Showing posts with label Jimmy Choo. Show all posts
Showing posts with label Jimmy Choo. Show all posts

Saturday, June 12, 2010

Film Sex and the City 2

DONNE NEWYORKESI VERAMENTE WORKAHOLIC, SEXAHOLIC, SHOPAHOLIC E SVAMPITE COME QUELLE QUATTRO?

Oggi, 2 giugno 2010

di Mauro Suttora

Ma come sono veramente le donne di Sex and the City? Sul serio le newyorkesi sono sprovvedute come Charlotte la svampita, workaholic (drogate di lavoro) come Miranda la "rossa", shopaholic (drogate di shopping) come Carrie la giornalista e drogate di sesso come Samantha la ninfomane? Dopo due anni di convivenza con una come loro, una deliziosa trentenne di Manhattan, sono in grado rispondere: si'. Meno il sesso. Il mio fidanzamento e' stato cosi' ricco di fantastici, teneri e agghiaccianti aneddoti che ne ho tratto un libro: No Sex in the City (ed. Cairo, 2007).

La mia Marsha si alzava alle sei del mattino per andare a correre a Central Park, non resisteva di fronte a scarpe Jimmy Choo da 500 dollari o a borsette Prada da 700, la sua carta di credito era costantemente in rosso perche' spendeva tutti i (parecchi) soldi che guadagnava in vestiti, ristoranti, abbonamenti a club e palestre e week-end agli Hamptons. Ma alla fine della sua (nostra) vorticosa vita sociale allietata da un paio di cocktail e vernissage ogni sera, non le restava piu' il tempo per (fare) l'amore.

Per lei il sesso era solo un ulteriore tipo di ginnastica, intercambiabile con yoga e pilates. E anche per le sue amiche gli uomini sono accessori un po' meno utili di quelli comodamente acquistabili negli store di Madison Avenue. Infatti, fateci caso: tutti i maschi della serie tv e dei due film Sex and the City sono o fessi (quelli di Charlotte e Miranda) o mascalzoni (il Mr. Big e Barishnikov di Carrie) o boy-toys (Samantha). Degni del cassonetto.

Il decennio degli anni Zero che si sta chiudendo passera' alla storia (guerre di Bush a parte) come quello di Sex and the City? In mancanza di altri fenomeni sociali, artistici, culturali, c'e' questo rischio. Il nulla. Zero, appunto.

Friday, May 28, 2010

A New York niente sesso

LE DONNE PREFERISCONO SHOPPING E PALESTRA

Da oggi al cinema Sex and the City 2

di Mauro Suttora

Libero, 28 maggio 2010

Come passeranno alla storia questi anni Zero? Corriamo un grande rischio: che il decennio appena finito venga ricordato, in mancanza di meglio o di peggio (Bush, guerre d’Iran e Afghanistan, Coldplay, ipod), per ‘Sex and the City’. E questa sì che sarebbe una tragedia. Quasi peggio del terrorismo islamico.

Le quattro smandrappate di New York, anche se amano comportarsi come ventenni sgarzelline e l’età mentale dei personaggi che interpretano è perfino minore, hanno tutte superato i 45 anni. Samantha ne ha addirittura 54. O meglio: questa è l’età dell’eccellente attrice inglese Kim Cattrall che la impersona, e che si è appena fatta notare come bollente segretaria-amante di Pierce Brosnan (alias Tony Blair) nello splendido ‘Uomo nell’ombra’, ultimo film di Roman Polanski.

Non a caso la meno letale del quartetto non è americana. Infatti Samantha è l’unica ad avere una vita sessuale. Ma poiché l’autrice di ‘Sex and the City’, Candace Bushnell, è gelosa della non frigidità del personaggio biondo da lei stessa creato, l’ha trasformata in macchietta: ninfomane, esagerata, comica, affamata di toyboys.

Le altre tre sono sexy quanto il ghiacciaio del monte Bianco. Ma non è colpa loro. È la New York di oggi a renderti così. Lo dico per esperienza personale: ci ho vissuto per molti degli anni Zero, e per un biennio mi sono fidanzato con una ragazza uguale a quelle di ‘Sex and the City’. Una ex modella trentenne bellissima, simpatica, intelligente, coltivata (laureata in un college top ten degli Usa), abbastanza ricca. E innamorata, come me. Ma a letto, una frana. Sono sopravvissuto nell’unico modo possibile, con questi fenotipi di Manhattan apparentemente assai attraenti: lasciandola. Ma avendo accumulato tanti di quegli aneddoti divertenti e agghiaccianti da scriverci un libro: ‘No Sex in the City’ (ed. Cairo, 2007).

La verità è semplice, come ha detto un famoso sociologo: “A New York hanno talmente sessualizzato lo shopping, che tutto il resto è stato desessualizzato”. La mia girlfriend Marsha si svegliava alle sette del mattino, e invece di fare l’amore correva a fare jogging a Central Park. Io la aspettavo a letto speranzoso (anche a Manhattan si verifica il fenomeno definito in inglese “morning glory”), ma quando lei tornava alle otto - sudata, ansimante, guance rosse, seno e lunghe cosce foderati nella tuta aderente, quindi ancora più affascinante - si buttava nella doccia: «I have no time, my love», mi gridava felice da sotto lo scroscio, già orrendamente piena di energia a quell’ora del mattino. Poi si precipitava giù a comprare da un coreano il beverone che loro chiamano “caffè” (una sciacquatura marrone), e lo sorseggiava con una cannuccia nel metrò verso il lavoro.

Verso le sei di sera passava a prendermi alla libreria Rizzoli sulla 57esima Strada, dove lavoravo. La sua vita frenetica a quell’ora prevedeva aperitivi, vernissage di gallerie, inaugurazioni di negozi e altri innumerevoli «eventi», che ora infestano la vita anche a noi italiani. Quindi in taxi al ristorante. Spesso un cinema, un concerto, un teatro a Broadway. Poi, ogni tanto, in un club a ballare. Feste in casa di amici. Oppure quella disgrazia che sono i «gala», al Plaza, al Waldorf o al Pierre, con i grandi tavoli rotondi da otto e qualche causa benefica da finanziare.

Insomma, difficile tornare a casa prima di mezzanotte. E a quel punto lei era troppo stanca per farlo. «I need to relax», si scusava. E io: «Appunto, rilassiamoci facendo l’amore». Lei mi sorrideva: «Accarezzami, Mauro». E si addormentava.

La sua attività principale, nel tempo libero, era lo shopping. Spendeva in scarpe Jimmy Choo e borsette Prada tutto quel che guadagnava (non poco). Nei weekend estivi bisognava andare agli Hamptons: come Portofino, ma umidi come New York. Siccome era sportiva, se non poteva fare jogging per il troppo caldo o troppo freddo, andava in palestra a sfogarsi sul tapis roulant. Ecco, dopo un po’ scoprii che quello era il mio vero rivale. Perché solo lì, e nei negozi, le donne di 'Sex and the City' riescono ad agguantare il piacere. Sex, zero. Come il decennio.

Mauro Suttora

Friday, May 30, 2008

No sex, siamo in the City

DA SPARARSI

Un italiano a Manhattan: le americane godono solo con lo shopping. Da oggi nei cinema 'Sex in the City'

Libero, 30 maggio 2008

di Mauro Suttora

«Scusa Mauro, questo tuo articolo è ben scritto e divertente, ma non pubblichiamo vendette private. E poi parole come "frigidità" e "clitoride" rimangono ancora off limits per noi».

Così il vicedirettore del settimanale Newsweek bocciò una delle column che avevo scritto per loro. Era il 2004. Come sempre d’estate a New York faceva un caldo umido brutale, e io ero disperato perché la mia fidanzata americana mi aveva mollato. Di colpo, con un'e-mail. Non voleva più vedermi, né sentirmi al telefono. Eliminato senza discussioni dopo tre mesi di amore (un periodo medio-lungo, per i ritmi nevrastenici di Manhattan).
Mi sembrava di essere improvvisamente piombato dentro una puntata di "Sex and the City". Anche perché la mia Liza, trentenne imperiosa dai lunghi capelli lisci e tacchi a spillo, assomigliava a quelle quattro. Anzi, ne era la fusione: sexy come Samantha, dolce come Charlotte, abrasiva come Miranda, brillante come Carrie. E drogata di shopping come tutt'e quattro.

Per due notti dormii poco, per tre giorni mangiai pochissimo. Mentre andavo a lavorare alla Rizzoli, sulla 57esima Strada, mi veniva da vomitare per i miasmi provenienti dai ristoranti cinesi. Poi, avendo il triplo degli anni di un adolescente, vidi il lato comico della tragedia. E cominciai a scrivere. Da allora non ho più smesso. E sono diventato uno dei massimi esperti mondiali di quella inimitabile specie animale che sono le donne di Manhattan. Ho perfino scritto un libro su di loro: «No Sex in the City» (Cairo, 2a edizione 2007).

Cestinandomi l'articolo il caporedattore di Newsweek mi fornì un consiglio prezioso: «Perché non lo proponi al New York Observer? Quelli sì che lo apprezzerebbero». L'Observer: il settimanale in carta rosa dei radical-chic newyorkesi. Sessantamila copie vendute quasi tutte nell'Upper East Side, dove vivono i miliardari, e d'estate negli Hamptons, dove i Rockefeller e i Vanderbilt svacanzano sempre assieme, in gregge, fin dai tempi di Francis Scott Fitzgerald e del Grande Gatsby.

Quattro cose sono rimaste uguali da quei clamorosi anni Venti: il colore assurdamente giallo canarino e verde smeraldo dei vestiti estivi, le donne ridanciane e vogliose di parties, le auto veloci e il tasso alcolico.

Manhattan è, dopo la Carnia, il posto al mondo dove si beve di più. Per un motivo semplice: quando si smette non occorre prendere l’auto per tornare a casa, basta gettarsi in un taxi o in un vagone del metrò. Ma anche perché le donne di Sex and the City hanno bisogno di un bicchiere per cominciare a parlare, del secondo per sorridere e del terzo per disinibirsi. Al quarto però crollano, quindi la «finestra di opportunità» (come la chiamano gli americani, in marketinghese) per noi maschietti è molto stretta.

All’Observer sono stati felici di pubblicare il mio articolo, in cui descrivevo da entomologo la frigidità della mia apparentemente sexyssima (pantaloni aderenti color leopardo) ma in realtà anoressica e anorgasmica Liza, e la tendenza sua e di tante newyorkesi (statistiche alla mano) a soddisfarsi da sole, accarezzandosi il (la?) clitoride. Infatti il motto delle femmine di Sex and the City è: «Perché accontentarsi di un uomo, quando si può avere un intero dito (il proprio)?»

Sia chiaro: come tutti gli italiani, ero e continuo a essere perdutamente innamorato dell’America e di New. Ma un conto è divertirsi osservando le traversie delle quattro smandrappate di Sex and…, un conto è viverci dentro. Un inferno.

Liza (ma poi anche Marsha, mia fidanzata per un anno) smetteva di lavorare alle sei, e mi invitava a qualche «evento»: un aperitivo, l’inaugurazione di un negozio, la vernice di una galleria d’arte, la presentazione di un libro. Poi il ristorante. Le «ragazze» di Manhattan (si fanno pateticamente chiamare «girls» anche a 50 anni) si atteggiano a superfemministe, ma accettano svelte il conto pagato dal maschio. Dappertutto: dal cocktail al ristorante, dal taxi alla discoteca. Se poi gli lasci la tua carta di credito in un negozio di scarpe, borse o vestiti, ti sposano subito.

Tornavamo a casa dal Soho Club (di moda quattro anni fa) dopo mezzanotte. In taxi ci baciavamo, lei era focosa, ma arrivati su si lanciava sotto la doccia. Io la aspettavo speranzoso a letto. Però alla fine mi diceva: «Sono distrutta. Dormiamo, dai».

Al mattino di svegliava alle sei. Si metteva la tuta, le scarpe da ginnastica, e scendeva a far jogging a Central Park. Se pioveva o faceva troppo freddo o caldo, tapis roulant in palestra. Tornava a casa accaldata, rossa in viso, sensualissima. Io ero pronto, ma lei mi sgusciava via: doccia. E dopo era ormai «troppo tardi, devo correre al lavoro». Usciva di casa alle otto senza aver fatto neppure colazione: comprava un bicchierone sotto da Starbucks, e se lo portava in metro.

«Sono stressata, ho bisogno di relax», mi diceva per giustificare questa sua riluttanza all’accoppiamento. Io cercavo di spiegarle che il sesso serve appunto a rilassarsi. Ma lei non capiva: per gli americani il sesso è una specie di ginnastica, un’ulteriore attività pratica che si aggiunge alle tante altre. E in caso di problemi c’è sempre una guida che in 12 step li risolve.

Si rilassava nei wek-end, questo sì. Quindi facevamo regolarmente l’amore al sabato. «Come gli svizzeri», le ho detto. «Adoro il cioccolato svizzero», ha risposto, ignara del mio sarcasmo. Nonostante le scollature e il leopardume, a letto era più fredda del monte Bianco. «Non vengo mai la prima volta», mi disse Liza dopo un deludente debutto. Aspettai con trepidazione la seconda volta, e mi diedi un sacco da fare. Niente. «Vengo raramente», annunciò distrattamente. «Ma mi piace anche così», precisò subito, per non fare la figura della «loser», la perdente.

Ecco, questo è il vero Sex nella city. Certo, non si può generalizzare. New York resta la capitale del mondo gaudente, e ha il più alto tasso di single del pianeta. Quindi a letto ci si arriva facilmente. Ma è sul materasso che cominciano i dolori. Perché Carrie e amiche raggiungono molto più facilmente la soddisfazione comprando sandali Manolo Blahnik (la mia Liza preferiva il negozio Jimmy Choo di Madison Avenue, da me soprannominato «dai 200 ($) in su»). No Sex in the City.

Mauro Suttora