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Wednesday, September 24, 2014

L'orsa Daniza

DOPO LA SUA MORTE, CHE FINE FARANNO I SUOI CUCCIOLI?

Oggi, 15 settembre 2014

dall'inviato a Trento Mauro Suttora

Morta l’orsa Daniza, ora tutta l’attenzione è per i suoi due cuccioli. Sopravviveranno all’inverno? Riusciranno a trovare un posto tranquillo dove accomodarsi nel loro primo letargo? Stanno accumulando abbastanza grasso per non morire d’inedia?

L’Italia intera sembra diventata esperta di plantigradi. Il più pessimista è Cesare Patrone, capo del Corpo Forestale dello Stato, che da Roma avverte: «I due piccoli sono in grave pericolo, non sono svezzati. Rischiano di morire».

E allora, tutti gli animalisti della penisola a controllare su enciclopedie e Google: a quanti mesi le mamme orse smettono di allattare? Cinque. Quindi i cuccioli, nati a febbraio e pesanti già 28 chili, sarebbero salvi. Però il latte materno si affianca al cibo normale per molto tempo ancora, addirittura fino ai due anni e mezzo. Quindi gli orsacchiotti ne saranno deprivati. E in ogni caso: come faranno a procurarsi il cibo da soli? Era Daniza a provvedere, con i raid su pecore e galline che l’hanno inguaiata. «Ma gli orsi sono onnivori. E la carne rappresenta solo una piccola parte della loro dieta. In realtà sono per tre quarti vegetariani», ribattono gli ottimisti.

La Provincia di Trento, barricata nel palazzo di fronte alla stazione, emette comunicati ufficiali a ritmo giornaliero: «Il personale forestale ha accertato, tramite avvistamento diretto, che i due cuccioli dell’orsa Daniza si sono riuniti e vengono monitorati in queste ore in maniera continuativa mediante la radiotelemetria». Uno, infatti, è stato catturato con la mamma e gli hanno applicato un microchip prima di rilasciarlo.

In città c’è un clima surreale. Da un momento all’altro si temono blitz degli animalisti più aggressivi, la polizia è all’erta, i vigili danno un’occhiata perfino ai cestini dei rifiuti: forse temono petardi a orologeria. In realtà alla manifestazione di domenica in piazza Duomo si sono sdraiate per terra poche persone, qualche decina, e la metà provenienti da fuori.

Ma il furore collettivo che si è scatenato online dopo la morte di Daniza ha spaventato diverse persone. Daniele Maturi, innanzitutto, il cercatore di funghi di Pinzolo (Trento) aggredito dall’orsa a Ferragosto. Soprannominato «Carnera» per la stazza, ma soccombente con graffi nel duello. Stefano Fuccelli, presidente del Pae (Partito animalista europeo), adombra addirittura un complotto: «Maturi è dipendente delle funivie, e guarda caso c’è un progetto per ampliare l’area sciistica dopo il collegamento con Madonna di Campiglio». Il povero Maturi è distrutto: «Continuo a ricevere insulti e minacce, non ce la faccio più».

Ha invece reagito Ugo Rossi, presidente della Provincia di Trento, di fronte alle richieste di dimissioni e agli attacchi di politici nazionali, da Michela Vittoria Brambilla a Beppe Grillo: «Bieca demagogia. Siamo gli unici in Italia ad aver accettato il progetto di reintroduzione dell’orso. Ci dispiace per Daniza, ma ora abbiamo 40-50 esemplari di una specie che quindici anni fa stava per estinguersi».

Daniza, 19 anni (50/60 in termini umani), è una dei dieci orsi sloveni liberati nel parco Brenta-Adamello attorno al 2000. Ambientatasi benissimo, era la più prolifica: ben 17 cuccioli in sei parti. Però era anche la più vivace.
 
Scherza lo psicologo Giuseppe Raspadori: «Dopo un anno si era già liberata del radiocollare, vagava liberamente nella selva, faceva perdere le sue tracce, si accoppiava compulsivamente nella promiscuità delle zone più impervie. Poi ricompariva portando al proprio seguito due cuccioli, a volte tre, evviva la fertilità selvaggia, nei confronti dei quali mostrava inadeguate capacità genitoriali, tanto che uno dei suoi piccoli finiva i suoi pochi giorni in mezzo alla provinciale della val Rendena.

«Insomma, Daniza era affetta da iperattività, ed era portatrice di sintomi di disturbo borderline di personalità. In una società in cui si sottopone a screening psichiatrico l’adattabilità dei bambini alla didattica degli insegnanti, è più che legittimo che anche l’orso debba pagare il suo ticket al privilegio dell’antropizzazione. Daniza, purtroppo, non aveva fatto alcunché per acquisire una più consona competenza emotiva, e dopo essersi sottratta all’amplesso con il fungaiolo lasciandolo ferito e spaventato, si sfogava negli ovili con le pecore».

Scherzi a parte, la fucilata che doveva solo addormentarla con l’anestetico l’ha ammazzata. E adesso mezza Italia minaccia addirittura di boicottare il turismo nel «Trentino assassino».
Mauro Suttora

Friday, December 31, 1999

Elda Lunelli: la regina degli spumanti compie 90 anni

LA CAPOSTIPITE DELLA FAMIGLIA DEGLI SPUMANTI FERRARI CI RACCONTA LA SUA STORIA

dal nostro inviato a Trento Mauro Suttora

Oggi, 17 dicembre 1999

Ha appena festeggiato i 90 anni, ma da 65 ogni giorno va a lavorare nella sua enoteca, saluta i clienti, controlla la cassa, firma i documenti (ha la carica di amministratrice unica) e porta l’incasso in banca. È Elda Prada Lunelli, la matriarca della dinastia (cinque figli e sei nipoti: «Ne ho fatti più io di loro», scherza) famosa perché produce lo spumante Ferrari, il più venduto in Italia con Berlucchi fra quelli a metodo classico (champenois). E fra i primi dieci in Europa, ormai: nulla più da invidiare agli champagne, dei quali il Ferrari non può usare il nome soltanto per la Denominazione di origine controllata (Doc) che protegge i francesi.

Quattro milioni e 300 mila bottiglie vendute nel 1999, con ritmi di aumento del 20 per cento annuo: «La crescita potrebbe essere anche maggiore, ma preferiamo garantire la qualità piuttosto che inseguire la quantità», ci spiega il primogenito Franco Lunelli, 64 anni, nella sede in stile californiano delle cantine Ferrari accanto all’autostrada del Brennero, all’altezza di Trento. Nel centro della città, in largo Carducci, sua mamma segue l’enoteca di famiglia: ogni mattina e ogni pomeriggio si reca in negozio assistita dalla figlia Carla e dalla nipote Alessandra, diciannovenne universitaria di Economia e commercio. E tutti gli altri figli (Giorgio, Mauro, Gino) dirigono l’azienda.

Appena sposata con Bruno Lunelli, nel 1934, la signora Elda si dedica alla bottega, che allora si chiamava «mescita». Durante la guerra rimane sola con i figli, suo marito finisce a combattere sul mar Baltico, ma lei non si arrende: «C’era poca roba da vendere, da comprare e da mangiare, ma il negozio l’ho voluto tenere aperto lo stesso».

La svolta arriva nel 1952, quando Bruno Lunelli fa la pazzia di acquistare il marchio dello spumante Ferrari di Trento, soffiandolo a concorrenti come la grande Motta di Milano, per una cifra allora enorme: 30 milioni di lire (due-tre miliardi di oggi).
 
«È stata la scommessa più importante della nostra vita», ricorda la signora Elda, «perché quei soldi in realtà mio marito non li aveva: metà se li fece prestare dalle banche, per l’altra metà firmò cambiali. E in cambio di nulla: soltanto il ‘nome’ Ferrari, aveva comprato. Ma il mio Bruno possedeva un dono: ovunque toccava faceva affari. Così, già il primo anno aumentò la produzione da ottomila bottiglie a ventimila. E dopo due anni i debiti erano pagati».

Negli anni Sessanta le bottiglie Ferrari diventarono 80mila all’anno, negli anni Settanta 300mila, nel 1982 si toccò il milione, nel ‘91 tre milioni e oggi, oltre allo spumante, la famiglia Lunelli produce anche l’acqua minerale Surgiva, la grappa Segnana e il vino Lunelli. 

La signora Elda festeggia ogni anno il Natale radunando i parenti nella sua casa in centro, dove dopo la morte del marito (quasi trent’anni) fa vive con la sorella 87enne: «Quest’anno, però, eravamo in troppi, così siamo andati in una sala dell’azienda».

Hanno brindato con le bottiglie della Riserva Ferrari, otto anni d’invecchiamento: le stesse con cui festeggeranno per primi il nuovo millennio il re di Tonga e il presidente di Kiribati, le isole del Pacifico dove l’alba del Duemila anticiperà tutto il mondo. Gliele hanno spedite i Lunelli da Trento, che per diplomazia hanno declinato l’invito del re di Tonga a brindare assieme a lui: sarebbe stato uno sgarbo per Kiribati, che contende all’altra isola il primato geografico.

Sono molto attenti alle relazioni internazionali, i Lunelli. Così lo spumante Ferrari è finito su tutte le tavole che contano al mondo, da Reagan a Gorbaciov, da Mitterrand alla Thatcher e a ogni summit internazionale. 

Un’altra particolarità: il Ferrari non si è mai fatto réclame. Niente pagine pubblicitarie sui giornali, niente spot in Tv: «Ci basta il passaparola», dicono sornioni a Trento. E nonna Elda brinda con la «schiava», un calice di spumante allungato con acqua.

Mauro Suttora