori (di coca a 50 euro per sniffata) e protettori (di escort a 300 euro per notte) erano protetti da capi di vigili, poliziotti e dirigenti comunali. Quelli che danno le licenze, e le possono togliere in due minuti con qualsiasi scusa (lo storico Nepentha chiuso perché c’era troppa gente).
Come a Chicago sotto Al Capone, ormai in mezza Lombardia comandano i mafiosi: notizia di un mese fa. La ’ndrangheta non solo fa i miliardi con la droga, ma compra direttamente le discoteche e le usa per nasconderci le pistole dei suoi killer. Il tutto a pochi centimetri dai nasi e dai seni della gente più invidiata d’Italia: le donne più belle (Belen Rodriguez, Elisabetta Canalis, Fernanda Lessa), gli uomini più ricchi (industriali, politici, figli di papà), i calciatori più famosi.
Nella penombra attorno all’Old Fashion, e al vicino Just Cavalli, si aggirano arabi e sudamericani. Non spacciano: chiedono cinque euro a ogni auto che parcheggia. Entriamo. L’anno scorso l’Old Fashion, aperto anche d’estate perché provvisto di giardino, aveva aggiunto Hollywood al proprio nome, per indicare un gemellaggio con il più famoso locale solo invernale. Ora la scritta è convenientemente sparita. Sono rimasti gorilla e buttafuori, facce orrende ma necessarie anche per - in teoria - proteggere la «bella gente» proprio da spacciatori e altri malintenzionati. A meno che - come ha scoperto il pm Frank Di Maio - anche loro non facciano parte del «giro», coordinati da poliziotti fuori servizio in vena di arrotondare, offrendo ai clienti ogni piacevole illegalità e impunità.
Nessuna traccia di traffici strani nei bagni dell’Old Fashion. E ci mancherebbe, proprio in queste notti. Anzi, energumeni occhiuti controllano il viavai attorno ai bagni. Stessa scena, più o meno, negli altri sette locali che abbiamo visitato, fino alle quattro del mattino: Just Cavalli e Bar Bianco al parco Sempione, Crazy Jungle in via Cavriana, e all’Idroscalo il Jardin au bord du lac, Papaya, Borgo Karma e Solaire. Quest’ultimo, con una bella terrazza, riaperto e ripulito dopo la passata gestione delle cosche calabresi.
Migliaia di giovani arrivano in auto ogni venerdì e sabato sera, come in tutta Italia. Un’industria da centinaia di milioni di euro. All’Idroscalo servizi d’ordine numerosi ed efficienti chiudono un occhio ed entrambe le narici di fronte a qualche nuvola di fumo dolciastro proveniente da gruppi di ragazzi che spinellano. All’Idroscalo i «privé» (zona riservata per vip, poltrone solo a chi compra bottiglie di champagne da cento euro) sono una simpatica imitazione di quelli di corso Como. Ma ogni disco che si rispetti deve averlo, il privé, per sembrare esclusiva anche se frequentata da proletari, e mai nessun premier ci farà un salto come invece capitò all’Hollywood tre anni fa.
Nell’immenso parcheggio del Papaya, locale popolare per diciottenni dove si entra gratis senza consumazione obbligatoria da 15 euro (negli altri locali mai una ricevuta fiscale, ma questo è un altro discorso, o forse lo stesso), trovo infine un piccolo spacciatore. Gli chiedo cocaina. Ha solo hashish. Droga leggera. Sembra di tornare al liceo, trent’anni fa. È arabo, vuole 50 euro. Trattiamo, compro a trenta.
Niente di più libero e facile: è la farsa del proibizionismo. Che infatti sia a sinistra (Michele Serra) sia a destra (Sergio Romano) è in questi giorni definito inutile. Viene in mente Robert De Niro in C’era una volta in America. Ricordate? Quando il presidente Roosevelt legalizzò i liquori, lui e i suoi amici mafiosi si ritrovarono senza lavoro. E ora vogliamo creare disoccupazione, con la crisi che c’è?...
Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
di Mauro Suttora
È qui la coca? Mezzanotte, venerdì sera, Milano, parco Sempione. Nel ristorante della discoteca Old Fashion intime coppie e allegre tavolate stanno finendo la cena. Fra un po’ si sposteranno nel dehors sotto il bel palazzo in mattoni rossi della Triennale. Sta per cominciare la musica, o almeno quel ritmo di rumori ossessivi che l’ha sostituita nelle discoteche.
È il primo week-end di agosto, ma ci sono ancora giovani eleganti in giro per Milano. Gli argomenti di conversazione sono due: dove si va in vacanza, e l’Hollywood. Il locale più alla moda della città, appena chiuso per droga. Che ha fatto notizia non per la droga, ovviamente: quella scorre a fiumi e nei fiumi finisce, secondo le analisi delle acque del Po. Gira nei locali notturni dai tempi dello scandalo al Number One, via Turati, primi anni ’70. E non solo: «Diecimila dosi consumate ogni giorno a Milano, 15 mila nei fine settimana, anche da manager», calcola meticolosa la Asl.
Ora però per la prima volta un magistrato svela una verità più imbarazzante: spacciatori (di coca a 50 euro per sniffata) e protettori (di escort a 300 euro per notte) erano protetti da capi di vigili, poliziotti e dirigenti comunali. Quelli che danno le licenze, e le possono togliere in due minuti con qualsiasi scusa (lo storico Nepentha chiuso perché c’era troppa gente).
Come a Chicago sotto Al Capone, ormai in mezza Lombardia comandano i mafiosi: notizia di un mese fa. La ’ndrangheta non solo fa i miliardi con la droga, ma compra direttamente le discoteche e le usa per nasconderci le pistole dei suoi killer. Il tutto a pochi centimetri dai nasi e dai seni della gente più invidiata d’Italia: le donne più belle (Belen Rodriguez, Elisabetta Canalis, Fernanda Lessa), gli uomini più ricchi (industriali, politici, figli di papà), i calciatori più famosi.
Nella penombra attorno all’Old Fashion, e al vicino Just Cavalli, si aggirano arabi e sudamericani. Non spacciano: chiedono cinque euro a ogni auto che parcheggia. Entriamo. L’anno scorso l’Old Fashion, aperto anche d’estate perché provvisto di giardino, aveva aggiunto Hollywood al proprio nome, per indicare un gemellaggio con il più famoso locale solo invernale. Ora la scritta è convenientemente sparita. Sono rimasti gorilla e buttafuori, facce orrende ma necessarie anche per - in teoria - proteggere la «bella gente» proprio da spacciatori e altri malintenzionati. A meno che - come ha scoperto il pm Frank Di Maio - anche loro non facciano parte del «giro», coordinati da poliziotti fuori servizio in vena di arrotondare, offrendo ai clienti ogni piacevole illegalità e impunità.
Nessuna traccia di traffici strani nei bagni dell’Old Fashion. E ci mancherebbe, proprio in queste notti. Anzi, energumeni occhiuti controllano il viavai attorno ai bagni. Stessa scena, più o meno, negli altri sette locali che abbiamo visitato, fino alle quattro del mattino: Just Cavalli e Bar Bianco al parco Sempione, Crazy Jungle in via Cavriana, e all’Idroscalo il Jardin au bord du lac, Papaya, Borgo Karma e Solaire. Quest’ultimo, con una bella terrazza, riaperto e ripulito dopo la passata gestione delle cosche calabresi.
Migliaia di giovani arrivano in auto ogni venerdì e sabato sera, come in tutta Italia. Un’industria da centinaia di milioni di euro. All’Idroscalo servizi d’ordine numerosi ed efficienti chiudono un occhio ed entrambe le narici di fronte a qualche nuvola di fumo dolciastro proveniente da gruppi di ragazzi che spinellano. All’Idroscalo i «privé» (zona riservata per vip, poltrone solo a chi compra bottiglie di champagne da cento euro) sono una simpatica imitazione di quelli di corso Como. Ma ogni disco che si rispetti deve averlo, il privé, per sembrare esclusiva anche se frequentata da proletari, e mai nessun premier ci farà un salto come invece capitò all’Hollywood tre anni fa.
Nell’immenso parcheggio del Papaya, locale popolare per diciottenni dove si entra gratis senza consumazione obbligatoria da 15 euro (negli altri locali mai una ricevuta fiscale, ma questo è un altro discorso, o forse lo stesso), trovo infine un piccolo spacciatore. Gli chiedo cocaina. Ha solo hashish. Droga leggera. Sembra di tornare al liceo, trent’anni fa. È arabo, vuole 50 euro. Trattiamo, compro a trenta.
Niente di più libero e facile: è la farsa del proibizionismo. Che infatti sia a sinistra (Michele Serra) sia a destra (Sergio Romano) è in questi giorni definito inutile. Viene in mente Robert De Niro in C’era una volta in America. Ricordate? Quando il presidente Roosevelt legalizzò i liquori, lui e i suoi amici mafiosi si ritrovarono senza lavoro. E ora vogliamo creare disoccupazione, con la crisi che c’è?...
Mauro Suttora
Wednesday, August 04, 2010
Gemelli Mussolini
GRAZIE ALL' INSEMINAZIONE ARTIFICIALE, SI ALLARGA LA DINASTIA DEL DITTATORE
I due trisnipoti del duce, Marzio e Carlo, sono nati con le tecniche del professor Antinori. E la bisnonna era Edda Ciano, figlia di Benito. Che sulla procreazione assistita, già allora diceva...
di Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
Siamo ormai arrivati alla quinta generazione di Mussolini. Ma avere fra le mani il Dna di Benito fa sempre un po' impressione. È quel che è capitato al professor Severino Antinori, il medico italiano famoso per le tecniche di fecondazione artificiale, che ha favorito la nascita di Marzio e Carlo Ciano, trisnipoti del duce. Eccoli qui felici e pasciuti, a otto mesi dalla nascita (il 21 novembre 2009 nella clinica romana Quisisana), in braccio al papà Pier Francesco Ciano.
Ciano ha deciso di chiamare uno dei due gemelli con il nome di suo padre Marzio, morto a soli 37 anni, e terzogenito della coppia composta da Edda e Galeazzo, ex ministro degli Esteri, una delle figure più controverse del regime fascista.
«I bambini sono nati all' ottavo mese», dice Ciano, «e alla nascita pesavano 2,7 chili e 2,3. Mia moglie Alessandra e io ringraziamo il ginecologo Severino Antinori. Edda e Galeazzo Ciano ebbero tre figli, ma solo mio padre ebbe degli eredi: me e mio fratello Lorenzo. Lorenzo non ha figli, mentre io e mia moglie ora abbiamo dato alla luce questi bei gemelli, che porteranno avanti la dinastia».
FIGURA CONTROVERSA
La dinastia Ciano, nel bene e nel male, ha fatto l'Italia del Novecento. A cominciare dall'ammiraglio Costanzo Ciano, nato a Livorno nel 1876 e autore della «beffa di Buccari»: con i suoi Mas (Motoscafi antisommergibile) assieme a Gabriele D'Annunzio riuscì a penetrare nel porto della flotta austriaca. Il che, dopo Caporetto, risollevò il morale delle truppe italiane. Sotto il fascismo fu ministro e presidente (di quel che restava) della Camera dei deputati.
Suo figlio Galeazzo, spavaldo e brillante, sposò nel 1930 Edda Mussolini, primogenita del dittatore, il quale nel '36 lo volle ministro degli Esteri. Filoinglese come i gerarchi più intelligenti del regime (Italo Balbo, Dino Grandi), Ciano cercò di tenere l'Italia fuori dalla guerra di Hitler. E per nove mesi ci riuscì. Ma nel giugno '40 Mussolini, visto il crollo della Francia, la attaccò.
Ciano divenne ambasciatore in Vaticano, dove ebbe stretti rapporti con il futuro papa Paolo VI, allora numero due della Segreteria di Stato. Il 25 luglio '43, durante l'ultimo drammatico Gran Consiglio, Galeazzo Ciano tradì Mussolini, votandone la richiesta di dimissioni che fece cadere il regime. Per questo pagò con la vita nel gennaio successivo: venne fucilato a Verona, nonostante la moglie Edda implorasse la grazia presso il padre.
Una vicenda da tragedia greca, che vide spendersi e spegnersi Edda, figlia prediletta del Duce, donna anticonformista, spregiudicata e moderna. «Ho sottomesso l'Italia, non riuscirò mai a sottomettere mia figlia», disse di lei Mussolini.
Dopo la guerra Edda girò il mondo, sempre irrequieta, pur badando ai tre figli: Fabrizio, Raimonda (detta Dindina) e Marzio. Marzio, nonno dei gemellini, si sposò con Gloria Lucchesi, ma tre anni dopo la nascita di Pier Francesco si separò. Morì nel '74, ventun anni prima di sua madre Edda.
A causa della distanza fra la nascita di Edda Mussolini e quella di suo fratello Romano, venuto alla luce 17 anni dopo, negli stessi mesi del '62 in cui Romano ha avuto da Anna Maria Scicolone (sorella di Sophia Loren) la figlia Alessandra (oggi deputata Pdl), è nato anche Pier Francesco Ciano, che appartiene però alla generazione seguente.
Ma cos'avrebbe detto Benito della procreazione assistita con la quale sono venuti alla luce questi suoi trisnipotini? Può sembrare una curiosità balzana. Eppure la risposta, incredibilmente, c'è.
Il 28 novembre 1939, Mussolini disse queste parole alla sua amante Claretta Petacci, che le trascrisse nel proprio diario (desecretato da poco dall'Archivio di Stato, e pubblicato da Rizzoli nel 2009 in Mussolini segreto): «Cara, hai veduto l'incubazione meccanica? Cioè il toro monta una bestia finta, raccolgono il liquido, e con quello rendono incinte altre bestie. Il toro è un bel po' stupido, non si accorge. [...] Guarda le foto. A me fa un certo effetto, anche a te vedo. Sì, è brutto, la natura va rispettata anche per le bestie. pensa che hanno fatto lo stesso anche con delle donne. Per esempio, una non poteva avere figli col marito. Si faceva iniettare lo sperma di uno qualunque e rimaneva incinta. Uno in America fece la prova di dieci o quindici sperma prima di iniettarli alla moglie. Nauseante».
Ma Mussolini si riferiva alla fecondazione assistita «eterologa». Questi gemellini Ciano, invece, sono nati regolarmente fra marito e moglie.
Mauro Suttora
I due trisnipoti del duce, Marzio e Carlo, sono nati con le tecniche del professor Antinori. E la bisnonna era Edda Ciano, figlia di Benito. Che sulla procreazione assistita, già allora diceva...
di Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
Siamo ormai arrivati alla quinta generazione di Mussolini. Ma avere fra le mani il Dna di Benito fa sempre un po' impressione. È quel che è capitato al professor Severino Antinori, il medico italiano famoso per le tecniche di fecondazione artificiale, che ha favorito la nascita di Marzio e Carlo Ciano, trisnipoti del duce. Eccoli qui felici e pasciuti, a otto mesi dalla nascita (il 21 novembre 2009 nella clinica romana Quisisana), in braccio al papà Pier Francesco Ciano.
Ciano ha deciso di chiamare uno dei due gemelli con il nome di suo padre Marzio, morto a soli 37 anni, e terzogenito della coppia composta da Edda e Galeazzo, ex ministro degli Esteri, una delle figure più controverse del regime fascista.
«I bambini sono nati all' ottavo mese», dice Ciano, «e alla nascita pesavano 2,7 chili e 2,3. Mia moglie Alessandra e io ringraziamo il ginecologo Severino Antinori. Edda e Galeazzo Ciano ebbero tre figli, ma solo mio padre ebbe degli eredi: me e mio fratello Lorenzo. Lorenzo non ha figli, mentre io e mia moglie ora abbiamo dato alla luce questi bei gemelli, che porteranno avanti la dinastia».
FIGURA CONTROVERSA
La dinastia Ciano, nel bene e nel male, ha fatto l'Italia del Novecento. A cominciare dall'ammiraglio Costanzo Ciano, nato a Livorno nel 1876 e autore della «beffa di Buccari»: con i suoi Mas (Motoscafi antisommergibile) assieme a Gabriele D'Annunzio riuscì a penetrare nel porto della flotta austriaca. Il che, dopo Caporetto, risollevò il morale delle truppe italiane. Sotto il fascismo fu ministro e presidente (di quel che restava) della Camera dei deputati.
Suo figlio Galeazzo, spavaldo e brillante, sposò nel 1930 Edda Mussolini, primogenita del dittatore, il quale nel '36 lo volle ministro degli Esteri. Filoinglese come i gerarchi più intelligenti del regime (Italo Balbo, Dino Grandi), Ciano cercò di tenere l'Italia fuori dalla guerra di Hitler. E per nove mesi ci riuscì. Ma nel giugno '40 Mussolini, visto il crollo della Francia, la attaccò.
Ciano divenne ambasciatore in Vaticano, dove ebbe stretti rapporti con il futuro papa Paolo VI, allora numero due della Segreteria di Stato. Il 25 luglio '43, durante l'ultimo drammatico Gran Consiglio, Galeazzo Ciano tradì Mussolini, votandone la richiesta di dimissioni che fece cadere il regime. Per questo pagò con la vita nel gennaio successivo: venne fucilato a Verona, nonostante la moglie Edda implorasse la grazia presso il padre.
Una vicenda da tragedia greca, che vide spendersi e spegnersi Edda, figlia prediletta del Duce, donna anticonformista, spregiudicata e moderna. «Ho sottomesso l'Italia, non riuscirò mai a sottomettere mia figlia», disse di lei Mussolini.
Dopo la guerra Edda girò il mondo, sempre irrequieta, pur badando ai tre figli: Fabrizio, Raimonda (detta Dindina) e Marzio. Marzio, nonno dei gemellini, si sposò con Gloria Lucchesi, ma tre anni dopo la nascita di Pier Francesco si separò. Morì nel '74, ventun anni prima di sua madre Edda.
A causa della distanza fra la nascita di Edda Mussolini e quella di suo fratello Romano, venuto alla luce 17 anni dopo, negli stessi mesi del '62 in cui Romano ha avuto da Anna Maria Scicolone (sorella di Sophia Loren) la figlia Alessandra (oggi deputata Pdl), è nato anche Pier Francesco Ciano, che appartiene però alla generazione seguente.
Ma cos'avrebbe detto Benito della procreazione assistita con la quale sono venuti alla luce questi suoi trisnipotini? Può sembrare una curiosità balzana. Eppure la risposta, incredibilmente, c'è.
Il 28 novembre 1939, Mussolini disse queste parole alla sua amante Claretta Petacci, che le trascrisse nel proprio diario (desecretato da poco dall'Archivio di Stato, e pubblicato da Rizzoli nel 2009 in Mussolini segreto): «Cara, hai veduto l'incubazione meccanica? Cioè il toro monta una bestia finta, raccolgono il liquido, e con quello rendono incinte altre bestie. Il toro è un bel po' stupido, non si accorge. [...] Guarda le foto. A me fa un certo effetto, anche a te vedo. Sì, è brutto, la natura va rispettata anche per le bestie. pensa che hanno fatto lo stesso anche con delle donne. Per esempio, una non poteva avere figli col marito. Si faceva iniettare lo sperma di uno qualunque e rimaneva incinta. Uno in America fece la prova di dieci o quindici sperma prima di iniettarli alla moglie. Nauseante».
Ma Mussolini si riferiva alla fecondazione assistita «eterologa». Questi gemellini Ciano, invece, sono nati regolarmente fra marito e moglie.
Mauro Suttora
Wednesday, July 21, 2010
Rizzoli & Isles, nuovo serial Usa
Angie Harmon interpreta una detective dal nome famoso
New York, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora - Oggi
Che coincidenza. Lunedì 12 luglio ha debuttato negli Stati Uniti (canale Tnt) un nuovo serial tv: Rizzoli & Isles. Sulle orme di Starsky & Hutch, il titolo richiama i cognomi delle due protagoniste: la detective italoamericana Jane Rizzoli e la medico legale Maura Isles, che indagano a Boston..
Il giorno dopo, martedì 13, in Italia Canale 5 ha cominciato a trasmettere in prima serata le tredici puntate di Women’s Murder Club, altro serial definito «un misto di Csi, Sex and the City e Grey’s Anatomy».
In comune, i due serial hanno la protagonista: Angie Harmon, 37 anni, texana con sangue cherokee, greco e irlandese. È una delle donne più belle degli Stati Uniti, a metà strada fra l’energetica Sandra Bullock e l’indimenticata Florinda Bolkan.
È lei l’affascinante Jane Rizzoli, che si chiama così per scelta di Tess Gerritsen, l’autrice dei libri (tradotti in Italia da Longanesi) da cui è tratta la serie. La coprotagonista Sasha Alexander ha anche lei un legame con l’Italia: tre anni fa ha sposato Edoardo Ponti, figlio di Sophia Loren.
Libri sofisticati
«Rizzoli» è un nome ben noto negli Stati Uniti. La Rizzoli Usa pubblica libri sofisticati d’arte e di moda in inglese, e la libreria Rizzoli sulla 57esima Strada di New York, con le sue boiseries, è una delle più eleganti di tutto il continente. Lì è stata girata una puntata di Sex and the City, e lì si incontrano per caso Robert De Niro e Meryl Streep nella prima scena del film Innamorarsi (1984).
Un mondo intellettuale lontano da quello della dinamica Angie Harmon, che ha sposato l’ex giocatore di football Jason Seehorn da cui ha avuto tre figlie. I loro nomi sono Fede, 6 anni, Grazia, 5, e Speranza, 1. Speriamo che non ne nasca un’altra, perché rischierebbe di chiamarsi Carità. La Harmon, lei stessa figlia di un’indossatrice degli anni ‘70, prima di recitare in Baywatch e Law & Order è stata una top model negli anni ‘90, fra le preferite di Giorgio Armani, Calvin Klein e Donna Karan. Ha conquistato le copertine di Elle, Cosmopolitan ed Esquire, e nel 2008 ha fatto sensazione fra i puritani d’America perché è apparsa «nuda» sul mensile Allure.
Idee politiche di destra
Veramente non è che si (intra)vedesse granché, anche perché Angie, come molti texani, ha idee politiche di destra. Non sono molti gli attori di Hollywood che votano repubblicano, cosicché l’ex presidente George Bush junior le fece pronunciare un discorso alla convention del 2004.
Alle ultime elezioni la Harmon ha appoggiato John McCain contro Barack Obama, e ha già promesso il voto alla conservatrice Sarah Palin per il 2012. Insomma, una vera «dura»...
Mauro Suttora
New York, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora - Oggi
Che coincidenza. Lunedì 12 luglio ha debuttato negli Stati Uniti (canale Tnt) un nuovo serial tv: Rizzoli & Isles. Sulle orme di Starsky & Hutch, il titolo richiama i cognomi delle due protagoniste: la detective italoamericana Jane Rizzoli e la medico legale Maura Isles, che indagano a Boston..
Il giorno dopo, martedì 13, in Italia Canale 5 ha cominciato a trasmettere in prima serata le tredici puntate di Women’s Murder Club, altro serial definito «un misto di Csi, Sex and the City e Grey’s Anatomy».
In comune, i due serial hanno la protagonista: Angie Harmon, 37 anni, texana con sangue cherokee, greco e irlandese. È una delle donne più belle degli Stati Uniti, a metà strada fra l’energetica Sandra Bullock e l’indimenticata Florinda Bolkan.
È lei l’affascinante Jane Rizzoli, che si chiama così per scelta di Tess Gerritsen, l’autrice dei libri (tradotti in Italia da Longanesi) da cui è tratta la serie. La coprotagonista Sasha Alexander ha anche lei un legame con l’Italia: tre anni fa ha sposato Edoardo Ponti, figlio di Sophia Loren.
Libri sofisticati
«Rizzoli» è un nome ben noto negli Stati Uniti. La Rizzoli Usa pubblica libri sofisticati d’arte e di moda in inglese, e la libreria Rizzoli sulla 57esima Strada di New York, con le sue boiseries, è una delle più eleganti di tutto il continente. Lì è stata girata una puntata di Sex and the City, e lì si incontrano per caso Robert De Niro e Meryl Streep nella prima scena del film Innamorarsi (1984).
Un mondo intellettuale lontano da quello della dinamica Angie Harmon, che ha sposato l’ex giocatore di football Jason Seehorn da cui ha avuto tre figlie. I loro nomi sono Fede, 6 anni, Grazia, 5, e Speranza, 1. Speriamo che non ne nasca un’altra, perché rischierebbe di chiamarsi Carità. La Harmon, lei stessa figlia di un’indossatrice degli anni ‘70, prima di recitare in Baywatch e Law & Order è stata una top model negli anni ‘90, fra le preferite di Giorgio Armani, Calvin Klein e Donna Karan. Ha conquistato le copertine di Elle, Cosmopolitan ed Esquire, e nel 2008 ha fatto sensazione fra i puritani d’America perché è apparsa «nuda» sul mensile Allure.
Idee politiche di destra
Veramente non è che si (intra)vedesse granché, anche perché Angie, come molti texani, ha idee politiche di destra. Non sono molti gli attori di Hollywood che votano repubblicano, cosicché l’ex presidente George Bush junior le fece pronunciare un discorso alla convention del 2004.
Alle ultime elezioni la Harmon ha appoggiato John McCain contro Barack Obama, e ha già promesso il voto alla conservatrice Sarah Palin per il 2012. Insomma, una vera «dura»...
Mauro Suttora
Monday, July 19, 2010
Cappato, Marra e Bruti Liberati
LO STRANO SALVATAGGIO DELLA LISTA FORMIGONI
di Mauro Suttora
18 luglio 2010
Dove ha fallito la P3, sta riuscendo un altissimo magistrato di sinistra? Il presidente della corte d’Appello di Milano Alfonso Marra, nonostante le pressioni del faccendiere avellinese Pasquale Lombardi ora in carcere con i sodali Carboni e Martino, non fu capace di far riammettere la lista di Roberto Formigoni alle regionali di marzo. Anche per questa totale inefficienza la «nuova P2» è stata liquidata da Berlusconi come composta da «quattro pensionati sfigati».
A risolvere il pasticcio fu poi Piermaria Piacentini, presidente del Tar lombardo indagato nell’inchiesta sulla «cricca» Balducci-Anemone. Quanto a Marra, «Fofò» per gli amici, la sua carriera è finita ad appena cinque mesi dalla prestigiosa nomina milanese: il Csm ha avviato il procedimento disciplinare, mentre l’Anm parla addirittura di espulsione.
Il dirigente radicale Marco Cappato, persa la battaglia contro Formigoni in sede di ricorso elettorale, non si è dato però per vinto: ha presentato denuncia penale per quella che definisce «la falsificazione delle firme sui moduli della lista Formigoni: duemila su 3.500 erano pre-datate rispetto alla lista dei candidati».
L’allora procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, tuttavia, ha chiesto l’archiviazione anche di questo procedimento. «Dobbiamo capirne le motivazioni», dice Cappato, «perché la sua richiesta non è stata ancora accolta. Basterebbe un rapido controllo delle firme per rendersi conto delle irregolarità. A questo punto, mi auguro che anche in Lombardia, come in Piemonte, sia fatta luce sull’illegalità del voto».
Nel frattempo, Bruti Liberati è stato nominato procuratore capo a Milano. E l’elezione al Csm in maggio, contrariamente a quella di Marra a febbraio, è stata ad ampia maggioranza. Hanno sostenuto Bruti Liberati anche i consiglieri di centrodestra, compreso il «laico» Michele Saponara (ex sottosegretario di Forza Italia) e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, del quale oggi il Pd chiede le dimissioni per aver partecipato a cene della «nuova loggia P3», anche se non risulta indagato.
Una nomina trasversale, insomma, per il 65enne magistrato marchigiano, colonna della corrente di sinistra Magistratura Democratica e già segretario dell’Anm. Che secondo alcuni ha rappresentato una specie di «spartizione» nel palazzo di Giustizia milanese: Marra per il centrodestra, Bruti Liberati per il centrosinistra.
Non è un mistero infatti che anche a febbraio la nomina di Marra provocò grosse polemiche, e gli schieramenti si divisero. Gli votò contro Giuseppe Maria Berruti, fratello del deputato Pdl Massimo, mentre da sinistra gli giunsero i consensi di Celestina Tinelli (Pd) e perfino del vicepresidente Nicola Mancino. Il candidato naturale era Renato Rordorf, ma adesso dalle telefonate della P3 caldeggianti il nome di Marra emerge che si riteneva impossibile che entrambe le cariche finissero in mano alla sinistra. Paradossalmente, però, Bruti Liberati sul caso Formigoni si è dimostrato finora più «utile» di Marra.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
18 luglio 2010
Dove ha fallito la P3, sta riuscendo un altissimo magistrato di sinistra? Il presidente della corte d’Appello di Milano Alfonso Marra, nonostante le pressioni del faccendiere avellinese Pasquale Lombardi ora in carcere con i sodali Carboni e Martino, non fu capace di far riammettere la lista di Roberto Formigoni alle regionali di marzo. Anche per questa totale inefficienza la «nuova P2» è stata liquidata da Berlusconi come composta da «quattro pensionati sfigati».
A risolvere il pasticcio fu poi Piermaria Piacentini, presidente del Tar lombardo indagato nell’inchiesta sulla «cricca» Balducci-Anemone. Quanto a Marra, «Fofò» per gli amici, la sua carriera è finita ad appena cinque mesi dalla prestigiosa nomina milanese: il Csm ha avviato il procedimento disciplinare, mentre l’Anm parla addirittura di espulsione.
Il dirigente radicale Marco Cappato, persa la battaglia contro Formigoni in sede di ricorso elettorale, non si è dato però per vinto: ha presentato denuncia penale per quella che definisce «la falsificazione delle firme sui moduli della lista Formigoni: duemila su 3.500 erano pre-datate rispetto alla lista dei candidati».
L’allora procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, tuttavia, ha chiesto l’archiviazione anche di questo procedimento. «Dobbiamo capirne le motivazioni», dice Cappato, «perché la sua richiesta non è stata ancora accolta. Basterebbe un rapido controllo delle firme per rendersi conto delle irregolarità. A questo punto, mi auguro che anche in Lombardia, come in Piemonte, sia fatta luce sull’illegalità del voto».
Nel frattempo, Bruti Liberati è stato nominato procuratore capo a Milano. E l’elezione al Csm in maggio, contrariamente a quella di Marra a febbraio, è stata ad ampia maggioranza. Hanno sostenuto Bruti Liberati anche i consiglieri di centrodestra, compreso il «laico» Michele Saponara (ex sottosegretario di Forza Italia) e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, del quale oggi il Pd chiede le dimissioni per aver partecipato a cene della «nuova loggia P3», anche se non risulta indagato.
Una nomina trasversale, insomma, per il 65enne magistrato marchigiano, colonna della corrente di sinistra Magistratura Democratica e già segretario dell’Anm. Che secondo alcuni ha rappresentato una specie di «spartizione» nel palazzo di Giustizia milanese: Marra per il centrodestra, Bruti Liberati per il centrosinistra.
Non è un mistero infatti che anche a febbraio la nomina di Marra provocò grosse polemiche, e gli schieramenti si divisero. Gli votò contro Giuseppe Maria Berruti, fratello del deputato Pdl Massimo, mentre da sinistra gli giunsero i consensi di Celestina Tinelli (Pd) e perfino del vicepresidente Nicola Mancino. Il candidato naturale era Renato Rordorf, ma adesso dalle telefonate della P3 caldeggianti il nome di Marra emerge che si riteneva impossibile che entrambe le cariche finissero in mano alla sinistra. Paradossalmente, però, Bruti Liberati sul caso Formigoni si è dimostrato finora più «utile» di Marra.
Mauro Suttora
Wednesday, July 14, 2010
Molise, torna negli Abruzzi
PROPOSTA: RIDURRE SPRECHI E BUROCRATI
Le due regioni sono separate dal 1963, ma ora c'è chi vuole fare marcia indietro. Perché con il federalismo non si può essere piccoli
Campobasso, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora
Buone notizie, una volta tanto, sul fronte sprechi: un comitato chiede l’abolizione di un ente inutile invece della sua «salvezza».
A Campobasso è nato il gruppo «Majella madre», dal nome del monte che sia abruzzesi sia molisani considerano il proprio simbolo, più del Gran Sasso che sta troppo a nord.
Propone la cancellazione della regione Molise (appena 320 mila abitanti, come un quartiere di Roma o Milano) e la riunificazione con l’Abruzzo, da cui si separò nel 1963. Tanto più che la seconda provincia molisana, Isernia, nata nel ’70, dovrebbe essere abolita, avendo solo 88 mila abitanti.
Peggiore buco sanitario
Il promotore è Sergio Sammartino, docente di filosofia e giornalista (Il Tempo, Avanti). Proprio lui, figlio di quel senatore Remo Sammartino che, in Parlamento per trent’anni, fu uno dei padri dell’autonomia. «Ma poi, visti i risultati, si era pentito», dice Sammartino: «Il Molise è inefficiente, ha il peggior buco sanitario pro-capite in Italia dopo Lazio e Campania. Per questo dovrà aumentare l’Irpef regionale. Produce trenta euro ogni cento spesi: una politica fallimentare, basata sull’assistenzialismo pubblico. Eppure i suoi dirigenti sono capaci di spendere 150 mila euro in due giorni per la “Festa della regione”… Non c’è niente da festeggiare. Con il federalismo, il Molise dovrà accorparsi a un’altra regione. Non siamo autosufficienti. Si è parlato di Puglia o Campania. Ma vogliamo diventare ancor più “meridionali”, o preferiamo tornare a dov’eravamo prima del ’63, ed essere più “settentrionali”? Da allora l’Abruzzo si è sviluppato, oggi è ricco il doppio di noi».
Il presidente del comitato è Enzo Delli Quadri, già manager Alfa, Ansaldo, e direttore centrale dell’Enea. Gli «unionisti» stanno guadagnando consensi, in entrambe le regioni ed entrambi gli schieramenti: dal consigliere regionale molisano Michele Petraroia (Pd), a quello abruzzese Giuseppe Tagliente (Pdl).
Se ne parla nella famiglia di Alessandra Mastronardi, la giovane attrice de I Cesaroni, il cui padre Luigi di Agnone (Isernia) è favorevole. Un altro molisano famoso (genitori di Salcito, Campobasso), l’attore e produttore Massimo Ciavarro, taglia corto: «Sono favorevole a tutto ciò che diminuisce spese e tasse».
Romagna con l’Emilia
«Come mai una regione come la Romagna, poco più grande ma ben più ricca del Molise, non ha mai pensato di separarsi dall’Emilia? E perché la Basilicata ha sette senatori e noi due, cioè la metà in proporzione agli abitanti?», ragiona Sammartino.
Il suo interlocutore, ormai, è diventato il molisano più famoso: Antonio Di Pietro. La sua Italia dei Valori ha preso il 28% in regione nell’ultimo voto, le europee dell’anno scorso.
«Pochi anni fa, a un incontro di abruzzesi a Roma, Di Pietro disse che non capiva perché il Molise fosse separato dall’Abruzzo. Ma ora pare che voglia candidarsi a presidente del Molise nelle imminenti regionali del 2011. Speriamo che allarghi le sue ambizioni, e punti alla guida del nuovo, grande Abruzzi-Molise».
Mauro Suttora
Le due regioni sono separate dal 1963, ma ora c'è chi vuole fare marcia indietro. Perché con il federalismo non si può essere piccoli
Campobasso, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora
Buone notizie, una volta tanto, sul fronte sprechi: un comitato chiede l’abolizione di un ente inutile invece della sua «salvezza».
A Campobasso è nato il gruppo «Majella madre», dal nome del monte che sia abruzzesi sia molisani considerano il proprio simbolo, più del Gran Sasso che sta troppo a nord.
Propone la cancellazione della regione Molise (appena 320 mila abitanti, come un quartiere di Roma o Milano) e la riunificazione con l’Abruzzo, da cui si separò nel 1963. Tanto più che la seconda provincia molisana, Isernia, nata nel ’70, dovrebbe essere abolita, avendo solo 88 mila abitanti.
Peggiore buco sanitario
Il promotore è Sergio Sammartino, docente di filosofia e giornalista (Il Tempo, Avanti). Proprio lui, figlio di quel senatore Remo Sammartino che, in Parlamento per trent’anni, fu uno dei padri dell’autonomia. «Ma poi, visti i risultati, si era pentito», dice Sammartino: «Il Molise è inefficiente, ha il peggior buco sanitario pro-capite in Italia dopo Lazio e Campania. Per questo dovrà aumentare l’Irpef regionale. Produce trenta euro ogni cento spesi: una politica fallimentare, basata sull’assistenzialismo pubblico. Eppure i suoi dirigenti sono capaci di spendere 150 mila euro in due giorni per la “Festa della regione”… Non c’è niente da festeggiare. Con il federalismo, il Molise dovrà accorparsi a un’altra regione. Non siamo autosufficienti. Si è parlato di Puglia o Campania. Ma vogliamo diventare ancor più “meridionali”, o preferiamo tornare a dov’eravamo prima del ’63, ed essere più “settentrionali”? Da allora l’Abruzzo si è sviluppato, oggi è ricco il doppio di noi».
Il presidente del comitato è Enzo Delli Quadri, già manager Alfa, Ansaldo, e direttore centrale dell’Enea. Gli «unionisti» stanno guadagnando consensi, in entrambe le regioni ed entrambi gli schieramenti: dal consigliere regionale molisano Michele Petraroia (Pd), a quello abruzzese Giuseppe Tagliente (Pdl).
Se ne parla nella famiglia di Alessandra Mastronardi, la giovane attrice de I Cesaroni, il cui padre Luigi di Agnone (Isernia) è favorevole. Un altro molisano famoso (genitori di Salcito, Campobasso), l’attore e produttore Massimo Ciavarro, taglia corto: «Sono favorevole a tutto ciò che diminuisce spese e tasse».
Romagna con l’Emilia
«Come mai una regione come la Romagna, poco più grande ma ben più ricca del Molise, non ha mai pensato di separarsi dall’Emilia? E perché la Basilicata ha sette senatori e noi due, cioè la metà in proporzione agli abitanti?», ragiona Sammartino.
Il suo interlocutore, ormai, è diventato il molisano più famoso: Antonio Di Pietro. La sua Italia dei Valori ha preso il 28% in regione nell’ultimo voto, le europee dell’anno scorso.
«Pochi anni fa, a un incontro di abruzzesi a Roma, Di Pietro disse che non capiva perché il Molise fosse separato dall’Abruzzo. Ma ora pare che voglia candidarsi a presidente del Molise nelle imminenti regionali del 2011. Speriamo che allarghi le sue ambizioni, e punti alla guida del nuovo, grande Abruzzi-Molise».
Mauro Suttora
Monday, July 12, 2010
Pannella & Bordin
"L'ho trovato bene. Un po' invecchiato. Gli occhi sono piu' profondamente segnati. Passa gran parte delle ore notturne circondato da collaboratori e amici. La signora Goebbels, che è un'assidua di queste riunioni e che se ne sente molto onorata, mi descriveva la cosa, non riuscendo a nascondere un vago senso di noia per la monotonia delle riunioni. Parla quasi sempre lui. E - si ha un bell'essere il Fuehrer - si finisce sempre col ripetere le stesse cose e con l'annoiare gli ascoltatori"
Galeazzo Ciano, Diario, 23 maggio 1939
Galeazzo Ciano, Diario, 23 maggio 1939
Wednesday, July 07, 2010
Castiglioncello (Livorno), 20 luglio
Martedì 20 luglio presentazione di 'Mussolini segreto' a Castiglioncello (Livorno)
Incontri al Castello: Castiglioncello festeggia trent'anni
Gli Incontri al Castello, organizzati dal Comune di Rosignano M.mo, alla Limonaia, nel parco del castello Pasquini di Castiglioncello, con giornalisti e scrittori che presentano i loro libri, compie trent’anni. Un compleanno importante che Alessandro Franchi, Sindaco del comune di Rosignano M.mo e Gloria De Antoni curatrice della rassegna da tre anni, intendono festeggiare al meglio con ospiti prestigiosi e interessanti. “In un’epoca in cui anche il più piccolo comune della provincia italiana organizza incontri con gli autori, scoprendo che lo scrittore attira il pubblico e che ci sono appassionati di letteratura- dichiara il Sindaco- è nostro punto di forza ricordare che il comune di Rosignano è stato lungimirante scegliendo, trent’anni fa, di organizzare incontri con scrittori. Appuntamenti che con il tempo si sono fatti sempre più importanti e attesi dal pubblico.”
“Per festeggiare degnamente la rassegna - ricorda la curatrice Gloria De Antoni - abbiamo deciso di accontentare ogni richiesta del pubblico e cercando di rappresentare tutti i generi della letteratura a 360 gradi, dall’epistolario, al diario, dal saggio al romanzo nelle sue differenti accezioni: il romanzo d’indagine, quello classico e quello “estivo”, insomma non avremo come sempre un unico tema, ma un filo conduttore che è quello del genere letterario.”
La rassegna si apre domenica 11 luglio alle ore 18 con Marcello Sorgi, giornalista già direttore del tg1 e della Stampa, di cui oggi è editorialista e inviato, che racconta nel suo ultimo libro “Le amanti del vulcano” la carismatica vicenda di amore e tradimento tra il regista Roberto Rossellini e le attrici Anna Magnani e Ingrid Bergman.
Martedì 13 luglio arriverà a Castiglioncello Don Andrea Gallo con “Così in terra, come in cielo” edito da Mondadori, il lucido racconto del più famoso prete da marciapiede italiano.
Giovedì 15 luglio l’incontro sarà con Lorenzo Pavolini nella cinquina dei finalisti al premio Strega per “Accanto alla tigre”, un viaggio nella storia della famiglia Pavolini e insieme in quella collettiva del Paese. Protagonista Alessandro Pavolini, figura centrale del fascismo, nonno di cui Lorenzo scopre la verità solo nei libri di storia.
Il giorno successivo (venerdì 16 luglio) è la volta di Alice Di Stefano figlia della scrittrice Cesarina Vighy, recentemente scomparsa, che ricorderà la madre e i suoi libri da “L’ultima estate” a “Scendo. Buon proseguimento”.
Martedì 20 luglio il giornalista e scrittore Mauro Suttora presenterà il volume di Claretta Petacci “Mussolini segreto. Diari 1932 – 1938” edito da Rizzoli, di cui è curatore.
Mauro Suttora, giornalista del gruppo RCS (Rizzoli Corriere della Sera), collabora con «Newsweek» e con il «New York Observer». A settant’anni dalla loro stesura e dopo una serie di vicissitudini travagliate che ne hanno in passato ostacolato la pubblicazione, i diari di Claretta Petacci raggiungono il pubblico italiano. E rivelano ben più di quanto ci si potrebbe aspettare dalla donna nota a molti solo come l’ultima e più famosa amante di Mussolini.
Giovedì 22 luglio l’appuntamento sarà con il magistrato Antimafia e scrittore Gianrico Carofiglio. Carofiglio che con i primi quattro romanzi ha superato il traguardo del milione di copie vendute, converserà e parlerà al pubblico dei suoi romanzi d’indagine da “Le perfezioni provvisorie” a “Non esiste saggezza” entrambi editi da Sellerio.
Sabato 24 luglio Anna Testa e Giuliana Lojodice presenteranno «Buonasera Aroldo, buonasera Giuliana. Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, vita, carriera e scene da un matrimonio», edito da Baldini Castoldi Dalai.
Venerdì 30 luglio Enrico Vaime, testimone e protagonista dello spettacolo italiano, della rivista, del varietà, della commedia, della radio e della televisione, presenta la terza parte della sua autobiografia:“Anche a costo di mentire” edito da Aliberti.
Sabato 31 luglio torna a Castiglioncello Camilla Baresani con il suo ultimo romanzo “Un’estate fa” edito da Bompiani.
Gli incontri si fermano per una settimana per lasciare spazio al premio della comunicazione per riprendere Martedì 10 agosto con il professore-giallista Sergio Vanni e il suo “Un delitto educato”, quindi mercoledì 18 agosto Alessandra Levantesi, giornalista e critica della stampa presenterà il libro scritto con il compianto Tullio Kezich dal titolo “Una dinastia italiana. L’arcipelago Cecchi – D’Amico tra cultura, politica e società” edizioni Garzanti.
Venerdì 20 agosto torna un affezionato ospite di Castiglioncello Gillo Dorfles, per presentare il volume a lui dedicato “Divenire di Gillo Dorfles”. Il 12 aprile lo scrittore, filosofo e critico d’arte Gillo Dorfles ha compiuto 100 anni. Per festeggiare lo speciale compleanno del teorico dell’estetica, del gusto e delle mode, è uscito questo libro curato da Massimo Carboni, che è un omaggio per ricostruire a mosaico un percorso scientifico, culturale e creativo che include in prima persona l’intellettuale e l’artista che lo ha intrapreso, il suo stile di lavoro e il suo calibro etico.
Gli incontri alla Limonaia si terranno alle ore 18 e sono a ingresso gratuito.
07/07/2010
Incontri al Castello: Castiglioncello festeggia trent'anni
Gli Incontri al Castello, organizzati dal Comune di Rosignano M.mo, alla Limonaia, nel parco del castello Pasquini di Castiglioncello, con giornalisti e scrittori che presentano i loro libri, compie trent’anni. Un compleanno importante che Alessandro Franchi, Sindaco del comune di Rosignano M.mo e Gloria De Antoni curatrice della rassegna da tre anni, intendono festeggiare al meglio con ospiti prestigiosi e interessanti. “In un’epoca in cui anche il più piccolo comune della provincia italiana organizza incontri con gli autori, scoprendo che lo scrittore attira il pubblico e che ci sono appassionati di letteratura- dichiara il Sindaco- è nostro punto di forza ricordare che il comune di Rosignano è stato lungimirante scegliendo, trent’anni fa, di organizzare incontri con scrittori. Appuntamenti che con il tempo si sono fatti sempre più importanti e attesi dal pubblico.”
“Per festeggiare degnamente la rassegna - ricorda la curatrice Gloria De Antoni - abbiamo deciso di accontentare ogni richiesta del pubblico e cercando di rappresentare tutti i generi della letteratura a 360 gradi, dall’epistolario, al diario, dal saggio al romanzo nelle sue differenti accezioni: il romanzo d’indagine, quello classico e quello “estivo”, insomma non avremo come sempre un unico tema, ma un filo conduttore che è quello del genere letterario.”
La rassegna si apre domenica 11 luglio alle ore 18 con Marcello Sorgi, giornalista già direttore del tg1 e della Stampa, di cui oggi è editorialista e inviato, che racconta nel suo ultimo libro “Le amanti del vulcano” la carismatica vicenda di amore e tradimento tra il regista Roberto Rossellini e le attrici Anna Magnani e Ingrid Bergman.
Martedì 13 luglio arriverà a Castiglioncello Don Andrea Gallo con “Così in terra, come in cielo” edito da Mondadori, il lucido racconto del più famoso prete da marciapiede italiano.
Giovedì 15 luglio l’incontro sarà con Lorenzo Pavolini nella cinquina dei finalisti al premio Strega per “Accanto alla tigre”, un viaggio nella storia della famiglia Pavolini e insieme in quella collettiva del Paese. Protagonista Alessandro Pavolini, figura centrale del fascismo, nonno di cui Lorenzo scopre la verità solo nei libri di storia.
Il giorno successivo (venerdì 16 luglio) è la volta di Alice Di Stefano figlia della scrittrice Cesarina Vighy, recentemente scomparsa, che ricorderà la madre e i suoi libri da “L’ultima estate” a “Scendo. Buon proseguimento”.
Martedì 20 luglio il giornalista e scrittore Mauro Suttora presenterà il volume di Claretta Petacci “Mussolini segreto. Diari 1932 – 1938” edito da Rizzoli, di cui è curatore.
Mauro Suttora, giornalista del gruppo RCS (Rizzoli Corriere della Sera), collabora con «Newsweek» e con il «New York Observer». A settant’anni dalla loro stesura e dopo una serie di vicissitudini travagliate che ne hanno in passato ostacolato la pubblicazione, i diari di Claretta Petacci raggiungono il pubblico italiano. E rivelano ben più di quanto ci si potrebbe aspettare dalla donna nota a molti solo come l’ultima e più famosa amante di Mussolini.
Giovedì 22 luglio l’appuntamento sarà con il magistrato Antimafia e scrittore Gianrico Carofiglio. Carofiglio che con i primi quattro romanzi ha superato il traguardo del milione di copie vendute, converserà e parlerà al pubblico dei suoi romanzi d’indagine da “Le perfezioni provvisorie” a “Non esiste saggezza” entrambi editi da Sellerio.
Sabato 24 luglio Anna Testa e Giuliana Lojodice presenteranno «Buonasera Aroldo, buonasera Giuliana. Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, vita, carriera e scene da un matrimonio», edito da Baldini Castoldi Dalai.
Venerdì 30 luglio Enrico Vaime, testimone e protagonista dello spettacolo italiano, della rivista, del varietà, della commedia, della radio e della televisione, presenta la terza parte della sua autobiografia:“Anche a costo di mentire” edito da Aliberti.
Sabato 31 luglio torna a Castiglioncello Camilla Baresani con il suo ultimo romanzo “Un’estate fa” edito da Bompiani.
Gli incontri si fermano per una settimana per lasciare spazio al premio della comunicazione per riprendere Martedì 10 agosto con il professore-giallista Sergio Vanni e il suo “Un delitto educato”, quindi mercoledì 18 agosto Alessandra Levantesi, giornalista e critica della stampa presenterà il libro scritto con il compianto Tullio Kezich dal titolo “Una dinastia italiana. L’arcipelago Cecchi – D’Amico tra cultura, politica e società” edizioni Garzanti.
Venerdì 20 agosto torna un affezionato ospite di Castiglioncello Gillo Dorfles, per presentare il volume a lui dedicato “Divenire di Gillo Dorfles”. Il 12 aprile lo scrittore, filosofo e critico d’arte Gillo Dorfles ha compiuto 100 anni. Per festeggiare lo speciale compleanno del teorico dell’estetica, del gusto e delle mode, è uscito questo libro curato da Massimo Carboni, che è un omaggio per ricostruire a mosaico un percorso scientifico, culturale e creativo che include in prima persona l’intellettuale e l’artista che lo ha intrapreso, il suo stile di lavoro e il suo calibro etico.
Gli incontri alla Limonaia si terranno alle ore 18 e sono a ingresso gratuito.
07/07/2010
Monday, July 05, 2010
Elogio dell'individualismo
"La sovranità del nostro io individuale, idea nata nel Rinascimento fiorentino, rappresenta forse il dono più grande dell'Italia alla civiltà mondiale"
Salman Rushdie, 10 luglio 2010, discorso alla Milanesiana (Milano)
Salman Rushdie, 10 luglio 2010, discorso alla Milanesiana (Milano)
Thursday, June 24, 2010
Wednesday, June 23, 2010
Pensioni d'oro ai parlamentari
DONNE AL LAVORO FINO A 65 ANNI, MA GLI ONOREVOLI INCASSANO LA PENSIONE A 50
A LORO BASTANO 30 MESI DI CONTRIBUTI, INVECE DI 35 ANNI
Alcuni prendono 3 mila euro al mese dopo un giorno solo di presenza. Altri hanno avuto l'assegno a 42 anni. Per senatori e deputati è sempre festa. Camera e Senato ci costano 2,5 miliardi l'anno, di cui 219 milioni per le pensioni degli ex onorevoli
di Mauro Suttora
Oggi, 16 giugno 2010
Non ce la fanno. I nostri governanti ci stanno infliggendo tagli per 25 miliardi di euro. Avevano promesso di sacrificarsi un po' anche loro: diminuire il numero dei parlamentari, abolire le province, abbassarsi il superstipendio da 15 mila netti al mese. Niente. Le province rimangono tutte in piedi. I parlamentari restano 950, per un costo di due miliardi e mezzo annui. E sugli stipendi, mentre gli altri dipendenti pubblici che guadagnano oltre 90 mila euro subiscono un prelievo del cinque per cento, e quelli oltre i 150 mila del dieci per cento, loro non hanno ancora deciso nulla.
Il governo non interviene per rispettare la divisione dei poteri: l'esecutivo non può interferire con il legislativo (Parlamento). Dovrebbero essere quindi le Camere stesse ad autoridursi gli stipendi. Buonanotte.
C'è però un aspetto un po' vergognoso in questa manovra: le pensioni. Improvvisamente, le donne del settore pubblico devono lavorare cinque anni in più: smetteranno a 65 anni, e non a 60. Ma in questo campo il confronto con i parlamentari è imbarazzante. Gli ex deputati e senatori, infatti, incassano pensioni da nababbo che vanno da un minimo di 3 mila fino a quasi 10 mila euro lordi al mese. E godono di enormi privilegi: possono riscuoterle con appena due anni e mezzo di «lavoro» (contro i 35 di noi comuni mortali) e a 50 anni di età, se deputati eletti prima del '96, o senatori da prima del 2001. Per gli altri l'età sale a 60 (con almeno due legislature) e a 65 (con una sola legislatura).
203 MILIONI DI BUCO ANNUO
Sono oltre 2.200 gli ex parlamentari a cui lo Stato versa la pensione, più oltre mille assegni di reversibilità ai coniugi dei defunti. Ogni anno costano 219 milioni di euro, a fronte di entrate previdenziali per appena 15,6 milioni. Lo «sbilancio» è notevole: la trattenuta che gli onorevoli in carica devono versare è infatti di appena mille euro al mese. Con questi conti, qualsiasi ente previdenziale sarebbe già fallito. Ma il buco dei parlamentari è ripianato dallo Stato.
Il caso forse più eclatante è quello di Toni Negri, ex capo di Potere operaio condannato a 17 anni per reati di terrorismo. Nel 1983 i radicali lo fecero eleggere deputato per protesta contro i suoi quattro anni di carcere preventivo. Dopo nove sedute, temendo di finire di nuovo in cella, Negri fuggì in Francia. Dal '93, quando ha compiuto 60 anni, riscuote la pensione «minima», che oggi è di 3.108 euro.
Ma almeno Negri ha dovuto aspettare fino a 60 anni. Giuseppe Gambale , invece, è il baby-parlamentare-pensionato più giovane d'Italia. Con quattro legislature alle spalle e vent'anni di contributi versati, Gambale (ex Rete, oggi Pd) ha lasciato Montecitorio nel 2006 a soli 42 anni, riscuotendo un vitalizio di 8.455 euro al mese. Ai quali ha aggiunto 4 mila euro come assessore comunale a Napoli fino al 2008.
Prima del 1997, bastava essere in carica anche un giorno solo per maturare la pensione, versando cinque anni di contributi volontari. Questo record spetta ai radicali Angelo Pezzana, Piero Craveri, Luca Boneschi e René Andreani, andati in Parlamento soltanto per annunciare la rinuncia all'incarico, ma ai quali vanno egualmente i 3 mila euro mensili. Un'altra radicale, Cicciolina , maturerà la pensione l'anno prossimo, quando compirà 60 anni. Irene Pivetti deve invece aspettare il 2013: a 50 anni, i suoi nove a Montecitorio le frutteranno 6.203 euro mensili. Dal 2000 incassa il vitalizio (ridotto per reversibilità) la vedova di un uomo che non mise mai piede al Senato: Arturo Guatelli infatti subentrò a camere sciolte al senatore Morlino (morto per infarto).
VOLCIC E PAOLO PRODI
Fra i nomi celebri con vitalizio di 3.108 euro ci sono il regista Pasquale Squitieri (senatore An dal '94 al '96), il giornalista tv Demetrio Volcic (senatore Pds dal '97 al 2001) e Paolo Prodi, fratello di Romano, senatore della Rete nel '94 per soli cinque mesi, subentrato al magistrato Carlo Palermo.
A quota 6.200 euro mensili stanno Mauro Fabris (Udeur) e Franco Giordano (ex segretario di Rifondazione comunista) entrambi 50enni nel 2008 quando non furono rieletti; Oliviero Diliberto (segretario Comunisti italiani) e Stefano Boco (Verdi), 52, Gloria Buffo (Sd) 54, Marco Fumagalli (Sd), Maurizio Ronconi (Udc) e Dario Rivolta (FI), 55 anni, nonché i 57enni Salvatore Buglio (Rosa nel pugno), Tana de Zulueta (Verdi), Mauro del Bue (Psi) e Franco Monaco (Pd).
BOSELLI, SGARBI, FOLENA
Antonio Martusciello (Pdl) dal 2008 (aveva 46 anni) intasca 7.959 euro, come Rino Piscitello (Pd), 47, ed Enrico Boselli (ex capo dei socialisti), 51. Vittorio Sgarbi prende 8.455 euro da quando aveva 54 anni, come Marco Taradash (Pdl), 57, e Alfonso Gianni (Rifondazione), 58. Alfonso Pecoraro Scanio, ex capo dei Verdi, è andato in pensione a 49 anni con 8.836 euro, così come Pietro Folena (Pd), 50. Fra i baby-pensionati sotto i 60 anni o a 60 anni appena compiuti, troviamo l'ex magistrato di Mani Pulite Tiziana Parenti, Maura Cossutta (figlia del fondatore dei Comunisti italiani Armando), Anna Donati (Verdi) e Nando dalla Chiesa, (Pd). Poi gli ex senatori Edo Ronchi (Pd), 58 anni, e Willer Bordon, 59. Entrambi avranno, con i riscatti, il massimo del vitalizio senatoriale: 9.604 euro.
C'è infine il privilegio del cumulo pensionistico, che negli ultimi 36 anni è costato agli italiani oltre 5 miliardi di euro. La seconda pensione, cumulabile al 100% con quella di Montecitorio o Palazzo Madama, scatta per tutti i parlamentari che, prima di essere eletti, avevano già aperto una posizione previdenziale. Così qualsiasi lavoratore dipendente, una volta eletto, non solo conserva il posto in aspettativa, ma ha diritto anche ai contributi figurativi per la seconda pensione. Basta che paghi il 9% della quota. Il resto, dal 22 al 31%, è versata dagli enti previdenziali.
I NOMI PIÙ PRESTIGIOSI
Tra i beneficiari, i nomi più prestigiosi della politica italiana. Gli ex magistrati Oscar Luigi Scalfaro o Luciano Violante. L' ex governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, l'ex direttore generale Lamberto Dini. E fra gli ex giornalisti Gianfranco Fini, Massimo D'Alema, Maurizio Gasparri, Paolo Bonaiuti, Adolfo Urso, Marco Follini, Clemente Mastella, Walter Veltroni. Quest' ultimo riceve già una terza pensione, quella di eurodeputato: 5.200 euro netti al mese, che devolve in beneficenza.
In nome dei «diritti acquisiti», tutti questi privilegi sono intoccabili? «Neanche per sogno», sostiene Antonio Borghesi, deputato dell' Italia dei valori, «la Corte costituzionale ha stabilito che quelli dei parlamentari sono vitalizi e non pensioni. Quindi, si possono modificare in qualsiasi momento».
Mauro Suttora
A LORO BASTANO 30 MESI DI CONTRIBUTI, INVECE DI 35 ANNI
Alcuni prendono 3 mila euro al mese dopo un giorno solo di presenza. Altri hanno avuto l'assegno a 42 anni. Per senatori e deputati è sempre festa. Camera e Senato ci costano 2,5 miliardi l'anno, di cui 219 milioni per le pensioni degli ex onorevoli
di Mauro Suttora
Oggi, 16 giugno 2010
Non ce la fanno. I nostri governanti ci stanno infliggendo tagli per 25 miliardi di euro. Avevano promesso di sacrificarsi un po' anche loro: diminuire il numero dei parlamentari, abolire le province, abbassarsi il superstipendio da 15 mila netti al mese. Niente. Le province rimangono tutte in piedi. I parlamentari restano 950, per un costo di due miliardi e mezzo annui. E sugli stipendi, mentre gli altri dipendenti pubblici che guadagnano oltre 90 mila euro subiscono un prelievo del cinque per cento, e quelli oltre i 150 mila del dieci per cento, loro non hanno ancora deciso nulla.
Il governo non interviene per rispettare la divisione dei poteri: l'esecutivo non può interferire con il legislativo (Parlamento). Dovrebbero essere quindi le Camere stesse ad autoridursi gli stipendi. Buonanotte.
C'è però un aspetto un po' vergognoso in questa manovra: le pensioni. Improvvisamente, le donne del settore pubblico devono lavorare cinque anni in più: smetteranno a 65 anni, e non a 60. Ma in questo campo il confronto con i parlamentari è imbarazzante. Gli ex deputati e senatori, infatti, incassano pensioni da nababbo che vanno da un minimo di 3 mila fino a quasi 10 mila euro lordi al mese. E godono di enormi privilegi: possono riscuoterle con appena due anni e mezzo di «lavoro» (contro i 35 di noi comuni mortali) e a 50 anni di età, se deputati eletti prima del '96, o senatori da prima del 2001. Per gli altri l'età sale a 60 (con almeno due legislature) e a 65 (con una sola legislatura).
203 MILIONI DI BUCO ANNUO
Sono oltre 2.200 gli ex parlamentari a cui lo Stato versa la pensione, più oltre mille assegni di reversibilità ai coniugi dei defunti. Ogni anno costano 219 milioni di euro, a fronte di entrate previdenziali per appena 15,6 milioni. Lo «sbilancio» è notevole: la trattenuta che gli onorevoli in carica devono versare è infatti di appena mille euro al mese. Con questi conti, qualsiasi ente previdenziale sarebbe già fallito. Ma il buco dei parlamentari è ripianato dallo Stato.
Il caso forse più eclatante è quello di Toni Negri, ex capo di Potere operaio condannato a 17 anni per reati di terrorismo. Nel 1983 i radicali lo fecero eleggere deputato per protesta contro i suoi quattro anni di carcere preventivo. Dopo nove sedute, temendo di finire di nuovo in cella, Negri fuggì in Francia. Dal '93, quando ha compiuto 60 anni, riscuote la pensione «minima», che oggi è di 3.108 euro.
Ma almeno Negri ha dovuto aspettare fino a 60 anni. Giuseppe Gambale , invece, è il baby-parlamentare-pensionato più giovane d'Italia. Con quattro legislature alle spalle e vent'anni di contributi versati, Gambale (ex Rete, oggi Pd) ha lasciato Montecitorio nel 2006 a soli 42 anni, riscuotendo un vitalizio di 8.455 euro al mese. Ai quali ha aggiunto 4 mila euro come assessore comunale a Napoli fino al 2008.
Prima del 1997, bastava essere in carica anche un giorno solo per maturare la pensione, versando cinque anni di contributi volontari. Questo record spetta ai radicali Angelo Pezzana, Piero Craveri, Luca Boneschi e René Andreani, andati in Parlamento soltanto per annunciare la rinuncia all'incarico, ma ai quali vanno egualmente i 3 mila euro mensili. Un'altra radicale, Cicciolina , maturerà la pensione l'anno prossimo, quando compirà 60 anni. Irene Pivetti deve invece aspettare il 2013: a 50 anni, i suoi nove a Montecitorio le frutteranno 6.203 euro mensili. Dal 2000 incassa il vitalizio (ridotto per reversibilità) la vedova di un uomo che non mise mai piede al Senato: Arturo Guatelli infatti subentrò a camere sciolte al senatore Morlino (morto per infarto).
VOLCIC E PAOLO PRODI
Fra i nomi celebri con vitalizio di 3.108 euro ci sono il regista Pasquale Squitieri (senatore An dal '94 al '96), il giornalista tv Demetrio Volcic (senatore Pds dal '97 al 2001) e Paolo Prodi, fratello di Romano, senatore della Rete nel '94 per soli cinque mesi, subentrato al magistrato Carlo Palermo.
A quota 6.200 euro mensili stanno Mauro Fabris (Udeur) e Franco Giordano (ex segretario di Rifondazione comunista) entrambi 50enni nel 2008 quando non furono rieletti; Oliviero Diliberto (segretario Comunisti italiani) e Stefano Boco (Verdi), 52, Gloria Buffo (Sd) 54, Marco Fumagalli (Sd), Maurizio Ronconi (Udc) e Dario Rivolta (FI), 55 anni, nonché i 57enni Salvatore Buglio (Rosa nel pugno), Tana de Zulueta (Verdi), Mauro del Bue (Psi) e Franco Monaco (Pd).
BOSELLI, SGARBI, FOLENA
Antonio Martusciello (Pdl) dal 2008 (aveva 46 anni) intasca 7.959 euro, come Rino Piscitello (Pd), 47, ed Enrico Boselli (ex capo dei socialisti), 51. Vittorio Sgarbi prende 8.455 euro da quando aveva 54 anni, come Marco Taradash (Pdl), 57, e Alfonso Gianni (Rifondazione), 58. Alfonso Pecoraro Scanio, ex capo dei Verdi, è andato in pensione a 49 anni con 8.836 euro, così come Pietro Folena (Pd), 50. Fra i baby-pensionati sotto i 60 anni o a 60 anni appena compiuti, troviamo l'ex magistrato di Mani Pulite Tiziana Parenti, Maura Cossutta (figlia del fondatore dei Comunisti italiani Armando), Anna Donati (Verdi) e Nando dalla Chiesa, (Pd). Poi gli ex senatori Edo Ronchi (Pd), 58 anni, e Willer Bordon, 59. Entrambi avranno, con i riscatti, il massimo del vitalizio senatoriale: 9.604 euro.
C'è infine il privilegio del cumulo pensionistico, che negli ultimi 36 anni è costato agli italiani oltre 5 miliardi di euro. La seconda pensione, cumulabile al 100% con quella di Montecitorio o Palazzo Madama, scatta per tutti i parlamentari che, prima di essere eletti, avevano già aperto una posizione previdenziale. Così qualsiasi lavoratore dipendente, una volta eletto, non solo conserva il posto in aspettativa, ma ha diritto anche ai contributi figurativi per la seconda pensione. Basta che paghi il 9% della quota. Il resto, dal 22 al 31%, è versata dagli enti previdenziali.
I NOMI PIÙ PRESTIGIOSI
Tra i beneficiari, i nomi più prestigiosi della politica italiana. Gli ex magistrati Oscar Luigi Scalfaro o Luciano Violante. L' ex governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, l'ex direttore generale Lamberto Dini. E fra gli ex giornalisti Gianfranco Fini, Massimo D'Alema, Maurizio Gasparri, Paolo Bonaiuti, Adolfo Urso, Marco Follini, Clemente Mastella, Walter Veltroni. Quest' ultimo riceve già una terza pensione, quella di eurodeputato: 5.200 euro netti al mese, che devolve in beneficenza.
In nome dei «diritti acquisiti», tutti questi privilegi sono intoccabili? «Neanche per sogno», sostiene Antonio Borghesi, deputato dell' Italia dei valori, «la Corte costituzionale ha stabilito che quelli dei parlamentari sono vitalizi e non pensioni. Quindi, si possono modificare in qualsiasi momento».
Mauro Suttora
Parlamentari: taxi o auto blu?
I 200 parlamentari con auto blu incassano anche 1.300 euro mensili per i taxi
Oggi, 16 giugno 2010
di Mauro Suttora
Sono circa duecento i parlamentari che hanno diritto all’auto blu: ministri, sottosegretari, presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, delle 40 commissioni parlamentari, segretari e questori. Alcuni ce l’hanno fissa con autista, altri attingono al parco macchine delle due Camere.
Contemporaneamente, però, ogni parlamentare incassa anche 1.300 euro al mese come rimborso forfettario per i taxi. Compresi quelli che non lo prendono mai, perché hanno l’auto di servizio. Uno spreco di cui si è reso conto il senatore Pietro Ichino (Pd), il quale racconta così il proprio (vano) tentativo di rinunciare a questo privilegio: «Sono soggetto per motivi di sicurezza [minacce di morte come ai suoi colleghi giuslavoristi Marco Biagi e Massimo D’Antona uccisi dalle Br, ndr] a un dispositivo di protezione che mi costringe a circolare soltanto su un’auto blindata della Guardia di Finanza, con molti svantaggi facilmente immaginabili, ma con il vantaggio di non avere mai spese di taxi. Eletto al Senato nel 2008, mi sono informato se fosse possibile rinunciare al rimborso delle spese di taxi. Mi è stato risposto che questo atto non era previsto, e avrebbe creato problemi burocratici di difficile soluzione. Ho pertanto deciso di devolvere il rimborso percepito alla Fondazione Giuseppe Pera, per l’istituzione di borse di studio a giovani laureati».
Oggi, 16 giugno 2010
di Mauro Suttora
Sono circa duecento i parlamentari che hanno diritto all’auto blu: ministri, sottosegretari, presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, delle 40 commissioni parlamentari, segretari e questori. Alcuni ce l’hanno fissa con autista, altri attingono al parco macchine delle due Camere.
Contemporaneamente, però, ogni parlamentare incassa anche 1.300 euro al mese come rimborso forfettario per i taxi. Compresi quelli che non lo prendono mai, perché hanno l’auto di servizio. Uno spreco di cui si è reso conto il senatore Pietro Ichino (Pd), il quale racconta così il proprio (vano) tentativo di rinunciare a questo privilegio: «Sono soggetto per motivi di sicurezza [minacce di morte come ai suoi colleghi giuslavoristi Marco Biagi e Massimo D’Antona uccisi dalle Br, ndr] a un dispositivo di protezione che mi costringe a circolare soltanto su un’auto blindata della Guardia di Finanza, con molti svantaggi facilmente immaginabili, ma con il vantaggio di non avere mai spese di taxi. Eletto al Senato nel 2008, mi sono informato se fosse possibile rinunciare al rimborso delle spese di taxi. Mi è stato risposto che questo atto non era previsto, e avrebbe creato problemi burocratici di difficile soluzione. Ho pertanto deciso di devolvere il rimborso percepito alla Fondazione Giuseppe Pera, per l’istituzione di borse di studio a giovani laureati».
Generali Usa in Afghanistan
Uno sviene, l'altro straparla. Too much whisky?
W Biden: "Prendete i capi di Al Qaeda, e non rompete i coglioni chiedendo altre truppe"
W Biden: "Prendete i capi di Al Qaeda, e non rompete i coglioni chiedendo altre truppe"
Wednesday, June 16, 2010
Magistrati in sciopero
PROTESTANO PER I TAGLI, MA GUADAGNANO MOLTO
di Mauro Suttora
Oggi, 7 giugno 2010
Capita una o due volte ogni decennio che i magistrati facciano sciopero. Anzi, secondo alcuni non dovrebbero mai farlo. «È come se un sacerdote protestasse non celebrando messa», dice Marcello Maddalena, procuratore aggiunto di Torino. E Pier Ferdinando Casini, con una concezione meno sacrale della professione: «Non sono mica metalmeccanici».
No, i magistrati non sono metalmeccanici. Sono le persone che dirimono le nostre controversie e possono spedirci in galera. Il terzo potere dello stato, e i loro stipendi (41 mila euro annui appena entrati in servizio, 72 mila dopo cinque anni, 122 mila dopo venti, 150 mila dopo 28 anni) testimoniano la loro importanza.
Eppure, anche loro il primo luglio incroceranno le braccia. Per criticare la legge con cui il premier Silvio Berlusconi vuole limitare le intercettazioni telefoniche e le cronache giudiziarie? Macché. I magistrati scioperano per soldi. La manovra da 25 miliardi colpisce anche loro, come tutti i dipendenti pubblici. E loro non ci stanno.
Ecco le loro ragioni. «Sono tagli che colpiscono la nostra indipendenza», dice Luca Palamara, presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe), «e anche iniqui: un giovane appena entrato in servizio perde il 30 per cento del proprio stipendio, mentre gli anziani se la cavano col due per cento».
Indipendenza garantita dall’ammontare degli stipendi? È opinabile. In ogni categoria ci sono ricchi dipendenti disonesti, e lavoratori pagati poco ma probi ed efficienti. Il secondo argomento, invece, è incredibile ma vero. Poiché per tre anni gli vengono bloccati gli scatti , il magistrato fresco di concorso rimane a 41 mila euro annui invece di passare a 55 mila. Mentre quello con 28 anni di anzianità subisce solo il taglio di 3 mila euro previsto per tutti i redditi oltre i 90 mila.
«Il problema è che, divulgando questi dati, i magistrati si sono dati la zappa sui piedi da soli», dice Stefano Livadiotti, giornalista del settimanale di sinistra Espresso (quindi non sospetto di pregiudizi berlusconiani contro i giudici) che l’anno scorso ha scritto un libro urticante fin dal titolo: Magistrati, l’ultracasta (Bompiani): «Nessun mestiere in Italia, e forse al mondo, garantisce ai nuovi assunti aumenti così alti e automatici nel giro di pochissimi anni. E senza alcun rischio: se non commettono reati o scorrettezze gravissime, non perderanno mai il posto».
Meglio dei politici, l’altra Casta per eccellenza: quelli almeno devono farsi eleggere col voto, ogni tanto. Non a caso, la retribuzione dei parlamentari è agganciata a quella dei magistrati, che è anche l’unica ad aver conservato la scala mobile anti-inflazione.
«I giudici italiani hanno uno stipendio medio cinque volte superiore a quello degli altri dipendenti pubblici, 51 giorni di ferie, e sono anche i più pagati dell’Europa continentale», continua Livadiotti, «i loro vertici prendono il doppio di quelli con incarichi analoghi in Francia». Gli unici a superarli sono i britannici, i quali però hanno un accesso diverso alla professione: spesso sono ex avvocati della difesa o dell'accusa diventati giudici in tarda età.
«Ma il privilegio più grande», dice Livadiotti, «è che tutti i magistrati italiani raggiungono automaticamente allo stipendio più alto: i 150 mila euro dei giudici di Cassazione, e i 170 mila dei giudici dei Tar o della corte dei Conti».
Sarebbe come se in un’azienda privata tutti, anche gli operai, anche gli asini e i pigri,dopo una ventina d’anni prendessero gli stipendi dei dirigenti. Non è sempre stato così: fino agli anni ’60 i pretori di provincia per progredire dovevano affrontare fior di concorsi. Oggi le cosiddette “valutazioni di professionalità” sono una barzelletta: le supera il 99,6 per cento dei candidati. E a giudicare i giudici sono gli stessi giudici, colleghi più anziani.Un’altra cornucopia è quella delle cosiddette «sedi disagiate» (praticamente tutto il Sud): ai giovani magistrati che ci vanno spettano decine di migliaia di euro in più.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, per criticare lo sciopero della magistratura, lo ha definito «politico». «Invece è la classica protesta corporativa di una categoria che teme di perdere alcuni dei propri ingenti privilegi economici», conclude Livadiotti.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 7 giugno 2010
Capita una o due volte ogni decennio che i magistrati facciano sciopero. Anzi, secondo alcuni non dovrebbero mai farlo. «È come se un sacerdote protestasse non celebrando messa», dice Marcello Maddalena, procuratore aggiunto di Torino. E Pier Ferdinando Casini, con una concezione meno sacrale della professione: «Non sono mica metalmeccanici».
No, i magistrati non sono metalmeccanici. Sono le persone che dirimono le nostre controversie e possono spedirci in galera. Il terzo potere dello stato, e i loro stipendi (41 mila euro annui appena entrati in servizio, 72 mila dopo cinque anni, 122 mila dopo venti, 150 mila dopo 28 anni) testimoniano la loro importanza.
Eppure, anche loro il primo luglio incroceranno le braccia. Per criticare la legge con cui il premier Silvio Berlusconi vuole limitare le intercettazioni telefoniche e le cronache giudiziarie? Macché. I magistrati scioperano per soldi. La manovra da 25 miliardi colpisce anche loro, come tutti i dipendenti pubblici. E loro non ci stanno.
Ecco le loro ragioni. «Sono tagli che colpiscono la nostra indipendenza», dice Luca Palamara, presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe), «e anche iniqui: un giovane appena entrato in servizio perde il 30 per cento del proprio stipendio, mentre gli anziani se la cavano col due per cento».
Indipendenza garantita dall’ammontare degli stipendi? È opinabile. In ogni categoria ci sono ricchi dipendenti disonesti, e lavoratori pagati poco ma probi ed efficienti. Il secondo argomento, invece, è incredibile ma vero. Poiché per tre anni gli vengono bloccati gli scatti , il magistrato fresco di concorso rimane a 41 mila euro annui invece di passare a 55 mila. Mentre quello con 28 anni di anzianità subisce solo il taglio di 3 mila euro previsto per tutti i redditi oltre i 90 mila.
«Il problema è che, divulgando questi dati, i magistrati si sono dati la zappa sui piedi da soli», dice Stefano Livadiotti, giornalista del settimanale di sinistra Espresso (quindi non sospetto di pregiudizi berlusconiani contro i giudici) che l’anno scorso ha scritto un libro urticante fin dal titolo: Magistrati, l’ultracasta (Bompiani): «Nessun mestiere in Italia, e forse al mondo, garantisce ai nuovi assunti aumenti così alti e automatici nel giro di pochissimi anni. E senza alcun rischio: se non commettono reati o scorrettezze gravissime, non perderanno mai il posto».
Meglio dei politici, l’altra Casta per eccellenza: quelli almeno devono farsi eleggere col voto, ogni tanto. Non a caso, la retribuzione dei parlamentari è agganciata a quella dei magistrati, che è anche l’unica ad aver conservato la scala mobile anti-inflazione.
«I giudici italiani hanno uno stipendio medio cinque volte superiore a quello degli altri dipendenti pubblici, 51 giorni di ferie, e sono anche i più pagati dell’Europa continentale», continua Livadiotti, «i loro vertici prendono il doppio di quelli con incarichi analoghi in Francia». Gli unici a superarli sono i britannici, i quali però hanno un accesso diverso alla professione: spesso sono ex avvocati della difesa o dell'accusa diventati giudici in tarda età.
«Ma il privilegio più grande», dice Livadiotti, «è che tutti i magistrati italiani raggiungono automaticamente allo stipendio più alto: i 150 mila euro dei giudici di Cassazione, e i 170 mila dei giudici dei Tar o della corte dei Conti».
Sarebbe come se in un’azienda privata tutti, anche gli operai, anche gli asini e i pigri,dopo una ventina d’anni prendessero gli stipendi dei dirigenti. Non è sempre stato così: fino agli anni ’60 i pretori di provincia per progredire dovevano affrontare fior di concorsi. Oggi le cosiddette “valutazioni di professionalità” sono una barzelletta: le supera il 99,6 per cento dei candidati. E a giudicare i giudici sono gli stessi giudici, colleghi più anziani.Un’altra cornucopia è quella delle cosiddette «sedi disagiate» (praticamente tutto il Sud): ai giovani magistrati che ci vanno spettano decine di migliaia di euro in più.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, per criticare lo sciopero della magistratura, lo ha definito «politico». «Invece è la classica protesta corporativa di una categoria che teme di perdere alcuni dei propri ingenti privilegi economici», conclude Livadiotti.
Mauro Suttora
Saturday, June 12, 2010
Film Sex and the City 2
DONNE NEWYORKESI VERAMENTE WORKAHOLIC, SEXAHOLIC, SHOPAHOLIC E SVAMPITE COME QUELLE QUATTRO?
Oggi, 2 giugno 2010
di Mauro Suttora
Ma come sono veramente le donne di Sex and the City? Sul serio le newyorkesi sono sprovvedute come Charlotte la svampita, workaholic (drogate di lavoro) come Miranda la "rossa", shopaholic (drogate di shopping) come Carrie la giornalista e drogate di sesso come Samantha la ninfomane? Dopo due anni di convivenza con una come loro, una deliziosa trentenne di Manhattan, sono in grado rispondere: si'. Meno il sesso. Il mio fidanzamento e' stato cosi' ricco di fantastici, teneri e agghiaccianti aneddoti che ne ho tratto un libro: No Sex in the City (ed. Cairo, 2007).
La mia Marsha si alzava alle sei del mattino per andare a correre a Central Park, non resisteva di fronte a scarpe Jimmy Choo da 500 dollari o a borsette Prada da 700, la sua carta di credito era costantemente in rosso perche' spendeva tutti i (parecchi) soldi che guadagnava in vestiti, ristoranti, abbonamenti a club e palestre e week-end agli Hamptons. Ma alla fine della sua (nostra) vorticosa vita sociale allietata da un paio di cocktail e vernissage ogni sera, non le restava piu' il tempo per (fare) l'amore.
Per lei il sesso era solo un ulteriore tipo di ginnastica, intercambiabile con yoga e pilates. E anche per le sue amiche gli uomini sono accessori un po' meno utili di quelli comodamente acquistabili negli store di Madison Avenue. Infatti, fateci caso: tutti i maschi della serie tv e dei due film Sex and the City sono o fessi (quelli di Charlotte e Miranda) o mascalzoni (il Mr. Big e Barishnikov di Carrie) o boy-toys (Samantha). Degni del cassonetto.
Il decennio degli anni Zero che si sta chiudendo passera' alla storia (guerre di Bush a parte) come quello di Sex and the City? In mancanza di altri fenomeni sociali, artistici, culturali, c'e' questo rischio. Il nulla. Zero, appunto.
Oggi, 2 giugno 2010
di Mauro Suttora
Ma come sono veramente le donne di Sex and the City? Sul serio le newyorkesi sono sprovvedute come Charlotte la svampita, workaholic (drogate di lavoro) come Miranda la "rossa", shopaholic (drogate di shopping) come Carrie la giornalista e drogate di sesso come Samantha la ninfomane? Dopo due anni di convivenza con una come loro, una deliziosa trentenne di Manhattan, sono in grado rispondere: si'. Meno il sesso. Il mio fidanzamento e' stato cosi' ricco di fantastici, teneri e agghiaccianti aneddoti che ne ho tratto un libro: No Sex in the City (ed. Cairo, 2007).
La mia Marsha si alzava alle sei del mattino per andare a correre a Central Park, non resisteva di fronte a scarpe Jimmy Choo da 500 dollari o a borsette Prada da 700, la sua carta di credito era costantemente in rosso perche' spendeva tutti i (parecchi) soldi che guadagnava in vestiti, ristoranti, abbonamenti a club e palestre e week-end agli Hamptons. Ma alla fine della sua (nostra) vorticosa vita sociale allietata da un paio di cocktail e vernissage ogni sera, non le restava piu' il tempo per (fare) l'amore.
Per lei il sesso era solo un ulteriore tipo di ginnastica, intercambiabile con yoga e pilates. E anche per le sue amiche gli uomini sono accessori un po' meno utili di quelli comodamente acquistabili negli store di Madison Avenue. Infatti, fateci caso: tutti i maschi della serie tv e dei due film Sex and the City sono o fessi (quelli di Charlotte e Miranda) o mascalzoni (il Mr. Big e Barishnikov di Carrie) o boy-toys (Samantha). Degni del cassonetto.
Il decennio degli anni Zero che si sta chiudendo passera' alla storia (guerre di Bush a parte) come quello di Sex and the City? In mancanza di altri fenomeni sociali, artistici, culturali, c'e' questo rischio. Il nulla. Zero, appunto.
Thursday, June 10, 2010
Yet
Washington Post
News Alert: General: Kandahar operation will take longer
07:47 AM Thursday, June 10, 2010
The top commander in the largely stalemated Afghanistan war acknowledged Thursday that a crucial campaign to secure the region of the country where the Taliban insurgency was born will take longer than planned because local Afghans do not yet welcome the military-run operation.
(it's all in that "yet"...)
News Alert: General: Kandahar operation will take longer
07:47 AM Thursday, June 10, 2010
The top commander in the largely stalemated Afghanistan war acknowledged Thursday that a crucial campaign to secure the region of the country where the Taliban insurgency was born will take longer than planned because local Afghans do not yet welcome the military-run operation.
(it's all in that "yet"...)
Wednesday, June 09, 2010
I ricchi non piangono mai
LA MANOVRA NON TOCCA I MILIARDARI
di Mauro Suttora
Oggi, 2 giugno 2010
Coincidenza sfortunata: proprio nel giorno in cui suo padre ha imposto agli italiani sacrifici per 24 miliardi di euro, Pier Silvio Berlusconi ha varato il proprio nuovo maxiyacht da 18 milioni, lungo 37 metri. È vero, così il cantiere Ferretti di Ancona lavora e non licenzia i dipendenti. Ma Pier Silvio si era già fatto costruire tre anni fa dal cantiere anconetano un altro yacht da trenta metri: Suegno, costato dieci milioni. Aveva proprio bisogno di un secondo piroscafo?
La verità è che i ricchi non piangono mai. Non solo in Italia. I miliardari greci sbevazzano come sempre negli hotel a cinque stelle di Gstaad o Saint Moritz, mentre i loro compatrioti ad Atene sono in mutande. A New York gli speculatori responsabili della crisi mondiale continuano a incassare bonus da milioni di dollari. E nella nuova lista dei 5.700 evasori italiani con sette miliardi nascosti in Svizzera ci sono industrialotti lombardi, stilisti, attori, notai, avvocati e anche molte casalinghe, mogli prestanome dei suddetti.
Neanche un centesimo viene tolto dalla «manovra» di Berlusconi ai ricchi come lui. Obama ha aumentato le imposte sui redditi oltre i 200 mila dollari (160 mila euro). In Italia invece chi lavora viene tassato fino al 43 per cento, mentre le rendite da capitale rimangono al 12,5. Industriali, finanzieri e banchieri possono stare tranquilli.
Il governo Prodi aveva cercato di imporre un tetto di 270 mila euro annui per tutti i manager pubblici. Risultato: Pier Francesco Guarguagliani di Finmeccanica (oggi nei guai con la moglie per fondi neri) l’anno scorso ha intascato più di cinque milioni e mezzo. C’è il divieto di cumulo di cariche? Lucio Stanca è sia deputato, sia capo dell’Expo 2015 di Milano, per un totale di 650 mila euro. E come lui decine di politici con doppio incarico.
Non è questione di destra o sinistra. Il principale fustigatore dei potenti in Italia, Beppe Grillo, è lui stesso un ricco milionario che ama scorrazzare in motoscafo per la Costa Smeralda. E così l’ex eroe della sinistra tv, Michele Santoro, che ha scandalizzato i propri fans con la trattativa da una quindicina di milioni per il prepensionamento Rai alla verde età di 58 anni.
L’Italia ha il terzo debito pubblico del pianeta: 1.800 miliardi di euro. Ci superano solo Stati Uniti e Giappone, in cifre assolute. E in percentuale sul Pil, siamo i peggiori d’Europa: 115 per cento nel 2009, come la Grecia. Ciononostante, i nostri politici anche quest’anno riescono a spendere il 5 per cento in più di quel che incassano con le tasse. La manovra di questi giorni serve solo a rallentare l’allargamento del buco, non a tapparlo.
Eppure, tutti si sentono in diritto di protestare. Soprattutto i più ricchi. Sentite: «La nostra indipendenza va salvaguardata anche sotto il profilo economico», strillano i magistrati, «minacciati» come tutti i pubblici dipendenti dal blocco degli aumenti automatici triennali (per tutti, anche asini e pigri), oltre che da un prelievo del cinque per cento sui redditi oltre i 90 mila euro l’anno (ovvero la quasi totalità dei magistrati). Medici e primari da cinquemila euro netti al mese piangono: «Interventi tanto vergognosi quanto iniqui».
I dirigenti pubblici preparano i soliti ricorsi al Tar. «Guadagno 289 mila euro l’anno, ma alla Telecom erano due milioni e mezzo», dice Giuseppe Sala, direttore generale del comune di Milano. Ognuno guarda a chi prende di più. Bruno Vespa, dal «basso» del suo milione e 200 mila euro annui, invidia Santoro. E i tagli non toccano i prepensionati d’oro, come il dirigente della regione Sicilia Pier Carmelo Russo che cinque mesi fa ha agguantato 6.462 euro netti mensili a 47 anni, per poi vedersi nominare assessore all’Energia.
Le statistiche sono chiare: negli ultimi dieci anni i redditi dei dipendenti pubblici sono aumentati del 42%. Quasi il doppio dei privati, esposti alla concorrenza con l’estero. Eppure, all’ultimo momento la loro potente lobby ha fatto aumentare da 130 a 150 mila euro la soglia per il prelievo del 10%. E chissà di quali altri «ammorbidimenti» godranno i ricchi prima che i decreti tagliaspesa diventino realtà.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 2 giugno 2010
Coincidenza sfortunata: proprio nel giorno in cui suo padre ha imposto agli italiani sacrifici per 24 miliardi di euro, Pier Silvio Berlusconi ha varato il proprio nuovo maxiyacht da 18 milioni, lungo 37 metri. È vero, così il cantiere Ferretti di Ancona lavora e non licenzia i dipendenti. Ma Pier Silvio si era già fatto costruire tre anni fa dal cantiere anconetano un altro yacht da trenta metri: Suegno, costato dieci milioni. Aveva proprio bisogno di un secondo piroscafo?
La verità è che i ricchi non piangono mai. Non solo in Italia. I miliardari greci sbevazzano come sempre negli hotel a cinque stelle di Gstaad o Saint Moritz, mentre i loro compatrioti ad Atene sono in mutande. A New York gli speculatori responsabili della crisi mondiale continuano a incassare bonus da milioni di dollari. E nella nuova lista dei 5.700 evasori italiani con sette miliardi nascosti in Svizzera ci sono industrialotti lombardi, stilisti, attori, notai, avvocati e anche molte casalinghe, mogli prestanome dei suddetti.
Neanche un centesimo viene tolto dalla «manovra» di Berlusconi ai ricchi come lui. Obama ha aumentato le imposte sui redditi oltre i 200 mila dollari (160 mila euro). In Italia invece chi lavora viene tassato fino al 43 per cento, mentre le rendite da capitale rimangono al 12,5. Industriali, finanzieri e banchieri possono stare tranquilli.
Il governo Prodi aveva cercato di imporre un tetto di 270 mila euro annui per tutti i manager pubblici. Risultato: Pier Francesco Guarguagliani di Finmeccanica (oggi nei guai con la moglie per fondi neri) l’anno scorso ha intascato più di cinque milioni e mezzo. C’è il divieto di cumulo di cariche? Lucio Stanca è sia deputato, sia capo dell’Expo 2015 di Milano, per un totale di 650 mila euro. E come lui decine di politici con doppio incarico.
Non è questione di destra o sinistra. Il principale fustigatore dei potenti in Italia, Beppe Grillo, è lui stesso un ricco milionario che ama scorrazzare in motoscafo per la Costa Smeralda. E così l’ex eroe della sinistra tv, Michele Santoro, che ha scandalizzato i propri fans con la trattativa da una quindicina di milioni per il prepensionamento Rai alla verde età di 58 anni.
L’Italia ha il terzo debito pubblico del pianeta: 1.800 miliardi di euro. Ci superano solo Stati Uniti e Giappone, in cifre assolute. E in percentuale sul Pil, siamo i peggiori d’Europa: 115 per cento nel 2009, come la Grecia. Ciononostante, i nostri politici anche quest’anno riescono a spendere il 5 per cento in più di quel che incassano con le tasse. La manovra di questi giorni serve solo a rallentare l’allargamento del buco, non a tapparlo.
Eppure, tutti si sentono in diritto di protestare. Soprattutto i più ricchi. Sentite: «La nostra indipendenza va salvaguardata anche sotto il profilo economico», strillano i magistrati, «minacciati» come tutti i pubblici dipendenti dal blocco degli aumenti automatici triennali (per tutti, anche asini e pigri), oltre che da un prelievo del cinque per cento sui redditi oltre i 90 mila euro l’anno (ovvero la quasi totalità dei magistrati). Medici e primari da cinquemila euro netti al mese piangono: «Interventi tanto vergognosi quanto iniqui».
I dirigenti pubblici preparano i soliti ricorsi al Tar. «Guadagno 289 mila euro l’anno, ma alla Telecom erano due milioni e mezzo», dice Giuseppe Sala, direttore generale del comune di Milano. Ognuno guarda a chi prende di più. Bruno Vespa, dal «basso» del suo milione e 200 mila euro annui, invidia Santoro. E i tagli non toccano i prepensionati d’oro, come il dirigente della regione Sicilia Pier Carmelo Russo che cinque mesi fa ha agguantato 6.462 euro netti mensili a 47 anni, per poi vedersi nominare assessore all’Energia.
Le statistiche sono chiare: negli ultimi dieci anni i redditi dei dipendenti pubblici sono aumentati del 42%. Quasi il doppio dei privati, esposti alla concorrenza con l’estero. Eppure, all’ultimo momento la loro potente lobby ha fatto aumentare da 130 a 150 mila euro la soglia per il prelievo del 10%. E chissà di quali altri «ammorbidimenti» godranno i ricchi prima che i decreti tagliaspesa diventino realtà.
Mauro Suttora
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