Pannella stangherà i pm per conto del Cav
Sempre in bilico fra destra e sinistra, il leader radicale promette nove voti al premier
di Mauro Suttora
Libero, 7 febbraio 2011
Se Silvio Berlusconi cerca l'elisir della giovinezza, meglio Marco Pannella di Ruby. L’ottantunenne leader radicale esibisce l’energia di un ventenne, in questi giorni. Con la sua coda di cavallo bianca da capo indiano, è felice per essere tornato a fare notizia. E che notizia: sarà lui a nominare il prossimo ministro della Giustizia. Se Alfano diventerà coordinatore unico del Pdl, di fatto delfino di Berlusconi, il candidato potrebbe essere un «tecnico d’area radicale»: Mario Patrono, consigliere Csm di area socialista negli anni ‘90. Il quale in via Arenula si occuperà dei tre argomenti che stanno a cuore a Pannella: carceri, separazione delle carriere e responsabilità civile dei magistrati (referendum vinto nell’87 sull’onda del caso Tortora, ma depotenziato da legge poco applicata).
In cambio, nelle votazioni topiche Berlusconi avrà nove voti in più: i sei radicali alla Camera, e i tre senatori. Difficile per Emma Bonino seguire Marco anche in questo suo ultimo giro di valzer: lei è vicepresidente del Senato, in quota centrosinistra. Con qualche obbligo in più verso chi l’ha eletta, quindi. Ma se Fini ha fatto il salto della quaglia, può farlo anche lei in direzione opposta. Magari astenendosi, oppure con qualche provvidenziale assenza. Già adesso Emma risulta fra i senatori meno presenti. Gli altri parlamentari radicali obbediranno, come sempre. Anche quelli col mal di pancia.
Sbaglia chi carica il «tradimento» radicale di significati politici. Come sempre, Pannella agisce soprattutto in base a umori personali. Gli dà fastidio che Bersani lo snobbi. Mentre lo hanno galvanizzato i due incontri personali con Berlusconi, e poi quello con Alfano.
Il premier è in difficoltà? In Pannella scatta immediatamente l’istinto della crocerossina: «Io ti salverò», gli promette hitchcockianamente. Lo aveva fatto anche con Craxi nel ‘93: «Consegnati, fatti incarcerare, stai in prigione qualche settimana, e alla fine verrai liberato a furor di popolo». Con tutti i parlamentari inquisiti di Tangentopoli, Marco si era dimostrato accogliente. Li aveva combattuti per trent’anni, democristi e socialisti, ma di fronte alla procura di Milano li aveva difesi, respingendo il voto anticipato che li privava dell’immunità: «Riuniamoci all’alba, resistiamo».
Anche adesso, gli piace apparire come il «salvatore». È tornato a fare il consigliere di Berlusconi, come ai bei tempi del ‘94-96, quando i radicali si allearono a Forza Italia. Poi una rottura parziale, quando non raggiunsero il quorum e rimasero fuori dal Parlamento per dieci anni (1996-2006). E una rottura totale nel 2000, dopo che la lista Bonino conquistò il 14 per cento al nord alle europee, ma Berlusconi la liquidò come «protesi di Pannella».
I radicali sono sempre stati in bilico fra destra e sinistra. Liberisti in economia, ma libertari sui diritti civili. Portafogli a destra, cuore a sinistra. Sessant’anni fa Pannella cominciò nella corrente di sinistra del partito liberale con Eugenio Scalfari. Assieme fondarono il partito radicale nel ‘55, per separarsi sette anni dopo: Scalfari guardava al Psi, Pannella al Pci.
Fino al ‘92 i radicali sono rimasti a sinistra. Poi hanno svoltato a destra organizzando referendum liberisti con la Lega Nord, cui aderì anche Berlusconi. Il ritorno a sinistra è del 2006, dopo il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita. Si allearono con i socialisti, riesumarono il simbolo della Rosa nel pugno, ma non andarono oltre il tre per cento. Nel 2008 Veltroni rifiutò di l’”apparentamento” con loro (come con Rifondazione), costringendoli a un’umiliante contrattazione di posti all’interno delle liste Pd. Ancor peggio l’anno dopo, quando Franceschini li cancellò anche dall’Europarlamento alzando la soglia-ghigliottina al 4 per cento.
L’orgoglioso Pannella non ha dimenticato gli affronti degli «imbecilli del loft», e ora gliela fa pagare.
Con Bersani i rapporti sono rimasti agrodolci fino a poche settimane fa. Il capo Pd ha incontrato Pannella prima del 14 dicembre, quando già c’erano le avvisaglie del cambiamento con i primi abboccamenti dei radicali col centrodestra. Si è sorbito due ore di incontro, in cui ha parlato quasi sempre Pannella. Ma i radicali ce l’hanno con lui perché non li ha appoggiati nella loro battaglia contro le firme false di Formigoni alle regionali della Lombardia la scorsa primavera. «E quando cerchiamo di parlare di giustizia con il Pd, come interlocutori troviamo solo magistrati», si lamenta il deputato radicale Marco Beltrandi.
Ora una cosa è sicura: alle prossime elezioni sarà difficile che il Pd offra nove seggi ai radicali. Fa niente: Pannella li otterrà dal Pdl. Si ritroverà con Daniele Capezzone, suo delfino fino al 2007. E a chi lo accusa di trasformismo, risponde sorridendo: «Omnia immunda immundis. Io lotto per il bene del Paese».
Monday, February 07, 2011
Saturday, February 05, 2011
La talpa più grande del mondo
Questa fresa è da record
Maxiopere: così nasce la nuova galleria dell'autostrada Bologna-Firenze
È più alta di un palazzo di cinque piani. Non si può trasportare dalla Germania via terra: per scavare l'Appennino ha dovuto fare il periplo dell' Europa... Appuntamento al 2013
di Mauro Suttora
Oggi, 4 febbraio 2011
Alzi la mano chi non ha sofferto andando in auto da Bologna a Firenze, sull'Autosole. Le 90 mila auto e soprattutto Tir che ci passano ogni giorno fanno di questi 80 chilometri una delle autostrade più intasate del mondo. Ma un altro record mondiale sta per essere battuto da queste parti. A perforare la galleria Sparvo della nuova Variante di valico sta per arrivare la maxifresa più grande della Terra. Con i suoi 15 metri e 62 centimetri di diametro ha battuto di un metro quella che sta scavando un tunnel idroelettrico sotto le cascate del Niagara. «E supera di venti centimetri anche la talpa che abbiamo mandato a Shanghai», dicono alla Herrenknecht, la società tedesca che costruisce questi giganti, «ma lì il terreno da perforare è sabbioso». Sotto l'Appennino, invece, la talpona avrà a che fare con roccia dura.
«Ma riuscirà ad avanzare al ritmo di dieci metri al giorno, contro i 15 al mese dei metodi tradizionali», dicono alla Toto di Chieti, l'impresa costruttrice che ha comprato questa meraviglia al prezzo di 53 milioni di euro. Così i cinque chilometri della galleria (2.500 metri per ciascun senso di marcia) verranno ultimati in 500 giorni, e potremo percorrere la nuova Bologna-Firenze nel 2013. Ma c' è un' altra impresa in corso proprio in questi giorni. La maxitalpa, infatti, è così grande e pesante (4.300 tonnellate) che non è trasportabile attraverso i valichi alpini, né ferroviari né stradali.
Quindi, per arrivare in Italia dalla fabbrica tedesca di Schwanau, vicino alla Foresta Nera, ha fatto un giro dell' oca che l'ha portata a imbarcarsi nel porto belga di Anversa. Ora, dopo aver circumnavigato l'Europa, è arrivata nel porto di Ravenna. E da lì lo scudo frontale (separabile dal resto della fresa, lungo 120 metri) verrà trasportato fino all' imbocco della galleria dal lato nord. Dopo questa faticosissima installazione, sarà pronta a lavorare a maggio.
Il nome ufficiale della talpa è Tbm: Tunnel boring machine. Non si limita a scavare la galleria: subito dopo mette in posa le centine prefabbricate di cemento armato che foderano il tunnel. Lo scavo della galleria Sparvo è particolarmente complesso, perché i prospetti geologici hanno evidenziato la possibile presenza di zone con presenza di miscele gassose. È il famigerato «grisù», che esplodendo ha provocato centinaia di vittime nelle miniere di tutto il mondo.
La maxi talpa lavora nella massima sicurezza, perché la testa di scavo agisce all' interno di una camera chiusa e sigillata. Questo permette ai minatori di lavorare al riparo, all' interno dello scudo. La fresa viene controllata da un operatore specializzato che si trova all'interno di una cabina di pilotaggio e che, grazie a speciali monitor e sistemi computerizzati, è in grado di «guidare» lo scavo con precisione millimetrica. La testa dello scudo è attrezzata con denti e dischi ( cutter ) che rompono la roccia e portano il materiale nella camera di scavo posteriore. Qui la rimozione del materiale avviene in automatico attraverso un nastro trasportatore che lo trasferisce all'esterno della galleria.
Il rivestimento del tunnel, infine, viene posizionato da un robot radiocomandato da un tecnico, ed è attrezzato con guarnizioni che garantiscono la tenuta all'acqua e al gas. Per aumentare i parametri di sicurezza, oltre alla sigillatura del fronte di scavo, è stata incapsulata anche la catena di trasporto del materiale, in modo da evitare ogni propagazione di gas nelle zone dove lavorano gli addetti. C'è anche una rete di controllo dell' atmosfera sia nella zona incapsulata sia in tutte le aree del talpone, per intervenire immediatamente nel caso di rilevamento di gas e di superamento delle soglie di allarme.
Pronta dopo 17 anni
La Variante di valico Bologna-Firenze ha avuto una storia tormentata. Decisa nel 1996, i lavori sono iniziati soltanto nel 2002 nel tratto di Sasso Marconi, e due anni dopo in quello di montagna. Il costo finale sarà enorme: 3,6 miliardi di euro.
Mauro Suttora
Maxiopere: così nasce la nuova galleria dell'autostrada Bologna-Firenze
È più alta di un palazzo di cinque piani. Non si può trasportare dalla Germania via terra: per scavare l'Appennino ha dovuto fare il periplo dell' Europa... Appuntamento al 2013
di Mauro Suttora
Oggi, 4 febbraio 2011
Alzi la mano chi non ha sofferto andando in auto da Bologna a Firenze, sull'Autosole. Le 90 mila auto e soprattutto Tir che ci passano ogni giorno fanno di questi 80 chilometri una delle autostrade più intasate del mondo. Ma un altro record mondiale sta per essere battuto da queste parti. A perforare la galleria Sparvo della nuova Variante di valico sta per arrivare la maxifresa più grande della Terra. Con i suoi 15 metri e 62 centimetri di diametro ha battuto di un metro quella che sta scavando un tunnel idroelettrico sotto le cascate del Niagara. «E supera di venti centimetri anche la talpa che abbiamo mandato a Shanghai», dicono alla Herrenknecht, la società tedesca che costruisce questi giganti, «ma lì il terreno da perforare è sabbioso». Sotto l'Appennino, invece, la talpona avrà a che fare con roccia dura.
«Ma riuscirà ad avanzare al ritmo di dieci metri al giorno, contro i 15 al mese dei metodi tradizionali», dicono alla Toto di Chieti, l'impresa costruttrice che ha comprato questa meraviglia al prezzo di 53 milioni di euro. Così i cinque chilometri della galleria (2.500 metri per ciascun senso di marcia) verranno ultimati in 500 giorni, e potremo percorrere la nuova Bologna-Firenze nel 2013. Ma c' è un' altra impresa in corso proprio in questi giorni. La maxitalpa, infatti, è così grande e pesante (4.300 tonnellate) che non è trasportabile attraverso i valichi alpini, né ferroviari né stradali.
Quindi, per arrivare in Italia dalla fabbrica tedesca di Schwanau, vicino alla Foresta Nera, ha fatto un giro dell' oca che l'ha portata a imbarcarsi nel porto belga di Anversa. Ora, dopo aver circumnavigato l'Europa, è arrivata nel porto di Ravenna. E da lì lo scudo frontale (separabile dal resto della fresa, lungo 120 metri) verrà trasportato fino all' imbocco della galleria dal lato nord. Dopo questa faticosissima installazione, sarà pronta a lavorare a maggio.
Il nome ufficiale della talpa è Tbm: Tunnel boring machine. Non si limita a scavare la galleria: subito dopo mette in posa le centine prefabbricate di cemento armato che foderano il tunnel. Lo scavo della galleria Sparvo è particolarmente complesso, perché i prospetti geologici hanno evidenziato la possibile presenza di zone con presenza di miscele gassose. È il famigerato «grisù», che esplodendo ha provocato centinaia di vittime nelle miniere di tutto il mondo.
La maxi talpa lavora nella massima sicurezza, perché la testa di scavo agisce all' interno di una camera chiusa e sigillata. Questo permette ai minatori di lavorare al riparo, all' interno dello scudo. La fresa viene controllata da un operatore specializzato che si trova all'interno di una cabina di pilotaggio e che, grazie a speciali monitor e sistemi computerizzati, è in grado di «guidare» lo scavo con precisione millimetrica. La testa dello scudo è attrezzata con denti e dischi ( cutter ) che rompono la roccia e portano il materiale nella camera di scavo posteriore. Qui la rimozione del materiale avviene in automatico attraverso un nastro trasportatore che lo trasferisce all'esterno della galleria.
Il rivestimento del tunnel, infine, viene posizionato da un robot radiocomandato da un tecnico, ed è attrezzato con guarnizioni che garantiscono la tenuta all'acqua e al gas. Per aumentare i parametri di sicurezza, oltre alla sigillatura del fronte di scavo, è stata incapsulata anche la catena di trasporto del materiale, in modo da evitare ogni propagazione di gas nelle zone dove lavorano gli addetti. C'è anche una rete di controllo dell' atmosfera sia nella zona incapsulata sia in tutte le aree del talpone, per intervenire immediatamente nel caso di rilevamento di gas e di superamento delle soglie di allarme.
Pronta dopo 17 anni
La Variante di valico Bologna-Firenze ha avuto una storia tormentata. Decisa nel 1996, i lavori sono iniziati soltanto nel 2002 nel tratto di Sasso Marconi, e due anni dopo in quello di montagna. Il costo finale sarà enorme: 3,6 miliardi di euro.
Mauro Suttora
Wednesday, February 02, 2011
Marina Berlusconi in politica?
Oggi, 24 gennaio 2011
di Mauro Suttora
E dopo vent’anni di Silvio Berlusconi, altri venti con sua figlia Marina? Fino a poche settimane fa, nessuno pensava che la primogenita 44enne del premier potesse darsi alla politica. Ma negli ultimi giorni la crisi del Rubygate ha dato un’accelerata a tutto. Compresa l’ipotesi di un passo indietro di Silvio, compensato da una simultanea discesa in campo di Marina.
Lo auspica a tutta prima pagina il Giornale, quotidiano di famiglia. Ma già a novembre l’attuale direttore, Alessandro Sallusti, aveva dichiarato: «È lei l’unica che può continuare la rivoluzione». Marina infatti, abbandonando la ritrosia a occuparsi di politica, aveva caricato a testa bassa contro il finiano Italo Bocchino che accusava Berlusconi di considerare palazzo Chigi «casa propria»: «Mio padre di case ne ha abbastanza, e le ha comprate con soldi suoi. Non certo con quelli del partito…». Il riferimento è all’appartamento di Montecarlo in cui si è installato il fratello della compagna di Gianfranco Fini.
Ancor più violento e improvviso, ed estraneo quindi allo stile felpato e meditato sfoggiato finora da Marina, l’attacco allo scrittore Roberto Saviano. Il quale ha dedicato una sua laurea «honoris causa» ai magistrati di Milano che accusano Berlusconi per prostituzione minorile e concussione. «Mi fa letteralmente orrore che Saviano calpesti e rinneghi tutto quello per cui ha sempre proclamato di battersi: il rispetto della libertà, della legalità e della dignità delle persone», ha dichiarato la figlia.
Non è la prima volta che Marina si scontra con Saviano, il quale pubblica i suoi libri con la Mondadori, di cui lei è presidente. Lo scorso aprile Berlusconi criticò l’autore di Gomorra perché scrivendo di mafia farebbe cattiva pubblicità all’Italia. Saviano gli replicò, ma Marina lo fulminò: «Saviano non riesce a distinguere fra una libera critica e una censura».
E adesso? Veramente lo scettro anche politico dell’impero berlusconiano sta per passare alla erede? Magari in cambio dell’accettazione da parte di Silvio di un governo Letta-Tremonti, di un seggio da senatore a vita per se stesso (con annesse garanzie giudiziarie) e l’assicurazione che le sue aziende non verranno smembrate?
Non sono molte le figlie di politici che cercano di raccogliere l’eredità dei genitori. L’ultima è, proprio in questi giorni, la figlia di Jean-Marie Le Pen, guarda caso un’altra Marina. Il presidente 82enne del Front National l’ha fatta eleggere eurodeputata, e ora le ha affidato il partito di estrema destra. Ma la Marina parigina era già vicepresidente del partito da otto anni.
Nulla, invece, indica una propensione della figlia di Berlusconi per la politica. Entrata in punta di piedi alla Fininvest senza laurearsi, a 29 anni Marina ne diventa vicepresidente. Nel 2005, quando l’avvocato Aldo Bonomo muore, presidente. Ma si tratta dell’azienda capogruppo di famiglia: naturale che ne venga assicurata la successione dinastica.
Un’altra morte prematura proietta Marina in cima alla Mondadori: quella del presidente Leonardo, cui subentra nel 2003. A quel punto, il futuro è chiaro. I due figli di primo letto di Berlusconi si sono divisi l’impero mediatico da quasi sei miliardi di fatturato: a Pier Silvio le tv Mediaset, a Marina libri e giornali. L’incoronazione definitiva arriva con l’ingresso nella classifica Forbes delle donne più ricche e potenti del pianeta, e nel consiglio d’amministrazione di Mediobanca (che ha fra le sue partecipate anche Rizzoli Corriere della Sera, e quindi il giornale che state leggendo).
Le riviste di famiglia, intanto, cominciano a pompare l’immagine di Marina. Il settimanale Chi pochi mesi fa ha pubblicato sue foto fintamente «rubate» a seno nudo, in cui lei espone il nuovo petto rifatto. Sposata con il ballerino Maurizio Vanadia, ex compagno del suo chirurgo plastico Angelo Villa, ne ha avuto due figli: Gabriele, 8 anni, e Silvio, 6.
Rimangono per ora fuori dalla spartizione i tre figli del secondo matrimonio di Silvio con Veronica Lario. Ed è questo, forse, il fronte più delicato. La combattiva Barbara, infatti, ha detto che vorrebbe lavorare pure lei in Mondadori. E, affetti filiali a parte, sembra vicina più alle idee politiche progressiste della madre che a quelle di centrodestra del padre.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
E dopo vent’anni di Silvio Berlusconi, altri venti con sua figlia Marina? Fino a poche settimane fa, nessuno pensava che la primogenita 44enne del premier potesse darsi alla politica. Ma negli ultimi giorni la crisi del Rubygate ha dato un’accelerata a tutto. Compresa l’ipotesi di un passo indietro di Silvio, compensato da una simultanea discesa in campo di Marina.
Lo auspica a tutta prima pagina il Giornale, quotidiano di famiglia. Ma già a novembre l’attuale direttore, Alessandro Sallusti, aveva dichiarato: «È lei l’unica che può continuare la rivoluzione». Marina infatti, abbandonando la ritrosia a occuparsi di politica, aveva caricato a testa bassa contro il finiano Italo Bocchino che accusava Berlusconi di considerare palazzo Chigi «casa propria»: «Mio padre di case ne ha abbastanza, e le ha comprate con soldi suoi. Non certo con quelli del partito…». Il riferimento è all’appartamento di Montecarlo in cui si è installato il fratello della compagna di Gianfranco Fini.
Ancor più violento e improvviso, ed estraneo quindi allo stile felpato e meditato sfoggiato finora da Marina, l’attacco allo scrittore Roberto Saviano. Il quale ha dedicato una sua laurea «honoris causa» ai magistrati di Milano che accusano Berlusconi per prostituzione minorile e concussione. «Mi fa letteralmente orrore che Saviano calpesti e rinneghi tutto quello per cui ha sempre proclamato di battersi: il rispetto della libertà, della legalità e della dignità delle persone», ha dichiarato la figlia.
Non è la prima volta che Marina si scontra con Saviano, il quale pubblica i suoi libri con la Mondadori, di cui lei è presidente. Lo scorso aprile Berlusconi criticò l’autore di Gomorra perché scrivendo di mafia farebbe cattiva pubblicità all’Italia. Saviano gli replicò, ma Marina lo fulminò: «Saviano non riesce a distinguere fra una libera critica e una censura».
E adesso? Veramente lo scettro anche politico dell’impero berlusconiano sta per passare alla erede? Magari in cambio dell’accettazione da parte di Silvio di un governo Letta-Tremonti, di un seggio da senatore a vita per se stesso (con annesse garanzie giudiziarie) e l’assicurazione che le sue aziende non verranno smembrate?
Non sono molte le figlie di politici che cercano di raccogliere l’eredità dei genitori. L’ultima è, proprio in questi giorni, la figlia di Jean-Marie Le Pen, guarda caso un’altra Marina. Il presidente 82enne del Front National l’ha fatta eleggere eurodeputata, e ora le ha affidato il partito di estrema destra. Ma la Marina parigina era già vicepresidente del partito da otto anni.
Nulla, invece, indica una propensione della figlia di Berlusconi per la politica. Entrata in punta di piedi alla Fininvest senza laurearsi, a 29 anni Marina ne diventa vicepresidente. Nel 2005, quando l’avvocato Aldo Bonomo muore, presidente. Ma si tratta dell’azienda capogruppo di famiglia: naturale che ne venga assicurata la successione dinastica.
Un’altra morte prematura proietta Marina in cima alla Mondadori: quella del presidente Leonardo, cui subentra nel 2003. A quel punto, il futuro è chiaro. I due figli di primo letto di Berlusconi si sono divisi l’impero mediatico da quasi sei miliardi di fatturato: a Pier Silvio le tv Mediaset, a Marina libri e giornali. L’incoronazione definitiva arriva con l’ingresso nella classifica Forbes delle donne più ricche e potenti del pianeta, e nel consiglio d’amministrazione di Mediobanca (che ha fra le sue partecipate anche Rizzoli Corriere della Sera, e quindi il giornale che state leggendo).
Le riviste di famiglia, intanto, cominciano a pompare l’immagine di Marina. Il settimanale Chi pochi mesi fa ha pubblicato sue foto fintamente «rubate» a seno nudo, in cui lei espone il nuovo petto rifatto. Sposata con il ballerino Maurizio Vanadia, ex compagno del suo chirurgo plastico Angelo Villa, ne ha avuto due figli: Gabriele, 8 anni, e Silvio, 6.
Rimangono per ora fuori dalla spartizione i tre figli del secondo matrimonio di Silvio con Veronica Lario. Ed è questo, forse, il fronte più delicato. La combattiva Barbara, infatti, ha detto che vorrebbe lavorare pure lei in Mondadori. E, affetti filiali a parte, sembra vicina più alle idee politiche progressiste della madre che a quelle di centrodestra del padre.
Mauro Suttora
Friday, January 28, 2011
Wednesday, January 19, 2011
Berlusconi e Mussolini
La guerra del gossip da Mussolini al premier
Corriere della Sera, 19 gennaio 2011, pag. 43
di Gian Antonio Stella
«Io non sono il garzone di un barbiere, ho una posizione da rispettare» . Settant’anni prima di Silvio Berlusconi, perfino Benito Mussolini si era posto il problema del decoro. Era il Duce, era osannato dalle folle, aveva in pugno l’Italia, i giornalisti erano così servili che La Stampa arrivò a scrivere che il suo cavallo bianco, quando lui gli parlava, nitriva «in modo significativo» . E non c’era magistrato, anche se l’adulterio sulla carta poteva essere perseguito, che mai e poi mai avrebbe osato inquisirlo. Era lui che comandava i giudici. Eppure se lo pose, il problema.
La rilettura di Mussolini segreto, diari di Claretta Petacci curato da Mauro Suttora e uscito nel 2009 da Rizzoli, alla luce di quanto accade in questi giorni, è assai interessante. Aiuta a capire come sono cambiati i costumi. Nel Paese ma soprattutto lassù in alto. Nel mondo del potere. Il Capoccione, infatti, pagina dopo pagina, sembra avere quasi l’ossessione di non dare scandalo. E se non perde occasione per mostrare i muscoli su tutto il resto, in questa materia si mostra prudente. Spesso prudentissimo.
Le voci che girano gli danno fastidio e lo dice anche all’amante: «Tuo marito parlerà naturalmente con gli altri ufficiali, a mensa o altrove, e dirà: “Mussolini, che predica tanto la famiglia, l’unione, i figli, ha distrutto la mia famiglia, mi ha preso la moglie…”. La mia posizione è insostenibile…»
I pettegolezzi sulle sue attività amatorie, più che spingerlo a battute da sciupafemmine, lo preoccupano: «Di chi vuoi che parlino alla Camera, al Senato, a teatro, nei ricevimenti, nelle case? Di Mussolini, di ciò che fa, dice, pensa… Quando erano i primi tempi ho girato in auto scoperta con la Sarfatti, e andavo in giro con lei anche di giorno. Ma allora ero ancora un giornalista, un ragazzo, non quel che sono oggi. Ora è diverso. Sai cosa dicono? “Prima voleva essere Napoleone, ora vuol essere Cesare e non gli basta. Andando di seguito diventerà Nerone”» .
Claretta vuole essere invitata al ricevimento per la conquista dell’Albania? Il Duce rifiuta: «Sarebbe uno scandalo. Non ci faccio venire mia moglie, e ci porto l’amante. Sono cose che offendono, non si possono fare, abbi pazienza». E insiste: «Voglio che tu sia la donna del mistero, che se anche si sa che tu sei la mia amante, non se ne sia sicuri, che allora l’amore perde il profumo. Io tengo al mio prestigio, quando questo pericola io tronco. Lo sa già mezza Roma…». E ancora: «Dovevamo essere più prudenti. Non sono un uomo comune, sono esposto a tutti i frizzi, a tutti i colpi» . Insomma, guai se la faccenda diventa un tormentone «di cui si parla nei caffè o dalle sarte».
Sinceramente: se si poneva questo problema perfino lui, un dittatore ateo padrone dell’Italia che per avere l’appoggio del Vaticano era arrivato a sposarsi in chiesa e a rimettere i crocifissi nelle scuole, davvero pensava il Cavaliere, a prescindere da eventuali reati (auguri), di potersi permettere tutto?
Gian Antonio Stella (rubrica "Tuttifrutti")
Corriere della Sera, 19 gennaio 2011, pag. 43
di Gian Antonio Stella
«Io non sono il garzone di un barbiere, ho una posizione da rispettare» . Settant’anni prima di Silvio Berlusconi, perfino Benito Mussolini si era posto il problema del decoro. Era il Duce, era osannato dalle folle, aveva in pugno l’Italia, i giornalisti erano così servili che La Stampa arrivò a scrivere che il suo cavallo bianco, quando lui gli parlava, nitriva «in modo significativo» . E non c’era magistrato, anche se l’adulterio sulla carta poteva essere perseguito, che mai e poi mai avrebbe osato inquisirlo. Era lui che comandava i giudici. Eppure se lo pose, il problema.
La rilettura di Mussolini segreto, diari di Claretta Petacci curato da Mauro Suttora e uscito nel 2009 da Rizzoli, alla luce di quanto accade in questi giorni, è assai interessante. Aiuta a capire come sono cambiati i costumi. Nel Paese ma soprattutto lassù in alto. Nel mondo del potere. Il Capoccione, infatti, pagina dopo pagina, sembra avere quasi l’ossessione di non dare scandalo. E se non perde occasione per mostrare i muscoli su tutto il resto, in questa materia si mostra prudente. Spesso prudentissimo.
Le voci che girano gli danno fastidio e lo dice anche all’amante: «Tuo marito parlerà naturalmente con gli altri ufficiali, a mensa o altrove, e dirà: “Mussolini, che predica tanto la famiglia, l’unione, i figli, ha distrutto la mia famiglia, mi ha preso la moglie…”. La mia posizione è insostenibile…»
I pettegolezzi sulle sue attività amatorie, più che spingerlo a battute da sciupafemmine, lo preoccupano: «Di chi vuoi che parlino alla Camera, al Senato, a teatro, nei ricevimenti, nelle case? Di Mussolini, di ciò che fa, dice, pensa… Quando erano i primi tempi ho girato in auto scoperta con la Sarfatti, e andavo in giro con lei anche di giorno. Ma allora ero ancora un giornalista, un ragazzo, non quel che sono oggi. Ora è diverso. Sai cosa dicono? “Prima voleva essere Napoleone, ora vuol essere Cesare e non gli basta. Andando di seguito diventerà Nerone”» .
Claretta vuole essere invitata al ricevimento per la conquista dell’Albania? Il Duce rifiuta: «Sarebbe uno scandalo. Non ci faccio venire mia moglie, e ci porto l’amante. Sono cose che offendono, non si possono fare, abbi pazienza». E insiste: «Voglio che tu sia la donna del mistero, che se anche si sa che tu sei la mia amante, non se ne sia sicuri, che allora l’amore perde il profumo. Io tengo al mio prestigio, quando questo pericola io tronco. Lo sa già mezza Roma…». E ancora: «Dovevamo essere più prudenti. Non sono un uomo comune, sono esposto a tutti i frizzi, a tutti i colpi» . Insomma, guai se la faccenda diventa un tormentone «di cui si parla nei caffè o dalle sarte».
Sinceramente: se si poneva questo problema perfino lui, un dittatore ateo padrone dell’Italia che per avere l’appoggio del Vaticano era arrivato a sposarsi in chiesa e a rimettere i crocifissi nelle scuole, davvero pensava il Cavaliere, a prescindere da eventuali reati (auguri), di potersi permettere tutto?
Gian Antonio Stella (rubrica "Tuttifrutti")
Wednesday, January 12, 2011
Operai Fiat
In concreto, cosa cambia a Mirafiori? Pause, mensa, mutua, straordinari, sindacato. Viaggio nel conflitto che rivoluziona la fabbrica dell'auto
dal nostro inviato a Torino Mauro Suttora
Oggi, 12 gennaio 2011
Avete la Lancia Musa o la Fiat Idea? È probabile che le spazzole tergicristallo ve le abbia montate Maria Epifania. Ha un minuto e venti seconde per farlo, su ogni macchina. Lo fa da anni. «Mi sveglio alle quattro di mattina per arrivare in fabbrica alle sei. Prima in auto da Volpiano, il mio paese, a Settimo Torinese. Poi in corriera fino a Torino. Non è tanto la levataccia a pesarmi, quanto il cambio di turno ogni settimana. Quello pomeridiano inizia alle due e finisce alle dieci, ma non riesco ad essere a casa prima delle undici e mezzo. Mi corico a mezzanotte. In pratica, è come cambiare fuso orario ogni sette giorni». In cambio di 1.200 euro al mese.
Vita di operai Fiat. Nella fabbrica più importante d’Italia, Mirafiori. Quella che l’amministratore delegato Sergio Marchionne ora minaccia di smantellare se vince il no al referendum del 14 gennaio. Polverizzando così più di un secolo di storia dell’auto a Torino.
«Io chiedo solo di lavorare», dice Maria. «Ma con dignità. Non voglio scegliere fra lavoro e diritti. Quindi voterò no». E se la fabbrica chiude? «Chi non risica non rosica. Non accetto l’alternativa: o così, o stai a casa. È un ricatto».
Via Bologna, assemblea di delegati nella sede Uilm. «Un sindacalista deve saper mangiare merda quando le vacche sono magre, e farla mangiare quando sono grasse. Adesso, mangiamo merda». Più chiaro di così: Maurizio Peverati, capo Uil alla Fiat, voterà sì. «Anche perché noi 5 mila di Mirafiori non possiamo mettere in pericolo lo stipendio di 80 mila dipendenti dell’indotto. Calcolando le famiglie, sono 240 mila persone che a Torino vivono grazie alla Fiat».
In Fiat Pietro Milana e sua moglie Adelaide si sono conosciuti e sposati: «Era il 1989, lavoravamo nello stabilimento di Rivalta. Allora in città la Fiat aveva 40 mila dipendenti, otto volte quelli di oggi. Poi è arrivata la crisi, Rivalta ha chiuso. Non si assume più nessuno da 14 anni, non si fanno investimenti da 20. Mirafiori è diventato lo stabilimento più vecchio del mondo. E ora che Marchionne vuole metterci un miliardo per la nuova joint-venture Fiat-Chrysler, facciamo gli schizzinosi per dieci minuti di pausa in meno e perché forse ci sarà da lavorare la domenica? Magari, dico io. Vorrebbe dire che le cose vanno bene».
Ma la Fiom, il sindacato metalmeccanico della Cgil, dice che sono molti i punti inaccettabili del nuovo contratto, firmato solo dalla Cisl e da voi della Uil. Risponde Milana: «Vediamoli uno per uno. Le pause? Prima ce n’erano tre a turno, due di un quarto d’ora e una di dieci minuti. Ora saranno tutte di dieci minuti. La mensa? Spostata da metà a fine turno. Così chi vuole va a casa mezz’ora prima».
Non vi pagano più i primi due giorni di malattia. «Solo a chi fa il furbo e si dà malato il venerdì o il lunedì, per allungare il weekend. Poi magari li vediamo tornare abbronzati perché sono andati a sciare».
Ma chi sta male veramente? «Nessun problema. Una commissione paritetica azienda-sindacati valuterà i casi anomali di chi nei dodici mesi precedenti si è messo in mutua più di tre volte nei giorni critici, e solo se l’assenteismo supera il 3,5 per cento».
Adesso quant’è?
«Sette per cento, ma causato quasi sempre dalle stesse 400 persone. Non sarà un problema dimezzarlo, visto che il tre mezzo è la media nazionale».
E gli straordinari? La Fiom calcola che, triplicandolo a 120 ore annue obbligatorie a testa, la Fiat risparmia più di 200 assunzioni in caso di «vacche grasse».
«Senta, con gli straordinari riusciamo ad arrivare a 1.700 al mese. Ora invece, in cassa integrazione, siamo a 800. A tutti fa comodo guadagnare un po’ di più. Infatti, quando li facevamo al sabato, c’era la coda. Però la Fiom faceva scattare lo sciopero appena l’azienda parlava di maggiore utilizzo degli impianti. Certo, anche a me piacerebbe starmene a casa il sabato con mio figlio. Però so anche che dieci anni fa nessuno lavorava la domenica, mentre ora i centri commerciali sono tutti aperti. Le cose cambiano...»
In peggio, secondo la Fiom. I rappresentanti dei lavoratori, per esempio. Non potrete più votarli direttamente: saranno nominati dai sindacati. Ma solo da quelli che firmano l’accordo. Quindi niente Cgil-Fiom, e niente trattenute in busta paga per i loro iscritti. Cancellati.
«Il problema è che la Fiom non firma mai, per partito preso: per ragioni politiche, non sindacali. Salvo poi accettare i miglioramenti strappati dagli altri sindacati. Certo, questa della rappresentanza è una forzatura. Ma da qui a gridare che si viola la costituzione... Teniamo presente che l’auto è in crisi in tutto il mondo, che negli Stati Uniti i sindacati hanno accettato diminuzioni degli stipendi del 20 per cento e salari dimezzati per i nuovi assunti. Qui invece non perdiamo un euro».
Maria Epifania, iscritta Fiom (come il 13% dei dipendenti di Mirafiori, percentuale analoga agli altri sindacati), vede le cose diversamente: «Dieci minuti in meno di pausa possono sembrare poca cosa. Ma in concreto, per chi sta otto ore di fila in linea di montaggio a fare sempre lo stesso movimento, anche un minuto è prezioso. Quando la catena si ferma, infatti, tutti vanno simultaneamente al bagno. Quindi formano code. Lo stesso per le macchinette del caffè. Non parliamo di chi fuma, o di chi è lontano sia dalle zone fumatori, sia dal caffè, sia dai bagni. In un quarto d’ora si riusciva a fare tutto, in dieci minuti no. La mensa, poi, era una quarta pausa. Ora che è a fine turno, non serve più».
Potete andarvene prima. «Ma digiuni... Può essere comodo per chi abita vicino a Mirafiori, ma per chi prende i mezzi come non migliora nulla: gli orari dei bus non cambiano. Io quando ho il turno pomeridiano in pratica non vedo più mio figlio per una settimana, perché vado via prima che lui torni da scuola, e quando torno dorme da un pezzo».
E la mutua?
«Il problema di Mirafiori è che ormai è uno stabilimento di gente di mezza età, piena di acciacchi. Io che ho 37 anni sono una delle più giovani, perché dopo di me nel ’97 non hanno assunto più nessuno. Non illudiamoci quindi che si riescano a rispettare le medie di malattia di altre fabbriche».
Ma qual è la condizione peggiore del nuovo accordo, secondo lei?
«Che non saremo più neppure liberi di scioperare. Chi firmerà per la nuova joint venture delle jeep, infatti, dovrà accettare automaticamente tutte le regole sui ritmi di lavoro. Nella fabbrica dove lavoravo prima facevo piccoli elettrodomestici. La catena di montaggio si fermava, eseguivo la lavorazione, poi ripartiva. Alla Fiat invece la catena si muove sempre, siamo noi a correrle dietro. Se non ce la facciamo, se il carico di lavoro è troppo forte, se fa troppo caldo o troppo freddo, non possiamo più dirlo al capo, né protestare. Non possiamo più fare nulla, pena il licenziamento. Chi si ferma è perduto, come Charlot in Tempi moderni...»
E non ha paura che Marchionne, se vince il no, chiuda Mirafiori e trasferisca tutto nelle altre fabbriche Fiat in Polonia o in Serbia, dove gli operai prendono 400 euro al mese?
«Senta, i nostri nonni e genitori hanno lottato tanto per migliorare le condizioni di lavoro, di cui ora beneficiano tutti. Ora tocca a noi. Non possiamo arrenderci. Anche perché i nostri figli un giorno potrebbero rinfacciarcelo: mamma, come hai fatto ad accettare quelle umiliazioni?»
Mauro Suttora
dal nostro inviato a Torino Mauro Suttora
Oggi, 12 gennaio 2011
Avete la Lancia Musa o la Fiat Idea? È probabile che le spazzole tergicristallo ve le abbia montate Maria Epifania. Ha un minuto e venti seconde per farlo, su ogni macchina. Lo fa da anni. «Mi sveglio alle quattro di mattina per arrivare in fabbrica alle sei. Prima in auto da Volpiano, il mio paese, a Settimo Torinese. Poi in corriera fino a Torino. Non è tanto la levataccia a pesarmi, quanto il cambio di turno ogni settimana. Quello pomeridiano inizia alle due e finisce alle dieci, ma non riesco ad essere a casa prima delle undici e mezzo. Mi corico a mezzanotte. In pratica, è come cambiare fuso orario ogni sette giorni». In cambio di 1.200 euro al mese.
Vita di operai Fiat. Nella fabbrica più importante d’Italia, Mirafiori. Quella che l’amministratore delegato Sergio Marchionne ora minaccia di smantellare se vince il no al referendum del 14 gennaio. Polverizzando così più di un secolo di storia dell’auto a Torino.
«Io chiedo solo di lavorare», dice Maria. «Ma con dignità. Non voglio scegliere fra lavoro e diritti. Quindi voterò no». E se la fabbrica chiude? «Chi non risica non rosica. Non accetto l’alternativa: o così, o stai a casa. È un ricatto».
Via Bologna, assemblea di delegati nella sede Uilm. «Un sindacalista deve saper mangiare merda quando le vacche sono magre, e farla mangiare quando sono grasse. Adesso, mangiamo merda». Più chiaro di così: Maurizio Peverati, capo Uil alla Fiat, voterà sì. «Anche perché noi 5 mila di Mirafiori non possiamo mettere in pericolo lo stipendio di 80 mila dipendenti dell’indotto. Calcolando le famiglie, sono 240 mila persone che a Torino vivono grazie alla Fiat».
In Fiat Pietro Milana e sua moglie Adelaide si sono conosciuti e sposati: «Era il 1989, lavoravamo nello stabilimento di Rivalta. Allora in città la Fiat aveva 40 mila dipendenti, otto volte quelli di oggi. Poi è arrivata la crisi, Rivalta ha chiuso. Non si assume più nessuno da 14 anni, non si fanno investimenti da 20. Mirafiori è diventato lo stabilimento più vecchio del mondo. E ora che Marchionne vuole metterci un miliardo per la nuova joint-venture Fiat-Chrysler, facciamo gli schizzinosi per dieci minuti di pausa in meno e perché forse ci sarà da lavorare la domenica? Magari, dico io. Vorrebbe dire che le cose vanno bene».
Ma la Fiom, il sindacato metalmeccanico della Cgil, dice che sono molti i punti inaccettabili del nuovo contratto, firmato solo dalla Cisl e da voi della Uil. Risponde Milana: «Vediamoli uno per uno. Le pause? Prima ce n’erano tre a turno, due di un quarto d’ora e una di dieci minuti. Ora saranno tutte di dieci minuti. La mensa? Spostata da metà a fine turno. Così chi vuole va a casa mezz’ora prima».
Non vi pagano più i primi due giorni di malattia. «Solo a chi fa il furbo e si dà malato il venerdì o il lunedì, per allungare il weekend. Poi magari li vediamo tornare abbronzati perché sono andati a sciare».
Ma chi sta male veramente? «Nessun problema. Una commissione paritetica azienda-sindacati valuterà i casi anomali di chi nei dodici mesi precedenti si è messo in mutua più di tre volte nei giorni critici, e solo se l’assenteismo supera il 3,5 per cento».
Adesso quant’è?
«Sette per cento, ma causato quasi sempre dalle stesse 400 persone. Non sarà un problema dimezzarlo, visto che il tre mezzo è la media nazionale».
E gli straordinari? La Fiom calcola che, triplicandolo a 120 ore annue obbligatorie a testa, la Fiat risparmia più di 200 assunzioni in caso di «vacche grasse».
«Senta, con gli straordinari riusciamo ad arrivare a 1.700 al mese. Ora invece, in cassa integrazione, siamo a 800. A tutti fa comodo guadagnare un po’ di più. Infatti, quando li facevamo al sabato, c’era la coda. Però la Fiom faceva scattare lo sciopero appena l’azienda parlava di maggiore utilizzo degli impianti. Certo, anche a me piacerebbe starmene a casa il sabato con mio figlio. Però so anche che dieci anni fa nessuno lavorava la domenica, mentre ora i centri commerciali sono tutti aperti. Le cose cambiano...»
In peggio, secondo la Fiom. I rappresentanti dei lavoratori, per esempio. Non potrete più votarli direttamente: saranno nominati dai sindacati. Ma solo da quelli che firmano l’accordo. Quindi niente Cgil-Fiom, e niente trattenute in busta paga per i loro iscritti. Cancellati.
«Il problema è che la Fiom non firma mai, per partito preso: per ragioni politiche, non sindacali. Salvo poi accettare i miglioramenti strappati dagli altri sindacati. Certo, questa della rappresentanza è una forzatura. Ma da qui a gridare che si viola la costituzione... Teniamo presente che l’auto è in crisi in tutto il mondo, che negli Stati Uniti i sindacati hanno accettato diminuzioni degli stipendi del 20 per cento e salari dimezzati per i nuovi assunti. Qui invece non perdiamo un euro».
Maria Epifania, iscritta Fiom (come il 13% dei dipendenti di Mirafiori, percentuale analoga agli altri sindacati), vede le cose diversamente: «Dieci minuti in meno di pausa possono sembrare poca cosa. Ma in concreto, per chi sta otto ore di fila in linea di montaggio a fare sempre lo stesso movimento, anche un minuto è prezioso. Quando la catena si ferma, infatti, tutti vanno simultaneamente al bagno. Quindi formano code. Lo stesso per le macchinette del caffè. Non parliamo di chi fuma, o di chi è lontano sia dalle zone fumatori, sia dal caffè, sia dai bagni. In un quarto d’ora si riusciva a fare tutto, in dieci minuti no. La mensa, poi, era una quarta pausa. Ora che è a fine turno, non serve più».
Potete andarvene prima. «Ma digiuni... Può essere comodo per chi abita vicino a Mirafiori, ma per chi prende i mezzi come non migliora nulla: gli orari dei bus non cambiano. Io quando ho il turno pomeridiano in pratica non vedo più mio figlio per una settimana, perché vado via prima che lui torni da scuola, e quando torno dorme da un pezzo».
E la mutua?
«Il problema di Mirafiori è che ormai è uno stabilimento di gente di mezza età, piena di acciacchi. Io che ho 37 anni sono una delle più giovani, perché dopo di me nel ’97 non hanno assunto più nessuno. Non illudiamoci quindi che si riescano a rispettare le medie di malattia di altre fabbriche».
Ma qual è la condizione peggiore del nuovo accordo, secondo lei?
«Che non saremo più neppure liberi di scioperare. Chi firmerà per la nuova joint venture delle jeep, infatti, dovrà accettare automaticamente tutte le regole sui ritmi di lavoro. Nella fabbrica dove lavoravo prima facevo piccoli elettrodomestici. La catena di montaggio si fermava, eseguivo la lavorazione, poi ripartiva. Alla Fiat invece la catena si muove sempre, siamo noi a correrle dietro. Se non ce la facciamo, se il carico di lavoro è troppo forte, se fa troppo caldo o troppo freddo, non possiamo più dirlo al capo, né protestare. Non possiamo più fare nulla, pena il licenziamento. Chi si ferma è perduto, come Charlot in Tempi moderni...»
E non ha paura che Marchionne, se vince il no, chiuda Mirafiori e trasferisca tutto nelle altre fabbriche Fiat in Polonia o in Serbia, dove gli operai prendono 400 euro al mese?
«Senta, i nostri nonni e genitori hanno lottato tanto per migliorare le condizioni di lavoro, di cui ora beneficiano tutti. Ora tocca a noi. Non possiamo arrenderci. Anche perché i nostri figli un giorno potrebbero rinfacciarcelo: mamma, come hai fatto ad accettare quelle umiliazioni?»
Mauro Suttora
Monday, January 10, 2011
150 anni di Italia
LA SFIDA DELL'UNITÀ
Cosa ci unisce,cosa ci divide
Iniziano le celebrazioni: sette esperti ci raccontano il paese
Festeggeremo il secolo e mezzo di unificazione con federalismo fiscale e spinte separatiste. Ma davvero gli italiani non sono mai stati fatti?
di Marianna Aprile e Mauro Suttora
Oggi, 12 gennaio 2011
Centocinquanta e non sentirli. A un secolo e mezzo dall'unificazione nazionale, e alla vigilia delle celebrazioni che scandiranno il 2011, ci guardiamo attorno e ci chiediamo se, fatta l'Italia, siano poi davvero arrivati anche gli italiani. Non abbiamo mai brillato per patriottismo, anzi, siamo tradizionalmente i primi a inchiodarci alle nostre mancanze. E la politica non aiuta: saluta la ricorrenza accelerando l' attuazione del federalismo fiscale. Che significherà meno soldi per le città del centro-sud: L'Aquila, per esempio, registrerebbe un -66% rispetto al 2010, Napoli -60.
Ironia del destino, i due centri cui il governo di Silvio Berlusconi ha spesso legato le sue sorti negli ultimi due anni. Ci guadagnerebbero - e tanto - Parma (+105%), Padova (+76) e Treviso (+58). A Milano gli introiti crescerebbero del 34%. Insomma, il divario tra Nord e Sud è destinato a crescere, l' antimeridionalismo trova sempre più spazio sui giornali, e anche l' identità nazionale non si sente tanto bene. O no?
«Ci divide la crisi economica, che ci rende meno tolleranti verso gli sprechi e i trasferimenti di danaro da una parte all' altra del Paese: se a Torino non ho l' asilo pubblico, non posso accettare che si investano altri soldi nella Salerno-Reggio Calabria», dice Massimo Gramellini , vicedirettore de La Stampa e autore, con Carlo Fruttero, di La Patria, bene o male . Gramellini però non crede alla divisione tra Nord e Sud: «Piuttosto siamo ostili a Roma, vista come centro degli sprechi. In fondo, l' Italia è la somma di più capitali. Se abbiamo così tante città d' arte è proprio perché i centri di potere erano molti e ogni signore investiva sul suo territorio. Dovremmo valorizzare quelle storie, invece che comprimerle: recuperarle può aiutare a riscoprire il senso delle istituzioni».
Ma il federalismo non aumenterà la distanza? «Con le giuste contromisure, il federalismo può invece avere una funzione anti-disgregante. È giusto che i soldi vengano spesi là dove sono prodotti. Ma non a scapito del senso di solidarietà, che però deve passare da una pretesa di standard di efficienza, che ridia responsabilità ai centri di spesa».
Sul federalismo e sulle sue conseguenze si può essere o meno d' accordo. Cos' è invece che ci unirà nonostante tutto? «Il contropiede. Come diceva Gianni Brera, l'italiano vince tutte le sue battaglie in contropiede: dal Piave al Bernabeu del Mondiale 1982, noi non abbiamo mai attaccato, perché siamo privi di disciplina. Però siamo furbi, e alla bisogna partiamo in contropiede. Questo unisce il torinese al napoletano. A scacchi saremmo il cavallo: imprevedibile e pieno di risorse».
Gianluigi Nuzzi ha scritto Metastasi, oltre 50 mila copie in tre settimane, in cui attraverso le parole del pentito Giuseppe Di Bella traccia un quadro desolante della diffusione della 'ndrangheta al nord. Nuzzi, a unire l' Italia è il malaffare? «A guardare la ragnatela di affari della ' ndrangheta in tutto il Paese viene fuori un' altra Italia, meno legata alla suddivisione tradizionale nord-sud. Ma a legare italianità e 'ndrangheta sono altri aspetti».
E inizia l'elenco: «La 'ndrangheta ha la doppia velocità tipica del nostro Paese. Da un lato la ricerca di metodi sempre più tecnologici per il riciclaggio, dall' altra un attaccamento morboso alle tradizioni e a una certa ritualità. E poi c' è quell' osannare in pubblico le regole, in particolare i legami di famiglia, una celebrazione cui corrispondono comportamenti privati non altrettanto rispettosi». Insomma, gli 'ndranghetisti sono arci-italiani? «Hanno la tendenza a una contrapposizione nettissima tra "noi" e "loro", un innato senso di superiorità, quello sì molto italiano».
«Certo, la mafia unisce l' Italia», dice Pino Aprile, autore di Terroni, terzo saggio più venduto del 2010. «Nel senso che versa i suoi soldi al Nord, mentre nel Sud si versa il sangue delle sue vittime. Tutte meridionali, tranne il generale Dalla Chiesa e l'avvocato Ambrosoli che la propria città, Milano, lasciò uccidere perché la sua onestà bloccava gli affari...».
Il successo di Terroni è parallelo a quello di un altro libro, Il sacco del Nord, scritto dal professore universitario Luca Ricolfi e diventato il vangelo della Lega Nord, nonostante il suo autore sia di sinistra.
Su un punto però Aprile e Ricolfi concordano: 150 anni fa, all' unificazione, il Sud non era sottosviluppato rispetto al Nord. Il divario produttivo si è creato dopo. «Poi, dal 1950 al '75 il Sud aveva diminuito la distanza, ma da allora le cose sono di nuovo peggiorate», spiega Ricolfi. Due i fattori del recupero: il boom economico e la Cassa per il Mezzogiorno. Grandi speranze: l'Alfasud, le autostrade... «Poi però l'industrializzazione ha attecchito poco, e ora il Nord ogni anno deve trasferire circa 50 miliardi al Sud».
Sono i 50 miliardi che fanno imbestialire i leghisti.
«Ma attenti: anche gli elettori di Pd e Pdl al nord condividono la rabbia per gli sprechi», avverte Ricolfi. A peggiorare le cose, l'aumento delle tasse: «Nel 1980 erano al 30 per cento, oggi siamo al 43. Ma, calcolando gli evasori, chi paga le imposte deve versare quasi il 60 per cento».
Per questo, nel 1987 la Lega ha mandato i primi parlamentari a Roma. «Ma fra le regioni sprecone non ci sono solo quelle del Sud», avverte Ricolfi. «La Liguria, per esempio, è a i primi posti per evasione e inefficienza. L'Umbria è prima per assistenzialismo. E anche le regioni autonome del Nord Val d'Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli incassano più di quel che pagano in tasse. Viceversa, al Sud bisogna distinguere fra le regioni con la piaga mafiosa - Sicilia, Calabria, Campania - e le altre, che stanno meglio».
Ci salverà la cultura
Tra i casi che hanno caratterizzato questo 2010 appena terminato c'è senza dubbio quello di Benvenuti al Sud, il film di Luca Miniero con Claudio Bisio protagonista, che ha incassato 30 milioni di euro al botteghino.
Miniero è un napoletano vissuto a Milano ed è fermamente convinto di una cosa: «Tra settentrionali e meridionali le affinità sono più delle discrepanze. La rappresentazione degli italiani come un popolo diviso è un affare tutto politico, e molto strumentale. Certo, il nostro patriottismo è diverso da quello, per esempio, dei francesi: abbiamo un' identità più sfaccettata. Ma il vero problema sono i pregiudizi, anche se non credo che l'antimeridionalismo sia davvero diffuso come ci viene raccontato».
Dopo aver girato tutta l'Italia dietro al suo film, Miniero non ha dubbi: «Ci uniscono senso dell' umorismo e la solidarietà nelle catastrofi, quel sentimento nazionale che quando succede qualcosa fa muovere italiani da tutto il Paese per aiutare». Quindi l'italiano si vede nel momento del bisogno? «E davanti alla nazionale di calcio. Il problema è che con la crisi si accentuano gli egoismi».
Anche a Sud, però. Basti pensare alle spinte autonomiste dei siciliani Raffaele Lombardo e Gianfranco Miccichè: «Ci sono sempre state, e sono sempre state un po' ridicole. Il vero problema è che dovremmo smettere di piangerci addosso, e cercare di far evolvere il nostro orgoglio provinciale in orgoglio nazionale. Dovremmo imparare a guardarci con gli occhi degli stranieri».
Più pessimista è Renzo Arbore, mattatore dell'Orchestra Italiana, con la quale fa sold out in tutta italia e in tutto il mondo: «Sono un curioso degli italiani ma devo amaramente dividerli in due categorie, gli italiani "sì" e gli italiani "no". I primi hanno fame di cultura, conoscono le bellezze di questo fantastico Paese e sanno valorizzarle. Pensate alla rivalutazione dei borghi, dalle Alpi a Santa Maria di Leuca. I secondi sono macroscopiche eccezioni rispetto ai primi, ma egregiamente rappresentate, e foraggiate, dalla tv dei reality, dei toni esasperati e del gossip. La tv è il nostro dittatore, perennemente all' inseguimento del cattivo gusto».
Un cattivo gusto che cozza con l' essenza profonda dell' italiano: «Siamo un Paese benedetto da Dio, un po' meno dagli italiani. La chiave di volta può essere una sempre maggiore consapevolezza culturale. Dove manca la cultura, per colpa della miseria, della disoccupazione o di altro, l' Italia è ancora da fare».
Già, ma come? «Sono abbastanza vecchio da aver vissuto fascismo, antifascismo, il boom , lo sboom , la crisi. E mi sento di poter dire che una nuova stagione si sta affacciando, un nuovo rinascimento che richiederà uomini all' altezza, figli di una generazione che ha girato il mondo e che torna in Italia con la consapevolezza di esser nata nel posto più bello del mondo».
La soluzione, quindi, arriverà dai giovani che ora fuggono all'estero? «I talenti fuggono perché la politica e le sue politiche non sono alla loro altezza. Da noi le eccellenze vengono ignorate: il jazz italiano è migliore di quello americano, la musica popolare italiana è la più varia e poliedrica del mondo. Poi ci sono la moda, la gastronomia. Noi siamo il simbolo del gusto, e all' estero ci percepiscono così».
Sembra di intravvedere un "però"... «Il pessimo senso civico di alcuni, la maleducazione, il degrado di certe zone del Sud, che indigna me per primo e che declassa agli occhi degli stranieri anche città virtuose come Torino e Venezia».
Anche Vittorio Sgarbi, che ha appena scritto Viaggio sentimentale nell'Italia dei desideri (Bompiani), punta su arte e cultura come motivo di orgoglio unificante: «Siamo uniti dalla bellezza. Gli stranieri vengono in Italia per Taormina e Capri, Ischia e Costa Smeralda. Non per Cinisello o Valdobbiadene. Nonostante tutte le catastrofi estetiche combinate dai geometri negli ultimi 50 anni, Gore Vidal prende casa a Ravello, e lì Oscar Niemeyer costruisce l'auditorium. E tutto questo ha un grande ritorno economico. Il turismo del borgo, il lusso dell'albergo diffuso a Santo Stefano di Sessanio negli Abruzzi. Perfino casa mia, il palazzo Cavallini Sgarbi di Ferrara, sta per diventare un'attrazione: fu l'abitazione di Ludovico Ariosto, e la apriremo al pubblico in gennaio».
Ricapitolando: il gusto, la solidarietà, la cultura e l'arte (soprattutto quella di sfangarla in zona Cesarini) ci rendono tutti italiani nonostante le divisioni politiche, economiche e ideologiche. Come dire che aveva ragione ancora una volta Giorgio Gaber: «Noi non ci sentiamo italiani, ma per fortuna o purtroppo lo siamo».
Marianna Aprile e Mauro Suttora
Cosa ci unisce,cosa ci divide
Iniziano le celebrazioni: sette esperti ci raccontano il paese
Festeggeremo il secolo e mezzo di unificazione con federalismo fiscale e spinte separatiste. Ma davvero gli italiani non sono mai stati fatti?
di Marianna Aprile e Mauro Suttora
Oggi, 12 gennaio 2011
Centocinquanta e non sentirli. A un secolo e mezzo dall'unificazione nazionale, e alla vigilia delle celebrazioni che scandiranno il 2011, ci guardiamo attorno e ci chiediamo se, fatta l'Italia, siano poi davvero arrivati anche gli italiani. Non abbiamo mai brillato per patriottismo, anzi, siamo tradizionalmente i primi a inchiodarci alle nostre mancanze. E la politica non aiuta: saluta la ricorrenza accelerando l' attuazione del federalismo fiscale. Che significherà meno soldi per le città del centro-sud: L'Aquila, per esempio, registrerebbe un -66% rispetto al 2010, Napoli -60.
Ironia del destino, i due centri cui il governo di Silvio Berlusconi ha spesso legato le sue sorti negli ultimi due anni. Ci guadagnerebbero - e tanto - Parma (+105%), Padova (+76) e Treviso (+58). A Milano gli introiti crescerebbero del 34%. Insomma, il divario tra Nord e Sud è destinato a crescere, l' antimeridionalismo trova sempre più spazio sui giornali, e anche l' identità nazionale non si sente tanto bene. O no?
«Ci divide la crisi economica, che ci rende meno tolleranti verso gli sprechi e i trasferimenti di danaro da una parte all' altra del Paese: se a Torino non ho l' asilo pubblico, non posso accettare che si investano altri soldi nella Salerno-Reggio Calabria», dice Massimo Gramellini , vicedirettore de La Stampa e autore, con Carlo Fruttero, di La Patria, bene o male . Gramellini però non crede alla divisione tra Nord e Sud: «Piuttosto siamo ostili a Roma, vista come centro degli sprechi. In fondo, l' Italia è la somma di più capitali. Se abbiamo così tante città d' arte è proprio perché i centri di potere erano molti e ogni signore investiva sul suo territorio. Dovremmo valorizzare quelle storie, invece che comprimerle: recuperarle può aiutare a riscoprire il senso delle istituzioni».
Ma il federalismo non aumenterà la distanza? «Con le giuste contromisure, il federalismo può invece avere una funzione anti-disgregante. È giusto che i soldi vengano spesi là dove sono prodotti. Ma non a scapito del senso di solidarietà, che però deve passare da una pretesa di standard di efficienza, che ridia responsabilità ai centri di spesa».
Sul federalismo e sulle sue conseguenze si può essere o meno d' accordo. Cos' è invece che ci unirà nonostante tutto? «Il contropiede. Come diceva Gianni Brera, l'italiano vince tutte le sue battaglie in contropiede: dal Piave al Bernabeu del Mondiale 1982, noi non abbiamo mai attaccato, perché siamo privi di disciplina. Però siamo furbi, e alla bisogna partiamo in contropiede. Questo unisce il torinese al napoletano. A scacchi saremmo il cavallo: imprevedibile e pieno di risorse».
Gianluigi Nuzzi ha scritto Metastasi, oltre 50 mila copie in tre settimane, in cui attraverso le parole del pentito Giuseppe Di Bella traccia un quadro desolante della diffusione della 'ndrangheta al nord. Nuzzi, a unire l' Italia è il malaffare? «A guardare la ragnatela di affari della ' ndrangheta in tutto il Paese viene fuori un' altra Italia, meno legata alla suddivisione tradizionale nord-sud. Ma a legare italianità e 'ndrangheta sono altri aspetti».
E inizia l'elenco: «La 'ndrangheta ha la doppia velocità tipica del nostro Paese. Da un lato la ricerca di metodi sempre più tecnologici per il riciclaggio, dall' altra un attaccamento morboso alle tradizioni e a una certa ritualità. E poi c' è quell' osannare in pubblico le regole, in particolare i legami di famiglia, una celebrazione cui corrispondono comportamenti privati non altrettanto rispettosi». Insomma, gli 'ndranghetisti sono arci-italiani? «Hanno la tendenza a una contrapposizione nettissima tra "noi" e "loro", un innato senso di superiorità, quello sì molto italiano».
«Certo, la mafia unisce l' Italia», dice Pino Aprile, autore di Terroni, terzo saggio più venduto del 2010. «Nel senso che versa i suoi soldi al Nord, mentre nel Sud si versa il sangue delle sue vittime. Tutte meridionali, tranne il generale Dalla Chiesa e l'avvocato Ambrosoli che la propria città, Milano, lasciò uccidere perché la sua onestà bloccava gli affari...».
Il successo di Terroni è parallelo a quello di un altro libro, Il sacco del Nord, scritto dal professore universitario Luca Ricolfi e diventato il vangelo della Lega Nord, nonostante il suo autore sia di sinistra.
Su un punto però Aprile e Ricolfi concordano: 150 anni fa, all' unificazione, il Sud non era sottosviluppato rispetto al Nord. Il divario produttivo si è creato dopo. «Poi, dal 1950 al '75 il Sud aveva diminuito la distanza, ma da allora le cose sono di nuovo peggiorate», spiega Ricolfi. Due i fattori del recupero: il boom economico e la Cassa per il Mezzogiorno. Grandi speranze: l'Alfasud, le autostrade... «Poi però l'industrializzazione ha attecchito poco, e ora il Nord ogni anno deve trasferire circa 50 miliardi al Sud».
Sono i 50 miliardi che fanno imbestialire i leghisti.
«Ma attenti: anche gli elettori di Pd e Pdl al nord condividono la rabbia per gli sprechi», avverte Ricolfi. A peggiorare le cose, l'aumento delle tasse: «Nel 1980 erano al 30 per cento, oggi siamo al 43. Ma, calcolando gli evasori, chi paga le imposte deve versare quasi il 60 per cento».
Per questo, nel 1987 la Lega ha mandato i primi parlamentari a Roma. «Ma fra le regioni sprecone non ci sono solo quelle del Sud», avverte Ricolfi. «La Liguria, per esempio, è a i primi posti per evasione e inefficienza. L'Umbria è prima per assistenzialismo. E anche le regioni autonome del Nord Val d'Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli incassano più di quel che pagano in tasse. Viceversa, al Sud bisogna distinguere fra le regioni con la piaga mafiosa - Sicilia, Calabria, Campania - e le altre, che stanno meglio».
Ci salverà la cultura
Tra i casi che hanno caratterizzato questo 2010 appena terminato c'è senza dubbio quello di Benvenuti al Sud, il film di Luca Miniero con Claudio Bisio protagonista, che ha incassato 30 milioni di euro al botteghino.
Miniero è un napoletano vissuto a Milano ed è fermamente convinto di una cosa: «Tra settentrionali e meridionali le affinità sono più delle discrepanze. La rappresentazione degli italiani come un popolo diviso è un affare tutto politico, e molto strumentale. Certo, il nostro patriottismo è diverso da quello, per esempio, dei francesi: abbiamo un' identità più sfaccettata. Ma il vero problema sono i pregiudizi, anche se non credo che l'antimeridionalismo sia davvero diffuso come ci viene raccontato».
Dopo aver girato tutta l'Italia dietro al suo film, Miniero non ha dubbi: «Ci uniscono senso dell' umorismo e la solidarietà nelle catastrofi, quel sentimento nazionale che quando succede qualcosa fa muovere italiani da tutto il Paese per aiutare». Quindi l'italiano si vede nel momento del bisogno? «E davanti alla nazionale di calcio. Il problema è che con la crisi si accentuano gli egoismi».
Anche a Sud, però. Basti pensare alle spinte autonomiste dei siciliani Raffaele Lombardo e Gianfranco Miccichè: «Ci sono sempre state, e sono sempre state un po' ridicole. Il vero problema è che dovremmo smettere di piangerci addosso, e cercare di far evolvere il nostro orgoglio provinciale in orgoglio nazionale. Dovremmo imparare a guardarci con gli occhi degli stranieri».
Più pessimista è Renzo Arbore, mattatore dell'Orchestra Italiana, con la quale fa sold out in tutta italia e in tutto il mondo: «Sono un curioso degli italiani ma devo amaramente dividerli in due categorie, gli italiani "sì" e gli italiani "no". I primi hanno fame di cultura, conoscono le bellezze di questo fantastico Paese e sanno valorizzarle. Pensate alla rivalutazione dei borghi, dalle Alpi a Santa Maria di Leuca. I secondi sono macroscopiche eccezioni rispetto ai primi, ma egregiamente rappresentate, e foraggiate, dalla tv dei reality, dei toni esasperati e del gossip. La tv è il nostro dittatore, perennemente all' inseguimento del cattivo gusto».
Un cattivo gusto che cozza con l' essenza profonda dell' italiano: «Siamo un Paese benedetto da Dio, un po' meno dagli italiani. La chiave di volta può essere una sempre maggiore consapevolezza culturale. Dove manca la cultura, per colpa della miseria, della disoccupazione o di altro, l' Italia è ancora da fare».
Già, ma come? «Sono abbastanza vecchio da aver vissuto fascismo, antifascismo, il boom , lo sboom , la crisi. E mi sento di poter dire che una nuova stagione si sta affacciando, un nuovo rinascimento che richiederà uomini all' altezza, figli di una generazione che ha girato il mondo e che torna in Italia con la consapevolezza di esser nata nel posto più bello del mondo».
La soluzione, quindi, arriverà dai giovani che ora fuggono all'estero? «I talenti fuggono perché la politica e le sue politiche non sono alla loro altezza. Da noi le eccellenze vengono ignorate: il jazz italiano è migliore di quello americano, la musica popolare italiana è la più varia e poliedrica del mondo. Poi ci sono la moda, la gastronomia. Noi siamo il simbolo del gusto, e all' estero ci percepiscono così».
Sembra di intravvedere un "però"... «Il pessimo senso civico di alcuni, la maleducazione, il degrado di certe zone del Sud, che indigna me per primo e che declassa agli occhi degli stranieri anche città virtuose come Torino e Venezia».
Anche Vittorio Sgarbi, che ha appena scritto Viaggio sentimentale nell'Italia dei desideri (Bompiani), punta su arte e cultura come motivo di orgoglio unificante: «Siamo uniti dalla bellezza. Gli stranieri vengono in Italia per Taormina e Capri, Ischia e Costa Smeralda. Non per Cinisello o Valdobbiadene. Nonostante tutte le catastrofi estetiche combinate dai geometri negli ultimi 50 anni, Gore Vidal prende casa a Ravello, e lì Oscar Niemeyer costruisce l'auditorium. E tutto questo ha un grande ritorno economico. Il turismo del borgo, il lusso dell'albergo diffuso a Santo Stefano di Sessanio negli Abruzzi. Perfino casa mia, il palazzo Cavallini Sgarbi di Ferrara, sta per diventare un'attrazione: fu l'abitazione di Ludovico Ariosto, e la apriremo al pubblico in gennaio».
Ricapitolando: il gusto, la solidarietà, la cultura e l'arte (soprattutto quella di sfangarla in zona Cesarini) ci rendono tutti italiani nonostante le divisioni politiche, economiche e ideologiche. Come dire che aveva ragione ancora una volta Giorgio Gaber: «Noi non ci sentiamo italiani, ma per fortuna o purtroppo lo siamo».
Marianna Aprile e Mauro Suttora
Thursday, December 30, 2010
Ligresti, Boeri, Cerba e cemento
Il grande progetto medico-scientifico di Umberto Veronesi rischia di nascondere anche qualche speculazione edilizia per cementificare il Parco Sud, ultimo polmone verde di Milano?
Milano, 30 dicembre 2010 (Agenzia Radiocor) - Salvatore Ligresti scommette sul Cerba (Centro europeo ricerca biomedica avanzata), ma punta a ottenere ulteriori volumetrie nelle aree circostanti il nuovo centro milanese di biomedica avanzata, e a edificare, in particolare, sui 60mila metri quadrati di Macconago, adiacenti all'istituto progettato da Stefano Boeri.
Queste strategie emergono da alcuni documenti riservati, consultati da Radiocor, che l'Ingegnere ha inviato, tramite le holding di famiglia, in particolare Immobiliare Costruzioni (Imco) e Altair, ai vertici del Comune di Milano per chiedere modifiche al nuovo Piano di Governo del territorio (Pgt) su terreni di loro pertinenza.
Le richieste di Ligresti sono attualmente al vaglio degli esperti comunali ma, a prescindere dalla risposta, rivelano l'assoluta centralita' degli esiti del Pgt nelle strategie di sviluppo delle holding dell'Ingegnere. Attualmente le aree del Cerba sono in pegno alle banche come garanzia per il rifinanziamento di Sinergia, la principale cassaforte dei Ligresti.
INVECE, 10 MESI FA, QUESTO ARTICOLO SU LIBERO:
Ligresti: "Su Cerba non facciamo speculazione edilizia"
Milano, 11 feb. 2010 (Adnkronos) - "Bisogna evitare di dire che si fa speculazione edilizia, perche' le aziende per sopravvivere devono guadagnare, altrimenti muoiono. Non siamo la Banca d'Italia, che stampa i soldi". Salvatore Ligresti, membro del Cda della Fondazione Cerba (Centro di ricerca biomedica avanzata), non usa mezzi termini nel difendere la gestione del progetto per la nascita del polo di ricerca che sorgera' a Milano, nei pressi dell'Ieo (Istituto europeo di oncologia) diretto da Umberto Veronesi.
A margine di un incontro all'Ieo 2 con il cardinale Dionigi Tettamanzi, in visita pastorale nella struttura di via Ripamonti, Ligresti sottolinea: "Questi sono interventi di grande interesse, dove sono previste anche le residenze per i ricercatori. E se ci danno i permessi per edificare, in due anni saremo in grado di completare buona parte del Cerba". Il programma e' di partire entro quest'anno. "I fondi - prosegue - li stiamo trovando. Ci sara' anche un grande parco che sara' gestito per trent'anni dall'Ieo".
Ligresti lancia infine un appello rivolto a tutte le amministrazioni: "L'iter burocratico e' lungo. Certo, se snellissero le procedure, specie per questo tipo di opere, sarebbe meglio". Il completamento del Cerba, che costera' centinaia di milioni di euro, "non dipende solo da noi - avverte il presidente onorario di Fondiaria Sai - Crediamo che le amministrazioni dovrebbero creare una piccola struttura ad hoc, che segua l'iter, semplifichi le procedure e si occupi delle collaborazioni con il privato. Dovrebbe succedere anche per CityLife e per la Citta' della moda, grandi opere che cambiano il volto di Milano". Lavori, conclude il costruttore, "che hanno bisogno di collaborazione ed e' tutto alla luce del sole".
PER SAPERNE DI PIU':
questo articolo di Stefano Rossi del 2008 su Repubblica.
E questo capitolo del libro 'La Colata' (ed. Chiare lettere, 2010) di Andrea Garibaldi, Ferruccio Sansa e altri
Milano, 30 dicembre 2010 (Agenzia Radiocor) - Salvatore Ligresti scommette sul Cerba (Centro europeo ricerca biomedica avanzata), ma punta a ottenere ulteriori volumetrie nelle aree circostanti il nuovo centro milanese di biomedica avanzata, e a edificare, in particolare, sui 60mila metri quadrati di Macconago, adiacenti all'istituto progettato da Stefano Boeri.
Queste strategie emergono da alcuni documenti riservati, consultati da Radiocor, che l'Ingegnere ha inviato, tramite le holding di famiglia, in particolare Immobiliare Costruzioni (Imco) e Altair, ai vertici del Comune di Milano per chiedere modifiche al nuovo Piano di Governo del territorio (Pgt) su terreni di loro pertinenza.
Le richieste di Ligresti sono attualmente al vaglio degli esperti comunali ma, a prescindere dalla risposta, rivelano l'assoluta centralita' degli esiti del Pgt nelle strategie di sviluppo delle holding dell'Ingegnere. Attualmente le aree del Cerba sono in pegno alle banche come garanzia per il rifinanziamento di Sinergia, la principale cassaforte dei Ligresti.
INVECE, 10 MESI FA, QUESTO ARTICOLO SU LIBERO:
Ligresti: "Su Cerba non facciamo speculazione edilizia"
Milano, 11 feb. 2010 (Adnkronos) - "Bisogna evitare di dire che si fa speculazione edilizia, perche' le aziende per sopravvivere devono guadagnare, altrimenti muoiono. Non siamo la Banca d'Italia, che stampa i soldi". Salvatore Ligresti, membro del Cda della Fondazione Cerba (Centro di ricerca biomedica avanzata), non usa mezzi termini nel difendere la gestione del progetto per la nascita del polo di ricerca che sorgera' a Milano, nei pressi dell'Ieo (Istituto europeo di oncologia) diretto da Umberto Veronesi.
A margine di un incontro all'Ieo 2 con il cardinale Dionigi Tettamanzi, in visita pastorale nella struttura di via Ripamonti, Ligresti sottolinea: "Questi sono interventi di grande interesse, dove sono previste anche le residenze per i ricercatori. E se ci danno i permessi per edificare, in due anni saremo in grado di completare buona parte del Cerba". Il programma e' di partire entro quest'anno. "I fondi - prosegue - li stiamo trovando. Ci sara' anche un grande parco che sara' gestito per trent'anni dall'Ieo".
Ligresti lancia infine un appello rivolto a tutte le amministrazioni: "L'iter burocratico e' lungo. Certo, se snellissero le procedure, specie per questo tipo di opere, sarebbe meglio". Il completamento del Cerba, che costera' centinaia di milioni di euro, "non dipende solo da noi - avverte il presidente onorario di Fondiaria Sai - Crediamo che le amministrazioni dovrebbero creare una piccola struttura ad hoc, che segua l'iter, semplifichi le procedure e si occupi delle collaborazioni con il privato. Dovrebbe succedere anche per CityLife e per la Citta' della moda, grandi opere che cambiano il volto di Milano". Lavori, conclude il costruttore, "che hanno bisogno di collaborazione ed e' tutto alla luce del sole".
PER SAPERNE DI PIU':
questo articolo di Stefano Rossi del 2008 su Repubblica.
E questo capitolo del libro 'La Colata' (ed. Chiare lettere, 2010) di Andrea Garibaldi, Ferruccio Sansa e altri
Wednesday, December 29, 2010
La pagella di Severgnini
LO SCRITTORE DA' I VOTI AI POLITICI
Oggi, 29 dicembre 2010
Il Parlamento di Severgnini
Berlusconi: 6. Si applica da 16 anni, qualche risultato in più dovrebbe ottenerlo.
Carfagna: 5. Studia ma è umorale, spesso si distrae. E distrae tutti i compagni seduti nei banchi vicini.
Gelmini: 5 . Grande senso del dovere. Ma la grinta bresciana non le basta.
Santanchè: 4. È omonima di quella che accusava Berlusconi di «vedere le donne solo in posizione orizzontale»?
Letta: 6. Capoclasse coscienzioso, ormai ha l'espressione del protomartire.
Tremonti: 6. Con pochi soldi, fa quel che può. Però deve rispondere più spesso alle interrogazioni.
Bondi: 5. Si applica, ma non basta. La cultura è la nostra industria.
Fini: 5. Se vuole cambiar classe, vada. Non può stare tutto il giorno sulla porta.
Bocchino: 5. Sulla porta c'è spazio per uno, non per due.
Polidori, Siliquini & c.: 4. Bocciati.
Napolitano: 8. Il preside è paziente.
Bersani: 5. Deve diventare capoclasse, invece continua a giocare nascondendosi nei banchi in fondo.
Renzi: 7. volenteroso, fantasioso. Ma i rottami non si possono buttare dalla finestra della classe.
Bindi: 6. Avrebbe l'autorità e la forza per strapazzare i propri compagni.
Franceschini: 5. Era andato in bagno, perché non torna in classe?
Di Pietro: 4. Quando urla contro il maestro Silvio, ce lo rende simpatico.
Casini: 5. Non può rimandare all'infinito la consegna del compito in classe. Che si spicci a decidersi.
Rutelli: 5. Idem.
Guzzanti: 6. Sprecato in questa classe. Meglio come giornalista.
Calearo: 3. Sospeso.
D'Alema: 4. Ha già preso la maturità quattro volte: che lasci la classe e proceda negli studi.
Vendola: 6. È l'anima della classe, ma non sarà mai capoclasse.
Pannella: 6. Dà il meglio di sè nelle gite scolastiche.
Veltroni: 6. È uscito dall' aula piangendo. Il problema è che non l'aveva mandato via nessuno.
Maroni: 6. I compiti li fa bene, ma i suoi amici lasciano a desiderare.
Bossi: 6. Annata difficile.
La Russa: 6 agli orali, 4 negli scritti. Ma è interista, quindi gli do la sufficienza.
a cura di Mauro Suttora
Oggi, 29 dicembre 2010
Il Parlamento di Severgnini
Berlusconi: 6. Si applica da 16 anni, qualche risultato in più dovrebbe ottenerlo.
Carfagna: 5. Studia ma è umorale, spesso si distrae. E distrae tutti i compagni seduti nei banchi vicini.
Gelmini: 5 . Grande senso del dovere. Ma la grinta bresciana non le basta.
Santanchè: 4. È omonima di quella che accusava Berlusconi di «vedere le donne solo in posizione orizzontale»?
Letta: 6. Capoclasse coscienzioso, ormai ha l'espressione del protomartire.
Tremonti: 6. Con pochi soldi, fa quel che può. Però deve rispondere più spesso alle interrogazioni.
Bondi: 5. Si applica, ma non basta. La cultura è la nostra industria.
Fini: 5. Se vuole cambiar classe, vada. Non può stare tutto il giorno sulla porta.
Bocchino: 5. Sulla porta c'è spazio per uno, non per due.
Polidori, Siliquini & c.: 4. Bocciati.
Napolitano: 8. Il preside è paziente.
Bersani: 5. Deve diventare capoclasse, invece continua a giocare nascondendosi nei banchi in fondo.
Renzi: 7. volenteroso, fantasioso. Ma i rottami non si possono buttare dalla finestra della classe.
Bindi: 6. Avrebbe l'autorità e la forza per strapazzare i propri compagni.
Franceschini: 5. Era andato in bagno, perché non torna in classe?
Di Pietro: 4. Quando urla contro il maestro Silvio, ce lo rende simpatico.
Casini: 5. Non può rimandare all'infinito la consegna del compito in classe. Che si spicci a decidersi.
Rutelli: 5. Idem.
Guzzanti: 6. Sprecato in questa classe. Meglio come giornalista.
Calearo: 3. Sospeso.
D'Alema: 4. Ha già preso la maturità quattro volte: che lasci la classe e proceda negli studi.
Vendola: 6. È l'anima della classe, ma non sarà mai capoclasse.
Pannella: 6. Dà il meglio di sè nelle gite scolastiche.
Veltroni: 6. È uscito dall' aula piangendo. Il problema è che non l'aveva mandato via nessuno.
Maroni: 6. I compiti li fa bene, ma i suoi amici lasciano a desiderare.
Bossi: 6. Annata difficile.
La Russa: 6 agli orali, 4 negli scritti. Ma è interista, quindi gli do la sufficienza.
a cura di Mauro Suttora
Monday, December 27, 2010
E l'«amico» Putin?
Russia: Germania contro condanna Khodorkovsky
Berlino, 27 dic. (Adnkronos/Dpa) - La Germania critica la nuova condanna ai danni dell'ex magnate del petrolio russo Mikhail Khodorkovsky. Il commissario per i diritti umani del governo federale tedesco, Markus Loening, ha definito il verdetto con cui oggi il fondatore di Yukos e' stato dichiarato colpevole di appropriazione indebita e furto di petrolio, "un esempio di giustizia arbitraria e politicizzata" che non "mette in buona luce la situazione in Germania".
Il verdetto mostra che "la retorica del presidente Medvedev sulla stato di diritto e' appunto semplice retorica", ha poi aggiunto il commissario che ha assistito ad alcune udienze del processo nelle scorse settimane. Udienze in cui, ha aggiunto Loening, e' apparso chiaro come le testimonianze non sostenevano le accuse contro Khodorkovsky. "Al contrario le testimonianze dell'ex primo ministro russo, Mikhail Kasyanov, dell'ex ministro dell'economia, German Gref, hanno dimostrato l'infondatezza di queste accuse", ha concluso.
(caro Silvio, 70 anni fa l'«amico» Adolfo, oggi Vladimiro - fatte le ovvie differenze?)
Berlino, 27 dic. (Adnkronos/Dpa) - La Germania critica la nuova condanna ai danni dell'ex magnate del petrolio russo Mikhail Khodorkovsky. Il commissario per i diritti umani del governo federale tedesco, Markus Loening, ha definito il verdetto con cui oggi il fondatore di Yukos e' stato dichiarato colpevole di appropriazione indebita e furto di petrolio, "un esempio di giustizia arbitraria e politicizzata" che non "mette in buona luce la situazione in Germania".
Il verdetto mostra che "la retorica del presidente Medvedev sulla stato di diritto e' appunto semplice retorica", ha poi aggiunto il commissario che ha assistito ad alcune udienze del processo nelle scorse settimane. Udienze in cui, ha aggiunto Loening, e' apparso chiaro come le testimonianze non sostenevano le accuse contro Khodorkovsky. "Al contrario le testimonianze dell'ex primo ministro russo, Mikhail Kasyanov, dell'ex ministro dell'economia, German Gref, hanno dimostrato l'infondatezza di queste accuse", ha concluso.
(caro Silvio, 70 anni fa l'«amico» Adolfo, oggi Vladimiro - fatte le ovvie differenze?)
Bielorussia. E l'Italia?
editoriale sul New York Times dei ministri degli Esteri Carl Bildt (Svezia), Guido Westerwelle (Germania), Radek Sikorski (Polonia), Karel Schwarzenberg (Rep.Ceca)
Wednesday, December 22, 2010
La guerra mondiale di Wikileaks
Ecco perché i corsari informatici sono forti e imprendibili
di Mauro Suttora
Oggi, 15 dicembre
È scoppiata la terza guerra mondiale e non ce ne siamo accorti? Da quando, il 28 novembre, Wikileaks ha cominciato a svelare i 251 mila cablogrammi segreti inviati negli ultimi anni dai diplomatici degli Stati Uniti in tutto il mondo, ogni giorno scoppia un putiferio. Perché, molto furbamente, i seguaci di Julian Assange hanno deciso di centellinare le rivelazioni. L’ultima, che ha provocato grande costernazione in Vaticano, riguarda il segretario di Stato Tarcisio Bertone, numero due del Papa, definito «inadeguato» dai diplomatici americani. Ma molti altri imbarazzanti segreti verranno alla luce nelle prossime settimane: basti dire che finora sono stati pubblicati appena 1.340 documenti sul quarto di milione in possesso dei pirati informatici.
“Pericolosi come Osama”
Ma come funziona Wikileaks? E chi c’è dietro a questi «guerrieri della trasparenza» che il ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito «pericolosi quanto Osama Bin Laden»? Diciamo subito che, proprio come Al Qaeda, la struttura di Wikileaks è decentrata. Si illudono, quindi, coloro che pensano di bloccarla incarcerando il capo, Assange, o chiudendo fisicamente i computer. I due server ospitati a Stoccolma nel bunker antiatomico della società Prq, infatti, sono solo una goccia nel mare di internet.
Qualche nostro tg li ha mostrati, spacciandoli per il «cervello» di Wikileaks. Ma è solo sensazionalismo. Quella stessa società, infatti, ospita altri 8mila server. E Wikileaks può contare su centinaia di «siti-specchio» che entrano automaticamente in funzione appena ne viene disattivato uno. Lo stesso Assange ha avvertito: «Altre centinaia di militanti, oltre a me, posseggono l’intero file di 251 mila documenti, e lo rilasceranno se dovesse capitarmi qualcosa».
“Contenuto esplosivo“
Ma qual è il vero valore di questi documenti segreti? È vero che riscrivono la storia contemporanea, o sono soltanto una rimasticazione di articoli di giornale copiati da pigri incaricati di affari nelle ambasciate? In alcuni casi il contenuto è esplosivo, e quindi e' giusto il paragone con una guerra mondiale. Non però la terza: quella è già stata vinta dall’Occidente contro il comunismo nel 1989. E neanche la quarta, cominciata nel 2001 con l’attacco alle Torri gemelle da parte dei fanatici islamici, e ancora in corso. È la quinta o sesta, assieme all’altro grande conflitto dei nostri giorni: quello fra mondo libero e Cina.
Però i ragazzi di Wikileaks sono occidentali, quindi la definirei una guerra civile, anche se nonviolenta. È un conflitto interno alle democrazie, fra chi pensa che anche i nostri stati debbano conservare segreti, e chi invece vuole esporre tutto.
Non dimentichiamo però che fra i fondatori di Wikileaks, nell’ottobre 2006, ci sono anche importanti dissidenti cinesi: Wang Dan, leader degli studenti di Pechino massacrati in piazza Tian an men nell’89, e Xiao Qiang. Inizialmente, quindi, l’intento di Assange e soci era quello di smascherare i segreti di tutti i governi. Ed è ovvio che le dittature ne hanno molti di più, e più sanguinosi, dei regimi democratici.
Perché, allora, quasi tutte le rivelazioni finora riguardano gli Stati Uniti? Prima ci fu il filmato in cui si vedono le truppe Nato uccidere un giornalista in Afghanistan. Poi, l’estate scorsa, i documenti del Pentagono con l’ammissione ufficiale di avere ammazzato 60 mila civili innocenti nella guerra d’Iraq. E se dietro Wikileaks ci fosse la Cina o la Russia, o qualche altro avversario degli Usa?
Non credo che gli hackers di Wikileaks siano manipolati. Politicamente sono anarchici che si battono contro il potere a 360 gradi. Hanno già preannunciato rivelazioni sulle grandi banche. E se avessero documenti segreti cinesi sulla repressione in Tibet o contro Falun Gong, non esiterebbero a divulgarli. Il problema è che finora non c’è stato nessun funzionario pentito di Pechino che gliel’ha passati.
Sì, perché in realtà Wikileaks non ha mai rubato alcun documento. Si limita, come da statuto, a pubblicare, dopo averli verificati, quelli in arrivo (gratis) da persone che per un qualsiasi motivo decidono di tradire il vincolo di segretezza che li lega all’organizzazione per cui lavorano. Quindi, il vero colpevole dell’attuale terremoto è il soldato americano 22enne che ha passato i files ad Assange, e che è in carcere per spionaggio.
Giuridicamente, Wikileaks è colpevole di un unico reato: ricettazione. Magari di ricettazione attiva, o di istigazione al furto e allo spionaggio, perché invita pubblicamente i dipendenti pentiti a rivelare le magagne della propria azienda, o ministero. E si può immaginare quanti siano coloro disposti a farlo, magari per vendicarsi di essere stati licenziati, o frustrati per una mancata promozione o aumento di stipendio... E sapere che c’è lì Wikileaks pronta a fare giustizia rappresenta un incentivo formidabile.
Coinvolgere i principali giornali mondiali è stata la mossa più intelligente di Assange. Li ha coinvolti - ed è preoccupante che ce ne sia uno spagnolo, El Pais, ma nessuno italiano - ottenendo così una patente di veridicità che non avrebbe avuto da solo. Li ha anche messi uno contro l’altro, suddividendo equamente il materiale. Cosicché, per la legge della concorrenza, nessuno si è sognato di censurare parzialmente o di non pubblicare: lo avrebbe fatto qualcun altro.
Il direttore del New York Times Bill Keller ha fatto vedere i documenti al governo Usa prima di pubblicarli, e ha cancellato alcuni nomi. Il NY Times è il più esposto, perché è l’unico giornale americano. Ma, a proposito di mandanti, non mi meraviglierei se dietro alla fuga di notizie più imponente della storia ci fosse qualche repubblicano che vuole danneggiare il presidente Obama e Hillary Clinton.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 15 dicembre
È scoppiata la terza guerra mondiale e non ce ne siamo accorti? Da quando, il 28 novembre, Wikileaks ha cominciato a svelare i 251 mila cablogrammi segreti inviati negli ultimi anni dai diplomatici degli Stati Uniti in tutto il mondo, ogni giorno scoppia un putiferio. Perché, molto furbamente, i seguaci di Julian Assange hanno deciso di centellinare le rivelazioni. L’ultima, che ha provocato grande costernazione in Vaticano, riguarda il segretario di Stato Tarcisio Bertone, numero due del Papa, definito «inadeguato» dai diplomatici americani. Ma molti altri imbarazzanti segreti verranno alla luce nelle prossime settimane: basti dire che finora sono stati pubblicati appena 1.340 documenti sul quarto di milione in possesso dei pirati informatici.
“Pericolosi come Osama”
Ma come funziona Wikileaks? E chi c’è dietro a questi «guerrieri della trasparenza» che il ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito «pericolosi quanto Osama Bin Laden»? Diciamo subito che, proprio come Al Qaeda, la struttura di Wikileaks è decentrata. Si illudono, quindi, coloro che pensano di bloccarla incarcerando il capo, Assange, o chiudendo fisicamente i computer. I due server ospitati a Stoccolma nel bunker antiatomico della società Prq, infatti, sono solo una goccia nel mare di internet.
Qualche nostro tg li ha mostrati, spacciandoli per il «cervello» di Wikileaks. Ma è solo sensazionalismo. Quella stessa società, infatti, ospita altri 8mila server. E Wikileaks può contare su centinaia di «siti-specchio» che entrano automaticamente in funzione appena ne viene disattivato uno. Lo stesso Assange ha avvertito: «Altre centinaia di militanti, oltre a me, posseggono l’intero file di 251 mila documenti, e lo rilasceranno se dovesse capitarmi qualcosa».
“Contenuto esplosivo“
Ma qual è il vero valore di questi documenti segreti? È vero che riscrivono la storia contemporanea, o sono soltanto una rimasticazione di articoli di giornale copiati da pigri incaricati di affari nelle ambasciate? In alcuni casi il contenuto è esplosivo, e quindi e' giusto il paragone con una guerra mondiale. Non però la terza: quella è già stata vinta dall’Occidente contro il comunismo nel 1989. E neanche la quarta, cominciata nel 2001 con l’attacco alle Torri gemelle da parte dei fanatici islamici, e ancora in corso. È la quinta o sesta, assieme all’altro grande conflitto dei nostri giorni: quello fra mondo libero e Cina.
Però i ragazzi di Wikileaks sono occidentali, quindi la definirei una guerra civile, anche se nonviolenta. È un conflitto interno alle democrazie, fra chi pensa che anche i nostri stati debbano conservare segreti, e chi invece vuole esporre tutto.
Non dimentichiamo però che fra i fondatori di Wikileaks, nell’ottobre 2006, ci sono anche importanti dissidenti cinesi: Wang Dan, leader degli studenti di Pechino massacrati in piazza Tian an men nell’89, e Xiao Qiang. Inizialmente, quindi, l’intento di Assange e soci era quello di smascherare i segreti di tutti i governi. Ed è ovvio che le dittature ne hanno molti di più, e più sanguinosi, dei regimi democratici.
Perché, allora, quasi tutte le rivelazioni finora riguardano gli Stati Uniti? Prima ci fu il filmato in cui si vedono le truppe Nato uccidere un giornalista in Afghanistan. Poi, l’estate scorsa, i documenti del Pentagono con l’ammissione ufficiale di avere ammazzato 60 mila civili innocenti nella guerra d’Iraq. E se dietro Wikileaks ci fosse la Cina o la Russia, o qualche altro avversario degli Usa?
Non credo che gli hackers di Wikileaks siano manipolati. Politicamente sono anarchici che si battono contro il potere a 360 gradi. Hanno già preannunciato rivelazioni sulle grandi banche. E se avessero documenti segreti cinesi sulla repressione in Tibet o contro Falun Gong, non esiterebbero a divulgarli. Il problema è che finora non c’è stato nessun funzionario pentito di Pechino che gliel’ha passati.
Sì, perché in realtà Wikileaks non ha mai rubato alcun documento. Si limita, come da statuto, a pubblicare, dopo averli verificati, quelli in arrivo (gratis) da persone che per un qualsiasi motivo decidono di tradire il vincolo di segretezza che li lega all’organizzazione per cui lavorano. Quindi, il vero colpevole dell’attuale terremoto è il soldato americano 22enne che ha passato i files ad Assange, e che è in carcere per spionaggio.
Giuridicamente, Wikileaks è colpevole di un unico reato: ricettazione. Magari di ricettazione attiva, o di istigazione al furto e allo spionaggio, perché invita pubblicamente i dipendenti pentiti a rivelare le magagne della propria azienda, o ministero. E si può immaginare quanti siano coloro disposti a farlo, magari per vendicarsi di essere stati licenziati, o frustrati per una mancata promozione o aumento di stipendio... E sapere che c’è lì Wikileaks pronta a fare giustizia rappresenta un incentivo formidabile.
Coinvolgere i principali giornali mondiali è stata la mossa più intelligente di Assange. Li ha coinvolti - ed è preoccupante che ce ne sia uno spagnolo, El Pais, ma nessuno italiano - ottenendo così una patente di veridicità che non avrebbe avuto da solo. Li ha anche messi uno contro l’altro, suddividendo equamente il materiale. Cosicché, per la legge della concorrenza, nessuno si è sognato di censurare parzialmente o di non pubblicare: lo avrebbe fatto qualcun altro.
Il direttore del New York Times Bill Keller ha fatto vedere i documenti al governo Usa prima di pubblicarli, e ha cancellato alcuni nomi. Il NY Times è il più esposto, perché è l’unico giornale americano. Ma, a proposito di mandanti, non mi meraviglierei se dietro alla fuga di notizie più imponente della storia ci fosse qualche repubblicano che vuole danneggiare il presidente Obama e Hillary Clinton.
Mauro Suttora
Monday, December 20, 2010
Politici promossi e bocciati
Chi esce vittorioso dall' ultima crisi?
Il palazzo delle liti. Diamo i voti ai politici italiani
Berlusconi ha respinto per soli tre voti l'assalto dell'ex alleato Fini. Ma gli basterà? E come si sono comportati gli altri leader di partito? Lo abbiamo chiesto ad alcuni grandi esperti. Ecco le loro pagelle
di Marianna Aprile, Gino Gullace Raugei, Mauro Suttora
Oggi, 29 dicembre 2010
Sembrava che le sorti dell'Italia intera dovessero decidersi il 14 dicembre: dopo mesi di liti sempre più aspre, la rottura fra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e quello della Camera è approdata in Parlamento. Il voto di fiducia al governo era appeso a un filo, perché i deputati ex Pdl che hanno seguito Fini erano quasi 40.
Alla fine ha vinto Berlusconi, e il governo è rimasto in carica. Ma per soli tre voti. Il margine in suo favore è stato ottenuto grazie a transfughi dal Pd (Massimo Calearo e Bruno Cesario), dall'Italia dei Valori (Antonio Razzi, Domenico Scilipoti), e dai voti di due finiane pentite, Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini.
Ma come si sono comportati i principali politici italiani in questa crisi e, più in generale, nel 2010? Oggi, con l'aiuto di prestigiosi esperti, ha dato loro le pagelle. E ora, cari lettori, tocca a voi: andate a votare sul nostro sito www.oggi.it.
Silvio Berlusconi: 7. «È inossidabile», dice Stefano Folli, editorialista del Sole 24 Ore, «ha dimostrato di saper riemergere con abilità e spregiudicatezza da una grave difficoltà». «Gli do 10 per la gestione della crisi, 1 per come governa», specifica Piero Ignazi, commentatore dell'Espresso. «Nell' ultimo mese è stato molto abile», aggiunge Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera: «Si è nascosto e ha fatto fare ai suoi reclutamento di deputati disposti a tradire il loro mandato: essere alternativi a Berlusconi. Tattica ineccepibile, unita alla capacità di approfittare dei catastrofici errori altrui».
Giorgio Napolitano: 8. «Istituzionale», lo loda Battista. Concorda Ignazi: «La sua è stata una gestione imparziale negli interessi del Paese».
Antonio Di Pietro: 5. Folli: «Superficiale. Dall'Idv sono venute le defezioni decisive. È responsabile di una cattiva scelta dei suoi parlamentari». Ignazi: «Tira troppo la corda, è volgare. Est modus in rebus. Fa il gioco dei Cicchitti. E nel suo partito ha mele marce». Battista: «Nessun Robespierre si sarebbe mai contornato di Scilipotii...» Marco Travaglio (Il Fatto): «Merita 8 per l'opposizione, è l'unico che la fa seriamente, ma 4 per la parte propositiva. Il suo eterno tallone di Achille è l'incapacità di scegliersi collaboratori all'altezza. In certi casi privilegia oscuri traffichini di periferia, che millantano pacchetti di voti».
Gianfranco Fini: 5. Folli: «Precipitoso. Ha avuto il merito di imporsi come alternativa a Berlusconi, ma poi ha sbagliato strategia». Ignazi: «Alla fine ha fallito. E il risultato è quel che conta, in politica». Marcello Sorgi, editorialista de La Stampa : «È lui il vero sconfitto, perché aveva impegnato tutte le sue forze sull'obiettivo mancato dell' abbattimento di Berlusconi, e poi ha dovuto riparare sotto l'ala protettrice di Casini». Battista: «Meritava 10 per la capacità di resistenza alla campagna di annientamento dei berlusconiani. Ma avrebbe dovuto logorare Berlusconi, non cercare la frattura. È una disfatta politica, non numerica, la sua».
Roberto Maroni: 5,5. Battista: «La Lega Nord ha rafforzato l'asse con Berlusconi, ma non ha avuto quel che voleva: le elezioni. Almeno non per ora». Ignazi: «Ha confuso i ruoli di ministro dell'Interno (bravo) e capo della Lega, pretendendo la replica nel programma tv di Fazio e Saviano».
Sandro Bondi: 4. Battista: «Assente, perché in visita a Pompei...»
Paolo Guzzanti: 5. Battista: «Non poteva che votare contro Berlusconi, dopo aver firmato la mozione di sfiducia e scritto il libro Mignottocrazia».
Gianni Letta: 8. Come sempre, ha sapientemente trattato e ricucito nell'ombra. «Ma questa volta non ha ben messo a fuoco l'oggetto della mediazione», dice Battista. «Troppo defilato per giudicarlo», aggiunge Ignazi.
Umberto Bossi: 7. «Bravo e sornione», lo loda Ignazi.
Pier Ferdinando Casini: 7. Sorgi: «Casini aveva chiesto la sfiducia contro Berlusconi, quindi è tra gli sconfitti. Tuttavia Berlusconi gli riserva la possibilità di fare il partner per rafforzare l' indebolita maggioranza». Folli: «Si è ricollocato come interlocutore privilegiato del centrodestra». Battista: «Ha riconquistato il centro del centro».
Italo Bocchino: 4. Folli: «Avventuroso. Il suo discorso finale alla Camera ha danneggiato molto Fini». Non concorda Ignazi: «È stato bravo a fare quel che voleva il suo capo». Battista: «Dò 9 a Bocchino, ma solo in audience. Prima nessuno sapeva chi fosse».
Daniela Santanchè: 5. Ignazi: «No comment. Ma stiamo parlando di politica?» Battista: «Dovrebbe smettere di imitare la Cortellesi che imita lei. Il ruolo di supercattiva ha stancato».
Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini: 4. Le due deputate finiane tornate all'ovile berlusconiano non riscuotono grande simpatia. Battista scherza: «Soddisfatte e rimborsate».
Pier Luigi Bersani: 5,5. Folli: «Poco rilevante. Non è riuscito a rendere chiara la proposta dell'opposizione. Governo di transizione e di responsabilità nazionale: le due forme non sono mai state chiarite». Ignazi: «Fa i discorsi leggendo i fogliettini, come i burocrati Pci di provincia». Travaglio: «Linea ondivaga, ai limiti dell'incomprensibilità». «Invece secondo me si è comportato bene», dice Concita De Gregorio, direttrice de L'Unità. «Più di quel che ha fatto non poteva fare. C'è chi fa opposizione urlando e chi, come Bersani, dimostra con i fatti che Berlusconi non è in grado di far progredire il Paese». Roberto Bernabò, direttore del Tirreno : «Bersani esce dall' ultima crisi un po' più leader rispetto ai big storici del suo partito. Ma la vittoria di Berlusconi prova che non bastano operazioni di Palazzo per rovesciare il Pdl».
Massimo D' Alema: 5. Ironizza Battista: «È stato il grande stratega della sconfitta. Quindi ha vinto».
Mariastella Gelmini: 5. Ignazi: «Tutte le cose che fa sono pessime». Battista: «La sua riforma dell' università non è male, nell' impianto meritocratico. Ma è stato rischioso esporne l' esito agli equilibri politici e alla crisi, spostando la discussione al Senato al dopo sfiducia».
Antonio Razzi e Domenico Scilipoti: 4. I dipietristi che hanno salvato Berlusconi sono bocciati. Battista: «Scilipoti è l'archetipo, il modello. Quando ha spiegato i motivi della sua scelta sembrava Brèton, era surreale, al di là della comprensione».
Silvano Moffa: 4. Ha tradito due volte: prima Berlusconi andando con Fini, poi Fini tornando da Berlusconi.
Massimo Calearo: 2. «Il suo caso è molto più grave di quello dei dipietristi voltagabbana», dice Travaglio, «perché l'ex presidente di Federmeccanica era addirittura capolista del Pd veltroniano in Veneto e già nel 2008 era chiaro che era un pesce fuor d'acqua: un industriale "falco" di Confindustria in un partito di centrosinistra non poteva essere che un infiltrato berlusconiano, quale poi si è rivelato appena agguantata la poltrona a Montecitorio».
Walter Veltroni: 5. Ignazi: «Ha fatto eleggere Calearo». Ironizza Battista: «Dovrebbe riscrivere il capitolo finale del suo libro Noi, titolandolo Loro ».
Matteo Renzi: 5 . Ignazi: «Il sindaco di Firenze mi sembra un narcisista debordante, tanto da confondersi con Berlusconi».
Rosi Bindi: 6. Ignazi: «Unica a sinistra con le idee chiare. E non usa il politichese per esprimerle».
Marco Pannella: 5. Ignazi: «La sua "trattativa" con Berlusconi è stata una provocazione mal riuscita».
Ignazio La Russa: 5. «Però come ministro della Difesa è accettabile», dice Ignazi.
Francesco Rutelli: 5. Sorgi: «Il Terzo polo con Casini, Fini e Rutelli vuole fermare l'emorragia di parlamentari di centrodestra verso Berlusconi. Rutelli spera inoltre che lo raggiungano dal Pd gli ex dc insoddisfatti dell'alleanza con gli ex comunist».
I nostri esperti hanno dato 7 a Nichi Vendola. «È bravo, capace, seducente, innovativo», sostiene Piero Ignazi. E dice Bernabò, direttore del Tirreno : «Ha molte possibilità di vincere le primarie del centrosinistra, se ci saranno. Altra cosa poi vincere le elezioni, nelle quali serve anche il voto moderato».
Mara Carfagna, 35 anni, ministro per le Pari opportunità, merita 5,5. Piero Ignazi: «Non ci si aspettava molto da lei, ma risulta dignitosa in un panorama di desolazione devastante». Pierluigi Battista scherza, alludendo ai suoi tira e molla fra Berlusconi e Bocchino: «Merita dieci in volteggio».
Il ministro del Tesoro Giulio Tremonti è rimasto silenzioso. «Non ha fatto nulla», dice Piero Ignazi. «Si sta costruendo un' immagine politica che prelude a un futuro ruolo». E Battista: «Era assente perché impegnato a custodire la cassa».
Il palazzo delle liti. Diamo i voti ai politici italiani
Berlusconi ha respinto per soli tre voti l'assalto dell'ex alleato Fini. Ma gli basterà? E come si sono comportati gli altri leader di partito? Lo abbiamo chiesto ad alcuni grandi esperti. Ecco le loro pagelle
di Marianna Aprile, Gino Gullace Raugei, Mauro Suttora
Oggi, 29 dicembre 2010
Sembrava che le sorti dell'Italia intera dovessero decidersi il 14 dicembre: dopo mesi di liti sempre più aspre, la rottura fra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e quello della Camera è approdata in Parlamento. Il voto di fiducia al governo era appeso a un filo, perché i deputati ex Pdl che hanno seguito Fini erano quasi 40.
Alla fine ha vinto Berlusconi, e il governo è rimasto in carica. Ma per soli tre voti. Il margine in suo favore è stato ottenuto grazie a transfughi dal Pd (Massimo Calearo e Bruno Cesario), dall'Italia dei Valori (Antonio Razzi, Domenico Scilipoti), e dai voti di due finiane pentite, Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini.
Ma come si sono comportati i principali politici italiani in questa crisi e, più in generale, nel 2010? Oggi, con l'aiuto di prestigiosi esperti, ha dato loro le pagelle. E ora, cari lettori, tocca a voi: andate a votare sul nostro sito www.oggi.it.
Silvio Berlusconi: 7. «È inossidabile», dice Stefano Folli, editorialista del Sole 24 Ore, «ha dimostrato di saper riemergere con abilità e spregiudicatezza da una grave difficoltà». «Gli do 10 per la gestione della crisi, 1 per come governa», specifica Piero Ignazi, commentatore dell'Espresso. «Nell' ultimo mese è stato molto abile», aggiunge Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera: «Si è nascosto e ha fatto fare ai suoi reclutamento di deputati disposti a tradire il loro mandato: essere alternativi a Berlusconi. Tattica ineccepibile, unita alla capacità di approfittare dei catastrofici errori altrui».
Giorgio Napolitano: 8. «Istituzionale», lo loda Battista. Concorda Ignazi: «La sua è stata una gestione imparziale negli interessi del Paese».
Antonio Di Pietro: 5. Folli: «Superficiale. Dall'Idv sono venute le defezioni decisive. È responsabile di una cattiva scelta dei suoi parlamentari». Ignazi: «Tira troppo la corda, è volgare. Est modus in rebus. Fa il gioco dei Cicchitti. E nel suo partito ha mele marce». Battista: «Nessun Robespierre si sarebbe mai contornato di Scilipotii...» Marco Travaglio (Il Fatto): «Merita 8 per l'opposizione, è l'unico che la fa seriamente, ma 4 per la parte propositiva. Il suo eterno tallone di Achille è l'incapacità di scegliersi collaboratori all'altezza. In certi casi privilegia oscuri traffichini di periferia, che millantano pacchetti di voti».
Gianfranco Fini: 5. Folli: «Precipitoso. Ha avuto il merito di imporsi come alternativa a Berlusconi, ma poi ha sbagliato strategia». Ignazi: «Alla fine ha fallito. E il risultato è quel che conta, in politica». Marcello Sorgi, editorialista de La Stampa : «È lui il vero sconfitto, perché aveva impegnato tutte le sue forze sull'obiettivo mancato dell' abbattimento di Berlusconi, e poi ha dovuto riparare sotto l'ala protettrice di Casini». Battista: «Meritava 10 per la capacità di resistenza alla campagna di annientamento dei berlusconiani. Ma avrebbe dovuto logorare Berlusconi, non cercare la frattura. È una disfatta politica, non numerica, la sua».
Roberto Maroni: 5,5. Battista: «La Lega Nord ha rafforzato l'asse con Berlusconi, ma non ha avuto quel che voleva: le elezioni. Almeno non per ora». Ignazi: «Ha confuso i ruoli di ministro dell'Interno (bravo) e capo della Lega, pretendendo la replica nel programma tv di Fazio e Saviano».
Sandro Bondi: 4. Battista: «Assente, perché in visita a Pompei...»
Paolo Guzzanti: 5. Battista: «Non poteva che votare contro Berlusconi, dopo aver firmato la mozione di sfiducia e scritto il libro Mignottocrazia».
Gianni Letta: 8. Come sempre, ha sapientemente trattato e ricucito nell'ombra. «Ma questa volta non ha ben messo a fuoco l'oggetto della mediazione», dice Battista. «Troppo defilato per giudicarlo», aggiunge Ignazi.
Umberto Bossi: 7. «Bravo e sornione», lo loda Ignazi.
Pier Ferdinando Casini: 7. Sorgi: «Casini aveva chiesto la sfiducia contro Berlusconi, quindi è tra gli sconfitti. Tuttavia Berlusconi gli riserva la possibilità di fare il partner per rafforzare l' indebolita maggioranza». Folli: «Si è ricollocato come interlocutore privilegiato del centrodestra». Battista: «Ha riconquistato il centro del centro».
Italo Bocchino: 4. Folli: «Avventuroso. Il suo discorso finale alla Camera ha danneggiato molto Fini». Non concorda Ignazi: «È stato bravo a fare quel che voleva il suo capo». Battista: «Dò 9 a Bocchino, ma solo in audience. Prima nessuno sapeva chi fosse».
Daniela Santanchè: 5. Ignazi: «No comment. Ma stiamo parlando di politica?» Battista: «Dovrebbe smettere di imitare la Cortellesi che imita lei. Il ruolo di supercattiva ha stancato».
Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini: 4. Le due deputate finiane tornate all'ovile berlusconiano non riscuotono grande simpatia. Battista scherza: «Soddisfatte e rimborsate».
Pier Luigi Bersani: 5,5. Folli: «Poco rilevante. Non è riuscito a rendere chiara la proposta dell'opposizione. Governo di transizione e di responsabilità nazionale: le due forme non sono mai state chiarite». Ignazi: «Fa i discorsi leggendo i fogliettini, come i burocrati Pci di provincia». Travaglio: «Linea ondivaga, ai limiti dell'incomprensibilità». «Invece secondo me si è comportato bene», dice Concita De Gregorio, direttrice de L'Unità. «Più di quel che ha fatto non poteva fare. C'è chi fa opposizione urlando e chi, come Bersani, dimostra con i fatti che Berlusconi non è in grado di far progredire il Paese». Roberto Bernabò, direttore del Tirreno : «Bersani esce dall' ultima crisi un po' più leader rispetto ai big storici del suo partito. Ma la vittoria di Berlusconi prova che non bastano operazioni di Palazzo per rovesciare il Pdl».
Massimo D' Alema: 5. Ironizza Battista: «È stato il grande stratega della sconfitta. Quindi ha vinto».
Mariastella Gelmini: 5. Ignazi: «Tutte le cose che fa sono pessime». Battista: «La sua riforma dell' università non è male, nell' impianto meritocratico. Ma è stato rischioso esporne l' esito agli equilibri politici e alla crisi, spostando la discussione al Senato al dopo sfiducia».
Antonio Razzi e Domenico Scilipoti: 4. I dipietristi che hanno salvato Berlusconi sono bocciati. Battista: «Scilipoti è l'archetipo, il modello. Quando ha spiegato i motivi della sua scelta sembrava Brèton, era surreale, al di là della comprensione».
Silvano Moffa: 4. Ha tradito due volte: prima Berlusconi andando con Fini, poi Fini tornando da Berlusconi.
Massimo Calearo: 2. «Il suo caso è molto più grave di quello dei dipietristi voltagabbana», dice Travaglio, «perché l'ex presidente di Federmeccanica era addirittura capolista del Pd veltroniano in Veneto e già nel 2008 era chiaro che era un pesce fuor d'acqua: un industriale "falco" di Confindustria in un partito di centrosinistra non poteva essere che un infiltrato berlusconiano, quale poi si è rivelato appena agguantata la poltrona a Montecitorio».
Walter Veltroni: 5. Ignazi: «Ha fatto eleggere Calearo». Ironizza Battista: «Dovrebbe riscrivere il capitolo finale del suo libro Noi, titolandolo Loro ».
Matteo Renzi: 5 . Ignazi: «Il sindaco di Firenze mi sembra un narcisista debordante, tanto da confondersi con Berlusconi».
Rosi Bindi: 6. Ignazi: «Unica a sinistra con le idee chiare. E non usa il politichese per esprimerle».
Marco Pannella: 5. Ignazi: «La sua "trattativa" con Berlusconi è stata una provocazione mal riuscita».
Ignazio La Russa: 5. «Però come ministro della Difesa è accettabile», dice Ignazi.
Francesco Rutelli: 5. Sorgi: «Il Terzo polo con Casini, Fini e Rutelli vuole fermare l'emorragia di parlamentari di centrodestra verso Berlusconi. Rutelli spera inoltre che lo raggiungano dal Pd gli ex dc insoddisfatti dell'alleanza con gli ex comunist».
I nostri esperti hanno dato 7 a Nichi Vendola. «È bravo, capace, seducente, innovativo», sostiene Piero Ignazi. E dice Bernabò, direttore del Tirreno : «Ha molte possibilità di vincere le primarie del centrosinistra, se ci saranno. Altra cosa poi vincere le elezioni, nelle quali serve anche il voto moderato».
Mara Carfagna, 35 anni, ministro per le Pari opportunità, merita 5,5. Piero Ignazi: «Non ci si aspettava molto da lei, ma risulta dignitosa in un panorama di desolazione devastante». Pierluigi Battista scherza, alludendo ai suoi tira e molla fra Berlusconi e Bocchino: «Merita dieci in volteggio».
Il ministro del Tesoro Giulio Tremonti è rimasto silenzioso. «Non ha fatto nulla», dice Piero Ignazi. «Si sta costruendo un' immagine politica che prelude a un futuro ruolo». E Battista: «Era assente perché impegnato a custodire la cassa».
Wednesday, December 15, 2010
L'ultima lettera di Benito
MA CHE COSA SI SCRIVEVANO CLARA E IL DITTATORE?
Un libro di Pasquale Chessa e Barbara Raggi
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
È un grande colpo storiografico quello messo a segno da Pasquale Chessa e Barbara Raggi con il libro L’ultima lettera di Benito (ed. Mondadori, € 19,50). A distanza di 65 anni, infatti, vengono pubblicate le 318 lettere che Mussolini scrisse a Clara Petacci fra l’autunno 1943 e l’aprile ‘45, quando entrambi vivevano sul lago di Garda a pochi chilometri l’uno dall’altra: il dittatore a Gargnano (Brescia) nella villa Feltrinelli (oggi hotel posseduto da russi), l’amante a Gardone nella villa Fiordaliso (anch’essa ora albergo di lusso).
Sono i 600 lugubri giorni della repubblica di Salò. Mussolini è in pratica prigioniero dei nazisti e Clara, dopo essere finita in prigione nel ‘43, assurge al rango di sua consigliera anche politica: capeggia una delle fazioni che si fronteggiano fra i collaborazionisti dei tedeschi, e spinge il duce a negare la grazia al genero Galeazzo Ciano: «Per rifare l’Italia ci vuole il sangue dei traditori», gli scrive. Quanto a Edda Mussolini, la definisce «degna compagna delle azioni del marito». I due nutrono ancora la speranza di vincere la guerra grazie alle «armi segrete» di Hitler: lo scrive Benito a Clara nel giugno ‘44, dopo la liberazione di Roma da parte degli alleati.
Quando la fine si avvicina, ecco i progetti (finora sconosciuti) di fuggire all’estero: in Ungheria con l’aiuto del fratello Marcello Petacci, in Svizzera, in Giappone. Nella sua ultima lettera del 18 aprile ‘45 Mussolini scrive a Clara che l’ingrato Francisco Franco rifiuta di ospitarlo in Spagna, dove avrebbe voluto costituire un governo in esilio.
In quello stesso giorno il duce scappa a Milano, e Clara invece di prendere l’ultimo aereo per Barcellona con la famiglia lo segue. Prima, però, fa seppellire i propri diari (pubblicati nel libro Mussolini segreto, ed. Bur Rizzoli, 2010) con il carteggio nel giardino di un’amica. Disobbedisce così a Benito, che voleva distruggere le lettere. Tutto è stato poi trovato nel ‘50 e conservato dall’Archivio centrale dello Stato, garante dell’autenticità.
Mauro Suttora
Un libro di Pasquale Chessa e Barbara Raggi
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
È un grande colpo storiografico quello messo a segno da Pasquale Chessa e Barbara Raggi con il libro L’ultima lettera di Benito (ed. Mondadori, € 19,50). A distanza di 65 anni, infatti, vengono pubblicate le 318 lettere che Mussolini scrisse a Clara Petacci fra l’autunno 1943 e l’aprile ‘45, quando entrambi vivevano sul lago di Garda a pochi chilometri l’uno dall’altra: il dittatore a Gargnano (Brescia) nella villa Feltrinelli (oggi hotel posseduto da russi), l’amante a Gardone nella villa Fiordaliso (anch’essa ora albergo di lusso).
Sono i 600 lugubri giorni della repubblica di Salò. Mussolini è in pratica prigioniero dei nazisti e Clara, dopo essere finita in prigione nel ‘43, assurge al rango di sua consigliera anche politica: capeggia una delle fazioni che si fronteggiano fra i collaborazionisti dei tedeschi, e spinge il duce a negare la grazia al genero Galeazzo Ciano: «Per rifare l’Italia ci vuole il sangue dei traditori», gli scrive. Quanto a Edda Mussolini, la definisce «degna compagna delle azioni del marito». I due nutrono ancora la speranza di vincere la guerra grazie alle «armi segrete» di Hitler: lo scrive Benito a Clara nel giugno ‘44, dopo la liberazione di Roma da parte degli alleati.
Quando la fine si avvicina, ecco i progetti (finora sconosciuti) di fuggire all’estero: in Ungheria con l’aiuto del fratello Marcello Petacci, in Svizzera, in Giappone. Nella sua ultima lettera del 18 aprile ‘45 Mussolini scrive a Clara che l’ingrato Francisco Franco rifiuta di ospitarlo in Spagna, dove avrebbe voluto costituire un governo in esilio.
In quello stesso giorno il duce scappa a Milano, e Clara invece di prendere l’ultimo aereo per Barcellona con la famiglia lo segue. Prima, però, fa seppellire i propri diari (pubblicati nel libro Mussolini segreto, ed. Bur Rizzoli, 2010) con il carteggio nel giardino di un’amica. Disobbedisce così a Benito, che voleva distruggere le lettere. Tutto è stato poi trovato nel ‘50 e conservato dall’Archivio centrale dello Stato, garante dell’autenticità.
Mauro Suttora
Monicelli ed eutanasia
Il suicidio del regista riapre il dibattito sulla "dolce morte"
Oggi, 8 dicembre 2010
di Mauro Suttora
«Se fosse legale l’eutanasia, Monicelli sarebbe morto in modo più dignitoso», ha commentato l’oncologo Umberto Veronesi. «Ha scelto il suicidio, ha scelto di buttarsi dal balcone», ha detto la deputata radicale Rita Bernardini, «e dovremmo riflettere su come alcune persone che non ce la fanno più sono costrette a lasciare la vita, anziché poter morire, magari con i propri cari accanto, con il metodo della “dolce morte”».
Le ha replicato Paola Binetti (Udc): «Basta con gli spot pro-eutanasia partendo da episodi di uomini disperati. Monicelli era stato lasciato solo da famiglia e amici. Il suo è un gesto tremendo di solitudine, non di libertà». Walter Veltroni: «Mario ha vissuto e non si è lasciato vivere. Ha deciso di andarsene». E il presidente Giorgio Napolitano: «Rispettiamo l’ultima manifestazione della sua forte personalità, un estremo scatto di volontà».
Il dibattito sull’eutanasia era già ripreso dopo i discorsi della vedova di Piergiorgio Welby e del padre di Eluana Englaro nel programma tv di Roberto Saviano e Fabio Fazio, i quali poi non hanno accettato le repliche richieste dai gruppi cattolici «pro-vita» sostenendo: «Noi non siamo pro-morte».
I fautori dell’eutanasia (dal greco eu, dolce, e tanatos, morte) preferiscono definirsi, come negli Stati Uniti, «pro-scelta»: il diritto individuale di scegliere, in caso di malattie terminali (il cancro del 95enne Monicelli), paralisi fisica totale (Welby) o coma profondo (Englaro), se anticipare la propria morte evitando inutili sofferenze.
In teoria sul rifiuto dell’accanimento terapeutico sono d’accordo anche i cattolici. Ma la legge che introduce il «testamento biologico» (con cui ciascuno di noi potrebbe decidere in anticipo che fare nel caso finisse in coma irreversibile) è bloccata da mesi in Parlamento. I cattolici, infatti, non ritengono che l’alimentazione e la ventilazione forzata siano forme di accanimento.
Così, non resta che la soluzione praticata da un dolente Clint Eastwood nel suo film Million Dollar Baby, quando stacca la spina (il tubo) alla giovane pugile. Di notte, di nascosto: si fa ma non si dice.
Oggi, 8 dicembre 2010
di Mauro Suttora
«Se fosse legale l’eutanasia, Monicelli sarebbe morto in modo più dignitoso», ha commentato l’oncologo Umberto Veronesi. «Ha scelto il suicidio, ha scelto di buttarsi dal balcone», ha detto la deputata radicale Rita Bernardini, «e dovremmo riflettere su come alcune persone che non ce la fanno più sono costrette a lasciare la vita, anziché poter morire, magari con i propri cari accanto, con il metodo della “dolce morte”».
Le ha replicato Paola Binetti (Udc): «Basta con gli spot pro-eutanasia partendo da episodi di uomini disperati. Monicelli era stato lasciato solo da famiglia e amici. Il suo è un gesto tremendo di solitudine, non di libertà». Walter Veltroni: «Mario ha vissuto e non si è lasciato vivere. Ha deciso di andarsene». E il presidente Giorgio Napolitano: «Rispettiamo l’ultima manifestazione della sua forte personalità, un estremo scatto di volontà».
Il dibattito sull’eutanasia era già ripreso dopo i discorsi della vedova di Piergiorgio Welby e del padre di Eluana Englaro nel programma tv di Roberto Saviano e Fabio Fazio, i quali poi non hanno accettato le repliche richieste dai gruppi cattolici «pro-vita» sostenendo: «Noi non siamo pro-morte».
I fautori dell’eutanasia (dal greco eu, dolce, e tanatos, morte) preferiscono definirsi, come negli Stati Uniti, «pro-scelta»: il diritto individuale di scegliere, in caso di malattie terminali (il cancro del 95enne Monicelli), paralisi fisica totale (Welby) o coma profondo (Englaro), se anticipare la propria morte evitando inutili sofferenze.
In teoria sul rifiuto dell’accanimento terapeutico sono d’accordo anche i cattolici. Ma la legge che introduce il «testamento biologico» (con cui ciascuno di noi potrebbe decidere in anticipo che fare nel caso finisse in coma irreversibile) è bloccata da mesi in Parlamento. I cattolici, infatti, non ritengono che l’alimentazione e la ventilazione forzata siano forme di accanimento.
Così, non resta che la soluzione praticata da un dolente Clint Eastwood nel suo film Million Dollar Baby, quando stacca la spina (il tubo) alla giovane pugile. Di notte, di nascosto: si fa ma non si dice.
Wednesday, December 08, 2010
Berlusconi troppo amico di Putin
IL MEGLIO E IL PEGGIO DI WIKILEAKS
Rivelazioni: un sito pubblica 250 mila documenti segreti dei diplomatici Usa
Gli Stati Uniti criticano il nostro premier per i rapporti con Russia e Gheddafi, le feste sfrenate e la vanità: «Che dorma di più»
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
«Silvio Berlusconi è fisicamente e politicamente d debole. Inetto, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno». Perché? «Le sue frequenti lunghe nottate e l'inclinazione ai party selvaggi significano che non riposa a sufficienza». Insomma, secondo l'incaricata d'affari americana a Roma Elisabeth Dibble il nostro nostro premier dovrebbe dormire di più. È questa la rivelazione più imbarazzante per l'Italia contenuta nei 250 mila rapporti segreti dei diplomatici statunitensi resi pubblici dal sito Wikileaks.
La Dibble ha retto l'ambasciata Usa in Italia per quasi due anni, nel lungo interregno fra l'ambasciatore di George Bush e l'attuale, David Thorne, nominato dal presidente Barack Obama nel giugno 2009. Diplomatica di carriera, è stata richiamata a Washington pochi mesi fa. E questo salva dal disagio lei e il governo americano per quei suoi giudizi su Berlusconi. oscuro intermediario Washington è preoccupata anche per il rapporto «straordinariamente stretto» fra il nostro premier e quello russo Vladimir Putin, con «regali generosi» e contratti energetici redditizi: Berlusconi «sembra essere il portavoce di Putin» in Europa. E c'è un «oscuro intermediario italiano che parla russo»: probabilmente il per nulla oscuro Valentino Valentini, 48 anni, l'ex interprete simultaneo dell'Europarlamento che ha organizzato tutti i contatti fra Berlusconi e la Russia, e che è diventato deputato nel 2008.
Gli Stati Uniti sanno bene che la politica russa è nelle mani di Putin (soprannominato nei rapporti «maschio alfa, lupo capobranco, Batman ») e non in quelle del presidente Dimitri Medvedev («Robin»). Putin è giudicato un politico autoritario, il cui stile maschilista gli consente di intendersi con Berlusconi. Gli Usa sono preoccupati per l'intesa Eni-Gazprom su Southstream, il mega-gasdotto che collegherà Russia e Ue in alternativa al Nabucco che taglia fuori Mosca.
Berlusconi si può però consolare leggendo i giudizi sferzanti dei diplomatici americani su altri presidenti. L'argentina Cristina Kirchner, per esempio, desta tali sospetti a Washington che la Segreteria di stato (guidata da Hillary Clinton) arriva a «chiedere informazioni sul suo stato di salute mentale». La tedesca Angela Merkel «evita i rischi ed è raramente creativa».
Frattini contro Turchia
Tra le rivelazioni c' è un telegramma inviato da Roma lo scorso 8 febbraio, dopo un incontro del nostro ministro degli Esteri Franco Frattini con il segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert Gates. Frattini «ha espresso particolare frustrazione per il doppio gioco di espansione verso l' Europa e l' Iran da parte della Turchia». La «sfida, secondo Frattini, è portare la Cina al tavolo» dei colloqui sulla questione iraniana. Cina e India secondo Frattini sono «Paesi critici per adottare misure» contro «il governo iraniano senza ferire la popolazione ».
Il problema dell'Italia, come rivela un altro telex dell' ambasciata del 22 gennaio 2010, è che l'Eni ha molti interessi in Iran, ai quali non intende rinunciare: ha investito nel Paese degli ayatollah tre miliardi di dollari, e finora ne ha recuperati solo la metà sotto forma di petrolio e gas. Il resto lo incasserà entro il 2013, ma fino ad allora l'Italia non vuole/non può aderire all'embargo completo contro l'Iran.
La rivelazione più imbarazzante per gli Stati Uniti è quella sull'ordine ai propri diplomatici di spiare i colleghi all'Onu. L'operazione nei confronti delle Nazioni Unite avrebbe riguardato non solo il segretario generale coreano Ban Ki Moon, ma anche i membri permanenti cinese, russo, francese e inglese del Consiglio di sicurezza. Nel 2009, sotto il nome di Hillary Clinton, sarebbe stata inviata ai diplomatici americani una direttiva - a metà tra diplomazia e spionaggio - in cui si chiedevano dati tecnici e password sui sistemi di comunicazione usati dai funzionari Onu, dettagliate informazioni biometriche su uomini chiave come sottosegretari o capi di agenzie speciali, oltre a numeri di carte di credito, indirizzi email e numeri di telefono.
Mandela: "Bush razzista"
I file contengono anche critiche mosse dai diplomatici statunitensi a Nelson Mandela e Hamid Karzai. Il presidente sudafricano sarebbe finito nel mirino dei diplomatici per il suo scontro con George Bush quando questi decise di invadere l'Iraq. Mandela lo accusò di essere razzista, dichiarando che il presidente Usa aveva ignorato le richieste delle Nazioni Unite perché il suo segretario generale all'epoca, Kofi Annan, era nero. Mandela all'epoca aveva anche attaccato l'allora premier britannico Tony Blair, definendolo «il ministro degli Esteri degli Usa».
Per quanto riguarda la Corea, gli Stati Uniti hanno discusso con i funzionari di Seul la possibilità di una Corea unificata, nel caso la Corea del Nord dovesse «implodere» per i suoi problemi economici e per problemi di transizione del leader. Le discussioni segrete si sarebbero estese a come convincere la Cina ad accettare la situazione di una Corea unificata.
Vicepresidente corrotto
Con Ahmed Wali Karzai, il fratellastro del presidente afgano, «dobbiamo avere a che fare in quanto numero uno del Provincial Council. Ma è sottointeso che è uno corrotto e un trafficante di stupefacenti». Questa la descrizione di Ahmed Wali Karzai fornita dai diplomatici americani secondo Wikileaks. «Sembra non capire il livello di conoscenza che abbiamo delle sue attività. Dobbiamo monitorarlo attentamente, inviandogli un messaggio chiaro».
Quando lo scorso anno il vice presidente dell' Afghanistan Ahmed Zia Massoud visitò gli Emirati Arabi Uni ti le autorità locali, in collaborazione con la Dea (Drug enforcement administration) americana, avevano scoperto che trasportava con sé 52 milioni di dollari in contanti. L'ambasciata americana di Kabul inviò a Washington un documento con il quale specificò che si trattava di una «somma significativa », e che Massoud «aveva il diritto di averla con sé e di non rivelare l'origine e la destinazione del denaro». Massoud ha negato di aver portato denaro fuori dall'Afghanistan.
Guantanamo
Un file racconta le conversazioni dei diplomatici sui tentativi degli Usa di convincere i governi di alcuni Paesi ad ospitare detenuti islamici di Guantanamo. Alla Slovenia è stato chiesto di accettare un prigioniero in cambio di un incontro diretto del loro presidente con Barack Obama (capirai che onore). Alle isole Kiribati nell'Oceano Pacifico sono stati offerti milioni di dollari per accettare un gruppo di detenuti. Al Belgio si suggerisce che accettare prigionieri garantirebbe «visibilità» in Europa.
L'infermiera ucraina
Con Muammar Gheddafi, come sempre, si scivola nel grottesco. Di rado si muove senza la sua «infermiera ucraina», una «voluttuosa bionda». Così i diplomatici americani descrivono il dittatore libico, che sarebbe stato infastidito da come venne ricevuto a New York per l'assemblea generale dell'Onu lo scorso anno. L'ambasciatore americano a Tripoli racconta che «Gheddafi usa il botox ed è un vero ipocondriaco: fa filmare tutti i suoi controlli medici per analizzarli dopo con i suoi dottori».
Mauro Suttora
Rivelazioni: un sito pubblica 250 mila documenti segreti dei diplomatici Usa
Gli Stati Uniti criticano il nostro premier per i rapporti con Russia e Gheddafi, le feste sfrenate e la vanità: «Che dorma di più»
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
«Silvio Berlusconi è fisicamente e politicamente d debole. Inetto, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno». Perché? «Le sue frequenti lunghe nottate e l'inclinazione ai party selvaggi significano che non riposa a sufficienza». Insomma, secondo l'incaricata d'affari americana a Roma Elisabeth Dibble il nostro nostro premier dovrebbe dormire di più. È questa la rivelazione più imbarazzante per l'Italia contenuta nei 250 mila rapporti segreti dei diplomatici statunitensi resi pubblici dal sito Wikileaks.
La Dibble ha retto l'ambasciata Usa in Italia per quasi due anni, nel lungo interregno fra l'ambasciatore di George Bush e l'attuale, David Thorne, nominato dal presidente Barack Obama nel giugno 2009. Diplomatica di carriera, è stata richiamata a Washington pochi mesi fa. E questo salva dal disagio lei e il governo americano per quei suoi giudizi su Berlusconi. oscuro intermediario Washington è preoccupata anche per il rapporto «straordinariamente stretto» fra il nostro premier e quello russo Vladimir Putin, con «regali generosi» e contratti energetici redditizi: Berlusconi «sembra essere il portavoce di Putin» in Europa. E c'è un «oscuro intermediario italiano che parla russo»: probabilmente il per nulla oscuro Valentino Valentini, 48 anni, l'ex interprete simultaneo dell'Europarlamento che ha organizzato tutti i contatti fra Berlusconi e la Russia, e che è diventato deputato nel 2008.
Gli Stati Uniti sanno bene che la politica russa è nelle mani di Putin (soprannominato nei rapporti «maschio alfa, lupo capobranco, Batman ») e non in quelle del presidente Dimitri Medvedev («Robin»). Putin è giudicato un politico autoritario, il cui stile maschilista gli consente di intendersi con Berlusconi. Gli Usa sono preoccupati per l'intesa Eni-Gazprom su Southstream, il mega-gasdotto che collegherà Russia e Ue in alternativa al Nabucco che taglia fuori Mosca.
Berlusconi si può però consolare leggendo i giudizi sferzanti dei diplomatici americani su altri presidenti. L'argentina Cristina Kirchner, per esempio, desta tali sospetti a Washington che la Segreteria di stato (guidata da Hillary Clinton) arriva a «chiedere informazioni sul suo stato di salute mentale». La tedesca Angela Merkel «evita i rischi ed è raramente creativa».
Frattini contro Turchia
Tra le rivelazioni c' è un telegramma inviato da Roma lo scorso 8 febbraio, dopo un incontro del nostro ministro degli Esteri Franco Frattini con il segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert Gates. Frattini «ha espresso particolare frustrazione per il doppio gioco di espansione verso l' Europa e l' Iran da parte della Turchia». La «sfida, secondo Frattini, è portare la Cina al tavolo» dei colloqui sulla questione iraniana. Cina e India secondo Frattini sono «Paesi critici per adottare misure» contro «il governo iraniano senza ferire la popolazione ».
Il problema dell'Italia, come rivela un altro telex dell' ambasciata del 22 gennaio 2010, è che l'Eni ha molti interessi in Iran, ai quali non intende rinunciare: ha investito nel Paese degli ayatollah tre miliardi di dollari, e finora ne ha recuperati solo la metà sotto forma di petrolio e gas. Il resto lo incasserà entro il 2013, ma fino ad allora l'Italia non vuole/non può aderire all'embargo completo contro l'Iran.
La rivelazione più imbarazzante per gli Stati Uniti è quella sull'ordine ai propri diplomatici di spiare i colleghi all'Onu. L'operazione nei confronti delle Nazioni Unite avrebbe riguardato non solo il segretario generale coreano Ban Ki Moon, ma anche i membri permanenti cinese, russo, francese e inglese del Consiglio di sicurezza. Nel 2009, sotto il nome di Hillary Clinton, sarebbe stata inviata ai diplomatici americani una direttiva - a metà tra diplomazia e spionaggio - in cui si chiedevano dati tecnici e password sui sistemi di comunicazione usati dai funzionari Onu, dettagliate informazioni biometriche su uomini chiave come sottosegretari o capi di agenzie speciali, oltre a numeri di carte di credito, indirizzi email e numeri di telefono.
Mandela: "Bush razzista"
I file contengono anche critiche mosse dai diplomatici statunitensi a Nelson Mandela e Hamid Karzai. Il presidente sudafricano sarebbe finito nel mirino dei diplomatici per il suo scontro con George Bush quando questi decise di invadere l'Iraq. Mandela lo accusò di essere razzista, dichiarando che il presidente Usa aveva ignorato le richieste delle Nazioni Unite perché il suo segretario generale all'epoca, Kofi Annan, era nero. Mandela all'epoca aveva anche attaccato l'allora premier britannico Tony Blair, definendolo «il ministro degli Esteri degli Usa».
Per quanto riguarda la Corea, gli Stati Uniti hanno discusso con i funzionari di Seul la possibilità di una Corea unificata, nel caso la Corea del Nord dovesse «implodere» per i suoi problemi economici e per problemi di transizione del leader. Le discussioni segrete si sarebbero estese a come convincere la Cina ad accettare la situazione di una Corea unificata.
Vicepresidente corrotto
Con Ahmed Wali Karzai, il fratellastro del presidente afgano, «dobbiamo avere a che fare in quanto numero uno del Provincial Council. Ma è sottointeso che è uno corrotto e un trafficante di stupefacenti». Questa la descrizione di Ahmed Wali Karzai fornita dai diplomatici americani secondo Wikileaks. «Sembra non capire il livello di conoscenza che abbiamo delle sue attività. Dobbiamo monitorarlo attentamente, inviandogli un messaggio chiaro».
Quando lo scorso anno il vice presidente dell' Afghanistan Ahmed Zia Massoud visitò gli Emirati Arabi Uni ti le autorità locali, in collaborazione con la Dea (Drug enforcement administration) americana, avevano scoperto che trasportava con sé 52 milioni di dollari in contanti. L'ambasciata americana di Kabul inviò a Washington un documento con il quale specificò che si trattava di una «somma significativa », e che Massoud «aveva il diritto di averla con sé e di non rivelare l'origine e la destinazione del denaro». Massoud ha negato di aver portato denaro fuori dall'Afghanistan.
Guantanamo
Un file racconta le conversazioni dei diplomatici sui tentativi degli Usa di convincere i governi di alcuni Paesi ad ospitare detenuti islamici di Guantanamo. Alla Slovenia è stato chiesto di accettare un prigioniero in cambio di un incontro diretto del loro presidente con Barack Obama (capirai che onore). Alle isole Kiribati nell'Oceano Pacifico sono stati offerti milioni di dollari per accettare un gruppo di detenuti. Al Belgio si suggerisce che accettare prigionieri garantirebbe «visibilità» in Europa.
L'infermiera ucraina
Con Muammar Gheddafi, come sempre, si scivola nel grottesco. Di rado si muove senza la sua «infermiera ucraina», una «voluttuosa bionda». Così i diplomatici americani descrivono il dittatore libico, che sarebbe stato infastidito da come venne ricevuto a New York per l'assemblea generale dell'Onu lo scorso anno. L'ambasciatore americano a Tripoli racconta che «Gheddafi usa il botox ed è un vero ipocondriaco: fa filmare tutti i suoi controlli medici per analizzarli dopo con i suoi dottori».
Mauro Suttora
Monday, December 06, 2010
Museo del Novecento
Apre a Milano il museo del secolo
Nell'ex arengario arrivano i quadri più belli
Dal Futurismo all' Arte povera. Da Fontana a De Chirico. Tutte le avanguardie italiane nate nella capitale lombarda trovano una nuova casa nel centro della città. E come al Louvre...
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
L'orrendo Arengario di piazza Duomo fu fatto costruire da Benito Mussolini per avere un balcone da cui, appunto, arringare la folla. Il dittatore morì prima di riuscirci. Da allora, nessuno ha mai saputo bene cosa fare di quel tetro palazzo. Finalmente, il 6 dicembre ci nasce il Museo del Novecento.
Tre anni di lavoro e 20 milioni di euro per ospitare 350 quadri: il meglio delle 4 mila opere possedute dal Comune di Milano, e finora sparpagliate nelle raccolte civiche: dalla Gam (Galleria di arte moderna) nella villa Reale di via Palestro a un delizioso e sconosciuto museo, la Fondazione Boschi Di Stefano in una traversa di corso Buenos Aires, via Jan.
Sarà un grande evento, paragonabile all'inaugurazione del romano Maxxi (Museo arte XXI secolo) sei mesi fa. Come al Louvre, si potrà entrare nel museo direttamente dal metrò. «La grande rampa a spirale interna sarà la sua cifra architettonica più significativa, che lo renderà universalmente riconoscibile», dice il sindaco Letizia Moratti. All'ultimo piano, visibile dalla piazza, c'è il neon bianco che Lucio Fontana realizzò per la Triennale del 1951. Sulla terrazza, un ristorante gestito dal rinomato Giacomo e uno spazio aperitivi. E poi un cinema, come al Moma di New York.
«L'arte italiana è conosciuta all'estero per il Rinascimento e, nel Novecento, per due movimenti d'avanguardia: Futurismo e Arte povera», spiega l'assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. «Il fatto che il museo abbia come "perni" queste due collezioni costituisce perciò un evento di portata internazionale».
Si entra dal metrò
Arrivando dal metrò, il primo incont ro è con il pezzo forte del Museo: il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901), che aprì il secolo con le sue speranze social ste. Poi due sculture di Giorgio De Chirico, anch'esse sempre visibili dal pubblico, senza biglietto da pagare (a proposito: fino a fine febbraio l'ingresso è gratis).
Entrando, un tocco internazionale: Picasso, Braque, Klee, Kandinskij, Modigliani. Quindi la prima sala dedicata al futurismo, con Umberto Boccioni in evidenza. Seguono, in ordine cronologico, le sale De Chirico, Morandi, Martini e Piero Manzoni. Al terzo piano lo spazio dedicato a Burri e agli anni Cinquanta e Sessanta dei maggiori maestri italiani (Vedova, Capogrossi, Novelli).
Passerella sospesa
La sezione conclusiva sta al secondo piano dell'adiacente Palazzo Reale, collegata all Arengario da una passerella sospesa e dedicata agli anni Sessanta: arte cinetica con una serie di ambienti del gruppo T, poi la pop art italiana e infine l'Arte povera del biellese Michelangelo Pistoletto e del milanese Luciano Fabro. La serata di inaugurazione avrà una colonna sonora con i brani che hanno punteggiato il secolo milanese: dal Trio Lescano al Quartetto Cetra, da Enzo Jannacci a Giorgio Gaber, da Mina a Ornella Vanoni. Alcuni «testimonial» hanno «adottato» i loro quadri preferiti, a cominciare dal centenario critico Gillo Dorfles.
Fra le donne, la scrittrice Camilla Baresani spiega a Oggi la sua predilezione per Ottone Rosai: «Veniva denigrato come semplice bozzettista, invece era un intellettuale completo. Fu ottimo scrittore: il suo Diario di un teppista, appena ristampato da Vallecchi, nella prima edizione è una delle rarità più valutate del Novecento. Fu ardito fascista, ma anche omosessuale, e si vergognava di questa sua condizione che ne fece un artista "maledetto"».
Milioni in piazza Duomo
Come sarà accolto questo nuovo museo? «Puntiamo a 250 mila visitatori all' anno», spera Finazzer, «che sommati al milione e 700 mila dell'attiguo Palazzo Reale fanno due milioni. Milano è ormai in grado di offrire a tutti i turisti che arrivano in piazza Duomo attrattive di alto livello. Il museo è stato costruito per rapportarsi con la piazza, la metropolitana, le luci, le vetrate del Duomo. In un momento di crisi finanziaria e di caos politico, Milano dice all'Italia che si può uscirne anche grazie a una grande opera pubblica culturale».
La scrittrice Camilla Baresani, 48 anni, ha un debole per Ottone Rosai (1895-1957): «Questo suo Mulino del ' 38 sembra l'opera di un bozzettista, ma Rosai in realtà fu un grande artista "maledetto"».
Ornella Vanoni, 76, la cantante milanese per antonomasia, sarà presente alla serata inaugurale del 6 dicembre anche con alcune canzoni. «Il mio preferito è Boccioni», dice. Al museo c'è il quadro Quelli che restano, del 1911.
La conduttrice tv Camila Raznovic, 36, ha «adottato» il più celebre dei tre quadri di Amedeo Modigliani esposti nel Museo del Novecento: Ritratto di Paul Guillaume, dipinto nel 1916, solo quattro anni prima di morire.
Marta Marzotto, 79 anni, «adotta» l'opera giovanile del suo amante Renato Guttuso (1911-87): Piccola nuda sdraiata (1940).
Mauro Suttora
Nell'ex arengario arrivano i quadri più belli
Dal Futurismo all' Arte povera. Da Fontana a De Chirico. Tutte le avanguardie italiane nate nella capitale lombarda trovano una nuova casa nel centro della città. E come al Louvre...
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
L'orrendo Arengario di piazza Duomo fu fatto costruire da Benito Mussolini per avere un balcone da cui, appunto, arringare la folla. Il dittatore morì prima di riuscirci. Da allora, nessuno ha mai saputo bene cosa fare di quel tetro palazzo. Finalmente, il 6 dicembre ci nasce il Museo del Novecento.
Tre anni di lavoro e 20 milioni di euro per ospitare 350 quadri: il meglio delle 4 mila opere possedute dal Comune di Milano, e finora sparpagliate nelle raccolte civiche: dalla Gam (Galleria di arte moderna) nella villa Reale di via Palestro a un delizioso e sconosciuto museo, la Fondazione Boschi Di Stefano in una traversa di corso Buenos Aires, via Jan.
Sarà un grande evento, paragonabile all'inaugurazione del romano Maxxi (Museo arte XXI secolo) sei mesi fa. Come al Louvre, si potrà entrare nel museo direttamente dal metrò. «La grande rampa a spirale interna sarà la sua cifra architettonica più significativa, che lo renderà universalmente riconoscibile», dice il sindaco Letizia Moratti. All'ultimo piano, visibile dalla piazza, c'è il neon bianco che Lucio Fontana realizzò per la Triennale del 1951. Sulla terrazza, un ristorante gestito dal rinomato Giacomo e uno spazio aperitivi. E poi un cinema, come al Moma di New York.
«L'arte italiana è conosciuta all'estero per il Rinascimento e, nel Novecento, per due movimenti d'avanguardia: Futurismo e Arte povera», spiega l'assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. «Il fatto che il museo abbia come "perni" queste due collezioni costituisce perciò un evento di portata internazionale».
Si entra dal metrò
Arrivando dal metrò, il primo incont ro è con il pezzo forte del Museo: il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901), che aprì il secolo con le sue speranze social ste. Poi due sculture di Giorgio De Chirico, anch'esse sempre visibili dal pubblico, senza biglietto da pagare (a proposito: fino a fine febbraio l'ingresso è gratis).
Entrando, un tocco internazionale: Picasso, Braque, Klee, Kandinskij, Modigliani. Quindi la prima sala dedicata al futurismo, con Umberto Boccioni in evidenza. Seguono, in ordine cronologico, le sale De Chirico, Morandi, Martini e Piero Manzoni. Al terzo piano lo spazio dedicato a Burri e agli anni Cinquanta e Sessanta dei maggiori maestri italiani (Vedova, Capogrossi, Novelli).
Passerella sospesa
La sezione conclusiva sta al secondo piano dell'adiacente Palazzo Reale, collegata all Arengario da una passerella sospesa e dedicata agli anni Sessanta: arte cinetica con una serie di ambienti del gruppo T, poi la pop art italiana e infine l'Arte povera del biellese Michelangelo Pistoletto e del milanese Luciano Fabro. La serata di inaugurazione avrà una colonna sonora con i brani che hanno punteggiato il secolo milanese: dal Trio Lescano al Quartetto Cetra, da Enzo Jannacci a Giorgio Gaber, da Mina a Ornella Vanoni. Alcuni «testimonial» hanno «adottato» i loro quadri preferiti, a cominciare dal centenario critico Gillo Dorfles.
Fra le donne, la scrittrice Camilla Baresani spiega a Oggi la sua predilezione per Ottone Rosai: «Veniva denigrato come semplice bozzettista, invece era un intellettuale completo. Fu ottimo scrittore: il suo Diario di un teppista, appena ristampato da Vallecchi, nella prima edizione è una delle rarità più valutate del Novecento. Fu ardito fascista, ma anche omosessuale, e si vergognava di questa sua condizione che ne fece un artista "maledetto"».
Milioni in piazza Duomo
Come sarà accolto questo nuovo museo? «Puntiamo a 250 mila visitatori all' anno», spera Finazzer, «che sommati al milione e 700 mila dell'attiguo Palazzo Reale fanno due milioni. Milano è ormai in grado di offrire a tutti i turisti che arrivano in piazza Duomo attrattive di alto livello. Il museo è stato costruito per rapportarsi con la piazza, la metropolitana, le luci, le vetrate del Duomo. In un momento di crisi finanziaria e di caos politico, Milano dice all'Italia che si può uscirne anche grazie a una grande opera pubblica culturale».
La scrittrice Camilla Baresani, 48 anni, ha un debole per Ottone Rosai (1895-1957): «Questo suo Mulino del ' 38 sembra l'opera di un bozzettista, ma Rosai in realtà fu un grande artista "maledetto"».
Ornella Vanoni, 76, la cantante milanese per antonomasia, sarà presente alla serata inaugurale del 6 dicembre anche con alcune canzoni. «Il mio preferito è Boccioni», dice. Al museo c'è il quadro Quelli che restano, del 1911.
La conduttrice tv Camila Raznovic, 36, ha «adottato» il più celebre dei tre quadri di Amedeo Modigliani esposti nel Museo del Novecento: Ritratto di Paul Guillaume, dipinto nel 1916, solo quattro anni prima di morire.
Marta Marzotto, 79 anni, «adotta» l'opera giovanile del suo amante Renato Guttuso (1911-87): Piccola nuda sdraiata (1940).
Mauro Suttora
Wednesday, December 01, 2010
Thursday, November 25, 2010
Giovedì 25.11.10 "La storia siamo noi"
«LA STORIA SIAMO NOI»: LE DONNE DEL DUCE
25 novembre 2010, Raidue
video della trasmissione
La Storia Siamo Noi presenta Le donne del Duce, di Marina Liuzzi, in onda domani alle ore 23.30 su Rai2. Mussolini e le donne: la moglie Rachele; Claretta, l’amante che sceglie di morire con lui; Margherita Sarfatti; Ida Dalser e molte altre. A La Storia Siamo Noi, un particolare ritratto di Benito Mussolini, raccontato attraverso amori, passioni e furiosi intrecci tra sesso e potere.
Una ricostruzione che accanto alle numerose interviste, presenta lettere, carteggi e soprattutto i diari di Claretta Petacci: migliaia di pagine che, dopo 70 anni, sono state desecretate e nelle quali sono raccolti i segreti della sua storia d’amore con Mussolini, ma dove sono raccontati anche gli altri amori e le relazioni intrecciate dal Duce con altre donne. È questo uno dei grandi elementi di novità dei diari, l’emergere di due figure femminili quali Romilda Ruspi e Alice Pallottelli. Ppi il racconto del Duce sulle presunte avances della principessa Maria Josè di Savoia.
Ma saranno Rachele e Claretta, le donne che rimarranno al suo fianco anche dopo il 25 luglio del 1943, alla caduta del fascismo, e dopo l’8 settembre con la costituzione della Repubblica di Salò. Ed è qui, sul lago di Garda, che la moglie Rachele decide di incontrare per la prima volta la sua rivale Claretta Petacci. (Com/Pn/Adnkronos)
25 novembre 2010, Raidue
video della trasmissione
La Storia Siamo Noi presenta Le donne del Duce, di Marina Liuzzi, in onda domani alle ore 23.30 su Rai2. Mussolini e le donne: la moglie Rachele; Claretta, l’amante che sceglie di morire con lui; Margherita Sarfatti; Ida Dalser e molte altre. A La Storia Siamo Noi, un particolare ritratto di Benito Mussolini, raccontato attraverso amori, passioni e furiosi intrecci tra sesso e potere.
Una ricostruzione che accanto alle numerose interviste, presenta lettere, carteggi e soprattutto i diari di Claretta Petacci: migliaia di pagine che, dopo 70 anni, sono state desecretate e nelle quali sono raccolti i segreti della sua storia d’amore con Mussolini, ma dove sono raccontati anche gli altri amori e le relazioni intrecciate dal Duce con altre donne. È questo uno dei grandi elementi di novità dei diari, l’emergere di due figure femminili quali Romilda Ruspi e Alice Pallottelli. Ppi il racconto del Duce sulle presunte avances della principessa Maria Josè di Savoia.
Ma saranno Rachele e Claretta, le donne che rimarranno al suo fianco anche dopo il 25 luglio del 1943, alla caduta del fascismo, e dopo l’8 settembre con la costituzione della Repubblica di Salò. Ed è qui, sul lago di Garda, che la moglie Rachele decide di incontrare per la prima volta la sua rivale Claretta Petacci. (Com/Pn/Adnkronos)
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