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Tuesday, June 07, 2011

intervista al quotidiano "La Provincia"

I DIARI DI MUSSOLINI

«Veri o falsi, sono una noia mortale»

intervista a Mauro Suttora di Barbara Faverio

La Provincia di Como, 7 giugno 2011

«Sono peggio che falsi, i diari di Mussolini sono noiosissimi». Mauro Suttora, giornalista di Oggi, di Mussolini e di diari se ne intende: è stato infatti il curatore, in Mussolini segreto (Rizzoli 2009), della pubblicazione dei diari di Claretta Petacci dal 1932 al ’38.

Che idea si è fatto dei Diari di Dell’Utri, anche alla luce della sua profonda conoscenza di quelli di Claretta?

«Li ho confrontati giorno per giorno, per quanto riguarda il 1939, e ho trovato un elemento a favore e uno contro l’autenticità.
Quello contrario, anche se è solo un indizio, è annotato sul 6 gennaio: Mussolini scrive che nevica su tutta la Romagna e decanta lo spettacolo della campagna innevata; ma noi sappiamo non solo dai diari della Petacci ma anche da altre fonti, per esempio le agende della Presidenza del Consiglio, che quel giorno Mussolini non era in Romagna, era già tornato a Roma dopo le vacanze di Natale.
L’altro riscontro, positivo, si riferisce al 27 gennaio dello stesso anno: Mussolini racconta un incontro con la Petacci sulle nevi del Terminillo, e Claretta nei suoi diari rievoca lo stesso episodio, anche se lo colloca al 26 febbraio: ora, a parte lei stessa e forse la scorta di Mussolini, nessuno poteva sapere di questi incontri segreti, tantomeno un falsario».

La convince la ricostruzione di Franzinelli [nel suo libro Autopsia di un falso, ndr]?

«È possibile che le cose siano andate così, ma nessuno storico a parte Franzinelli sostiene con certezza che i diari sono falsi. Anche la perizia di Emilio Gentile non esprime un giudizio definitivo. E comunque io parto dalla premessa che tutti i diari sono falsi, perché l’autore li scrive per fare bella figura: per questo ritengo che se si vuole sapere davvero cosa faceva Mussolini bisogna leggere i diari di Claretta, una vera candid-camera nella camera da letto di Mussolini ricca però di annotazioni di grande valore storico. Per esempio il giorno di Pasquetta del ’38 - quattro anni prima che i nazisti decidessero per lo sterminio - scrive [che Mussolini dice]: "Gli ebrei verranno sterminati". E fa così piazza pulita in un colpo solo di tutti i luoghi comuni sugli "italiani brava gente" inconsapevoli della deriva razzista del nazi-fascismo. Comunque, anche se credo che i diari siano falsi, ha fatto benissimo Bompiani a pubblicarli».

Perché?

«La curiosità era troppa, ognuno vuole farsi un’idea in prima persona. Ma la verità è che io leggendoli sono svenuto dalla noia, non dicono nulla, non aggiungono nulla: e questo è strano perché Mussolini era un giornalista brillante».

Wednesday, November 17, 2010

Diari di Mussolini e di Claretta a confronto

Da oggi in libreria la prima delle controverse agende «scoperte» dal senatore Dell'Utri. Per stabilirne l'autenticità, confrontiamole con quelle dell'amante Claretta Petacci, pubblicate un anno fa

Oggi, 10 novembre 2010

di Mauro Suttora

«Sosta fra le nevi del Terminillo. Silenzio e solitudine! Quanto è bello! Di tanto in tanto mi appare una leggera immagine sorridente - un rosso cappuccio sul bianco della neve - un impertinente strizzare d’occhi - una gran voglia di vivere! E poi piano piano la fanciulla sciatrice sparisce... dove?»

Benito Mussolini scrive queste parole sulla pagina 27 gennaio della propria agenda 1939, ora pubblicata da Bompiani. Ed è l’unico accenno, peraltro anonimo, che fa in tutto l’anno a Claretta Petacci, sua amante fissa dal ‘36. Per lui pubblico e privato sono nettamente separati. Vede la giovane 27enne quasi ogni giorno, le telefona quasi ogni ora. Ma nulla di questa relazione deve passare alla storia. E anche della moglie Rachele scrive poco.

Sulla veridicità dei Diari ci sono dubbi. E allora confrontiamoli giorno per giorno con quelli di Claretta, che invece sono sicuramente autentici. Lo garantisce l’Archivio centrale dello Stato, che li ha resi pubblici soltanto adesso, a 70 anni dalla loro stesura (legge sulla privacy).

Claretta è più precisa di Benito. Quel giorno al Terminillo lo ricorda bene, riempiendo varie pagine sul proprio diario. In realtà era il 26 gennaio, come lei correttamente annota, e non il 27. Una delle tante piccole e grandi imprecisioni che fanno dubitare alcuni storici sui Diari di Mussolini.

Voleva fare l’amore

Nel pomeriggio la scorta dà a Mussolini la notizia che Barcellona è caduta, e lui torna subito a Roma. Il particolare è ricordato in entrambi i diari. Alle sette e mezzo il dittatore si affaccia al balcone di piazza Venezia per annunciare questa vittoria fascista nella guerra civile spagnola. E Claretta scrive: «Ascolto il discorso alla radio, verso le otto richiama: “Ebbene, hai sentito tutto? La mia voce era chiara? Ti sembrava bene? Hai sentito la folla? Che urlo. Già, chissà come faranno a dire certe cose, che l’entusiasmo non c’è più. Senti, se non fosse così tardi, sai cosa? Se fosse stato un po’ prima, hai capito? [Mussolini le fa intendere che avrebbe voluto invitarla a palazzo Venezia per fare l’amore, ndr] Ma lasciamo andare, ora devo telefonare al Popolo d’Italia [il suo quotidiano] per sentire se la trasmissione a Milano è andata bene».

Stalking al Terminillo

In realtà quel giorno al Terminillo Mussolini non voleva che Claretta lo seguisse. Era partito per la montagna dopo averle telefonato alle dieci, senza dirle nulla. Lei allarmata lo rincorre in auto al Terminillo. Sospettava che fosse lì con un’altra, i tradimenti erano frequenti.

Benito si arrabbia per questo vero e proprio «stalking»: «Avete fatto molto male a venire, con mia moglie a Roma è un’imprudenza. Non vi ho detto nulla perché non vi volevo qui. No, non ero con nessuno, e vi prego di non insistere. Volevo stare solo. Vi pare strano? Sì, lo so che a quest’ora non può giungere mia moglie, ma è un’imprudenza. Sono stato qui tre ore, assolutamente solo. Chiamo a testimoni i ragazzi [della scorta] che sono con me».

Continua il racconto di Claretta: «Volevo mettere un agente che vi impedisse di scendere, ma poi ho voluto evitarvi questo affronto. Vi metterò nelle mani della Questura, vi manderò al confino...»

Claretta, ironica: «Purché l’aria sia buona».
Mussolini: «Vedrete, finirete come la Brambilla [contessa Giulia Brambilla Carminati, amante di Mussolini, spedita via da Roma]».
Claretta: «Sentite, la differenza è grande, non avrete bisogno di ricorrere a ciò. Non avete che da dirmi “Non vi amo più, toglietevi dalla mia via, sono stanco di voi”, e io me ne andrò tranquillamente».

Il 10 febbraio muore improvvisamente Pio XI. Mussolini annota: «Era un papa straordinario». Questo per i posteri. Solo quattro mesi prima, invece, si era sfogato così in privato con Claretta: «Tu non sai il male che fa questo papa alla Chiesa. Mai papa fu tanto nefasto alla religione come questo. Fa cose indegne, come quella di dire che noi siamo simili ai semiti. Ha scontentato tutti i cattolici, fa discorsi cattivi e sciocchi. È una vera calamità, peggio di questo papa in questo periodo non poteva capitare» (8 ottobre ‘38).

“Porci ebrei, li ucciderò“

Mussolini non sopportava l’opposizione del papa alle leggi antiebraiche. Che con Claretta definiva «Porci, razza spregevole», minacciando di «ucciderli tutti» (9 ottobre ‘38), e addirittura prevedendo (o auspicando) che fosse «un popolo destinato ad essere trucidato completamente» (18 aprile ‘38).

Parole tremende, che quando un anno fa uscirono i Diari di Claretta fecero il giro del mondo. L’Economist scrisse: «Viene sfidata l’opinione tranquillizzante che molti italiani hanno del Duce, come di un leader traviato da Hitler».

Invaghito di Maria Josè

Adesso, invece, torna il Mussolini «buono». Scrive infatti nel suo Diario l’11 febbraio ‘39: «Sono contro le leggi razziali». Curioso, visto che le aveva fatte appena approvare.

Anche sulla principessa Maria Josè Mussolini cambia idea. A Claretta dice: «È fisicamente repellente, bruttina di viso». Nel proprio diario del 5 ottobre ‘39, invece: «È stata nominata ispettrice della Croce Rossa. Il conventuale costume pone in risalto gli stupendi occhi di un azzurro così lieve da sembrare perlati di grigio... mutevoli, ora dolci, austeri, gelidi, pungenti come scaglie di cielo...».

L’Eur, infine. Il 28 febbraio ‘39 Mussolini visita i cantieri dell’Expo Universale Romana del ‘42. Si dilunga in particolari tecnici che sembrano tratti da articoli di giornale. Per gli scettici, è la prova del falso. Ma leggendo Claretta si capisce che Mussolini era sinceramente orgoglioso di queste opere del regime, e perciò riversava l’entusiasmo nel suo diario.

Riquadro: "Una parola per Margherita"

Per dimostrare che non è razzista, Mussolini il 2 maggio ‘39 scrive nel diario: «Ho amato una donna negli anni belli della mia vita, ed era ebrea». È l’unico accenno a Margherita Sarfatti, su cui Roberto Festorazzi ha appena pubblicato il libro La donna che inventò Mussolini (Angelo Colla editore).

Mauro Suttora

Wednesday, November 10, 2010

I Diari di Mussolini

ESCLUSIVA MONDIALE: Anticipiamo alcuni brani del libro I Diari di Mussolini (veri o presunti) (Bompiani) in libreria dal 10 novembre 2010.

a cura di Mauro Suttora

Oggi, 3 novembre 2010

Arriva in libreria il primo volume dei Diari di Mussolini, quelli «scoperti» tre anni fa dal senatore Marcello Dell’Utri. Molti dubitano della loro autenticità, per cui lo stesso editore Bompiani nel titolo aggiunge «Veri o presunti». In ogni caso, la loro lettura è avvincente. Anche perché l’anno in questione, il 1939, è carico di eventi cruciali. Ecco un’antologia dei giudizi espressi dal Duce.

31 agosto ’39: "È guerra"
«Non possiamo e non dobbiamo prendere le armi (che poi... non abbiamo) ma dobbiamo fare una scelta che possa salvarci. (...)
Dobbiamo difenderci da coloro che saranno nel gioco tragico della guerra i nostri nemici e salvarci da quelli che potrebbero diventarlo da un momento all’altro e sono i nostri alleati: i tedeschi.
Ancora supposizioni progetti scelte pensieri qui in questo gelido salone del mio studio».

Agnelli: “Vero padrone“
21 gennaio: «Inauguro il costruendo Cementificio di Guidonia ideato dal sen. Agnelli di Torino che mi attende in impeccabile divisa fascista (non era il caso). L’anziano industriale ha i tratti forbiti dal vezzo e dalla pratica di comandare: un padrone, un ruolo perfetto».

Balbo: “Grand’uomo“
7 dicembre: «[Italo] Balbo [morirà dopo pochi mesi,ndr], un grand’uomo. Solido, forte e franco, lo apprezzo perché dice ciò che pensa anche se offende».

Borghesi: “Ricchi e gretti“
25 gennaio: «Avverso la borghesia ricca e spavalda, pretenziosa e gretta, che per un imprevisto giuoco del destino ha il privilegio della ricchezza o quello di rubare impunemente e legalmente a quella massa di poveri che per un giuoco del destino diverso si trova nella necessità di dover da questa dipendere. Equilibrare la ricchezza. Sì, è il mio pensiero. Ma bisogna arrivarci per gradi».
11 dicembre: «Ho sempre nutrito una folle avversione verso il ceto borghese nemico dell’azione e dell’audacia».

Bottai: “Un marxista“
7 dicembre: «Bottai, il marxista del fascismo, legislatore oculato, personaggio di primo piano per molte qualità e molta sostanza».

Ciano: “Uno sprovveduto“
2 febbraio: «Galeazzo è fiducioso e sempre alquanto sprovveduto nell’immediato giudizio del primo soggetto che gli capita innanzi».
16 febbraio: «Giornata sciupata fra intrighi e pettegolezzi. Maldicenze e jettature, impudenze e preziosissimo tempo perso in cretinerie. Galeazzo ha “preso cappello” per certe insinuazioni convalidate da Ferretti - contrasti e ragazzate. Sono uomini deboli, piccoli e fragilissimi - ed io credevo di aver costruito dei giganti! Mi dispiace di aver dovuto redarguire Ferretti per dare le solite soddisfazioni a mio genero che mi è più caro di un figlio, ma è tanto ragazzo».
7 dicembre: «Ha talento e cuore, ma per un malefico giuoco del destino spesso volge il suo modo di agire su tracce sbagliate [quattro anni dopo lo farà fucilare, ndr]».

Ebrei: “Non sono razzista“
3 gennaio: «Roosevelt mi manda William Philips [ambasciatore Usa a Roma, ndr] a chiedere una cosa impossibile - vuole sistemare gli ebrei scacciati da Hitler in Abissinia, giù sul basso Giuba. Ma nemmeno ci andrebbero. Personalmente non ho nulla contro gli ebrei. Ho avuto ebrei fra i miei amici più fidati e validi. Ho già varato varie volte il progetto di creare uno Stato israelita per gli ebrei di tutto il mondo. Il Medio Oriente parvemi la regione più adatta allo scopo. Ma in Etiopia non vedo come potrebbero sistemarsi, vi sono ancora interi territori da ricondurre all’ordine, è un momento di duro assestamento».
11 febbraio: «Ho l’obbligo di rispettare almeno nella forma più blanda le leggi razziali imposte da Hitler e facenti parte della politica dell’Asse. La Chiesa ha sollevato un allarme sulla disposizione indetta [divieto, ndr] per i matrimoni misti. Non mi pare una cosa gravissima, ma è motivo di contrasto. Io sono contro le leggi razziali. Gli ebrei vivano come hanno sempre vissuto. La razza ariana o no è per me la stessa cosa. Uno della Papuasia, purché sia un galantuomo, è sempre una persona degna di rispetto. È assurdo stabilire discendenze e “pedigree” nel genere umano. Noi siamo italiani e basta».

Farinacci: “Un nemico“
7 dicembre: «Se fossi un vero tiranno me lo sarei già levato di mezzo. Ma io da buon romagnolo stringo la mano anche ai miei nemici, li tengo d’occhio ma li lascio dove sono».

Finlandesi: “Patrioti“
6 dicembre: «Tutto il popolo di Finlandia è animato di purissimo patriottismo, [...] sdegno per la proditoria aggressione dell’Unione Sovietica [...] Le grasse plutocrazie si commuovono ma restano a guardare».

Francesi: “Livorosi“
14 febbraio: «La guerra contro la Francia è inevitabile [la dichiarerà 16 mesi dopo, ndr]. Non si tratta di pazientare o far finta di niente. Non si tratta di mettere avanti rivendicazioni che possono anche essere trascurate. La Corsica? Ma a che serve la Corsica? A niente. Contano le provocazioni continue e un liquame d’odio ingiustificato. Dileggio, disprezzo, dispetto - “Les sales macaroni” - e poi? Non posso rendermi conto perché questo crescente livore espresso dalla Francia per noi».

Gerarchi: “Mediocri“
5 gennaio: «Non vi sono soltanto pecore nel mio gregge - ma caproni, lupi, sciacalli, torelli e abbastanza spesso anche lumache».
18 febbraio: «Non va, non va. Gli uomini che stanno ai posti chiave di questo nostro Regime sono dei piccoli irresponsabili, vittime arrese a tutte le debolezze umane».
9 dicembre: «Il livello dei miei collaboratori è molto mediocre, questo lo so».

Grandi: “Untuoso“
7 dicembre: «[Dino] Grandi, eccellente simulatore, si è creato un epicentro di supremazia, un piccolo dominio privato. È un giullare perfetto, untuoso».

Graziani: “Spietato“
30 dicembre: «Dopo quell’attentato in Etiopia è diventato eccessivamente vulcanico, sospettoso, spietato. Non c’è ragione d’essere spietati, quei poveracci laggiù hanno già scontato il mal fatto, non era il caso d’infierire. Non sanno manovrare l’indulgenza, la pazienza e la generosità».

Guerra
9 dicembre: «Non è vero che non so che le [nostre] Forze Armate sono deficienti di tutto. Non mi spingo in guerra per spirito di avventura. Io sono italiano e voglio la grandezza dell’Italia. L’occasione è forse irrepetibile. L’alleanza con la Germania è garanzia di successo. Non posso respingere quanto ci offre il destino».
25 dicembre: «Una guerra non può avere né una vittoria né una sconfitta, poiché prevale sempre la sconfitta sia nei vinti che nei vincitori».
Hitler: “mi fa vomitare“
2 gennaio: «È difficile sapere se il progetto di alleanza con la Germania sarà propizio o meno. La proposta di Ribbentrop potrebbe essere anche un tranello. Non c’è altra scelta. Non c’è. Come la penso? Non mi va - ecco, non va. Mi sento titubante e insicuro»
7 gennaio: «Ho cercato di leggere qualche brano del Mein Kampf: è un rigurgitativo. L’autore lo chiama la Bibbia della Nuova Germania! Crede di aver ideato un capolavoro».
31 dicembre: «Deposto l’abito del Führer si trova un altro Hitler, che ama le focacce dolci, teme lo sport, si corica avvolto in una lunga e ridicola camicia da notte, conversa con impegno con i propri cani e ama il profumo dei mughetti...».

Inglesi: “Niente guerra“
1 dicembre: «Siamo contrari alla guerra, anzi io personalmente lo sono. Non sono animato da particolare rancore contro Londra [sei mesi prima di dichiarare guerra all’Inghilterra, ndr]».

Massoni: “Pagliacci“
4 gennaio: «I massoni? Ma mi fanno ridere... Come si può dare credito a una così buffonesca congrega? Fra triangoli, teschi, puntoni, martelli e muratori, guanti e grembiuli, si sostiene una delle più potenti sette del mondo. Forse nel secolo scorso poteva ancora essere tollerata, ma oggi - tutto il rituale della massoneria è assolutamente pagliaccesco e financo pietoso».

Muti: “Un disastro“
30 dicembre: «Muti [nuovo segretario del Partito fascista, ndr] un disastro povero figlio, con un livello d’intelligenza assolutamente inferiore alla norma. (...) Ho fatto largo ai giovani. I vecchi sono pesanti, retrogradi. Ma i giovani agiscono d’istinto e sbagliano. Le questioni scabrose o delicate i pivelli le affrontano a scatafascio».

Papa: “Niente politica“
2 gennaio: «Chiarificazione con l’ambasciatore presso la Santa Sede sulla strainvadenza del Vaticano - è tempo di mutar parere. Lo Stato è lo Stato e la Chiesa deve seguire la sua missione - santa che sia - ma soltanto nell’ambito della morale cattolica».
10 febbraio: «Il Papa [Pio XI, ndr] è morto. Volle la conciliazione - evento grandioso, eccezionale. Modestamente ebbi l’onore di esserne l’esecutore per parte del governo italiano. Achille Ratti era un papa straordinario, devo ammetterlo. Non posso prevedere quale sia il nuovo Papa. Desidero soltanto che sia un pastor angelicus e non un politicante e un intrigante. Politicanti siamo già noi, e mi pare che si sia anche in troppi».

Patto d’acciaio: “Male“
26 maggio: «L’art. 3 non può essere da noi accettato. Avevo avvertito Ciano di mettere in evidenza la nostra impreparazione militare e l’impossibilità di accettare un conflitto prima di alcuni anni di riassetto delle forze di terra e dell’aria».

Polacchi: “Cocciuti“
17 gennaio: «La diplomazia polacca finirà per ridurre la Polonia a un’espressione geografica. I polacchi sono cocciuti, beffardi e non opportunisti e il loro grande valore in guerra, già dimostrato in passato, in questo caso sarebbe cagione di un irrimediabile disastro. Oggi opporsi alla Germania o alla Russia vorrebbe dire per la Polonia l’annientamento totale».

Roosevelt: “Zio d’america“
2 gennaio: «Roosevelt ha i suoi segreti progetti e non soltanto di natura idealistica - perché gli ebrei (fra i quali ho avuto ed ho ancora i migliori amici) sono degli abilissimi affaristi. Roosevelt sarà sempre lo zio d’America che sosterrà le due nipoti Francia e Inghilterra, e se ci sarà una prossima guerra l’America sarà con loro. Si dice che quando l’anchilosato presidente degli Stati Uniti è a tavola considera il coltello per colpire, la forchetta per sforchettare e il cucchiaio per far ingoiare veleno ai suoi nemici».

Se stesso: “Mi odieranno“

24 gennaio: «Non sono vendicativo, tanto meno sanguinario. Mi sento forte, ho un istintivo senso del dominio. I forti non annientano mai i propri nemici. Anzi, non li considerano nemmeno tali».
25 gennaio: «L’entusiasmo e l’esaltazione che mi dimostrano, più che essere sentita, è un passaggio in crescendo di emozioni che di punto in bianco potrebbe mutarsi con la stessa facilità in odio».

Starace: “Un cretino“

16 aprile: «Quel cretino di Starace pretende da tutti il saluto fascista, in questo caso [incoronazione di Vittorio Emauele III a re d’Albania, ndr] inopportuno e irritante». [Mussolini lo destituirà da segretario del Partito fascista sei mesi dopo, ndr].

Il re: “Ridicolo”

20 gennaio: «Chi lo vede la prima volta, trattiene lo stupore: Oh! è piccolo! Non lo immaginavo così!... Lui, il re, non si è mai rassegnato per la ridotta statura, se n’è fatta un’infelicità, un tormento. In questi casi si difende con il distacco altezzoso, inaccessibile. Si pone di fronte agli astanti in posizione sfavorevole ed è mal giudicato. Lo stesso modo di fare non gli confà simpatia; il frasario breve a scatti, lo sguardo gelido, l’apparire su quel volto ormai segnato dal tempo, avvizzito e stanco, di un improvviso sorriso darebbe quasi l’impressione di attenuare le distanze. Invece no, niente, lui è il re e gli altri sono gli altri. O il “sovrano” si trasforma completamente o rimane un personaggio da favola, fra il ridicolo e il grottesco. Non abbiamo bisogno di simboli, ma di personaggi vivi e di buona forza – capaci di assumersi responsabilità da crepacuore».
5 febbraio: «Il re è un personaggio paludato di broccato, con corona in testa e scettro in mano, su un cocchio a molti cavalli che fa divertire gli infanti. Oggi il re fa ridere. I re, le regine i principi e tutto il vivaio blasonato che affligge ancora la società moderna devono essere dimenticati».

a cura di Mauro Suttora

Thursday, October 28, 2010

Michel Houellebecq

L'EDITRICE DEL PIÙ DISCUSSO SCRITTORE FRANCESE CI SVELA IL SEGRETO DELL'ULTIMO LIBRO

«Quando ho letto La carta e il territorio ho avuto una sorpresa: Michel mi aveva inserita nel romanzo», dice Teresa Cremisi. Che qui racconta un misantropo di successo

di Mauro Suttora

«Sono stata la prima a leggere il nuovo romanzo di Houellebecq. Me l'ha mandato a maggio per posta dalla Spagna, dove vive. E quando ho visto il mio nome, sono saltata sulla sedia...»
Teresa Cremisi è la presidente di Flammarion, uno dei tre giganti dell'editoria francese. E ha la fortuna di pubblicare i romanzi di Michel Houellebecq, lo scrittore transalpino più importante, controverso e venduto nel mondo (oltre cinque milioni di copie). «Non è molto prolifico, scrive un libro ogni 4-5 anni. Ma ogni volta è un avvenimento. Questo romanzo ha già venduto i diritti per essere tradotto in quaranta lingue», ci dice.

Non pensavamo esistessero così tante lingue «letterarie» al mondo, e invece Houellebecq anche questa volta ha fatto il pieno. La carta e il territorio, pubblicato un mese fa in Francia (e una settimana fa in Italia, da Bompiani) è in testa alle classifiche. E anche, come sempre, oggetto sia di lodi enormi sia di polemiche feroci. Un critico francese ha scritto che Houellebecq ha «realizzato la fusione fra narrativa e saggistica».

Un altro, su Le Monde, sostiene che lo scrittore meriterebbe di essere nominato ministro dell'Economia per le acute dissertazioni sul sistema produttivo che mette in bocca ai suoi personaggi: fra vent' anni, prevede, tutta la Francia e non solo Parigi diventerà una grande destinazione turistica, e grazie alla leggiadria del proprio territorio (di qui il titolo) sarà la meta di milioni di nuovi ricchi russi e cinesi, i quali assicureranno così gli introiti venuti a mancare a causa della deindustrializzazione.

Una delle novità che ha più colpito il pubblico, e che contribuirà probabilmente a far assegnare per la prima volta a Houellebecq l'agognato premio Goncourt (lo Strega francese), è che nel romanzo sono stati inseriti parecchi personaggi reali. Primo fra tutti Houellebecq stesso: il protagonista Jed, pittore di successo, gli chiede una prefazione al catalogo della sua mostra di quadri. E va a trovarlo in Irlanda, dove lo scrittore francese ha abitato realmente per anni, prima di trasferirsi in Spagna.

UN COLPO DI SCENA

Misantropo nella realtà, misantropi i protagonisti dei suoi romanzi, Houellebecq non fatica certo a far fraternizzare il pittore Jed con il se stesso romanzato. «Si autodescrive in modo caricaturale, perfino in peggio rispetto alla fama di asociale che gli hanno costruito addosso», dice la Cremisi. La quale entra in scena a pagina 260 dell'edizione italiana, dopo un colpo di scena che ovviamente non riveliamo. Solo il suo numero di telefono e quello di un altro scrittore, Frederic Beigbeder (nella realtà amico di Houellebecq e nichilista quanto lui) appaiono infatti nella scheda telefonica dell'autore.

Poche pagine dopo, Houellebecq descrive così Teresa Cremisi: «Occhi orientali, potrebbe essere una prefica, una donna mandata a piangere ai funerali». Finita la prima lettura del romanzo, la Cremisi ha incontrato lo scrittore: «Lui mi ha guardato di sottecchi, per vedere che effetto mi aveva fatto questo suo scherzo. E pensare che io cinque anni fa ero andata in Irlanda a trovarlo, facendo lo stesso viaggio che oggi lui fa compiere al protagonista Jed. Lo avevo contattato per e-mail, e poi sono andata a parlargli per riportarlo da Flammarion».

Houellebecq, infatti, aveva «tradito» la sua casa editrice, pubblicando nel 2005 il romanzo La possibilità di un'isola con il concorrente Fayard. In quello stesso anno Teresa Cremisi era approdata alla guida di Flammarion, dopo 16 anni passati a dirigere Gallimard: caso unico, una donna e per di più italiana, inserita in una delle posizioni di maggior potere all'interno del mondo letterario francese.

Prima di andare a Parigi la Cremisi era dirigente della Garzanti. E da sei mesi è diventata vicepresidente della Rizzoli Libri, che nel 2000 aveva acquisito Flammarion. Come per ogni libro di Houellebecq, alle grandi manovre editoriali e alle tirature milionarie si mischiano critiche velenose. Come quella dello scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun, che in agosto ha condannato La carta e il territorio : «Non si capisce dove voglia andare a parare», ha scritto.

PRENDE IN GIRO I VIP

«Quando ho letto quella recensione ero in vacanza ad Amalfi, e ho fatto un altro salto», confessa Teresa Cremisi. «Non mi sembra elegante che un giurato Goncourt usi la copia ricevuta per stroncarla preventivamente». Houellebecq prende in giro il mondo dell' arte, gioca con i meccanismi della notorietà e ficca dentro al suo romanzo molti vip. Alcuni della Tv famosi in Francia ma sconosciuti all' estero, mentre altri godono di fama internazionale: il miliardario messicano Carlos Slim, quello francese François Pinault, gli artisti Jeff Koons (ex marito di Cicciolina) e Damien Hirst.

RIQUADRO

A ogni libro uno scandalo

Laureato in Agraria nel 1978, Michel Houellebecq è estraneo al mondo dell'editoria e degli intellettuali francesi. Lavora come informatico, perde il posto, va in depressione, divorzia, riprende a lavorare come impiegato al Parlamento. Tutte esperienze della vita reale che riverserà con tonnellate di ironia e sarcasmo nei suoi libri.

Il primo, Estensione del dominio della lotta, è del 1994 e descrive la solitudine provocata dalla società dei consumi. Arriva poi Le particelle elementari ('99), che consacra Houellebecq a livello mondiale (tradotto in 25 Paesi). Segue Lanzarote (2000), che descrive comicamente i giochi erotici di nudisti e lesbiche tedesche in vacanza. Dopo un anno, Piattaforma : qui lo scandalo è dato dall'accettazione del turismo sessuale nei Paesi del Terzo Mondo come un comportamento normale.

Nel 2005 è pubblicato La possibilità di un'isola, che suscita controversie sul tema della clonazione umana. D'altronde Houellebecq già in Lanzarote non nascondeva l'interesse per la setta «raeliana».

Houellebecq adora spiazzare. Considerato l'alfiere del nichilismo, in quest'ultimo suo libro se la prende invece con i fautori dell'eutanasia. Il protagonista va in Svizzera, nella sede dell'associazione Dignitas che ha offerto la «dolce morte» a suo padre, e prende a schiaffi la responsabile.
Nel suo saggio del 2010 Houellebecq, écrivain romantique, Aurelien Bellanger sostiene che lo scrittore è in realtà l' ultimo dei romantici.

Mauro Suttora

Wednesday, October 27, 2010

Arrivano gli e-book

I libri senza carta? Oggi sono realtà

ANCHE IN ITALIA DECOLLA L'EDITORIA ELETTRONICA

Negli Stati Uniti sono già otto ogni cento. Noi cominciamo adesso, con l'entrata in campo dei grandi editori. A partire da Rcs Libri. Scommettiamo che tutti leggeremo così?

di Mauro Suttora

Oggi, 27 ottobre 2010

I libri nel 2010 compiono 555 anni. Fu nel 1455, infatti, che Johann Gutenberg stampò la prima Bibbia. Chissà se fra mezzo millennio in Italia qualcuno ricorderà che nell'ottobre 2010 arrivarono i libri elettronici: gli «e-book», che si scaricano a pagamento e si leggono sullo schermo di un computer, o di un lettore portatile.

Il 9 ottobre è partita Biblet, la libreria del gruppo Mondadori (comprendente anche Einaudi, Sperling&Kupfer, Piemme, Electa, Le Monnier) che si è alleata a Telecom. E dal 18 ottobre sono disponibili online 1.500 titoli di Edigita, joint-venture fra 45 marchi: il gruppo Rcs (Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Sonzogno, Marsilio, Adelphi), Feltrinelli, Garzanti, Longanesi, Guanda, Corbaccio, Chiarelettere, Vallardi, Fazi...

Assieme, questi editori coprono oltre la metà dei 213 milioni di libri venduti ogni anno in Italia, per un fatturato di tre miliardi e mezzo di euro. Poi ci sono gli altri, da tempo coalizzati nelle piattaforme Simplicissimus e Bookrepublic ( elenco nell' altra pagina ). Basta un clic, e da questi siti oltre che da quelli delle librerie online che da anni spediscono i volumi a casa, come Ibs, Hoepli, Bol, Edit, Unilibro - si comprano i «file» dei libri, anche le novità, a un prezzo più basso del 30 per cento.

«Sono curiosissimo», ci dice Edoardo Boncinelli, il famoso scienziato presente in libreria con i suoi ultimi bestseller: Perché non possiamo non dirci darwinisti e Lo scimmione intelligente (Rizzoli), e Mi ritorno in mente (Longanesi). «Presto i prezzi dei lettori portatili crolleranno, com' è successo per tutti gli aggeggi elettronici».

Crolleranno anche le vendite dei libri su carta? «Non credo. Succederà come per le riviste scientifiche: quelle cartacee non sono morte, continuano a esistere accanto a quelle online». E il rischio della pirateria, che ha dimezzato le vendite dei cd musicali e dei film in dvd? «Non mi pare che musicisti e attori stiano morendo di fame, contrariamente a molti poveri scrittori...», scherza Boncinelli.

Se lui, quasi settantenne, è entusiasta per la novità, non così sembra esserlo Silvia Avallone, la più giovane scrittrice di successo italiana (26 anni, 300 mila copie vendute del suo romanzo Acciaio , forse destinate a salire grazie alla versione elettronica): «Non ho un lettore e-book, libri e giornali preferisco leggerli su carta. Immergersi in un volume è un' esperienza totalizzante, mentre la lettura su uno schermo mi sembra frammentaria, consumistica. Gli e-book affiancheranno, ma non sostituiranno mai i libri».
Conferma Alessandro Bompieri, amministratore delegato di Rcs Libri: «L' e-book è un canale di vendita che ci porterà nuovi lettori, non in sostituzione di quelli del libro tradizionale».

«Forse soffriranno le edizioni "povere", quelle economiche e tascabili», ragiona Andrea De Carlo, che ha appena pubblicato con Bompiani il suo sedicesimo romanzo, Leielui. «Ma nella sua forma migliore, con buona carta, buona stampa e belle copertine, il libro di carta durerà per sempre». E il rischio pirateria? «Un incubo, quello di essere depredati dei frutti del proprio lavoro, così come lo sono i musicisti che hanno visto crollare i cd. Loro ormai guadagnano soprattutto con i concerti. Gli scrittori, chissà, potrebbero organizzare letture pubbliche delle proprie opere. Io lo faccio da anni, ma non mi sogno di far pagare il biglietto...».

Spiega Giorgio Riva, amministratore delegato di Edigita: «I nostri libri saranno disponibili nelle librerie online di Rizzoli, Feltrinelli, Gems e in molte altre. I testi sono comunque protetti dalla copiatura abusiva con il sistema Drm, Digital rights management , ovvero "gestione dei diritti digitali"».

Nonostante tutti i proclami, i libri virtuali sono comunque finora ancora lontani dall' impensierire quelli veri. Certo, li hanno superati fra i clienti di Amazon, il sito Usa di vendita a domicilio (che vende un suo lettore apposito, Kindle). Ma quello è un mondo di appassionati del computer. Nella realtà, anche negli Stati Uniti gli e-book sono appena otto ogni cento libri venduti. Una quota che gli editori italiani prevedono di raggiungere soltanto fra quattro-cinque anni.

Comunque la moda c'è, trascinata come sempre dalla Apple, che dopo l' i-Pod e l' i-Phone ha inventato l' i-Pad, tavoletta per leggere lunga 20 centimetri e pesante 7 etti. Da giugno ne sono stati venduti 200 mila in Italia, e questo ha spinto gli editori ad attrezzarsi per la stagione natalizia, in cui si concentrano le vendite dei libri. Si sono però attrezzati anche i concorrenti della Apple: Sony offre un lettore a metà del prezzo dell' i-Pad, mentre il Samsung Galaxy costa 700 euro, ed è telefonino e computer.

Potremo scegliere se ricevere i testi in formato pdf o e-pub. Il primo è immodificabile, nel secondo invece il lettore può intervenire con sottolineature e glosse, condividerle online, passare dalle parole stampate a video o documenti. L'e-book del nuovo Severgnini su Berlusconi, per esempio, grazie a un'applicazione può portare il lettore da una citazione del premier al video in cui lo si vede pronunciare le stesse parole.

Lo Stato tassa gli e-book con un'Iva al 20 per cento, mentre i libri di carta godono di un'aliquota del quattro. Ma gli editori hanno costi ridotti al minimo: oltre all' intermediazione delle librerie (30 per cento) risparmiano su tutti gli altri aspetti «fisici» del prodotto: carta, inchiostro, stampa, magazzino, trasporto, gestione scorte... Per questo alcuni grandi autori Usa capitanati dal loro agente William Wylie hanno minacciato di mettersi in proprio. «Ma anche gli editori sopravviveranno, se non altro per garantire la qualità degli autori che pubblicano», prevede De Carlo.


Le alleanze e i siti dove si vendono

In Italia a partire da questa settimana si sono formate quattro grandi alleanze fra editori per vendere gli e-book. I gruppi Rcs e Gems si sono messi assieme a Feltrinelli in Edigita, Bibletstore è gestito da Mondadori e Telecom. Ma tutti i titoli sono disponibili anche sui siti Simplicissimus e Bookrepublic dei piccoli editori, attivi da tempo.

Mauro Suttora

Monday, October 18, 2010

intervista a La Razon

Mientras en España aparece el libro escrito por su amante

¿Ha recuperado Mussolini la memoria?

Italia publica sus polémicos diarios, aunque algunos afirman que son falsos

intervista al quotidiano spagnolo La Razon

16 Octubre 10
Darío Menor - Roma

Los diarios de cualquier persona provocan un impulso inmediato en el prójimo: leerlos. Si el autor es un conocido o un personaje famoso, el estímulo se torna fascinación. Cuando ya se trata de un líder mundial, un dictador o una estrella del espectáculo, el paroxismo es encauzado por las editoriales, que, atentas al negocio, los ofrecen al gran público en forma de libros. La mayor parte de los diarios son auténticos. Otras parece no importar demasiado su autoría.

Es lo que ahora ocurre en Italia con Mussolini. Tras más de 60 años de continuos rumores sobre la aparición de sus supuestos diarios, finalmente una editorial los publicará el mes que viene, poniendo a la venta el primero de cinco volúmenes, correspondiente a los escritos del «Duce» de 1939. El resto, que cubre sus memorias desde 1935 hasta el año en que comenzó la Segunda Guerra Mundial, irá viendo la luz cada seis meses sin seguir un orden cronológico.

Los herederos, de acuerdo

«Sé que hay muchas discusiones sobre su autenticidad: algunos historiadores la niegan, pero sus herederos sostienen que en esas páginas hay temas particulares tan personales que un falsificador nunca podría habérselos imaginado. Como editores, no queremos entrar en este campo», explica al «Corriere della Sera» Elisabetta Sgarbi, responsable de Bompiani, la casa que va a publicar los supuestos diarios de Mussolini. Aunque en el terreno de la autenticidad se lave las manos, Sgarbi ha conseguido ya un éxito poniendo de acuerdo a los propietarios de los manuscritos y a los herederos del «Duce».

La historia de esos textos es tan rocambolesca como típicamente italiana. Al parecer, los diarios fueron arrebatados de las manos del creador del fascismo por uno de los miembros de la brigada partisana que le detuvo y tiroteó en abril de 1945 cuando intentaba huir a Suiza.

El nuevo dueño de los manuscritos y sus herederos llevaban décadas intentado venderlos al mejor postor: al diario londinense «The Times», a la casa de subastas Shotheby’s, a varias editoriales italianas y al semanario «L’Espresso», que desveló en su portada «La verdadera historia de los falsos diarios de Mussolini». Todos los rechazaron por no ser auténticos. Finalmente, fueron comprados de forma conjunta por el senador Marcello Dell’Utri, mano derecha de Silvio Berlusconi y condenado a siete años de cárcel por colaboración con la mafia, y por un empresario afín.

Dell’Utri se vanaglorió hace tres años públicamente de su adquisición, provocando que los historiadores y grafólogos que los habían examinado tacharan de falsos los textos. El senador mafioso ya ni siquiera se preocupa por la autenticidad de los manuscritos. «Ese tema ya no me interesa tanto», dijo este verano al informar de las negociaciones con la editorial Bompiani para la publicación de los mismos. A la editora tampoco parece quitarle el sueño este aspecto, al parecer banal: «Cuando los vi por primera vez me quedé impresionada. Son las reflexiones de un protagonista del siglo XX antes de la entrada en la guerra: son documentos que es justo ofrecer a los lectores», dice.

Chaplin y la Petacci

La llegada a las librerías italianas de las memorias cotidianas del «Duce» distará pocas semanas de la publicación en España de «Mussolini secreto: los diarios de Claretta Petacci 1932-1938» (Crítica), en los que la amante del dictador cuenta con dedicación de amanuense las intimidades y confesiones políticas del hombre que hizo temblar a Italia y Europa.

«Estos sí que son los auténticos diarios de Mussolini. Claretta no habla de sí misma, sólo escribe de lo que le decía Benito», afirma Mauro Suttora, editor del volumen. «Lo que aquí se ve es lo mismo que si instaláramos una videocámara en la habitación de un dictador. Es como si hubiéramos pinchado continuamente el teléfono del “Duce”».

Suttora cuenta lo bien que se lo pasó conociendo a Mussolini a través de las palabras de su amante. «Fue muy divertido. Parecía el dictador de la película de Charles Chaplin. Es un personaje ridículo, obsesionado por el sexo y por el miedo a envejecer». La evocación cinematográfica puede ser real dentro de poco, ya que el editor reconoce que se está preparando una película sobre el «Duce» y Petacci basada en los diarios. «Nunca hemos tenido un retrato tan íntimo de uno de los grandes dictadores. Es como si al lado de Mussolini hubiésemos contado con una espía. Se trata de un documento único, de un gran drama que va más allá de la política. La historia acaba de forma trágica cuando a ambos les matan los partisanos. Claretta estaba tan enamorada de Benito que quiso hacerse fusilar con él, no imaginaba la vida sin su amor. La mataron cuando se tiró con su cuerpo para proteger a Mussolini».

«En este país adoran y luego destruyen»

¿Corre Berlusconi (en la imagen) el riesgo de acabar como Mussolini? El líder radical italiano Marco Pannella cree que sí. Por eso advirtió hace unos días al primer ministro que intente rebajar la tensión política para evitar acabar «fusilado, vejado por la multitud y colgado cabeza abajo junto a una de sus amantes». Suttora también piensa que es posible. «Los italianos están locos: primero adoran y luego destruyen. Cuanto más adoran primero, de forma más violenta destruyen después». Entre ambos líderes, además, hay un hilo conductor: Dell’Utri. Los mecanismos que utilizan estos dos poderosos son también similares. «Es la Italia de siempre, la del hombre solo circundado de aduladores o de gente que trama en la sombra pero que luego tiene miedo», cuenta.

«Mussolini secreto»
Clara Petacci
Suma de letras
480 páginas 28,90 euros

© Copyright 2010, La Razón
Madrid (España)

Wednesday, June 16, 2010

Magistrati in sciopero

PROTESTANO PER I TAGLI, MA GUADAGNANO MOLTO

di Mauro Suttora

Oggi, 7 giugno 2010

Capita una o due volte ogni decennio che i magistrati facciano sciopero. Anzi, secondo alcuni non dovrebbero mai farlo. «È come se un sacerdote protestasse non celebrando messa», dice Marcello Maddalena, procuratore aggiunto di Torino. E Pier Ferdinando Casini, con una concezione meno sacrale della professione: «Non sono mica metalmeccanici».

No, i magistrati non sono metalmeccanici. Sono le persone che dirimono le nostre controversie e possono spedirci in galera. Il terzo potere dello stato, e i loro stipendi (41 mila euro annui appena entrati in servizio, 72 mila dopo cinque anni, 122 mila dopo venti, 150 mila dopo 28 anni) testimoniano la loro importanza.

Eppure, anche loro il primo luglio incroceranno le braccia. Per criticare la legge con cui il premier Silvio Berlusconi vuole limitare le intercettazioni telefoniche e le cronache giudiziarie? Macché. I magistrati scioperano per soldi. La manovra da 25 miliardi colpisce anche loro, come tutti i dipendenti pubblici. E loro non ci stanno.

Ecco le loro ragioni. «Sono tagli che colpiscono la nostra indipendenza», dice Luca Palamara, presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe), «e anche iniqui: un giovane appena entrato in servizio perde il 30 per cento del proprio stipendio, mentre gli anziani se la cavano col due per cento».

Indipendenza garantita dall’ammontare degli stipendi? È opinabile. In ogni categoria ci sono ricchi dipendenti disonesti, e lavoratori pagati poco ma probi ed efficienti. Il secondo argomento, invece, è incredibile ma vero. Poiché per tre anni gli vengono bloccati gli scatti , il magistrato fresco di concorso rimane a 41 mila euro annui invece di passare a 55 mila. Mentre quello con 28 anni di anzianità subisce solo il taglio di 3 mila euro previsto per tutti i redditi oltre i 90 mila.

«Il problema è che, divulgando questi dati, i magistrati si sono dati la zappa sui piedi da soli», dice Stefano Livadiotti, giornalista del settimanale di sinistra Espresso (quindi non sospetto di pregiudizi berlusconiani contro i giudici) che l’anno scorso ha scritto un libro urticante fin dal titolo: Magistrati, l’ultracasta (Bompiani): «Nessun mestiere in Italia, e forse al mondo, garantisce ai nuovi assunti aumenti così alti e automatici nel giro di pochissimi anni. E senza alcun rischio: se non commettono reati o scorrettezze gravissime, non perderanno mai il posto».

Meglio dei politici, l’altra Casta per eccellenza: quelli almeno devono farsi eleggere col voto, ogni tanto. Non a caso, la retribuzione dei parlamentari è agganciata a quella dei magistrati, che è anche l’unica ad aver conservato la scala mobile anti-inflazione.

«I giudici italiani hanno uno stipendio medio cinque volte superiore a quello degli altri dipendenti pubblici, 51 giorni di ferie, e sono anche i più pagati dell’Europa continentale», continua Livadiotti, «i loro vertici prendono il doppio di quelli con incarichi analoghi in Francia». Gli unici a superarli sono i britannici, i quali però hanno un accesso diverso alla professione: spesso sono ex avvocati della difesa o dell'accusa diventati giudici in tarda età.

«Ma il privilegio più grande», dice Livadiotti, «è che tutti i magistrati italiani raggiungono automaticamente allo stipendio più alto: i 150 mila euro dei giudici di Cassazione, e i 170 mila dei giudici dei Tar o della corte dei Conti».

Sarebbe come se in un’azienda privata tutti, anche gli operai, anche gli asini e i pigri,dopo una ventina d’anni prendessero gli stipendi dei dirigenti. Non è sempre stato così: fino agli anni ’60 i pretori di provincia per progredire dovevano affrontare fior di concorsi. Oggi le cosiddette “valutazioni di professionalità” sono una barzelletta: le supera il 99,6 per cento dei candidati. E a giudicare i giudici sono gli stessi giudici, colleghi più anziani.Un’altra cornucopia è quella delle cosiddette «sedi disagiate» (praticamente tutto il Sud): ai giovani magistrati che ci vanno spettano decine di migliaia di euro in più.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, per criticare lo sciopero della magistratura, lo ha definito «politico». «Invece è la classica protesta corporativa di una categoria che teme di perdere alcuni dei propri ingenti privilegi economici», conclude Livadiotti.

Mauro Suttora

Wednesday, February 17, 2010

C'è chi nega l'eccidio in foiba

IL GIORNO DELLA MEMORIA PER I PROFUGHI

Fuggirono in 350 mila dall'Istria dopo la guerra. Ora un libro riaccende le polemiche

di Mauro Suttora

Oggi, 10 febbraio 2010

Se Joze Pirjevec, storico dell’università di Capodistria (Slovenia), avesse pubblicato il suo libro in Austria, avrebbe rischiato il carcere. Com’è capitato a David Irving, il professore inglese condannato a tre anni nel 2006 per avere negato l’Olocausto degli ebrei.

Il 10 febbraio di ogni anno, da un lustro, l’Italia celebra per legge il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe e dei 350 mila esuli giuliano-dalmati. Quanti furono i connazionali «infoibati», cioé gettati vivi e legati da fil di ferro nelle grotte carsiche vicino a Trieste dai partigiani comunisti jugoslavi? Neanche il numero si sa: da cinque a diecimila. Perché è stato impossibile recuperare e contare tutte le salme.

Quest’anno le polemiche sono rinfocolate dal libro Foibe. Una storia d’Italia (Einaudi). Nel quale Pirjevec nega che l’eccidio delle foibe possa essere definito «genocidio». A suo avviso non ci fu un massacro premeditato, ma solo sporadici episodi, peraltro giustificati dall’odio anti-italiano attizzato dai fascisti negli anni precedenti. Il perfetto «negazionista», insomma.

«Non auspico censure»

Chissà cosa succederebbe se qualcuno osasse scrivere un simile libro contro gli ebrei. «Non auspico certo censure, né tanto meno il carcere per reati d’opinione», commenta con Oggi Brunello Vandano, 90 anni, uno fra gli ultimi testimoni diretti di quell’epoca. «Però io a Fiume negli anni ‘30 ci sono cresciuto e, contrariamente a quel che sostiene il libro, non ho assistito da parte italiana a crudeltà tali contro sloveni e croati da giustificare le vendette del dopoguerra. Anzi, quella città, a parte pochi fanatici fascisti, era un modello di convivenza interetnica. Oltre a italiani e slavi c’erano ebrei, ungheresi, tedeschi e nessun odio razziale. Fu un modello di cosmopolitismo».

Su quell’epoca felice Vandano ha appena pubblicato un bel romanzo, Ti chiedo ancora 900 miglia (Bompiani).
«Nel ‘45 i massacri avvennero in ogni direzione», dice Vandano, «non solo contro gli italiani. Nel libro descrivo l’eccidio di Bleiburg, in cui i titini uccisero decine di migliaia di profughi slavi in fuga, molti dei quali civili. Le donne stuprate in massa prima di essere finite. I comunisti ammazzarono anche partigiani cetnici serbi e domobranci sloveni, colpevoli solo di non stare con Tito».

Un inferno, insomma, dal quale scapparono tutti gli italiani. Intere città (Fiume, Pola, Zara) si svuotarono quasi completamente. Una perfetta pulizia etnica, come poi negli anni ‘90.

«Giusto castigo popolare»

L’esule Ennio Milanese ha raccolto nel libro Il ricordo più lungo (Accadueo) un articolo contro i profughi scampati alle foibe scritto su L’Unità del 30 novembre ‘46 da Piero Montagnani, poi senatore Pci: «Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre città. [Alcuni di loro] sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava. Gli altri sono incalzati dal fantasma di un terrorismo che non esiste».

Monday, December 28, 2009

Fiume negli anni Trenta

Nel romanzo Ti chiedo ancora 900 miglia (Bompiani) il novantenne Brunello Vandano ricorda gli amori di una civiltà magica

di Mauro Suttora

Oggi, 10 dicembre 2009



«Daniza Matcovich era una delle più belle tra le ragazze che in quella piccola città erano notate al passeggio, al ballo, d’estate al nuoto (...) Capelli quasi neri che al sole s’illuminavano di bronzo, zigomi rilevati che a sedici anni le toglievano la pienezza infantile della guancia, occhi notturni assottigliati dalle ciglia e da un accenno di plica mongolica, un viso che lui definiva da tartara, da attrice e da gatta. La pelle era esatto avorio, che d’estate diventava cioccolata. Era lunga, molto sottile ma non magra...»

Questa è la descrizione che fa sognare il protagonista di Ti chiedo ancora 900 miglia (Bompiani), romanzo di Brunello Vandano ambientato in buona parte nella Fiume degli anni Trenta. Che lo scrittore conosce bene, perché avendone oggi 90, di anni, ha fatto in tempo a crescere da liceale in quella magica cittadina conquistata da Gabriele D’Annunzio dopo la Prima guerra mondiale e persa dopo la Seconda. Che lo scrittore combattè in Russia.

«I 50 mila abitanti di Fiume erano quanto di più cosmopolita abbia mai avuto l’Italia», ricorda Vandano, autore di altri otto romanzi (fra cui I disperati del Don), giornalista di Epoca fino al 1972, poi in Rai, per tutta la vita appassionato velista. «I miei compagni di classe al liceo erano italiani meridionali e settentrionali, croati, sloveni, ebrei, tedeschi, ungheresi, austriaci... Ma mai nessuno che si accorgesse delle nostre differenze».

Nell’estate ’39 il protagonista, dopo la maturità, viene iniziato all’amore sullo yacht di una ricca principessa croata, Ilirija Frangipane. La quale poi fugge col marito ebreo, e verrà uccisa in una delle tante stragi che insanguinarono la Jugoslavia già nella seconda guerra mondiale - per loro anche civile, con il record europeo del numero di morti. Lo yacht resta al ragazzo, che ci porta la sua Daniza - più sorella che fidanzata - in gita fino alla splendida baia di Cigale, nell’isola di Lussino.

Poi altre avventure da non svelare, e l’esodo che svuota completamente Fiume. Il protagonista va a vivere a Roma, e nel 2002 ritrova per caso lo yacht, quasi abbandonato. Lo rimette in sesto, parte con tre amici per un’ultima crociera. Ma il cuore del romanzo è proustiano, e batte nelle struggenti descrizioni di quel civilissimo mondo austroungarico - troppo a nord per essere Dalmazia, troppo a sud per l’Istria - svanito nel ’45.

Che morale ne trae Vandano, ultimo testimone della grande storia del ’900?
«Che le masse più sono numerose, più diventano pericolose. L’unica salvezza è l’individuo, la singola persona. E l’unico valore è la sua vita, perché poter vivere è già felicità. Senza bisogno di ideologie».

Mauro Suttora