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Friday, October 04, 2024

L'eterna storia delle accise, da Mussolini a Meloni

di Mauro Suttora

La premier fino a due anni fa voleva imitare la generosità del duce, l'unico ad averle diminuite nella storia d'Italia, e registrò un simpatico video cabaret di propaganda che le procurò parecchi voti. La dura realtà dei conti da far quadrare l'ha costretta a defascistizzarsi

Huffingtonpost.it, 4 ottobre 2024

L'unico che ha diminuito le accise nella storia d'Italia fu Benito Mussolini: nel 1925 dimezzò quella sulla benzina, da 60 a 30 lire al quintale. Fu una delle mosse che consolidarono la dittatura fascista. Altro dimezzamento nel 1936, per festeggiare la nascita dell'impero. Nel frattempo però l'aveva decuplicata, con la scusa della depressione del 1929 e poi della guerra in Etiopia.

Giorgia Meloni fino a due anni fa voleva imitare la generosità del duce, e registrò un simpatico video cabaret di propaganda che le procurò parecchi voti.

La dura realtà dei conti da far quadrare l'ha costretta a defascistizzarsi. Quindi niente diminuzione delle accise, né tantomeno abolizione come aveva populisticamente promesso. E ora siamo all'inversione a U: l'accisa sui carburanti aumenterà. Poche ore dopo averlo annunciato, ha dovuto fare di nuovo marcia indietro. Le proteste hanno trasformato la stangata in una "rimodulazione". Nessuno sa cosa significhi. Probabilmente l'accisa sul gasolio aumenterà di dieci centesimi al litro, per pareggiare quella sulla benzina a 72 cent. 

È da quando siamo piccoli che le accise ci perseguitano. Leggendari gli aumenti con il pretesto della crisi di Suez nel 1956, poi del Vajont (1963) e dell'alluvione di Firenze (1966). Ma almeno erano solo dieci lire in più al litro. Invece il terremoto in Friuli ci costò cento lire al litro, e da allora ogni sisma ha fatto aumentare il prezzo della benzina, fino a quello in Emilia nel 2012. 

E le missioni Onu? Quando facciamo il pieno ricordiamoci che stiamo pagando i nostri soldati in Libano dal 1982. Loro sono ancora lì, e pure le 200 lire in più, e le 22 lire per i caschi blu in Bosnia dal '95. Devono ringraziare le pompe di benzina anche i ferrotranvieri per il loro contratto del 2004, e fra i più balzani motivi di aumento ci sono acquisti di bus ecologici, l'arrivo di migranti libici e finanziamenti alla cultura. 

Il risultato di questo variopinto minestrone è che oggi, come mostrava la vispa Giorgia nel suo video, su ogni litro di benzina vanno allo stato un euro e sei centesimi (quasi i due terzi del prezzo finale). Perché oltre all'accisa di 72 cent c'è l'Iva di 34. Su un totale di 71 miliardi annui che sborsiamo per i carburanti, 38 sono le tasse. Cosicché abbiamo il gasolio più costoso d'Europa, e per la benzina siamo superati solo da Danimarca, Olanda e Grecia.

 Gli unici a fregarsene sono i maggiori consumatori di carburante: le compagnie aeree, esentasse per il loro kerosene, e i camionisti, beneficiari di sconti sulle accise per vari miliardi annui.

Ogni volta che, anche per motivi ecologici, si cerca di far pagare agli inquinanti tir almeno lo stesso prezzo dei normali automobilisti, scoppia la rivoluzione. Le lobbies degli autotrasportatori sono potentissime, nel 1973 fecero cadere più loro che Pinochet il governo Allende. E il povero presidente francese Emmanuel Macron si è visto bruciare gli Champs-Élysées dai gilet gialli quando ha provato a imporre loro la carbon tax nel 2018.

 Quindi è probabile che qualsiasi aumento delle accise ci venga fatto ingoiare, travestito da "riallineamento", sarà giustificato dal governo con le solite accuse contro Europa, verdi e Green deal. Per poi sprecare i maggiori introiti in bonus, clientele e regalie varie. Almeno il duce usò i soldi delle accise per uno scopo concreto: conquistare Addis Abeba.

Wednesday, January 11, 2023

Un piccolo capolavoro

di Mauro Suttora

Nel libro 'L'ora più dolce' di Alessandra Zenarola (ed.Tabula Fati, 2022) non succede nulla. Per questo è un piccolo capolavoro. I dieci mesi di ospedalizzazione della mamma dell'autrice non contengono colpi di scena. La fine è nota. Sono uguali alle malattie e traversie di tutte le nostre mamme ultraottantenni, fra sedie a rotelle, letti, pantofoline e badanti ucraine. Udine è uguale a tutte le altre cento città d'Italia da centomila abitanti, la vera ricchezza del nostro Paese. 

La vita di provincia tranquilla e sonnolenta, tanto noiosa quanto rassicurante, è uguale per tutti noi boomers 60enni che assistiamo la generazione precedente, i fortunati che ebbero 30 anni negli anni 60, il decennio più strepitoso del secolo scorso.

Zenarola non è una scrittrice. È un'entomologa. È capace di tenerci attanagliati alla pagina elencando tuttissimi i dettagli di una scena, in presa diretta, in tempo reale. Un'intera vita minuto per minuto: l'innaffiatoio rosa, la cena in pizzeria, il caffè alla macchinetta, il bicchiere di vino in casa. 
Dialoghi stenografici precisi, implacabili, divertenti. Humour dry, secco come quello di Jerome K. Jerome. Due donne in Friuli invece di Tre uomini in barca. Esilarante l'episodio della bara del padre/marito che il dirigente del cimitero non trova più.

A ogni capitolo il flashback di una biografia della mamma che è anche autobiografia dell'autrice. Milioni di noi possono immedesimarsi nelle vacanze in Liguria, nei soggiorni in montagna, nei paesi dei parenti dove nulla succede, in agosto come in qualsiasi giorno dell'anno.

Ma Zenarola è capace di trasformare questo nulla in un ricchissimo tutto. Racconta pomeriggi di noia, profumi di caldarroste a novembre, giornate calde o fredde, umide o piovose, amori lontani di madre e figlia, convegni di presentazione del dottissimo libro della mamma sulla storia di Fagagna. Ecco, le basta scrivere Fagagna, questo nome così buffo, per trasfigurare magicamente un paesino friulano in un luogo universale.

La media borghesia intellettuale delle Zenarolas che esisteva fino a 20-30 anni fa oggi si è numericamente ristretta. Per questo ne abbiamo nostalgia, adesso che la tenaglia sociale si è allargata: da una parte immotivate e volgari ricchezze, dall'altra nuovi lumpenproletari a 1200 mensili. Entrambi esibizionisti e infantili. Invece mamma Zenarola teneva per sè come gioielli i preziosi fogli delle sue ricerche compilate nell'archivio di stato che dirigeva.

Questo libro eleva la sociologia ad aneddoto, la narrativa è sempre superiore alla saggistica, e quindi ci fa innamorare di tutti i suoi personaggi, così veri e reali: infermiere e oss, zie zitelle, parenti timorati o scapestrati, medici solleciti oppure odiosi, fratelli capaci di riparare tapparelle, padri che corrono a giocare al casinò.
Buona lettura.

Saturday, May 01, 2021

Da Tarvisio a Gorizia, la storia raccontata attraverso i confini




















cartina © Raffaella Suttora

Suttora ricostruisce i cambiamenti nel corso delle epoche. Grande spazio alle vicende legate alle nostre frontiere

di Mauro Suttora

Messaggero Veneto, quotidiano di Udine e del Friuli, 1 maggio 2021 

Perché il confine fra Italia Slovenia sta proprio a Gorizia, e non cinque chilometri più a est o a ovest? E quello con la Francia di Ventimiglia? E da quanto tempo Chiasso separa Italia e Svizzera?

 

In tempo di nuovi sovranismi (fortunatamente non bellicosi) è utile conoscere meglio le nostre frontiere. Che non seguono sempre il crinale delle Alpi, come ci hanno insegnato a scuola.


Nel libro ‘Confini. Storia e segreti delle nostre frontiere’ (ed. Neri Pozza), in libreria dal 29 aprile, spiego ad esempio che la pipì fatta a Tarvisio, così come a Livigno (Sondrio) o a San Candido (Bolzano) finisce nel mar Nero: sono tutti pezzi d’Italia che si trovano al di là dello spartiacque, e che quindi non fanno parte del bacino del Po, ma di quello del Danubio (la val Canale attraverso il torrente Slizza e poi la Drava).


La sventurata Gorizia detiene un record mondiale: ha cambiato padrone ben sette volte in soli trent’anni, dal 1916 al 1947, fra fiumi di sangue. 

E sapete che lingua parlavano gli abitanti di Tarvisio quando nel 1918 passò all’Italia? Il tedesco in 6.400, lo sloveno in 1.680, e l’italiano in dieci. 

Ciononostante, la frontiera fu fissata al Coccau.


Gli attuali confini orientali del Friuli (e dell’Italia) sono nati nel 1509, quando l’imperatore austriaco Massimiliano strappò Plezzo, Tolmino e Caporetto a Venezia. 

Fino ad allora l’alta valle dell’Isonzo era stata romana, gota, longobarda, franca, del patriarcato di Aquileia e della Serenissima. 

Gli sloveni la popolarono nel 600, e visto che erano bravi agricoltori tre secoli dopo furono invitati dai patriarchi a coltivare anche le valli del Natisone, desertificate da epidemie e invasioni degli ungari.


Ma anche qui gli spartiacque non sono rispettati. Il Natisone nasce in Italia, poi entra in Slovenia e dopo dieci chilometri torna in Italia. 

Il torrente Uccea, viceversa, nasce dal crinale della val Resia e scorre per nove chilometri in Friuli prima di diventare sloveno e sfociare nell’Isonzo. 

Quanto allo Judrio, è un caso unico al mondo: fa da frontiera per quasi tutto il suo corso, prima tra Italia e Slovenia, e poi fra le province di Udine e Gorizia, ricalcando il vecchio confine italo-austriaco dal 1866 al 1918.


Sono tante le curiosità delle nostre frontiere. Fino al 1797, per secoli, la bassa friulana era divisa fra Venezia e Austria a macchia di leopardo, con molte enclaves: Gonars, Porpetto, Cervignano e Aquileia erano asburgiche, mentre Palmanova, Strassoldo e Grado stavano sotto Venezia.


L’attuale confine Italia-Slovenia a Gorizia, per rispondere alla domanda iniziale, segue il tracciato dell’ex ferrovia Transalpina Trieste-Vienna: l’unica altra frontiera nel mondo decisa dai treni è quella martoriata fra Siria e Turchia, che corre parallela ai leggendari binari Berlino-Bagdad.


Quanto alla Venezia Giulia, è una definizione recente, coniata nel 1863 dal glottologo Graziadio Isaia Ascoli, per distinguerla dalla Venezia Euganea (Veneto) e dalla Tridentina (Trentino). 

Ma dopo il 1945 ha dovuto cedere 112 dei suoi 127 comuni alla Jugoslavia di Tito: le intere province di Pola e Fiume, e quasi tutte quelle di Gorizia e Trieste.

Mauro Suttora

Thursday, April 29, 2021

'Confini': il senso di una linea quando nessuno rivendica più niente

Esce oggi “Confini. Storia e segreti delle nostre frontiere” (Neri Pozza) di Mauro Suttora. Una mappa geografica e mentale che racconta chi siamo

di Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 29 aprile 2021

Perché il confine italo-svizzero sta proprio a Chiasso, e non dieci chilometri più a nord o a sud? E come mai le nostre frontiere con Francia e Slovenia sono situate a Ventimiglia e Gorizia, e non cinque chilometri più a est o a ovest?

In un’epoca di sovranismi, i confini tornano d’attualità. Erano spariti con l’Europa unita e il trattato di Schengen: dopo il Duemila niente più dogane, documenti, file d’auto ai valichi. Ma sono riapparsi con il coronavirus e i controlli sui migranti. Così abbiamo dovuto riscoprire i limiti terrestri della nostra penisola. Che coincidono con le Alpi, ci hanno insegnato. Ma non sempre.

Sono molti infatti gli spartiacque non rispettati: la pipì fatta dagli abitanti di Livigno (Sondrio), San Candido (Bolzano) o Tarvisio (Udine) finisce nel mar Nero, passando per il Danubio. E in Lombardia una valle (la val di Lei, dietro Madesimo) non appartiene al bacino del Po, ma a quello del Reno.

Anche le frontiere linguistiche, oltre a quelle geografiche, sono labili. I valdostani parlano francese, i sudtirolesi tedesco, inglobiamo centomila sloveni fra Cividale e Trieste. E oltre confine 350mila svizzeri ticinesi conservano la madrelingua italiana dopo la separazione del 1515.

Sapevate che l’attuale frontiera di Ventimiglia fu decisa da un prefetto napoleonico nel 1808? O che la sventurata Gorizia, record mondiale, ha cambiato padrone sette volte in trent’anni, dal 1916 al 1947?

Il mio libro ‘Confini. Storia e segreti delle nostre frontiere’ (ed. Neri Pozza) traccia mappe geografiche, ma anche mentali. E svela qualche segreto: il generale francese Charles De Gaulle, per esempio, nel 1945 voleva annettere l’intera Val d’Aosta Contro di lui, incredibilmente, si allearono partigiani e fascisti italiani.

Insomma, innumerevoli sono le vicissitudini dei nostri confini: dal Frejus alla Val d’Ossola, dalla Valtellina al Brennero, da Cortina al Carso. Fra storia, geografia, cultura, politica. E perfino qualche suggerimento turistico ed enogastronomico.

Per questo ho scritto il libro. Perché in realtà non conosciamo affatto i nostri confini. Li attraversiamo senza accorgercene, e sappiamo poco o nulla di loro.

Ho scoperto, per esempio, che antichi e romani e longobardi non tracciavano mai i confini in cima ai valichi, ma molto più a valle. Dove le famose “chiuse” (Bard in Val d’Aosta, Klausen o Sabiona in Alto Adige, Chiusaforte in Friuli) permettevano di controllare il transito con poche decine di soldati. Nel 1800 Napoleone fu bloccato per mezzo mese dagli austropiemontesi a Bard.

Di frontiere oggi si parla soprattutto per i migranti. L’Austria ogni tanto ripristina i controlli al Brennero, la Francia è in allerta continua a Modane e Ventimiglia, Slovenia e Italia hanno istituito pattuglie miste per sorvegliare. Ma per un figlio di profughi come me (mio padre scappò nel 1944 dall’isola di Lussino, oggi in Croazia) i confini rappresentano soprattutto un incubo, fortunatamente sparito col crollo dei due totalitarismi opposti ma specularmente simili: fascismo e comunismo.

Oggi grazie a Dio nessuno sano di mente rivendica più niente. Sono spariti i nazionalisti che per secoli hanno minacciato di invadere territori oltre confine, e lo hanno fatto. Ma fino al 1989 sulla frontiera di Gorizia (fotografata sulla copertina del libro) passava la Cortina di ferro, e per quasi mezzo secolo abbiamo rischiato la guerra atomica in Europa.

È incredibile pensare come la guerra sia diventata inimmaginabile per noi nel giro di pochi decenni. Una rivoluzione culturale unica nella storia dell’umanità. Si va dal Friuli alla Croazia così come dalle Marche all’Abruzzo, sovrappensiero, senza ricordare le centinaia di migliaia di soldati morti inutilmente da quelle parti nel secolo scorso. Ma ancor oggi ucraini e russi si ammazzano per i loro confini. E sono passati solo vent’anni dalla guerra in Kosovo: i nostri soldati sono sempre lì, a guardia di frontiere contestate e famiglie minacciate.

È importante, quindi, conoscere i nostri confini. Attraverso di essi possiamo capire l’Italia, e quindi noi stessi.

Mauro Suttora


Thursday, January 02, 2020

Il solito niente, giallo di Alessandra Zenarola



Consiglio a tutti il giallo psicologico 'Il solito niente' di Alessandra Zenarola (ed. Solfanelli, 2019). Una giovane serba viene assassinata a Udine, lascia il suo bambino di 4 anni, e la commissaria Camilla Valdimares risolve brillantemente il caso.

Ma la scrittura è ancor più brillante della trama. Zenarola riesce a rendere affascinante l'addormentata vita di provincia. I poliziotti esibiscono un'accidia parastatale (tranne Camilla), le case di investigatori e investigati appaiono mediamente squallide, le loro esistenze sono immerse in solitudine, noia e mancanza di prospettive. Però il ritmo del racconto trasforma tutto, e tutto diventa seducente.

Certe similitudini sono folgoranti: "cincischiava come un pipistrello appeso al soffitto", "si era truccata per nascondere il pallore da luna islandese", "un caffè macchiato che sapeva di armadio per le scarpe", "svolgere una qualsiasi attività con Marinella Corbatto equivaleva, sul piano bio energetico, a nuotare in una vasca piena di sonnifero".

Come Maigret, la commissaria ha complicazioni private: un tumore, un amore ineffabile, un carattere pestifero. Straccia un biglietto aereo per Dublino prepagato dal suo quasi fidanzato; cosicché lui per vederla solo poche deve volare dall'Irlanda a Venezia, e poi portarla in gita fino all'isola croata di Krk (Veglia in italiano, unica scivolata del libro).

L'amante arricchito della vittima è il sospettato numero uno. Ma, come con Simenon, ci fidiamo dell'autrice e ci affidiamo completamente ai suoi ironici colpi di scena. Siamo soddisfatti già dal viaggio prima che dell'arrivo alla meta.

Altre perle: il collega commissario che "conduce gli interrogatori senza alcun nesso causale fra le domande, anche se prese singolarmente possono sembrare azzeccate", "la signora Alice, a giudicare dall'addome e da un prolasso imminente del collo e del mento, si scolava minimo due whisky tra la colazione e il pranzo", "l'odio può essere un collante indistruttibile, il disprezzo no", "il suo cervello produceva pensieri corti, destrutturati", "Vladi in versione antipatia galoppante", un cagnolino "topastro miserrimo".

Così il grigio Friuli diventa magico, e le puntate a Grado o Trieste sembrano viaggi esotici. Ci innamoriamo dell'antipatica commissaria Valdimares, e della sua autrice.
Film subito. O almeno fiction tv.
Mauro Suttora 

Saturday, March 24, 2018

I grillini epurano un altro capolista

FRIULI-VENEZIA GIULIA: IL FAVORITO PER IL VOTO REGIONALE DEL 29 APRILE 2018 ELIMINATO CON UN CLIC. RIVOLTA NELLA BASE

di Mauro Suttora

Libero, 23 marzo 2018

Ci risiamo. Ancora una volta i capi grillini hanno eliminato senza motivo un loro candidato capolista, senza dare spiegazioni. 
Dopo i clamorosi casi di Marika Cassimatis l’anno scorso e di Patrizia Bedori nel 2016, che avevano vinto le primarie per sindaco a Genova e Milano, ora è la volta dell’avvocato triestino Fabrizio Luches, 44 anni, al quale è stato impedito con un clic di concorrere a governatore del Friuli-Venezia Giulia nelle regionali del 29 aprile, prima verifica elettorale dopo il 4 marzo.

«Da mesi sei dei principali Meetup regionali mi avevano proposto come candidato. Ma all’ultimo momento sono stato escluso dalle votazioni online senza una spiegazione. Ho scritto subito allo staff della Casaleggio a Milano, ma non mi hanno risposto», racconta Luches.

Dopo una settimana, verbalmente, gli hanno spiegato che non poteva concorrere perché non si era dimesso dalla segreteria del gruppo regionale del Movimento 5 Stelle.
«Ma è una scusa: quello era un requisito solo per le candidature a Roma, non in Regione. E poi io sono un funzionario della Regione, non un dipendente del gruppo». 

E adesso farà ricorso? 
«Sono un professionista, conosco il carico di lavoro dei tribunali. Non ritengo opportuno occupare un magistrato per decidere su questioni che potevano essere risolte con una semplice risposta via mail».

Quindi cosa farà? «Mi sono dimesso dal gruppo consiliare, dove ero stato chiamato da loro a lavorare tre anni fa, fruendo di una legge che assegna funzionari della Regione per assistere i gruppi consiliari. La mia dignità personale e professionale è un limite invalicabile».

La vita dei grillini friulani e triestini è sempre stata turbolenta. Già quattro anni fa ci furono le prime epurazioni: cacciati il deputato Walter Rizzetto di Pordenone (oggi rieletto con Fratelli d’Italia, l’unico ex parlarentare grillino ad avere mantenuto il seggio) e il senatore Lorenzo Battista di Trieste. Loro avversario, proconsole della società Casaleggio, era Stefano Patuanelli, ex consigliere comunale triestino, ora neoeletto senatore e già nominato vicepresidente del gruppo.

Si respira un’aria di famiglia fra i grillini locali. Un eurodeputato voleva candidare la moglie a sindaco di Trieste, e gli attivisti insorsero accusando di Parentopoli. Ora sono due mariti di consiglieri comunali triestini a scendere in campo per le regionali. Questa volta però tutti zitti. 
Non ci sono divergenze politiche fra i gruppi rivali, solo personalismi. Eliminato Luches, non ci sono state neppure le primarie. È rimasto un candidato unico, il ricercatore universitario Alessandro Fraleoni Morgera, 48 anni, ex iscritto ad Alleanza nazionale, imposto direttamente da Luigi Di Maio e Casaleggio junior.

Ma fra i grillini è la rivolta. Protestano in tanti: Matteo Muser, ex candidato sindaco a Tolmezzo (Udine), si è dimesso; Kascy Cimenti, primo dei votati alle regionali per l'alto Friuli ha rinunciato alla candidatura e ha abbandonato il movimento; Elisabetta Maccarini, vicepresidente del consiglio comunale di Monfalcone (Gorizia), dice: «Speravo in un errore informatico, Fraleoni non lo conosce nessuno». 
«Luches invece è un attivista di lunga data, conosciuto dai territori, dagli attivisti, dai portavoce e da moltissimi cittadini del Friuli Venezia Giulia, persona incredibilmente preparata e competente. Sono estremamente imbarazzato», dice Muser.

Depennata dalla lista dei candidati pure una consigliera comunale udinese, Claudia Gallanda. A Udine anche Elena Porzio ha lasciato il movimento.

Insomma, un terremoto aggravato anche dal risultato scarso alle politiche in regione: appena il 24%. Il Meetup di Trieste aveva 850 iscritti, adesso gli attivisti sono solo 230. E alle primarie i candidati più votati hanno avuto al massimo un centinaio di preferenze: niente, in una regione con oltre un milione di abitanti.

Commenta amaro con Libero Luches, che ha una vasta esperienza su urbanistica, ambiente, diritto amministrativo e fisco degli Enti locali, e che proprio per questo era stato cercato dai grillini: «Forse ho pagato un eccesso di competenza, in un’organizzazione che predica una linea di trasparenza e poi nei fatti ne porta avanti un’altra, diametralmente opposta».
Mauro Suttora


Thursday, February 18, 2016

L'orrenda fine di Giulio Regeni

IL CORPO DEL GIOVANE TORTURATO È TORNATO NEL SUO FRIULI

di Mauro Suttora

Oggi, 18 febbraio 2016

Alla fine, purtroppo, è stato trovato. Il corpo nudo e atrocemente mutilato di Giulio Regeni era in un fosso lungo la strada dalla capitale egiziana Il Cairo ad Alessandria. Proprio all’inizio, alla periferia del Cairo.

La macabra scoperta ha causato un incidente diplomatico con Roma. Il ministro Federica Guidi, che in quel momento si trovava in Egitto in missione diplomatica con un gruppo di nostri imprenditori, ha interrotto la visita ed è rientrata in Italia.

Il corpo recuperato mostrava chiari segni di tortura: contusioni e abrasioni in tutto corpo, come quelle causate da un grave pestaggio, lividi estesi provocati da calci, pugni e da una probabile aggressione con un bastone.

Si contano quasi trenta fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, e poi gambe, braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti.

Insomma, il povero Giulio è stato picchiato selvaggiamente. Ci sono segni di coltellate multiple sul corpo, comprese le piante dei piedi, forse inferte con un rompighiaccio o con un altro strumento contundente, come un punteruolo.

E poi i tagli: numerosi, su tutto il corpo, causati da uno strumento tagliente. Un rasoio o un coltello? Le prime indagini non lo specificano.

Scusate se insistiamo con i particolari macabri, ma è necessario capire la brutalità selvaggia subìta da Giulio. Sono state riscontrate bruciature di sigarette, e una più grande tra le scapole. Addirittura incisioni somiglianti a vere e proprie lettere: l’autopsia ha rivelato una emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata dopo un violento colpo al collo, che sarebbe stata la causa finale della morte.
Purtroppo il calvario di Giulio si presume sia durato vari giorni.

Il funerale del giovane ricercatore friulano si è svolto a Fiumicello (Udine) il 12 febbraio. Un’enorme folla si è stretta ai genitori, che ora chiedono la verità alle autorità egiziane.

Mauro Suttora

Monday, April 11, 2005

Complete catalogue of Manhattan asses

The New York Observer
Mauro Suttora
April 11, 2005
“Hey, Marsha, read this: The Italian Supreme Court has given 14 months to a guy who bottom-pinched a young woman while she was calling from a phone booth in the Friuli region!”
My Upper East Side girlfriend raises her left eyebrow without smiling: “No wonder …. You come from there, don’t you?”
“Well, it’s a civilized region, no Mafia, hard workers. But this is an incredibly harsh sentence, it’s the first time that some jerks equate ass-touching to violence. It’s a total novelty for us! I guess the impact of this decision will be felt by buttocks all over our sunny peninsula …. "
“Don’t be sarcastic, I bet the pig totally deserved it.”
“Well, it’s a real revolution for Italy. The first one since Benito Mussolini invented fascism after First World War.”
I swear: I never pinch unknowns, nor I get pinched. I dread physical contact of any kind between strangers, unless they are adults, willing, introduced. And protected. That’s how germs travel. But these judges drive me crazy.
“So, Marsha, tell me: How many years of prison should we give rapists, if we are punishing aggressive caressing with more than one year? How much worse is rape than pinching? One hundred times?”
“Yes …. “
“So are Italian judges giving life sentences to rapists? No way. They keep giving 10 or 20 years. There’s no proportion!”
Bottom-pinching has suddenly turned into the least cost-effective way to get pleasure for a man (or a woman) in Italy. Imagine: one year and two months behind bars for just one second of a mere tactile passing satisfaction, involving only the fingertips of one hand.
Of course, we all know there are many different ways of going into it. I ignore the details of the historical and hysterical Friuli ruling, but I hope at least that the judges’ draconian severity was justified by the length of the contact. Or maybe by the use of both hands simultaneously: That would have made a spectacular grip.
I am sure our bon vivant premier Silvio Berlusconi would have been much more lenient with the unlucky pervert. First of all because, like half Italians, should he be forced into groping, he’d certainly prefer other body parts. He would go straight for the breast, the California governor’s way, more than for the back. 
His three television channels have been advocating big tits in the past quarter century, totally subverting the previous 20 years of anorexic fad, and recuperating the healthy tradition established by Sophia Loren and la Lollobrigida in the roaring 50’s.
Notwithstanding his TV brainwashing, our country remains evenly divided between bosom and bottom lovers. Our current main movie star, Monica Bellucci, climbed to fame thanks to a memorable mute scene of her promenading her legendary behind in Giuseppe Tornatore’s movie Malena. No words were needed for her presence on the screen.
Another recent movie which tackled the problem of sexual harassment in contemporary Italy is Under the Tuscan Sun. Diane Lane, starring in it, gets overwhelmed by Italian men as soon as she arrives in Rome. Now, I have to warn American tourists that reality in our streets is much duller. As a matter of fact, although Mrs. Lane would have deserved some punishment for cheating on husband Richard Gere in her previous movie Unfaithful, she gets less action in Trastevere than in Soho.
So, it’s all clichés? I’d say so. The only escape for today’s groper is doing it in an environment so crowded to reduce risks to the minimum. Subways and buses at peak time, for example, deploying what we call mano morta (“wandering hand”), which can always be excused as an involuntary contact. Although being restrained by education or fear doesn’t mean that my countrymen have canceled their centuries-old fetish for the lower back.
Fame, in any case, travels: “But I thought you were Italian … ,” whispered to me once a disappointed American woman (not Marsha, I swear) after we kissed standing, without my gentleman’s hands touching her where she was hoping. “You were supposed to sweep me away!” Go tell those Italian judges, lady. They are becoming so P.C. they might be American.
Italian philosopher Massimo Fini, in his Erotic Di(ction)ary, has listed more than a dozen different types of bottoms. According to him, “we can detect someone’s personality just by looking at his/her gluteus.”
But he goes more deeply than that. He turns anthropological: “Men, as we all know, are divided in two categories: the ones who love the breast (bosomen) and the ones who prefer the ass (bottomen). The first ones generally belong to coarse cultures, not so shrewd, childishly pragmatic, primitive, matriarchal, strongly tied to the woman-mother image and in any case too young for having had the time to develop adequate speculative skills. Bosomen are, for example, the Americans. Europe, the cradle of civilization, is on the contrary bottoman. Venus, the goddess of love and beauty, was surnamed ‘Callipygian’ from the Greek kallopygos (kallos, beautiful + pyge, buttock), and was born together with philosophy and mathematics. For a reason: because the ass is in the first place a metaphysical category. It possesses the geometrical perfection of abstract figures. Its form is similar to the sphere, which is the perfect geometrical concept. But it surpasses it, because it has something that the sphere lacks: symmetry. Like the sphere, it’s an object at the same time finite and infinite. And, because it is curved, the ass is very near to the essence of the truth (‘Every truth is curved,’ said Friedrich Nietzsche).”
This precious Massimo Fini’s book was written in 2000: well before the manifesto of the Bush-era intelligentsia, Of Paradise and Power, the neocon Bible in which Robert Kagan confirms that Europeans are from Venus and Americans from some other unfortunate cold, reddish and ass-less planet.
Mr. Fini goes on explaining: “Encapsulated in the ass, there lies the enigma of the relationship finite/infinite, space/time, which after all is the enigma of the whole universe. It’s no coincidence that Salvador Dali, when asked how he imagined the universe, replied: ‘As a four buttocks continuum.’ How this worrying apothegm, so charged with symbolic meanings, was dropped to the end of men’s back and, even worse, women’s, is a mystery. But here comes again the great ambiguity of the ass: being not human for the perfection of its proportions, it is at the same time very human. Because perfection is inherently blank, inexpressive, while the bottom is the body’s most eloquent part. The ass signals not only somebody’s character, but also his/her belonging to a particular class of people.”
So, with the help of my friend Massimo Fini, I have been trying to come up with a Manhattan ass map. We have, first of all, the typical Upper East Side ass, which I know all too well (it’s Marsha’s): cautious and stingy, with narrow apples, like usually in Italy the Tuscans have. 
The East Village behind on the contrary is trustworthy and hopeful: round, fat and with slightly open buttocks. The midtown is an aggressive one: firm and massive like a mountain range. Around Murray Hill, Beekman Place and Tudor City you find the volitive ass, small and muscular: And it doesn’t belong only to U.N. functionaries, diplomats and their spouses.
The Upper West Side is of course the conversational ass: elastic and malleable. Carnegie Hill can boast the noble one: high, long and with a small relief. Working-class asses (low and large) are unfortunately rare in Manhattan, but a few survive in the Lower East Side. The City Hall behind is unavoidably bureaucratic: fat and shapeless. 
Around Washington Heights the proletarian ass is large and high, while in Park Avenue you sometimes get the military one: narrow and muscular. Wall Street offers petty and fearful asses, which are skinny without being bony; from Hell’s Kitchen up to Columbus Circle and Lincoln Center you get the indifferent ass, small and curled up; the Village’s ass is usually laughing (large and flat); but the West Village one comes rather naughty: round, with a step and quivering. 
And in the end we have the submissive ass, which I couldn’t find any particular geographical liaison to. It’s the one which shows two tender folds between the buttocks and the thighs, and is round without being excessive. This is the real ass. The ass of asses. Because it possesses at the maximum level the two main features which are typical of each and every ass: defenselessness and ridicule (“The cheerful impotence of the bum,” described it Jean-Paul Sartre, another philosopher in the field).
Yes, the ass is helpless, because it can’t see: It can only be seen. It is harmless because it doesn’t have corners. It is defenseless because it doesn’t have brawn: Anybody can outrage it. It is naked and exposed because it’s hairless. And above all it is funny, like all things big but clumsily coward, maintains Massimo Fini, the maximum ass expert on our planet (neocons are from Mars).
Due to this marriage of powerlessness and foolishness, our behinds are the body part most relished by sadists. Nothing gets beaten up as much as the ass. Or at least pinched. But we have to say that it almost always does things to deserve it. It provokes: “Sometimes it shows up with an air of false innocence, some other time with impertinence, often times with arrogance, and a few times it even isolates itself, it doesn’t let on, pretending to ignore being an ass,” complains Massimo (whom at this point we can nickname ‘”My-ass-imo”).
All these attitudes draw an adequate punishment. Which the ass, after a first token resistance, seems to accept eagerly, as it bends, protrudes, opens, offers itself. Let’s confess: The ass is deeply, intimately masochist.
But the real reason behind the Italian behind-pinching penchant is that in the ass we find the ultimate element attracting the sadist: perfection. It is perfection which triggers the desire for profanation. Only things perfect merit to get damaged, violated, reviled (“A**hole!”) in order to downgrade them into imperfect ones. This is, also, the utmost demonstration of the enormous superiority of the ass on the breast. Breasts get caressed, fondled, pampered; at the worst you kindly nibble a nipple. Only a pervert would pinch them less than gently. But this is just to console them for their insignificance, for their being only breasts. While in the perfection of the ass lies a devilish pride which has to be brought down. 
The ass has become so omnipotent that in the U.S. it is nowadays widely and wildly used as a comprehensive synonym for pleasure: It stands for words such as sex, action, excitement, girls, boys, fun, quick love, cheap romance. “Let’s grab some ass tonight” is the most common single sentence used in contemporary American campuses. I learned this while reading I Am Charlotte Simmons by Tom Wolfe, the one and only novel I understand President George Bush junior has been enjoying recently.
So we can jail all ass-grabbers of the world as much as we want, and give them disproportionate penalties, but we’ll never be able to kill the will to touch down there. The maximum we can achieve is to inhibit it: for our behinds are too precious and glamorous not to be pinched, after all.
Mauro Suttora

Friday, January 18, 1991

Il Friuli per il federalismo

IL CONSIGLIO REGIONALE CONDANNA A MORTE LO STATO CENTRALISTA


“Federalismo”, è la parola d’ordine del presidente Adriano Biasutti. Un neoleghista? Macché. Vuole solo affettare l’Italia, per servirla con contorno di Verdi. Ma non a Bossi


dal nostro inviato a Udine Mauro Suttora


Europeo, 18 gennaio 1991


Ottimo, il prosciutto crudo di Sauris. Delizioso quanto quello di San Daniele, l’altro rinomato affettato friulano. Non per nulla Adriano Biasutti, presidente dc del Friuli-Venezia Giulia, si è rifugiato proprio nella sua casa di montagna in questo paesino della Carnia dopo le polemiche sulla sua ultima clamorosa presa di posizione. Che, sintetizzata e tradotta dal politichese, si può riassumere in: “Facciamo a fette la penisola”. Per affettare meglio la Lega lombarda, spera sotto sotto l’intelligente Biasutti.


Non sono solo manovre di salumeria. Perla prima volta nella storia d’Italia il 19 dicembre 1990 una regione ha chiesto solennemente la sepoltura dello Stato centralista dopo 130 anni di vita. Passando, ovviamente, anche per la liquidazione della Prima repubblica. “L’Italia deve diventare uno Stato federale”, proclama la mozione approvata dal consiglio regionale friulano, con il sì di Biasutti. 

Non è certo una secessione come quella appena decisa dai vicini del Friuli, gli sloveni, contro la loro capitale Belgrado. Ma, se la parola “federalismo” ha un senso, è comunque un’intera regione che passa dalla parte di Umberto Bossi.


Lo spumante natalizio ha messo un po’ il silenziatore a questa rivolta contro Roma dell’estrema “marca nordorientale”. Ma il fuoco cova sotto la cenere. E l’incendio si sta spostando dalla Lombardia, dove ormai un terzo degli elettori è con la Lega, a tutto il Nordest. 

Ecco cosa dichiara il presidente della giunta veneta Franco Cremonese, dc: “Aumenta la domanda di autonomia… Il centralismo è sempre più insufficiente, povero di idee, incapace”. E Umberto Carraro, psi, presidente del consiglio regionale veneto, propone di eliminare ministeri come la Pubblica istruzione e l’Agricoltura, trasferendone le competenze alle regioni. 

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