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Wednesday, April 09, 2014

Gwyneth Paltrow

IL "DIVORZIO CONSAPEVOLE" DA CHRIS MARTIN (COLDPLAY)

New York (Stati Uniti), 2 aprile 2014

di Mauro Suttora

Gwyneth Paltrow si separa, divorzia dal marito Chris Martin capo dei Coldplay? Ma no, non dobbiamo essere così banali. Lei non lascia. Si «disaccoppia consapevolmente»: lo ha annunciato in modo ufficiale nel suo sito Goop. Qualunque cosa questo voglia dire, capiamo che non si abbassa, come noi comuni mortali, a litigare. Forte della sua fede «new age» non butta vestiti fuori dalla finestra, non urla, non si rifugia nel bicchiere.

La regina dell’olistica, la diva più diafana di Hollywood, la più cool del cinema mondiale (superata in snobismo soltanto dalla regista  Sofia Coppola, figlia di Francis Ford) ci aveva già sorpreso sostenendo che le pietre le parlavano. E ora, sempre sotto il caldo sole di Los Angeles, ecco il «disaccoppiamento consapevole». Che non si riferisce, malpensanti noi, alla fine di una copula sessuale, ma a un «ulteriore stadio della vita di coppia».

Il guru: «Vita lunga, nozze brevi»

Tutto normale, insomma, tutto positivo. E qui arriva il suo santone, che sotto al messaggio nel blog di Gwyneth spiega l’arcano. Il dottor Habib Sadeghi, immigrato iraniano negli Stati Uniti, sostiene che oggi si divorzia di più soltanto perché si vive più a lungo. E vivere più a lungo, ma sempre con la stessa persona, non sarebbe «pratico». Lo scrive assieme alla moglie Sherry Sami: «Dopo il periodo della luna di miele, in cui proiettiamo solo nozioni positive sui nostri partner, inizia la fase delle proiezioni negative». E l’armatura che cominciamo a indossare per proteggerci, dicono i due filosofi, si trasforma in prigione.

Concetti profondi, che pare abbiano spinto l’eterea ma infelice Paltrow sotto le lenzuola dell’attuale marito di Elle MacPherson, il miliardario Jeffrey Soffer. Ma, anche qui, il concetto non è quello volgare di «corna». Si tratta di self-improvement, ovvero di «automiglioramento».

Sulla vita «sempre migliore» ma anche sempre più segretamente burrascosa della coppia Paltrow-Martin (valore commerciale congiunto: centinaia di milioni di euro) nei mesi scorsi avevano cominciato a indagare i più agguerriti reporter americani. Non l’avessero mai fatto. La soave ma determinata Gwyneth ha perso tutto il suo aplomb, minacciando querele preventive, negando interviste e accentuando ulteriormente il già proverbiale broncio.
 
Il trasloco della supercoppia con i figli Apple e Moses dalla Londra di Chris alla California di lei, con annesso acquisto di villona da 15 milioni di dollari? Non segnale di disagio, solo proficuo cambiamento di prospettiva: dalla pioggia al sereno. Smentita la rottura con Madonna, un tempo amica strettissima. Scandalo per una frase porno scappata all’altrimenti castigata signora Paltrow in una trasmissione tv con la comica Chelsea Handler: «Quando mio marito torna a casa nervoso, lo tiro su con un po’ di sesso orale».

Guerra contro i giornalisti

E siccome i giornalisti continuavano a punzecchiarla sulla solidità di cotanto matrimonio, lei è ricorsa a una mossa che riteneva da bomba atomica: ha chiesto a tutti i suoi (tanti) amici di boicottare i giornali che la attaccavano, rifiutando a loro volta ogni intervista.
  
Ma la catena di sant’Antonio dei vip paltrowiani contro la stampa rosa non ha funzionato, e quindi ecco oggi il guru di Gwyneth a spiegarci scientificamente l’accaduto: «Non dobbiamo pensare al matrimonio come all’investimento per tutta una vita, ma come all’occasione per un rinnovamento continuo. Così i coniugi si trasformano in maestri reciproci, e si aiutano a far evolvere la struttura interna di supporto spirituale della coppia».

Ben vengano queste ricette per la felicità, se servono a far tornare il sorriso sull’incantevole viso dell’inquieta diva. 
Chi scrive l’ha incontrata due volte personalmente a New York. La prima, settembre 2002, nel backstage dopo una sfilata di Calvin Klein ai Milk Studios. Tutti si complimentavano con lo stilista, ma Gwyneth appariva devastata. Le era appena morto il padre, e mi disse con il suo tipico filo di voce residuale che non era servita a distrarla una crociera in Costa Smeralda da cui era appena tornata, ospite sullo yacht di Valentino. Dopo poche settimane, però, l’incontro con Chris Martin risolse tutto.

Rinata dopo la maternità

L’ho rivista tre anni dopo, nel 2005, completamente trasformata e rinvigorita durante un’intervista all’Essex House di Central Park South per il suo rientro sullo schermo dopo la maternità, in un film che non ricordo (onestamente, dopo gli Oscar di Shakespeare in Love e i capolavori assoluti Sliding Doors e I Tenenbaum, non sono molte le apparizioni cinematografiche di Paltrow degne di nota nell’ultimo decennio). Le feci i complimenti, e lei insolitamente cordiale diede il merito del proprio buonumore, delle guance rosee e del petto rinvigorito alla figlia Apple.

Che faranno ora i due divi della supercoppia? Lui, Chris Martin, è l’antipersonaggio per eccellenza. Niente vita sociale, paparazzi, feste, comparsate, eccessi. Quando sposò Gwyneth aveva 26 anni, ma confessò di avere scoperto il sesso soltanto da tre. Non è, insomma, materiale da pettegolezzo. Infatti tutte le scappatelle della coppia scoppiata riguardavano la sua ape regina, non lui.

Gwyneth, invece, ci stupirà ancora. Ne siamo sicuri. Più in fretta si sbarazzerà del suo guru persiano, meglio per lei.  Fragilissima, quindi perfetta attrice, ha soltanto bisogno di copioni all’altezza e registi capaci di dom(in)arla, estraendo dalla sua faccia non bellissima ma terribilmente cinematografica più dell’unica espressione con cui a volte ammorba i suoi film. Finora ci sono riusciti Wes Anderson ed Anthony Minghella (in Il talento di Mr. Ripley). E datele da bere un bicchiere di gin. Inconsapevole.
Mauro Suttora 

Thursday, June 13, 2013

Grande Gatsby

90 anni dopo: andiamo vedere i luoghi del film con Leonardo DiCaprio

Anche oggi, bella vita d’estate a New York

Francis Scott Fitzgerald aveva ambientato il suo capolavoro nei fantastici anni 20: feste, alcol, jazz, sesso. E tanti soldi. Ma pure adesso i miliardari di Manhattan nei weekend sciamano agli Hamptons, le spiagge dorate a due ore d’auto dal centro. Scopriamo i loro dolci segreti 

di Mauro Suttora

New York (Stati Uniti), 29 maggio 2013

Il problema principale è l’elicottero. Perché gli Hamptons sono lontani 170 chilometri da Manhattan (come Portofino da Milano), quindi andarci in macchina è disagevole: due ore, che diventano tre nel traffico dei weekend.

Sono questi i crucci dei miliardari di New York, che quasi un secolo dopo Francis Scott Fitzgerald continuano a fuggire a Long Island appena possono, per darsi alla dolce vita fatta di soldi, alcol, musica e sesso. Proprio come nel libro e nei film (quello con Robert Redford del 1974, l’attuale con Leonardo DiCaprio), il Grande Gatsby è vivo e festeggia assieme a noi. Alla faccia di tutte le crisi economiche ed esistenziali.

Da fine maggio all’inizio di settembre le ville dei quattro Hamptons (South, East, West e Bridge), paesoni affogati nel verde davanti alla spiaggia oceanica, con le propaggini di Sag Harbor e Montauk, si riempiono di bella gente.

McCartney, Calvin Klein, Madonna
Cantanti come Paul McCartney e Madonna, attrici come Gwyneth Paltrow (col marito Chris Martin, capo dei Coldplay), Sarah Jessica Parker di Sex and the City (col marito Matthew Broderick) e Renée Zellweger, stilisti come Calvin Klein, registi come Steven Spielberg, galleristi come Larry Gagosian sono i nomi più noti. Ma centinaia di finanzieri di Wall Street e magnati dell’industria, compresi gli ultimi giovani arricchiti del web come Mark Zuckerberg di Facebook quando lascia la sua California, affollano  ristoranti, club privati, campi di polo, golf, tennis. E feste, tante feste dal giovedì alla domenica.

Perché New York sarà anche la capitale del mondo, ma ha uno dei climi più fetidi della Terra: fredda in inverno, piovosa in primavera, calda e umidissima d’estate. Così i ricconi in cerca di refrigerio scappano agli Hamptons. Che sono ugualmente umidi, ma almeno ventilati dalla brezza atlantica.

Fitzgerald per la verità aveva ambientato il palazzo di Gatsby un po’ più vicino a New York, a Great Neck. Ma quella zona ora è stata occupata dalle mansion dei ricchi ebrei  scappati dalla Persia dopo la caduta dello Scià. Da decenni, ormai, la dolce vita si è spostata agli Hamptons.

Ridicoli colori pastello
Lì i miliardari non si vergognano di addobbarsi con vestiti dai colori ridicoli: rosa, verde pisello, azzurro, turchese: di tutto, purché sia pastello e ricordi gli anni Venti. Il tempo sembra essersi fermato.

Chi pensasse a una vita di spiaggia all’europea, se la scordi. Niente stabilimenti, ristoranti sul mare, ombrelloni, passeggiate sul lungomare, struscio nelle vie dei negozi. Le spiagge sono immense e libere, ma sferzate dal vento. E, soprattutto, l’acqua dell’oceano è gelida. Le nuotate quindi si fanno in piscina, al riparo da occhi indiscreti. E gran parte della vita sociale è nascosta agli occhi dei wannabes («vorrei-ma-non-posso»), i detestati turisti della domenica arrivati col torpedone: si svolge in privatissimi club cui si viene ammessi con estrema difficoltà. Difficile avvistare le celebrità mentre camminano su un marciapiede.

Qualche anno fa suscitò scalpore il biglietto con ricevuta lasciato cadere per terra da un ignoto cliente di bancomat a Southampton: aveva attinto 500 dollari da un conto corrente il cui saldo ammontava a un milione.

Ma l’aspetto più buffo dei weekend di questi personaggi stratosferici, che anche in agosto vanno e vengono furiosamente da Manhattan (negli Stati Uniti non esiste il concetto di vacanza lunga un mese) sono gli spostamenti.

Abituati alle loro limousine con autista, rimangono intrappolati dal traffico dei comuni mortali nelle autostrade di Long Island, dove purtroppo per loro non hanno ancora inventato le corsie riservate ai miliardari. Optano quindi per l’elicottero. Ma anche così, la vita dei vip non è così semplice. Perché i veri ricchi hanno il velivolo privato. Mentre quelli che non possono permettersi esborsi di milioni di dollari devono «accontentarsi» di affittare i voli per qualche migliaio di bigliettoni verdi. E lì scatta, tremendo, il disprezzo dei ricchissimi verso i ricchi.

Esattamente come nel film, in cui il parvenu Gatsby viene snobbato dal giocatore di polo Tom Buchanan. Gatsby si vendica portandogli (quasi) via la moglie. E anche oggi ogni estate le cronache rosa si riempiono di tradimenti, dispetti, invidie. Il tutto innaffiato da fiumi di alcol e altre droghe. Ora come allora. 
Mauro Suttora

Wednesday, January 11, 2012

2012: rivincita per Aung San Suu Kyi?

Nel 1990 la signora della nonviolenza vinse le elezioni in Birmania con l’82 per cento. Finì agli arresti, isolata per 21 anni. Ma ora è libera, e il nuovo presidente promette un nuovo voto entro giugno

di Mauro Suttora

Rangoon, 4 gennaio 2012

Nelson Mandela è rimasto in prigione 27 anni. Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, è arrivata a 21 (seppure agli arresti domiciliari). I dittatori birmani la arrestarono nel 1990, dopo che vinse le prime elezioni libere conquistando l’82 per cento dei seggi. Lei non ha più potuto riabbracciare neppure il marito inglese, morto a Londra nel 1999.

Da qualche mese, però, le cose in Birmania sembrano cambiate. C’è una specie di Gorbaciov, il generale Thein Sein, presidente dallo scorso marzo, che sta liberalizzando il regime. Ha promesso nuove elezioni per il 2012. La signora Suu Kyi ha riacquistato la libertà, e questa volta il suo partito parteciperà al voto. Tutto sembra cambiato rispetto alle sanguinose proteste del 2007 guidate dai monaci buddisti, che emozionarono il mondo intero.

La signora è figlia del Garibaldi birmano: Aung San combattè contro inglesi e giapponesi, finì in prigione e, proprio come Gandhi in India, fu assassinato da alcuni compatrioti quando il suo Paese divenne indipendente nel 1947. Aung San Suu Kyi allora aveva due anni. «Però mio padre lo ricordo bene, anche perché fino al 1988 la sua faccia campeggiava sulle banconote birmane», ha detto, con humour britannico.

Lei andò in esilio con la famiglia nel ’62, quando i generali si impadronirono di questo stupendo Paese di 50 milioni di abitanti Tornò nell’88 a Rangoon solo perché sua madre stava morendo. Ma i democratici la scelsero subito all’unanimità come loro leader.

I generali non l’hanno liberata neanche dopo il 1991, quando le diedero il Nobel per la pace. La dittatura birmana sta in piedi solo grazie all’appoggio della vicina Cina, che importa petrolio ed esporta le armi. Poi c’è la Russia, che si è sempre opposta a sanzioni dell’Onu, e perfino la democratica India, che trova conveniente commerciare con la Birmania.

Ma adesso i generali cominciano a temere lo strapotere della Cina, e per la prima volta dal 1955 hanno invitato un segretario di Stato statunitense (Hillary Clinton) in visita ufficiale.

Mai una parola di odio

Restano ancora in prigione un migliaio di prigionieri politici, ma il clima è migliorato e Aung San Suu Kyi ha accettato di partecipare alle prossime elezioni. Lei da 22 anni ripete la stessa mite parola: «Dialogo». Mai un appello alla rivolta e all’odio è uscito dalla sua bocca: «Dobbiamo promuovere la riconciliazione del nostro popolo», è il suo ritornello.

Anche dopo quel tremendo giorno del 2003, quando i militari le tesero un’imboscata e uccisero decine dei suoi sostenitori che la seguivano in auto durante uno dei suoi rarissimi momenti di semilibertà. Anche dopo che nel 2006 ha dovuto essere ricoverata d’urgenza in ospedale per diarrea ed estrema debolezza.

Gli U2 nel 2001 le hanno dedicato la canzone Walk On (Continua a camminare). Poi nel 2004 le hanno offerto un intero disco (For the Lady), chiamando a registrarlo tutti i principali divi del rock: dai Coldplay ai R.E.M, da McCartney a Clapton e Sting. Il 2012 potrebbe essere l’anno della svolta.

Friday, May 28, 2010

A New York niente sesso

LE DONNE PREFERISCONO SHOPPING E PALESTRA

Da oggi al cinema Sex and the City 2

di Mauro Suttora

Libero, 28 maggio 2010

Come passeranno alla storia questi anni Zero? Corriamo un grande rischio: che il decennio appena finito venga ricordato, in mancanza di meglio o di peggio (Bush, guerre d’Iran e Afghanistan, Coldplay, ipod), per ‘Sex and the City’. E questa sì che sarebbe una tragedia. Quasi peggio del terrorismo islamico.

Le quattro smandrappate di New York, anche se amano comportarsi come ventenni sgarzelline e l’età mentale dei personaggi che interpretano è perfino minore, hanno tutte superato i 45 anni. Samantha ne ha addirittura 54. O meglio: questa è l’età dell’eccellente attrice inglese Kim Cattrall che la impersona, e che si è appena fatta notare come bollente segretaria-amante di Pierce Brosnan (alias Tony Blair) nello splendido ‘Uomo nell’ombra’, ultimo film di Roman Polanski.

Non a caso la meno letale del quartetto non è americana. Infatti Samantha è l’unica ad avere una vita sessuale. Ma poiché l’autrice di ‘Sex and the City’, Candace Bushnell, è gelosa della non frigidità del personaggio biondo da lei stessa creato, l’ha trasformata in macchietta: ninfomane, esagerata, comica, affamata di toyboys.

Le altre tre sono sexy quanto il ghiacciaio del monte Bianco. Ma non è colpa loro. È la New York di oggi a renderti così. Lo dico per esperienza personale: ci ho vissuto per molti degli anni Zero, e per un biennio mi sono fidanzato con una ragazza uguale a quelle di ‘Sex and the City’. Una ex modella trentenne bellissima, simpatica, intelligente, coltivata (laureata in un college top ten degli Usa), abbastanza ricca. E innamorata, come me. Ma a letto, una frana. Sono sopravvissuto nell’unico modo possibile, con questi fenotipi di Manhattan apparentemente assai attraenti: lasciandola. Ma avendo accumulato tanti di quegli aneddoti divertenti e agghiaccianti da scriverci un libro: ‘No Sex in the City’ (ed. Cairo, 2007).

La verità è semplice, come ha detto un famoso sociologo: “A New York hanno talmente sessualizzato lo shopping, che tutto il resto è stato desessualizzato”. La mia girlfriend Marsha si svegliava alle sette del mattino, e invece di fare l’amore correva a fare jogging a Central Park. Io la aspettavo a letto speranzoso (anche a Manhattan si verifica il fenomeno definito in inglese “morning glory”), ma quando lei tornava alle otto - sudata, ansimante, guance rosse, seno e lunghe cosce foderati nella tuta aderente, quindi ancora più affascinante - si buttava nella doccia: «I have no time, my love», mi gridava felice da sotto lo scroscio, già orrendamente piena di energia a quell’ora del mattino. Poi si precipitava giù a comprare da un coreano il beverone che loro chiamano “caffè” (una sciacquatura marrone), e lo sorseggiava con una cannuccia nel metrò verso il lavoro.

Verso le sei di sera passava a prendermi alla libreria Rizzoli sulla 57esima Strada, dove lavoravo. La sua vita frenetica a quell’ora prevedeva aperitivi, vernissage di gallerie, inaugurazioni di negozi e altri innumerevoli «eventi», che ora infestano la vita anche a noi italiani. Quindi in taxi al ristorante. Spesso un cinema, un concerto, un teatro a Broadway. Poi, ogni tanto, in un club a ballare. Feste in casa di amici. Oppure quella disgrazia che sono i «gala», al Plaza, al Waldorf o al Pierre, con i grandi tavoli rotondi da otto e qualche causa benefica da finanziare.

Insomma, difficile tornare a casa prima di mezzanotte. E a quel punto lei era troppo stanca per farlo. «I need to relax», si scusava. E io: «Appunto, rilassiamoci facendo l’amore». Lei mi sorrideva: «Accarezzami, Mauro». E si addormentava.

La sua attività principale, nel tempo libero, era lo shopping. Spendeva in scarpe Jimmy Choo e borsette Prada tutto quel che guadagnava (non poco). Nei weekend estivi bisognava andare agli Hamptons: come Portofino, ma umidi come New York. Siccome era sportiva, se non poteva fare jogging per il troppo caldo o troppo freddo, andava in palestra a sfogarsi sul tapis roulant. Ecco, dopo un po’ scoprii che quello era il mio vero rivale. Perché solo lì, e nei negozi, le donne di 'Sex and the City' riescono ad agguantare il piacere. Sex, zero. Come il decennio.

Mauro Suttora

Tuesday, February 17, 2009

Coldplay verso Udine

Coldplay in mutande
"Che noia essere il signor Paltrow"

Libero, sabato 14 febbraio 2009

Stasera e domani i Coldplay suonano a Osaka in Giappone. Mercoledi saranno a Londra, poi da fine febbraio in Australia per mezzo mese, quindi Hong Kong, Singapore, Abu Dhabi… Fino a Udine il 31 agosto, stadio Friuli, unico concerto italiano del loro tour mondiale. Tutto esaurito, anche perché i loro prezzi sono onesti: 40-50 euro a biglietto contro i vergognosi 100-200 per gli U2 a San Siro in luglio.

«Se siamo la rock band più importante del mondo?», si schermisce il loro leader, cantante, chitarrista e pianista Chris Martin. «Non so se lo siamo mai stati, ma ora tornano gli U2 con il loro nuovo disco… Siamo solo stati i supplenti, occupando il loro posto per un po’».

Così risponde Martin a ‘60 Minutes’ sulla Cbs, il programma tv più prestigioso d’America. Che lo ha appena intervistato in coincidenza dell’ennesimo exploit: sette nomination e tre Grammy award (gli Oscar della musica) per il miglior disco rock del 2008 (‘Viva la Vida’, sette milioni di copie vendute in otto mesi), la migliore canzone e il migliore gruppo.

«Ma ci affidiamo più all’entusiasmo che alle nostre effettive capacità», confessa Martin. «Qualsiasi cosa si faccia, se lo si fa con entusiasmo alla gente piace di più. Io non so ballare come Usher, non so cantare come Beyonce, non so scrivere canzoni come Elton John. Ma cerchiamo di fare il massimo con quello che abbiamo».

Umili e riservati, ma anche gentili e pieni di senso dell’humour, appaiono i quattro moschettieri del rock del terzo millennio (unica novità di questi anni Zero, Rem e Oasis c’erano già da prima). Hanno trent’anni, stanno insieme da dodici, continuano a firmare democraticamente le loro canzoni con i nomi di tutti, anche se tutti sanno che la mente è Martin. Non hanno mai sbagliato un colpo: tutti i loro quattro dischi, da ‘Parachutes’ del 2000 in poi, hanno conquistato platini planetari.

Il loro segreto? «Uno solo: c’impegniamo molto, molto duramente», dice a ’60 Minutes’ il chitarrista Johnny Buckland. Tutti figli di professori, media borghesia, hanno cominciato nel quartiere di Camden a Londra. Laurea (Martin con lode in greco e latino, Buckland in matematica, il batterista Will Champion in antropologia), e firma del loro primo contratto discografico. Più facile di così…

Nei concerti suonano meticolosamente tutti i loro successi, da ‘Yellow’ in poi. Non si stancano, non fanno le bizze come certe rockstar che si rifiutano di eseguire alcuni pezzi, con la scusa che «non vogliono rimanere prigionieri di una sola canzone». «Alcune non le farei, perché non ci piacciono più particolarmente, ma gli spettatori hanno pagato caro il biglietto, sono venuti per ascoltare proprio quelle, e quindi le suoniamo». Michael Stipe dei Rem ha anche consigliato ai Coldplay di non variare troppo i brani live rispetto alla versione su disco, perché i fans sono abituati a quelle.

Martin spiega, scherzando ma non troppo, di utilizzare un particolare rilevatore di «customer satisfaction», soddisfazione del cliente: «Quando siamo sul palco non riusciamo a osservare molto la gente, però vediamo da lontano le luci dei corridoi di uscita. Così all’inizio di una tournée, per capire quali canzoni funzionano e quali no, se notiamo molte silhouettes di persone che ingombrano le uscite, vuol dire che la canzone che stiamo suonando probabilmente non è quella giusta, perché la gente preferisce uscire per farsi un hot dog o qualcos’altro… Mentre so che tutto va bene se le uscite illuminate rimangono vuote. E’ il nostro modo di giudicare, il “silhouette factor”…»

Martin non si sente la “rockstar” del nuovo millennio: «Rockstar, non mi piace questa parola. E poi non indosso i pantaloni giusti per essere una rockstar». Il bassista Guy Berryman però è felice, come gli altri, che sia Martin a catturare tutta l’attenzione dei paparazzi, anche per il suo matrimonio con l’attrice Gwyneth Paltrow: «Non riuscirei mai a uscire di casa con tutti quei fotografi!» «E’ una benedizione stare in questa band senza essere il cantante», sorride Champion.

«Invece io», ribatte Martin, «sogno il momento in cui tu, Will, improvvisamente ci dirai: “Ho deciso di diventare uno sgargiante batterista omosessuale, mi metterò vestiti incredibili e dirò cose pazzesche”. Mi sarebbe veramente d’aiuto per alleggerire la pressione e conquistare un po’ di tranquillità».

Ne avrebbe bisogno, Martin, per evitare le scenate un po’ penose cui lui, gentleman britannico, talvolta si abbandona aggredendo i fotografi per strada. Di solito accade quando è con Gwyneth, e anche con ’60 Minutes’ quando si affronta l’argomento Paltrow si chiude a riccio: «Per certi giornali divorzieremmo ogni settimana, e la settimana dopo i Coldplay si scioglierebbero. Come diceva Bob Dylan: “Sono contento che quello non sono io”».

Mauro Suttora

Wednesday, July 02, 2008

La cantante Giusy Ferreri

GIUSY, CASSIERA DA HIT

Scala le classifiche la cantante di X-Factor

di Mauro Suttora

2 luglio 2008

Chi l’ha detto che bisogna emigrare in America per realizzare i propri sogni? Qualche volta la più bella delle fantasie diventa realtà anche in Italia. Prendete Giusy, nome d’arte di Giuseppa Gaetana Ferreri, 29 anni, metà dei quali passati a coltivare la passione della sua vita: la musica. Ora è prima in classifica nella hit parade. La sua canzone Non ti scordar mai di me ha superato Jovanotti, Madonna, Coldplay, e promette di diventare il tormentone dell’estate.

Rintracciamo questa figlia di emigrati siciliani alta uno e 53 ad Abbiategrasso (Milano), a casa sua col mal di gola. Un bel guaio per una cantante…
«Eh, sì. Ma almeno così posso riposarmi un po’. Dovrò lavorare tutta l’estate per promuovere il mio primo disco, in uscita il 27 giugno, e per preparare il prossimo con Tiziano Ferro».

Fino a poche settimane fa Giusy lavorava come cassiera del supermercato Esselunga di Corbetta (Milano): «Solo tre giorni alla settimana: venerdì, sabato e lunedì, più qualche domenica di straordinario nelle festività. Ma mi andava benissimo, 24 ore di part-time per mantenermi e il resto del tempo libero per la musica. Ho cominciato dieci anni, sempre lo stesso supermercato dopo il liceo linguistico. Ma anche adesso, mica mi sono licenziata: ho solo chiesto un’aspettativa di sei mesi, non si sa mai…»

Simpatica come una siciliana ma concreta come una lombarda, Giusy è arrivata seconda nel programma X-Factor di Raidue, dedicato alle voci nuove. Hanno vinto gli Aram Quartet con una canzone di Morgan, ma ora nella Top ten è in testa lei, che nella trasmissione era sponsorizzata da Simona Ventura.

La sua voce si riconosce subito: roca, spezzata quasi come in un singhiozzo, è a metà fra la Shirley Bassey degli anni ’60 e Amy Winehouse, l’attuale cantante «maledetta» sempre in bilico fra alcol e droga.

Invece l’unica droga di Giusy è la musica: «Ho cominciato a 14 anni, cantavo cover e andavo in giro con un gruppo a far concerti nei pub e alle feste della birra. Però da qualche anno mi ero stufata, era dura esibirsi al sabato dopo nove ore di lavoro, e dover pure cantare canzoni che non mi piacevano per far piacere al pubblico. Così ho cominciato a comporre io le mie canzoni, ho trovato un produttore in zona e alla fine sono riuscita a farmi pubblicare un disco dalla Sony, nel 2005».

Quella canzone, Il party, si può sentire e vedere su internet. Ed è una sorpresa, per chi era abituato alla Giusy scatenata ma in tailleur di X-Factor: allora si faceva chiamare Gaetana, si dava arie sexy con un serpente attorno al collo, e tutta orgiastica sospirava: «Il sesso si fa in tre, e anche in più di tre…»

E allora? Qual è la vera Giusy?
«Di Giusy ce ne sono tante, a seconda delle situazioni», ride lei ora, «tutti mi dicevano che scrivevo canzoni malinconiche e tristi, quindi ho pensato: ora vi faccio vedere io…»

E chi ha inventato il singhiozzo? «Prego?» Il modo di cantare sincopato che hai esibito in X-Factor. «Ah, mi è venuto spontaneo, perché gli arrangiamenti erano vicini al blues. Ma la mia voce vera è più corposa e modulata».

Giusy si è fidanzata con il coetaneo Andrea pochi mesi fa, appena prima di approdare su Raidue e di diventare famosa. Ma a volte le sembra ancora di dover montare sulla sua Citroen C4 coupé per andare a lavorare all’Esselunga. «No, non viviamo insieme. Anche perché io sono andata a vivere da sola solo l’anno scorso, mi sono comprata una bella casetta col mutuo. Mio padre è un piccolo imprenditore edile, lavora con mio fratello. Mia madre è casalinga».

Prova e riprova, questo scricciolo di figlia ce l’ha fatta. Nel suo sito rivela che i suoi scrittori preferiti sono il rivoluzionario e scandaloso Charles Bukovski, ma anche Erich Fromm, il filosofo di Avere o Essere. E fra le cantanti cita Guesch Patti, una francese che pochi ricordano perché ebbe un unico momento di gloria in Italia: nell’88 a Sanremo con Etienne. «Ma io avevo nove anni e rimasi sconvolta vedendola in tv».

Giusy sul palco si muove molto bene, sa «tenere la scena», come si dice. Oltre a Non ti scordar mai di me, il suo disco contiene rivisitazioni di Ma che freddo fa di Nada, La bambola di Patty Pravo, Che cosa c'è di Gino Paoli, Insieme a te non ci sto più di Caterina Caselli e Remedios di Gabriella Ferri. Nei giorni scorsi Giusy ha girato a Roma il video per Non ti scordar mai di me: atmosfere almodovariane, dicono. E nata una stella.

Mauro Suttora