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Wednesday, January 11, 2023

Un piccolo capolavoro

di Mauro Suttora

Nel libro 'L'ora più dolce' di Alessandra Zenarola (ed.Tabula Fati, 2022) non succede nulla. Per questo è un piccolo capolavoro. I dieci mesi di ospedalizzazione della mamma dell'autrice non contengono colpi di scena. La fine è nota. Sono uguali alle malattie e traversie di tutte le nostre mamme ultraottantenni, fra sedie a rotelle, letti, pantofoline e badanti ucraine. Udine è uguale a tutte le altre cento città d'Italia da centomila abitanti, la vera ricchezza del nostro Paese. 

La vita di provincia tranquilla e sonnolenta, tanto noiosa quanto rassicurante, è uguale per tutti noi boomers 60enni che assistiamo la generazione precedente, i fortunati che ebbero 30 anni negli anni 60, il decennio più strepitoso del secolo scorso.

Zenarola non è una scrittrice. È un'entomologa. È capace di tenerci attanagliati alla pagina elencando tuttissimi i dettagli di una scena, in presa diretta, in tempo reale. Un'intera vita minuto per minuto: l'innaffiatoio rosa, la cena in pizzeria, il caffè alla macchinetta, il bicchiere di vino in casa. 
Dialoghi stenografici precisi, implacabili, divertenti. Humour dry, secco come quello di Jerome K. Jerome. Due donne in Friuli invece di Tre uomini in barca. Esilarante l'episodio della bara del padre/marito che il dirigente del cimitero non trova più.

A ogni capitolo il flashback di una biografia della mamma che è anche autobiografia dell'autrice. Milioni di noi possono immedesimarsi nelle vacanze in Liguria, nei soggiorni in montagna, nei paesi dei parenti dove nulla succede, in agosto come in qualsiasi giorno dell'anno.

Ma Zenarola è capace di trasformare questo nulla in un ricchissimo tutto. Racconta pomeriggi di noia, profumi di caldarroste a novembre, giornate calde o fredde, umide o piovose, amori lontani di madre e figlia, convegni di presentazione del dottissimo libro della mamma sulla storia di Fagagna. Ecco, le basta scrivere Fagagna, questo nome così buffo, per trasfigurare magicamente un paesino friulano in un luogo universale.

La media borghesia intellettuale delle Zenarolas che esisteva fino a 20-30 anni fa oggi si è numericamente ristretta. Per questo ne abbiamo nostalgia, adesso che la tenaglia sociale si è allargata: da una parte immotivate e volgari ricchezze, dall'altra nuovi lumpenproletari a 1200 mensili. Entrambi esibizionisti e infantili. Invece mamma Zenarola teneva per sè come gioielli i preziosi fogli delle sue ricerche compilate nell'archivio di stato che dirigeva.

Questo libro eleva la sociologia ad aneddoto, la narrativa è sempre superiore alla saggistica, e quindi ci fa innamorare di tutti i suoi personaggi, così veri e reali: infermiere e oss, zie zitelle, parenti timorati o scapestrati, medici solleciti oppure odiosi, fratelli capaci di riparare tapparelle, padri che corrono a giocare al casinò.
Buona lettura.

Thursday, January 02, 2020

Il solito niente, giallo di Alessandra Zenarola



Consiglio a tutti il giallo psicologico 'Il solito niente' di Alessandra Zenarola (ed. Solfanelli, 2019). Una giovane serba viene assassinata a Udine, lascia il suo bambino di 4 anni, e la commissaria Camilla Valdimares risolve brillantemente il caso.

Ma la scrittura è ancor più brillante della trama. Zenarola riesce a rendere affascinante l'addormentata vita di provincia. I poliziotti esibiscono un'accidia parastatale (tranne Camilla), le case di investigatori e investigati appaiono mediamente squallide, le loro esistenze sono immerse in solitudine, noia e mancanza di prospettive. Però il ritmo del racconto trasforma tutto, e tutto diventa seducente.

Certe similitudini sono folgoranti: "cincischiava come un pipistrello appeso al soffitto", "si era truccata per nascondere il pallore da luna islandese", "un caffè macchiato che sapeva di armadio per le scarpe", "svolgere una qualsiasi attività con Marinella Corbatto equivaleva, sul piano bio energetico, a nuotare in una vasca piena di sonnifero".

Come Maigret, la commissaria ha complicazioni private: un tumore, un amore ineffabile, un carattere pestifero. Straccia un biglietto aereo per Dublino prepagato dal suo quasi fidanzato; cosicché lui per vederla solo poche deve volare dall'Irlanda a Venezia, e poi portarla in gita fino all'isola croata di Krk (Veglia in italiano, unica scivolata del libro).

L'amante arricchito della vittima è il sospettato numero uno. Ma, come con Simenon, ci fidiamo dell'autrice e ci affidiamo completamente ai suoi ironici colpi di scena. Siamo soddisfatti già dal viaggio prima che dell'arrivo alla meta.

Altre perle: il collega commissario che "conduce gli interrogatori senza alcun nesso causale fra le domande, anche se prese singolarmente possono sembrare azzeccate", "la signora Alice, a giudicare dall'addome e da un prolasso imminente del collo e del mento, si scolava minimo due whisky tra la colazione e il pranzo", "l'odio può essere un collante indistruttibile, il disprezzo no", "il suo cervello produceva pensieri corti, destrutturati", "Vladi in versione antipatia galoppante", un cagnolino "topastro miserrimo".

Così il grigio Friuli diventa magico, e le puntate a Grado o Trieste sembrano viaggi esotici. Ci innamoriamo dell'antipatica commissaria Valdimares, e della sua autrice.
Film subito. O almeno fiction tv.
Mauro Suttora 

Tuesday, February 17, 2009

Coldplay verso Udine

Coldplay in mutande
"Che noia essere il signor Paltrow"

Libero, sabato 14 febbraio 2009

Stasera e domani i Coldplay suonano a Osaka in Giappone. Mercoledi saranno a Londra, poi da fine febbraio in Australia per mezzo mese, quindi Hong Kong, Singapore, Abu Dhabi… Fino a Udine il 31 agosto, stadio Friuli, unico concerto italiano del loro tour mondiale. Tutto esaurito, anche perché i loro prezzi sono onesti: 40-50 euro a biglietto contro i vergognosi 100-200 per gli U2 a San Siro in luglio.

«Se siamo la rock band più importante del mondo?», si schermisce il loro leader, cantante, chitarrista e pianista Chris Martin. «Non so se lo siamo mai stati, ma ora tornano gli U2 con il loro nuovo disco… Siamo solo stati i supplenti, occupando il loro posto per un po’».

Così risponde Martin a ‘60 Minutes’ sulla Cbs, il programma tv più prestigioso d’America. Che lo ha appena intervistato in coincidenza dell’ennesimo exploit: sette nomination e tre Grammy award (gli Oscar della musica) per il miglior disco rock del 2008 (‘Viva la Vida’, sette milioni di copie vendute in otto mesi), la migliore canzone e il migliore gruppo.

«Ma ci affidiamo più all’entusiasmo che alle nostre effettive capacità», confessa Martin. «Qualsiasi cosa si faccia, se lo si fa con entusiasmo alla gente piace di più. Io non so ballare come Usher, non so cantare come Beyonce, non so scrivere canzoni come Elton John. Ma cerchiamo di fare il massimo con quello che abbiamo».

Umili e riservati, ma anche gentili e pieni di senso dell’humour, appaiono i quattro moschettieri del rock del terzo millennio (unica novità di questi anni Zero, Rem e Oasis c’erano già da prima). Hanno trent’anni, stanno insieme da dodici, continuano a firmare democraticamente le loro canzoni con i nomi di tutti, anche se tutti sanno che la mente è Martin. Non hanno mai sbagliato un colpo: tutti i loro quattro dischi, da ‘Parachutes’ del 2000 in poi, hanno conquistato platini planetari.

Il loro segreto? «Uno solo: c’impegniamo molto, molto duramente», dice a ’60 Minutes’ il chitarrista Johnny Buckland. Tutti figli di professori, media borghesia, hanno cominciato nel quartiere di Camden a Londra. Laurea (Martin con lode in greco e latino, Buckland in matematica, il batterista Will Champion in antropologia), e firma del loro primo contratto discografico. Più facile di così…

Nei concerti suonano meticolosamente tutti i loro successi, da ‘Yellow’ in poi. Non si stancano, non fanno le bizze come certe rockstar che si rifiutano di eseguire alcuni pezzi, con la scusa che «non vogliono rimanere prigionieri di una sola canzone». «Alcune non le farei, perché non ci piacciono più particolarmente, ma gli spettatori hanno pagato caro il biglietto, sono venuti per ascoltare proprio quelle, e quindi le suoniamo». Michael Stipe dei Rem ha anche consigliato ai Coldplay di non variare troppo i brani live rispetto alla versione su disco, perché i fans sono abituati a quelle.

Martin spiega, scherzando ma non troppo, di utilizzare un particolare rilevatore di «customer satisfaction», soddisfazione del cliente: «Quando siamo sul palco non riusciamo a osservare molto la gente, però vediamo da lontano le luci dei corridoi di uscita. Così all’inizio di una tournée, per capire quali canzoni funzionano e quali no, se notiamo molte silhouettes di persone che ingombrano le uscite, vuol dire che la canzone che stiamo suonando probabilmente non è quella giusta, perché la gente preferisce uscire per farsi un hot dog o qualcos’altro… Mentre so che tutto va bene se le uscite illuminate rimangono vuote. E’ il nostro modo di giudicare, il “silhouette factor”…»

Martin non si sente la “rockstar” del nuovo millennio: «Rockstar, non mi piace questa parola. E poi non indosso i pantaloni giusti per essere una rockstar». Il bassista Guy Berryman però è felice, come gli altri, che sia Martin a catturare tutta l’attenzione dei paparazzi, anche per il suo matrimonio con l’attrice Gwyneth Paltrow: «Non riuscirei mai a uscire di casa con tutti quei fotografi!» «E’ una benedizione stare in questa band senza essere il cantante», sorride Champion.

«Invece io», ribatte Martin, «sogno il momento in cui tu, Will, improvvisamente ci dirai: “Ho deciso di diventare uno sgargiante batterista omosessuale, mi metterò vestiti incredibili e dirò cose pazzesche”. Mi sarebbe veramente d’aiuto per alleggerire la pressione e conquistare un po’ di tranquillità».

Ne avrebbe bisogno, Martin, per evitare le scenate un po’ penose cui lui, gentleman britannico, talvolta si abbandona aggredendo i fotografi per strada. Di solito accade quando è con Gwyneth, e anche con ’60 Minutes’ quando si affronta l’argomento Paltrow si chiude a riccio: «Per certi giornali divorzieremmo ogni settimana, e la settimana dopo i Coldplay si scioglierebbero. Come diceva Bob Dylan: “Sono contento che quello non sono io”».

Mauro Suttora

Friday, February 17, 1989

Udine si prepara ai Mondiali '90

CALCIO DI GRIGIORE

Effetto mundial: come cambiera' il volto della città

E la sede piu' piccola . Sogna il Brasile che non verra'. Vedra' tre partite, le meno importanti. E allora si consola con parcheggi, svincoli, gallerie. Senza comprare i biglietti

di Mauro Suttora

Europeo, 17 febbraio 1989

Udine e' la piu' piccola fra le dodici citta' italiane che ospiteranno i mondiali di calcio del '90. E quindi la piu' emozionata: con i suoi appena 100 mila abitanti, essere messa a livello di Roma, Milano e Napoli al posto di altre ben piu' blasonate citta' del Triveneto come Venezia, Padova o Trieste è stato un insperato successo. Si capisce percio' l' entusiasmo tutto provinciale per la grande kermesse dell' anno prossimo . E anche le piccole liti che stanno nascendo fra i vip locali per mettere in mostra davanti al mondo, oltre alla regione Friuli, anche se stessi.

Il mensile Il punto titola addirittura "L' amaro di Udine", e fa come i militari di leva: calcolando i giorni che mancano al fischio d'inizio nel giugno dell'anno prossimo, annuncia che siamo a 500. "Amaro" perche'? "Perche' a Udine sono programmate tre partite", spiega il giornalista Paolo Cautero, "ma sappiamo gia' che da noi non giochera' mai la 'testa di serie', cioe' la squadra piu' importante del girone, che restera' a Verona".

I sorteggi avverranno solo fra undici mesi, però calcolando che l'Italia privilegera' Roma e l'Argentina la Napoli di Maradona, i friulani prevedono che nel loro girone finisca il Brasile. Cosi' si sono messi subito al lavoro: la scorsa estate hanno invitato a Udine il brasiliano Joao Havelange, presidente della Fifa (la Federazione calcistica internazionale), stordendolo di buon vinello e, come si dice, "lavorandoselo". Niente da fare. La testa di serie non verra', anche se Havelange, educato, ha promesso che lui invece ritornera' (evidentemente i vini del Collio non gli sono dispiaciuti).

Allora, sotto con Zico . L'ex campione brasiliano dell'Udinese, tornato a casa , e' ancora famoso in Friuli. Cosi' proprio in questi giorni Manlio Cescutti, amministratore delegato della societa' "Udine '90", e' volato a Rio dove, oltre a partecipare al carnevale, sta "trattando" con l'asso carioca. Trattando cosa ? Nientedimeno che il ritorno a Udine di Zico , "re del Friuli" nella prima meta' degli anni '80. Il 27 marzo '89, lunedi' di Pasqua, si vorrebbe organizzare una partita Brasile-Resto del mondo. Nei carioca giochera' l'ormai attempato goleador, mentre nel Resto del mondo, sotto la guida del friulano Enzo Bearzot, dovrebbero finire Gullit, Maradona, Butragueno, Vialli, Baresi e quant'altri.

Ci sono due ostacoli, pero', all'avverarsi di questa favola. Primo, che Zico non ha affatto intenzione di smettere di giocare, e che quindi la partita non potra' essere, come ipotizzato, quella del suo addio al calcio . Secondo , che l'esimio brasiliano per la polizia italiana e' solo un latitante, ricercato per esportazione illegale di valuta.

In tribunale, oltre che in serie B, e' finita anche l' Udinese. La squadra che esattamente dieci anni fa passò dalla C alla A dopo un lungo purgatorio ha smesso già da qualche anno di eccitare i suoi tifosi. L'ex presidente Lamberto Mazza (anche ex amministratore delegato della Zanussi di Pordenone e, dicono, uomo durissimo e furbissimo) è stato travolto dallo scandalo scommesse (partite truccate, arbitri comprati). Cosi' ha dovuto vendere la squadra a un industrialotto locale, Giampaolo Pozzo, titolare di un'impresa dal nome simpatico: Freud (Fresatrici udinesi).

Da allora, pero', e' cominciata una guerra infinita: Pozzo, oberato dai debiti, sostiene che Mazza gli deve ancora dieci miliardi. Mazza invece non intende scucire neanche una lira. I tifosi dell'Udinese assistono attoniti all'ormai incomprensibile duello a base di fideiussioni, obbligazioni e manleve. Ma non fanno molto per aiutare la propria squadra : nonostante il terzo posto nella classifica della serie B , riempiono lo stadio soltanto a meta'.

In questo periodo di vacche magre per il calcio una media di 20 mila spettatori a partita (di cui 13 mila abbonati) non e' disprezzabile. Ma lo stadio Friuli di posti ne ha 40 mila, e durante gli incontri appare desolatamente semivuoto.

Come in tutte le altre undici citta' dei Mondiali, anche su Udine si sta riversando una pioggia di miliardi. E come in molti altri posti, anche a Udine diverse delle opere edilizie finanziate sono abbastanza inutili. Ma il Friuli, come l'Irpinia, la Valtellina e ogni altra regione italiana colpita da una calamita' naturale, alle piogge benefiche di migliaia di miliardi da Roma e' ormai abituata.

A 13 anni dal terremoto la ricostruzione e' completata da molto. Grazie agli aiuti sovrabbondanti (fra finanziamenti ed esenzioni fiscali circa 5 mila miliardi) si e' innescato un boom economico che non ha eguali in Italia. Da qualche anno Udine e' in testa alla classifica delle province piu' ricche della penisola. Le imprese friulane esportano all' estero il doppio di quanto importano . Nell' 88 l' industria regionale ha aumentato i propri occupati di un incredibile 12% , compensando largamente la crisi dell' edilizia . I disoccupati sono appena 16 mila.

Peccato, non c'e' piu' un Pierpaolo Pasolini a misurare la sconvolgente mutazione antropologica del suo Friuli. Per dare l' idea della rapidita' dell' industrializzazione friulana, bastano due cifre. Trent' anni fa qui i contadini erano il 70%. Oggi sono appena il 7%: la quota piu' bassa d' Italia. Nelle campagne la monocultura del mais e' stata soppiantata da quella emergente della soia, e altri "emergenti" mietono successi in ogni campo.

Sono gli ex artigiani diventati piccoli imprenditori, gli ex piccoli imprenditori diventati industriali internazionali. Come la celebrata Danieli, che durante la sola scorsa settimana ha firmato due contratti per fornire acciaierie chiavi in mano a Bulgaria e Iraq. Come la Cogolo, la conceria piu' grande d'Europa che sta costruendo calzaturifici in Urss, Yemen, Costa d'Avorio e Indonesia. E come gli industriali del legno di Manzano, che fabbricano meta' delle sedie europee.

Udine e' diventata un piccolo gioiello, le case del centro vengono lussuosamente ristrutturate, vecchi cortili si trasformano in scintillanti "corti" piene di vetrine. La premiata pasticceria Caucigh di via Gemona non sfigurerebbe a Vienna; con le sue boiseries e i suoi tavolini che offrono i quotidiani del giorno, rimane aperta fino alle due di notte, piccola isola di vita in una citta' che smette di vivere alle sette, assieme ai negozi.

"Ma l'aumento fastoso e demenziale dei prezzi", si lamenta Gabriella Franceschinis, direttrice del giornale Mese regione, "fa del Friuli la regione piu' cara d'Italia. Abbiamo il primato dei redditi piu' alti, ma anche quello dei fallimenti piu' clamorosi e del perbenismo ipocrita. La cultura, frutto di antiche tradizioni, stagna in una gora paludosa. Le osterie muoiono, chiuse dalla nostra fretta. E alla plebe si offrono 'panem et circenses'".

Costeranno cari, i circenses del ' 90. Lo stadio Friuli, il piu' moderno d' Italia, costruito nel 1976 , non ha bisogno di riammodernamenti o ampliamenti. Ma solo i nuovi parcheggi, per 4 mila posti auto, porteranno via otto miliardi. Rimarranno vuoti per 350 giorni all'anno.

La sala stampa c'era gia', ma il Col (il Comitato organizzatore locale) ha imposto la costruzione di un'altra struttura che costera' tre miliardi, servira' a poco (gli immaginifici organizzatori cercheranno di farla apparire meno inutile adibendola ad "accogliemento vip e autorità"), e dopo le tre partite dei mondiali potra' essere allegramente buttata.

Un miliardo verra' speso solo per sostituire la attuali poltroncine (seminuove) di plastica. E altri nove miliardi verranno scialacquati in improbabili opere, come una torre ascensori per non far ansimare i poco sportivi spettatori della tribuna d'onore. In tutto, per le opere di maquillage strettamente sportivo, venti miliardi. Ma non ci sara' un posto coperto in piu' rispetto ai 12 mila attuali. Il costo di costruzione dell' intero stadio era stato di 12 miliardi: il prezzo delle "migliorie" di oggi , anche considerando l'inflazione, riesce a superarlo.

Poi ci sono le opere "connesse" con i Mondiali. E qui il Comune di Udine e' stato il piu' serio d' Italia: 70 miliardi aveva chiesto, 70 gliene sono stati accordati, anche con l'ultimo decreto bis di gennaio. Insomma , nessun assessore megalomane aveva inondato Roma di progetti clientelari.

Cosi', 30 miliardi andranno per costruire tre parcheggi sotterranei in centro. "Il nuovo decreto ha abbassato il tasso di interesse dal 9 al 2 per cento", spiega meticoloso il sindaco di Udine Piergiorgio Bressani, dc, parlamentare per 22 anni e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio fino all' 81, "cosicche' per noi i mutui saranno poco onerosi".

Su questi 15 mila posti auto che costeranno venti milioni l'uno negli anni scorsi a Udine si e' accesa una piccola battaglia. Da una parte 10 mila cittadini hanno firmato una petizione contraria, sostenendo che i parcheggi in centro non solo non risolveranno i problemi del traffico, ma anzi attireranno ancora piu' auto. Dall' altra la potentissima lobby dei commercianti (guidata da Mino Querini , che pare il sosia del cantante George Michael) si oppone all'isola pedonale fino a quando i parcheggi non verranno scavati.

Anche la nuova superstrada che dovrebbe collegare lo stadio al centro (costo :otto miliardi) sta sollevando le proteste degli abitanti delle case prospiciente. Ma un certo faraonismo sembra il vizio tipico dei progettisti di strade in Friuli: un esempio allucinante ne e' lo svincolo alle porte di Cividale, degno di Manhattan.

Una buona idea, invece, sembra quella di collegare direttamente l'autostrada all'aeroporto di Ronchi (paese a meta' strada fra Udine e Trieste da dove 70 anni fa partirono per conquistare Fiume i legionari di Gabriele D'Annunzio). Ma, con tutto il rispetto per il ministro friulano dei Trasporti Giorgio Santuz, non si capisce perche' si debbano spendere venti miliardi per ampliare un aereoporto che vede arrivare e partire esattamente sei aerei al giorno: tre per Roma, due per Milano, uno per Monaco di Baviera.

Sara' un mistero anche scoprire come faccia a costare ben quattro miliardi un cunicolo di tre metri per due che dovrebbe collegare sottoterra la stazione Fs di Udine con quella delle corriere, distante non piu' di trenta metri. Non meglio precisati "impianti telematici" per la stazione inghiottiranno un miliardo e 800 milioni, altri quattro miliardi e passa serviranno a sistemare la stazione.

Intanto, pochi giorni fa e' stata costituita dalla regione, che ne detiene il 75% del capitale, una societa' a responsabilita' limitata che si chiama "Udine '90" e che promuovera' l' immagine della citta' in occasione dei Mondiali. Presidente è Gianni Cogolo, che e' anche alla guida degli industriali della provincia. Amministratore delegato è Manlio Cescutti, presidente provinciale del Coni e proprietario di un grande negozio di articoli sportivi a Udine (tutte queste sue attivita' si sostengono a vicenda , mormorano i maligni).

Il consiglio d' amministrazione di Udine '90 e' al di sotto di ogni sospetto: completamente lottizzato fra i partiti della maggioranza di pentapartito della Regione. Spicca il caso di Diego Meroi, che tiene i piedi in due scarpe. Come presidente della Federcalcio nel Friuli Venezia Giulia, infatti, fa parte di "Italia '90", il Col periferico di Udine guidato da Dino Bruneschi, presidente dell'Udinese negli anni '50. Contemporaneamente, pero', e' entrato anche in "Udine '90" su nomina politica e con compiti promozionali e commerciali. Sia Cescutti sia Meroi miravano in realta' al posto di Bruneschi.

Ma anche per altri consiglieri d'amministrazione il posto in "Udine '90" e' un contentino. È il caso di Giacomo Cortiula, sindaco psi del paesetto carnico di Socchieve e candidato pluritrombato ad elezioni regionali e nazionali. O dell'avvocato Lino Comand, democristiano in discesa di Udine. O di Renato Bertoli, ex assessore regionale psdi. Il pordenonese Giancarlo Predieri occupa un' altra poltrona targata psi , Claudio Toldo quella pri. Quanto al consigliere Aldo Ariis, pli, assessore comunale dell' Ecologia a Udine, e' noto soprattutto per non avere ancora installato le cabine per la misurazione dell'inquinamento in città. Questi sono gli uomini che "promuoveranno" l'immagine del Friuli per i Mondiali.

Il presidente socialista della camera di Commercio Gianni Bravo (che il prossimo anno tentera' di diventare sindaco di Udine spezzando il monopolio dc durato 45 anni) calcola che i Mondiali porteranno in regione un giro di 200 miliardi in tre settimane. Solo Pci, Dp, verdi e Msi sono rimasti fuori dalla grande torta.

La fetta piu' grossa, come sempre, finira' alla Democrazia Cristiana. Che proprio sabato 11 febbraio celebrera' il suo congresso regionale a Gemona. Qui la corrente demitiana ha l'80%. Perfino l'Udinese teme il segretario presidente: domenica scorsa è andata a prendere ad Avellino senza troppe storie.

Oggi tutti con De Mita, domani tutti col prossimo vincitore: è questa la regola del potere in Friuli Venezia Giulia, regione che eroga finanziamenti al ritmo di una slot machine e dove i politici volano basso, preferendo un posto di assessore regionale a quello di deputato a Roma.

Anche i Mondiali quindi, come tutto, verranno gestiti per "promuovere" consenso e clientele. "Un evento gonfiato a dismisura", giudica seccamente i Mondiali don Duilio Corgnali, direttore di Vita cattolica, il giornale più letto del Friuli. I fatti finora gli hanno dato ragione : contrariamente al resto d'Italia qui il 1 febbraio non c'e' stata alcuna corsa ai biglietti. La Bnl è riuscita a venderne solo 300 su 12 mila.

Mauro Suttora

Friday, February 10, 1989

Il treno della leva

In divisa sul treno della domenica da Verona al Friuli

L'ULTIMA TRADOTTA

Si chiamano Gianfranco, Mauro, Diego. Vengono da Torino, Tropea, Bergamo. E ogni settimana si incontrano sui vagoni che li riportano in caserma. Fra noia e spinelli

di Mauro Suttora

Europeo, 10 febbraio 1989
 
Il treno numero 2596 parte ogni sera alle 19.58 da Verona. Va verso est: Vicenza, Treviso, Pordenone. Ma solo la domenica viene prolungato fino a Pontebba, in Friuli. Serve a riportare nella loro caserma i soldati di leva che per il fine settimana hanno ottenuto una licenza a casa. È un treno sempre pieno zeppo, con centinaia di giovani che ogni volta rimangono pigiati in piedi per ore. 

Ma almeno questo sovraffollamento non avviene per colpa delle ferrovie dello Stato. È fatale, infatti, che l'ultimo treno utile per rientrare prima del fatidico limite di mezzanotte sia l'unico preferito dai ragazzi. Per loro ogni mezz'ora in piu' rubata dalla casa alla caserma e' d'oro . Cosi', preferiscono due ore in piedi a un viaggio comodo due ore prima.

Da qualche settimana, però, la "tradotta dei deportati di leva", com'e' stato soprannominato il Verona-Pontebba della domenica, e' diventato il treno della discordia. Per due motivi. Il primo e' la campagna scatenata dal Psi contro la droga. Sostanza di cui, non e' un mistero, si fa largo uso durante la naia. Semplicemente per sfuggire la noia , o per astrarsi da un ambiente poco piacevole. 

"La leva produce drogati", e' la dura accusa di don Antonio Mazzi, uno dei piu' attivi preti antidroga di Milano. Cosi' ultimamente e' successo diverse volte che, al loro arrivo a Udine a mezzanotte, i soldati siano stati accolti non dagli autobus e dai camion militari per riportarli in caserma, ma dalle perquisizioni dei finanzieri con tanto di segugi antidroga.

"Ci bloccano nel tragitto obbligato del sottopassaggio", racconta Mirko di Bergamo, "e uno alla volta ci fanno annusare dai cani. Cosi' per terra compaiono improvvisamente decine di pezzi di hashish e ciuffi di marijuana di cui la gente si disfa prima di essere beccata ". 

Il secondo motivo di discussione e' la proposta lanciata dal Pci di abolire o almeno dimezzare la leva. Nel qual caso, il treno Verona Pontebba potrebbe anche essere soppresso. Un esercito di volontari professionisti , infatti, non avrebbe bisogno di 100mila soldati (un terzo del totale) acquartierati perennemente in Friuli aspettando un invasore che, grazie a Gorbaciov, si spera sempre piu' improbabile. Facciamo allora un viaggio in questo treno della "droga di leva", su cui hanno gia' viaggiato centinaia di migliaia di italiani maschi passati attraverso l'esperienza della naia in Friuli.

Quali sono le parole dei marmittoni dell'89? Da Verona a Vicenza il 2596 e' un treno svizzero. Carrozze nuove e pulite , colorate di arancione e viola , poltrone semivuote. Il convoglio si ferma a ogni stazione , fa servizio locale per rastrellare tutti i fortunati che dai paesini di Lonigo, San Bonifacio o Altavilla possono cosi' approdare direttamente in caserma. 

A Vicenza, invece, il diluvio. Assaltano ogni spazio disponibile i soldati scesi dal treno intercity in partenza da Torino alle 17 , che ha raccolto tutti i piemontesi e i lombardi. 

Gianfranco , 22 anni , viene da San Mauro , un paesone appena fuori Torino . Suo padre , immigrato siciliano , ha un' officina di carpenteria metallica , lui si e' diplomato odontotecnico , ma aspettando il militare ha lasciato perdere i denti e si e' messo a lavorare con il padre . " Mi mancano sei mesi , sono partito ad agosto. Ma ho gia' capito che questo e' un anno perso , non serve assolutamente a niente . Serve solo a tenerci lontani dalle famiglie e dal lavoro. Comunque la vita militare fa capire bene quello che e' l' Italia : una grandissima schifezza , dove contano solo il potere e i soldi . Gli ufficiali se la prendono con i sottufficiali , e i sottufficiali si rifanno con noi". 

Gianfranco sta in una delle basi militari piu' importanti del mondo: quella di Aviano, sopra Pordenone . Li' ci sono gli americani , con le loro bombe atomiche e gli aerei F 16 sempre in volo pronti a caricarle e a sganciarle. Ma lui , nella sua camerata della caserma Zappala', di tutto cio' non si rende conto. " Si' , siamo dentro alla base , ma non nella parte riservata agli americani . Li' non puo' assolutamente entrare nessuno di noi . Vediamo gli americani soltanto qualche volta nelle pizzerie del paese , dove arrivano con le loro macchinone targate Afi (American Forces Italy , ndr) . In settembre , appena sono arrivato ad Aviano dopo il Car , c' era una specie di esercitazione della Nato , Display Determination , ma non ho capito bene cosa fosse . Tanto , per quello che fanno fare a noi , interessarsi e' completamente inutile " . 

Non gliene importa nulla , insomma , a Gianfranco , di " mostrare determinazione " nelle esercitazioni . Finora ne ha fatta una sola , vicino a un paese dal nome stupendo che pero' evoca ricordi tremendi nei marmittoni : Casarsa della Delizia . Per dieci giorni lui , che in caso di guerra sara' telefonista , ha dovuto assicurare i collegamenti via cavo fra il campo e la base . Poi e' ricominciato il tran tran in caserma . Comunque li' dentro e' una vita di merda . Un sottufficiale basta che incroci un sottotenentino e deve scattare sull' attenti per salutarlo . No , no . . . Se dovessi metter firma , farei il corso ufficiali . Sicuro come l' oro " . 

Di fronte a Gianfranco, un giovanotto dai capelli bruni scuote la testa . " Perche' , non sei d' accordo ? " , gli domanda Gianfranco . " No " , risponde quello , " non e' affatto vero che gli ufficiali trattino male i sottufficiali . Io sono ufficiale di complemento , mai mi sognerei di mancare di rispetto a un sottufficiale . Quanto alla carriera , e' evidente che ci siano delle differenze : per diventare sottufficiali basta la terza media , per il corso ufficiali ci vuole il diploma " . 

Scopriamo che stiamo parlando con l' ufficiale medico di una caserma di Sequals , il paese del pugile Primo Carnera . L' ufficiale medico e' un figura mitica nelle nostre forze armate . Su di lui convergono insistenti tutte le speranze di ogni soldato : permessi , ricoveri , " imboscamenti " . Il nostro viene da Tropea , in Calabria , ha 30 anni , e' laureato in medicina e ha fatto il corso per ufficiali medici di tre mesi a Firenze (ne escono cento al mese) . Sta ritornando da Torino , dove ha visitato parenti . " Sono soddisfatto dei miei 15 mesi di leva , ho potuto aiutare molti giovani " . In che senso " aiutare " ? Mandandoli a casa per malattie immaginarie ? " A vent' anni e' difficile avere malattie gravi " , ammette , " la meta' viene da noi solo perche' stressata psicologicamente . Il mio comandante e' un amico , ma io ho la testa dura . Cosi' ho potuto aiutare molti ragazzi " , ripete , sorridendo enigmatico . 

La sua esperienza piu' divertente e' stata curare per mezzo mese gli americani della Guardia nazionale (cittadini normali che danno alle forze armate un mese all' anno e un week end al mese ) venuti in Italia per un' esercitazione Nato . Rambo con pancetta ? " Loro giocavano . Pero' ci credono : sono convinti di essere venuti in Europa per difenderci . Noi , un po' meno . Abolire la leva ? Mi sembra una buona idea " . 

" No , e' meglio dimezzarla , la leva . Ma farla fare veramente a tutti, allo stesso modo , senza discriminazioni . Oggi rimangono a casa in troppi. Invece, un po' di militare e' utile". È l'opinione di Mauro, 21 anni, bergamasco. Gli mancano 140 giorni. Sta a Udine in un ufficio, nella caserma Spaccamela. Studia economia e commercio, sotto militare e' riuscito a dare un esame. "Ma concentrarsi e studiare e' difficile". Sostiene che per imparare a fare il soldato bastano tre mesi . Ma soprattutto non riesce a capire perche', avendo il sabato libero, lo lasciano uscire di caserma solo alle 12. "Cosi' ieri sera sono arrivato a casa alle sette e mezzo. E oggi alle cinque sono dovuto ripartire".

Peggio e' andata a tre milanesi "in fuga" da Trento per un giorno solo : hanno fatto sette ore di treno per il piacere di stare a casa tre ore. "Pero' adesso, con la primavera , andremo sul Garda", medita uno, " che e' un bel puttanaio dove si puo' incampanare". 

Di donne, invece, in Friuli meglio non parlarne. "Quelle sono tutte vaccinate", ride Gianfranco di Torino, "devono sopportare militari da cinque generazioni!". Diego, 19 anni, da Saronno, e' triste. Quattro giorni fa lo hanno trasferito d'improvviso a Vittorio Veneto dalla base delle Frecce tricolori. Perche'? "Non lo so, mi hanno detto che avevano bisogno di un autista. Ma non e' vero. La verita' e' che li' dentro e' tutto sbagliato". E la droga? "Spinelli a non finire. Ma di nascosto naturalmente".

Ecco la stazione di Udine. La torma di scontenti corre verso gli ultimi pullman. Molti devono prendere il taxi. Per questa volta i cani antidroga non c' erano.
Mauro Suttora