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Saturday, March 24, 2018

I grillini epurano un altro capolista

FRIULI-VENEZIA GIULIA: IL FAVORITO PER IL VOTO REGIONALE DEL 29 APRILE 2018 ELIMINATO CON UN CLIC. RIVOLTA NELLA BASE

di Mauro Suttora

Libero, 23 marzo 2018

Ci risiamo. Ancora una volta i capi grillini hanno eliminato senza motivo un loro candidato capolista, senza dare spiegazioni. 
Dopo i clamorosi casi di Marika Cassimatis l’anno scorso e di Patrizia Bedori nel 2016, che avevano vinto le primarie per sindaco a Genova e Milano, ora è la volta dell’avvocato triestino Fabrizio Luches, 44 anni, al quale è stato impedito con un clic di concorrere a governatore del Friuli-Venezia Giulia nelle regionali del 29 aprile, prima verifica elettorale dopo il 4 marzo.

«Da mesi sei dei principali Meetup regionali mi avevano proposto come candidato. Ma all’ultimo momento sono stato escluso dalle votazioni online senza una spiegazione. Ho scritto subito allo staff della Casaleggio a Milano, ma non mi hanno risposto», racconta Luches.

Dopo una settimana, verbalmente, gli hanno spiegato che non poteva concorrere perché non si era dimesso dalla segreteria del gruppo regionale del Movimento 5 Stelle.
«Ma è una scusa: quello era un requisito solo per le candidature a Roma, non in Regione. E poi io sono un funzionario della Regione, non un dipendente del gruppo». 

E adesso farà ricorso? 
«Sono un professionista, conosco il carico di lavoro dei tribunali. Non ritengo opportuno occupare un magistrato per decidere su questioni che potevano essere risolte con una semplice risposta via mail».

Quindi cosa farà? «Mi sono dimesso dal gruppo consiliare, dove ero stato chiamato da loro a lavorare tre anni fa, fruendo di una legge che assegna funzionari della Regione per assistere i gruppi consiliari. La mia dignità personale e professionale è un limite invalicabile».

La vita dei grillini friulani e triestini è sempre stata turbolenta. Già quattro anni fa ci furono le prime epurazioni: cacciati il deputato Walter Rizzetto di Pordenone (oggi rieletto con Fratelli d’Italia, l’unico ex parlarentare grillino ad avere mantenuto il seggio) e il senatore Lorenzo Battista di Trieste. Loro avversario, proconsole della società Casaleggio, era Stefano Patuanelli, ex consigliere comunale triestino, ora neoeletto senatore e già nominato vicepresidente del gruppo.

Si respira un’aria di famiglia fra i grillini locali. Un eurodeputato voleva candidare la moglie a sindaco di Trieste, e gli attivisti insorsero accusando di Parentopoli. Ora sono due mariti di consiglieri comunali triestini a scendere in campo per le regionali. Questa volta però tutti zitti. 
Non ci sono divergenze politiche fra i gruppi rivali, solo personalismi. Eliminato Luches, non ci sono state neppure le primarie. È rimasto un candidato unico, il ricercatore universitario Alessandro Fraleoni Morgera, 48 anni, ex iscritto ad Alleanza nazionale, imposto direttamente da Luigi Di Maio e Casaleggio junior.

Ma fra i grillini è la rivolta. Protestano in tanti: Matteo Muser, ex candidato sindaco a Tolmezzo (Udine), si è dimesso; Kascy Cimenti, primo dei votati alle regionali per l'alto Friuli ha rinunciato alla candidatura e ha abbandonato il movimento; Elisabetta Maccarini, vicepresidente del consiglio comunale di Monfalcone (Gorizia), dice: «Speravo in un errore informatico, Fraleoni non lo conosce nessuno». 
«Luches invece è un attivista di lunga data, conosciuto dai territori, dagli attivisti, dai portavoce e da moltissimi cittadini del Friuli Venezia Giulia, persona incredibilmente preparata e competente. Sono estremamente imbarazzato», dice Muser.

Depennata dalla lista dei candidati pure una consigliera comunale udinese, Claudia Gallanda. A Udine anche Elena Porzio ha lasciato il movimento.

Insomma, un terremoto aggravato anche dal risultato scarso alle politiche in regione: appena il 24%. Il Meetup di Trieste aveva 850 iscritti, adesso gli attivisti sono solo 230. E alle primarie i candidati più votati hanno avuto al massimo un centinaio di preferenze: niente, in una regione con oltre un milione di abitanti.

Commenta amaro con Libero Luches, che ha una vasta esperienza su urbanistica, ambiente, diritto amministrativo e fisco degli Enti locali, e che proprio per questo era stato cercato dai grillini: «Forse ho pagato un eccesso di competenza, in un’organizzazione che predica una linea di trasparenza e poi nei fatti ne porta avanti un’altra, diametralmente opposta».
Mauro Suttora


Wednesday, October 23, 2013

Grillo è stufo?

QUANTI GRATTACAPI PER IL FONDATORE DEI 5 STELLE

Diktat sui clandestini. Sanzioni ai dissidenti. Capilista benemeriti eliminati. Nessuna democrazia. I grillini sono in panne. Ma dicono: «La colpa non è di Beppe, i danni li fa Casaleggio»

Oggi, 16 ottobre 2013

di Mauro Suttora

«Ha perso la testa». Questo è il commento più comune fra gli sconsolati attivisti del Movimento 5 stelle (M5s). Si riferiscono non a Beppe Grillo, fondatore e padre-padrone del movimento, ma al suo guru Gianroberto Casaleggio: è lui a gestire, in concreto, il secondo partito italiano.

Grillo si sta stufando del suo giocattolo. I 150 parlamentari eletti a febbraio fanno troppo di testa loro. Due senatori sono riusciti a sconfiggere il Pdl facendo passare in commissione un proprio emendamento che abolisce il reato di clandestinità per gli immigrati.

Rottura con Dario Fo e Marco Travaglio

Apriti cielo: il giorno dopo Casaleggio li ha sconfessati pubblicamente, con un diktat firmato anche da Grillo. Risultato: rivolta sia dei parlamentari, sia degli attivisti. E rottura con tutti: Dario Fo, Marco Travaglio, il quotidiano Il Fatto (l’unico vicino ai grillini). Sembra che Casaleggio sia posseduto da un «cupio dissolvi», una mania autodistruttiva. Che ha già fatto fuori Stefano Rodotà (candidato 5 stelle al Quirinale in aprile), Milena Gabanelli (la più votata per quella stessa carica), Emma Bonino (anche lei fra i presidenziabili, e antesignana della lotta contro il finanziamento pubblico ai partiti).

Sede vicino a via Montenapoleone

Il pugno di ferro di Casaleggio si fa sentire anche all’interno del movimento. La gestione apparentemente libertaria (niente statuti, sedi, dirigenti, funzionari), in realtà è quasi stalinista. Vietato ogni minimo dissenso. Casaleggio, dalla sede della sua società in centro a Milano (fra Montenapoleone e Mediobanca, zona di lusso da 20mila euro a metro quadro, alla faccia della polemica contro i «poteri forti»), si spinge a telefonare personalmente a consiglieri comunali (quello di Trieste Stefano Patuanelli) per chiedere condanne pubbliche contro i dissidenti (il senatore del Friuli-Venezia Giulia Lorenzo Battista).

Il ricatto: se non si obbedisce, il simbolo M5s viene ritirato (è di proprietà di Grillo e Casaleggio). La gestione del partito è familistica: il nipote di Grillo ne è vicepresidente, il figlio di Casaleggio guida un orwelliano e anonimo «Staff» che da Milano comanda tutti a bacchetta.

Basilicata: eliminato l’eroe verde

L’ultima scivolata: il candidato capolista alle imminenti regionali in Basilicata (17 novembre) Giuseppe Di Bello, tenente della polizia provinciale, cancellato dalla lista perché condannato in primo grado a due mesi per «rivelazione di segreto d’ufficio». Vincitore alle primarie online, Di Bello è stato poi cacciato per la regola che vieta la candidatura di condannati. Peccato che il reato da lui commesso sia in realtà una medaglia: i dati «rivelati» riguardano l’inquinamento del lago Pertusillo, che fornisce acqua potabile alla regione. Di Bello, assieme a Maurizio Bolognetti (che sarà invece capolista radicale) è considerato un eroe dagli ecologisti locali. Solo per i ciechi burocrati di Casaleggio è un poco di buono.

I sondaggi continuano a dare i 5 stelle al 20%. Grazie ai passi falsi degli altri partiti, il movimento è ancora visto come l’unico voto di protesta. Ma al suo interno si sfalda. Da anni Casaleggio promette una «piattaforma» online per prendere le decisioni in maniera democratica. Ma non arriva mai, quindi decidono tutto lui e Grillo.

Alcuni eletti hanno messo a punto un «Parlamento elettronico» per mantenere l’impegno con gli elettori di consultarli sempre sulla Rete: si considerano infatti semplici «portavoce dei cittadini». Hanno raccolto 160 mila euro per realizzarlo, dalla Cina sono arrivate le chiavette per il riconoscimento, come quelle delle banche (Casaleggio invece gestisce i voti online dal suo server privato). Ma il giorno dopo la presentazione ufficiale, Casaleggio li ha bocciati.

Si contraddicono su Napolitano

Imbarazzo perfino per la fedelissima Paola Taverna, la «poetessa», nuova capogruppo al Senato dopo Vito Crimi. È andata a presentare al presidente Giorgio Napolitano il piano carceri del M5s che potrebbe evitare l’amnistia avversata dai grillini. Ma il giorno dopo Casaleggio mette sul blog una richiesta di impeachement contro Napolitano. Come si fa a dialogare con un presidente, se lo si considera un farabutto da cacciare?
Mauro Suttora