PROPOSTA: RIDURRE SPRECHI E BUROCRATI
Le due regioni sono separate dal 1963, ma ora c'è chi vuole fare marcia indietro. Perché con il federalismo non si può essere piccoli
Campobasso, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora
Buone notizie, una volta tanto, sul fronte sprechi: un comitato chiede l’abolizione di un ente inutile invece della sua «salvezza».
A Campobasso è nato il gruppo «Majella madre», dal nome del monte che sia abruzzesi sia molisani considerano il proprio simbolo, più del Gran Sasso che sta troppo a nord.
Propone la cancellazione della regione Molise (appena 320 mila abitanti, come un quartiere di Roma o Milano) e la riunificazione con l’Abruzzo, da cui si separò nel 1963. Tanto più che la seconda provincia molisana, Isernia, nata nel ’70, dovrebbe essere abolita, avendo solo 88 mila abitanti.
Peggiore buco sanitario
Il promotore è Sergio Sammartino, docente di filosofia e giornalista (Il Tempo, Avanti). Proprio lui, figlio di quel senatore Remo Sammartino che, in Parlamento per trent’anni, fu uno dei padri dell’autonomia. «Ma poi, visti i risultati, si era pentito», dice Sammartino: «Il Molise è inefficiente, ha il peggior buco sanitario pro-capite in Italia dopo Lazio e Campania. Per questo dovrà aumentare l’Irpef regionale. Produce trenta euro ogni cento spesi: una politica fallimentare, basata sull’assistenzialismo pubblico. Eppure i suoi dirigenti sono capaci di spendere 150 mila euro in due giorni per la “Festa della regione”… Non c’è niente da festeggiare. Con il federalismo, il Molise dovrà accorparsi a un’altra regione. Non siamo autosufficienti. Si è parlato di Puglia o Campania. Ma vogliamo diventare ancor più “meridionali”, o preferiamo tornare a dov’eravamo prima del ’63, ed essere più “settentrionali”? Da allora l’Abruzzo si è sviluppato, oggi è ricco il doppio di noi».
Il presidente del comitato è Enzo Delli Quadri, già manager Alfa, Ansaldo, e direttore centrale dell’Enea. Gli «unionisti» stanno guadagnando consensi, in entrambe le regioni ed entrambi gli schieramenti: dal consigliere regionale molisano Michele Petraroia (Pd), a quello abruzzese Giuseppe Tagliente (Pdl).
Se ne parla nella famiglia di Alessandra Mastronardi, la giovane attrice de I Cesaroni, il cui padre Luigi di Agnone (Isernia) è favorevole. Un altro molisano famoso (genitori di Salcito, Campobasso), l’attore e produttore Massimo Ciavarro, taglia corto: «Sono favorevole a tutto ciò che diminuisce spese e tasse».
Romagna con l’Emilia
«Come mai una regione come la Romagna, poco più grande ma ben più ricca del Molise, non ha mai pensato di separarsi dall’Emilia? E perché la Basilicata ha sette senatori e noi due, cioè la metà in proporzione agli abitanti?», ragiona Sammartino.
Il suo interlocutore, ormai, è diventato il molisano più famoso: Antonio Di Pietro. La sua Italia dei Valori ha preso il 28% in regione nell’ultimo voto, le europee dell’anno scorso.
«Pochi anni fa, a un incontro di abruzzesi a Roma, Di Pietro disse che non capiva perché il Molise fosse separato dall’Abruzzo. Ma ora pare che voglia candidarsi a presidente del Molise nelle imminenti regionali del 2011. Speriamo che allarghi le sue ambizioni, e punti alla guida del nuovo, grande Abruzzi-Molise».
Mauro Suttora
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Wednesday, July 14, 2010
Thursday, December 28, 2006
recensione dell'Avanti
“NO SEX IN THE CITY”, IL DIARIO “DALL’ESILIO” NEWYORKESE DEL GIORNALISTA MAURO SUTTORA
Alla ricerca di una donna normale
di Sergio Sammartino
Avanti!, 20/12/2006
E’ uscito, per i tipi della Cairo Editore, “No sex in the city” (222 pp., 14,00 euro) di Mauro Suttora, giornalista poco più che quarantenne, da poco rientrato in Italia dopo un soggiorno di quattro anni in America come corrispondente di “Oggi”. Il titolo, ovviamente, fa la parafrasi - ed anzi l’antifrasi - alla famosa commedia “Sex in the city”, di cui proprio in questi giorni circola un sequel nei nostri teatri.
Il libro sorprende per una curiosa originalità sia nel contenuto che nello stile. In apparenza è un diario “dall’esilio”, come ve ne sono già, ma a sorprendere non è solo il tono ironico e autoironico, quanto il fatto che a scandire le vicende di questo italiano a New York sia essenzialmente il sesso, la ricerca continua e scontata di sesso - sia da parte sua che da parte delle sue numerose interlocutrici - con l’aggiunta poco prevedibile che, quasi sempre, si finisce in bianco (da cui il titolo).
Ovviamente il sesso è la cifra con cui si interpreta tutto un mondo che sembra non avere più altri orizzonti, la lente attraverso cui si decifra tutta un’umanità vista essenzialmente dal suo lato femminile, posta sulla cima del mondo moderno - nei migliori quartieri della capitale della Terra - eppure così incerta, così fragile, così piena di miti fasulli e di autentica incapacità a vivere accettando gli impegni, le responsabilità e le rinunce che la vita comporta.
Così vediamo il Nostro abbandonato da una bella di turno con motivazioni vaghe e inutilmente complicate, tipo: “Ti sei accorto che ormai non vivo che con te? Voglio i miei spazi!”; lo vediamo alle prese con la moglie d’un ambasciatore che gli si spoglia dinanzi a lui ma pretende di non essere penetrata perché “sono molto cattolica”, salvo a volere una doccia con lo champagne.
Insomma, accompagniamo il protagonista nella inutile ricerca di un donna normale, che non abbia fisime (tipo fare sesso, ma senza baci, perché “mi fanno senso”).
In un mondo così contorto e corrotto, alla fine, è diventata incredibilmente difficile persino una sana notte di sesso puro, quasi che la sessualità si sia talmente liberata... da finire a volersi liberare di se stessa. Non a caso, nel leggere ci tornava in mente un bell’articolo di Marcello Veneziani uscito sul “Domenicale” di qualche settimana fa, in cui il pensatore analizzava la deriva dell’erotismo occidentale, denaturato e spinto al punto da diventare la macchietta meccanica dell’eros vero.
Ma non si creda che Suttora si atteggi a moralista: egli si trova perfettamente a suo agio - salvo qualche breve timidezza - in questo mondo di feste e di club in cui ci si invita al letto come una volta ci si invitava ad un aperitivo; nell’amoralità disarmante di questo stile di vita volutamente superficiale, egli si identifica perfettamente (per questo Beppe Severgnini, nel presentare il libro lo ha definito “invadente, immodesto e impudico”).
E siccome siamo in un epoca in cui i moralisti risultano irrimediabilmente antipatici, ecco che lui, Suttora, guadagna subito la simpatia del lettore, tanto più che “la morale” - almeno quella della favola - alla fine risulta lo stesso.
Alla maniera di Machiavelli - di cui si disse che, evitando attentamente di giudicare il mondo politico, lo mostrava nefando con ulteriore lucidità -, così l’impersonalità non giudicante di questo autore finisce per darci un allarme ancor più forte sul vuoto ideale delle attuali classi dirigenti e sulla confusione mentale in cui vivono. Proprio l’assenza di scandalo ci dà una visione più nera della normalità.
Lo stile merita una lode a parte: è pieno di creazioni lessicali, di sorprese linguistiche che scatenano la risata alla maniera di Wodehouse. Alla fine, conoscendo l’America più da vicino, ci divertiamo pure parecchio.
E poi - senza poterlo ammettere chiaramente (egli scrive anche su riviste americane, e certo il libro sarà tradotto negli Usa) - Mauro Suttora non riesce a nascondere fino in fondo la consapevolezza della propria superiorità culturale di europeo e di italiano, rispetto ad una società la cui classe dirigente non studia Filosofia e studia ben poco la Storia, e vive quindi il presente con scarsa o nulla coscienza della grande vicenda umana.
Anche quando sta per sposare un’americana, quand’egli dice al futuro suocero che “adora l’America” non riusciamo a credergli davvero. In realtà questo libro ci ricorda anche di tenerci cara la nostra identità e di demistificare il mito degli Usa, fin troppo presente nel nostro linguaggio e nel nostro pensiero.
Sergio Sammartino
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