10 DOMANDE PER CAPIRE
di Mauro Suttora
Oggi, 28 marzo 2012
Ci potranno licenziare tutti dall’oggi al domani? Questa è la grande paura che si aggira fra gli italiani dopo l’approvazione del nuovo disegno di legge sul lavoro da parte del consiglio dei ministri. Ma c’è veramente da preoccuparsi? Con l’aiuto di alcuni esperti, rispondiamo alle domande che tutti si pongono.
1) Che cos’è l’articolo 18?
È la norma dello statuto dei lavoratori che da 42 anni regola i licenziamenti nelle imprese con più di 15 dipendenti. Oggi il singolo lavoratore può essere mandato via solo per colpe e mancanze gravi. In caso di crisi lo stato paga la cassa integrazione collettiva, contrattata con il sindacato.
2) Perché cambiare l’articolo 18?
Perché, secondo i suoi detrattori, impedisce alle imprese di licenziare i dipendenti pigri e indisciplinati. I quali ricorrono al pretore e nella maggioranza dei casi si fanno reintegrare nel posto di lavoro.
3) Che cos’è la «flessibilità»?
La «flessibilità in uscita» è la possibilità di variare il numero dei dipendenti secondo le esigenze produttive. Gli imprenditori lamentano di non poterlo fare, e di dover ricorrere al precariato giovanile con contratti a termine per avere manodopera quando serve, e diminuirla se c’è crisi. Questa è la «flessibilità in entrata», che compensa l’inamovibilità dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
4) I lavoratori sono considerati «merce»?
È il monito lanciato dai vescovi. Con la globalizzazione, infatti, siamo in concorrenza con i prodotti di tutto il mondo. Se in Italia li produciamo a costi troppo alti, non riusciamo a venderli. Per questo molti industriali «delocalizzano» i propri impianti all’estero, dove il lavoro costa meno.
5) E che c’entra questo con la libertà di licenziare?
Il governo ha tre obiettivi: a) rendere meno rigido il mercato del lavoro, arrestando la fuga all’estero degli imprenditori; b) stabilizzazione dei precari, con obbligo di assunzione dopo 36 mesi di collaborazioni a termine, per compensare la diminuzione delle garanzie di posto fisso: più facile perdere un impiego, ma meno difficile trovarne un altro; c) espandere le imprese con meno di 15 dipendenti (che non assumono per non accollarsi contratti «a vita») e attrarre investimenti esteri (crollati negli ultimi anni).
6) Che cosa obietta il sindacato?
Al punto a) risponde che non possiamo competere con Paesi dove i salari sono di 3-400 euro al mese, a meno di non abbassarli drasticamente anche noi; b) l’asserito scambio garantiti/non garantiti provocherà solo più insicurezza per tutti; c) la nostra economia non è danneggiata dalle piccole imprese, che anzi ne sono il motore.
7) Cosa prevede il nuovo articolo 18?
Restano vietati, con obbligo di reintegro e pagamento danni, i licenziamenti discriminatori (per ragioni politiche, religiose, razziali, di sesso, sindacali, contro le donne che si sposano o hanno figli). Quelli disciplinari (reati commessi sul lavoro, gravi inadempienze) sono giudicati dal pretore, che se dà ragione al dipendente ne ordina il reintegro o un indennizzo monetario. Infine i licenziamenti per motivi economici (crisi dell’azienda, automatizzazione di mansioni eliminate, ecc.): se non sussistono, il lavoratore non può più recuperare il posto, ma solo incassare da 15 a 27 mensilità.
8) E se un’azienda ne approfitta, inventando crisi passeggere per liberarsi di 50enni e poi assumere ventenni pagandoli la metà?
«Con lo strumento dei licenziamenti collettivi hanno sempre avuto questa possibilità», risponde Giuliano Cazzola, ex sindacalista e deputato pdl. «Se il singolo licenziamento è ingiustificato la penale per il datore sarà in media di 50 mila euro. Mi sembra sbagliato fare terrorismo su questo».
9) All’estero come funziona?
In Germania il lavoratore che impugna il licenziamento continua a lavorare durante il processo (che in Italia dura un anno, in primo grado). Il risarcimento è di 12-18 mensilità: nel 95% dei casi lo accetta, sia perché si aggiunge al sussidio di disoccupazione che è il 66% dell’ultimo stipendio (da noi il tetto sarà di 1.100 euro mensili per un anno), sia perché se perde la causa non lo incassa. Se la vince (3% dei casi) viene reintegrato. Il «modello tedesco» piace al Pd.
In Francia non c’è reintegro per ragioni economiche, ma le aziende devono fornire al lavoratore corsi di riqualificazione professionale. In Spagna niente reintegro, e indennizzo di una mensilità e mezzo per ogni anno di anzianità aziendale. In Gran Bretagna basta un preavviso di tre mesi, risarcimento di 20 mila euro. Che in Svezia arriva addirittura a quattro anni di stipendio.
10) Quando entrerà in vigore la riforma?
Sarà approvata dal Parlamento non prima dell’autunno. «Ma non drammatizziamo», avverte l’avvocato giuslavorista Salvatore Trifirò, «già oggi la stragrande maggioranza dei reintegrati opta per le 15 mensilità di indennizzo». Un’altra soluzione di compromesso è quella del senatore pd Pietro Ichino: applicare la nuova legge ai contratti a tempo indeterminato solo fra qualche anno.
Mauro Suttora
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Wednesday, March 28, 2012
Wednesday, June 23, 2010
Parlamentari: taxi o auto blu?
I 200 parlamentari con auto blu incassano anche 1.300 euro mensili per i taxi
Oggi, 16 giugno 2010
di Mauro Suttora
Sono circa duecento i parlamentari che hanno diritto all’auto blu: ministri, sottosegretari, presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, delle 40 commissioni parlamentari, segretari e questori. Alcuni ce l’hanno fissa con autista, altri attingono al parco macchine delle due Camere.
Contemporaneamente, però, ogni parlamentare incassa anche 1.300 euro al mese come rimborso forfettario per i taxi. Compresi quelli che non lo prendono mai, perché hanno l’auto di servizio. Uno spreco di cui si è reso conto il senatore Pietro Ichino (Pd), il quale racconta così il proprio (vano) tentativo di rinunciare a questo privilegio: «Sono soggetto per motivi di sicurezza [minacce di morte come ai suoi colleghi giuslavoristi Marco Biagi e Massimo D’Antona uccisi dalle Br, ndr] a un dispositivo di protezione che mi costringe a circolare soltanto su un’auto blindata della Guardia di Finanza, con molti svantaggi facilmente immaginabili, ma con il vantaggio di non avere mai spese di taxi. Eletto al Senato nel 2008, mi sono informato se fosse possibile rinunciare al rimborso delle spese di taxi. Mi è stato risposto che questo atto non era previsto, e avrebbe creato problemi burocratici di difficile soluzione. Ho pertanto deciso di devolvere il rimborso percepito alla Fondazione Giuseppe Pera, per l’istituzione di borse di studio a giovani laureati».
Oggi, 16 giugno 2010
di Mauro Suttora
Sono circa duecento i parlamentari che hanno diritto all’auto blu: ministri, sottosegretari, presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, delle 40 commissioni parlamentari, segretari e questori. Alcuni ce l’hanno fissa con autista, altri attingono al parco macchine delle due Camere.
Contemporaneamente, però, ogni parlamentare incassa anche 1.300 euro al mese come rimborso forfettario per i taxi. Compresi quelli che non lo prendono mai, perché hanno l’auto di servizio. Uno spreco di cui si è reso conto il senatore Pietro Ichino (Pd), il quale racconta così il proprio (vano) tentativo di rinunciare a questo privilegio: «Sono soggetto per motivi di sicurezza [minacce di morte come ai suoi colleghi giuslavoristi Marco Biagi e Massimo D’Antona uccisi dalle Br, ndr] a un dispositivo di protezione che mi costringe a circolare soltanto su un’auto blindata della Guardia di Finanza, con molti svantaggi facilmente immaginabili, ma con il vantaggio di non avere mai spese di taxi. Eletto al Senato nel 2008, mi sono informato se fosse possibile rinunciare al rimborso delle spese di taxi. Mi è stato risposto che questo atto non era previsto, e avrebbe creato problemi burocratici di difficile soluzione. Ho pertanto deciso di devolvere il rimborso percepito alla Fondazione Giuseppe Pera, per l’istituzione di borse di studio a giovani laureati».
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