In concreto, cosa cambia a Mirafiori? Pause, mensa, mutua, straordinari, sindacato. Viaggio nel conflitto che rivoluziona la fabbrica dell'auto
dal nostro inviato a Torino Mauro Suttora
Oggi, 12 gennaio 2011
Avete la Lancia Musa o la Fiat Idea? È probabile che le spazzole tergicristallo ve le abbia montate Maria Epifania. Ha un minuto e venti seconde per farlo, su ogni macchina. Lo fa da anni. «Mi sveglio alle quattro di mattina per arrivare in fabbrica alle sei. Prima in auto da Volpiano, il mio paese, a Settimo Torinese. Poi in corriera fino a Torino. Non è tanto la levataccia a pesarmi, quanto il cambio di turno ogni settimana. Quello pomeridiano inizia alle due e finisce alle dieci, ma non riesco ad essere a casa prima delle undici e mezzo. Mi corico a mezzanotte. In pratica, è come cambiare fuso orario ogni sette giorni». In cambio di 1.200 euro al mese.
Vita di operai Fiat. Nella fabbrica più importante d’Italia, Mirafiori. Quella che l’amministratore delegato Sergio Marchionne ora minaccia di smantellare se vince il no al referendum del 14 gennaio. Polverizzando così più di un secolo di storia dell’auto a Torino.
«Io chiedo solo di lavorare», dice Maria. «Ma con dignità. Non voglio scegliere fra lavoro e diritti. Quindi voterò no». E se la fabbrica chiude? «Chi non risica non rosica. Non accetto l’alternativa: o così, o stai a casa. È un ricatto».
Via Bologna, assemblea di delegati nella sede Uilm. «Un sindacalista deve saper mangiare merda quando le vacche sono magre, e farla mangiare quando sono grasse. Adesso, mangiamo merda». Più chiaro di così: Maurizio Peverati, capo Uil alla Fiat, voterà sì. «Anche perché noi 5 mila di Mirafiori non possiamo mettere in pericolo lo stipendio di 80 mila dipendenti dell’indotto. Calcolando le famiglie, sono 240 mila persone che a Torino vivono grazie alla Fiat».
In Fiat Pietro Milana e sua moglie Adelaide si sono conosciuti e sposati: «Era il 1989, lavoravamo nello stabilimento di Rivalta. Allora in città la Fiat aveva 40 mila dipendenti, otto volte quelli di oggi. Poi è arrivata la crisi, Rivalta ha chiuso. Non si assume più nessuno da 14 anni, non si fanno investimenti da 20. Mirafiori è diventato lo stabilimento più vecchio del mondo. E ora che Marchionne vuole metterci un miliardo per la nuova joint-venture Fiat-Chrysler, facciamo gli schizzinosi per dieci minuti di pausa in meno e perché forse ci sarà da lavorare la domenica? Magari, dico io. Vorrebbe dire che le cose vanno bene».
Ma la Fiom, il sindacato metalmeccanico della Cgil, dice che sono molti i punti inaccettabili del nuovo contratto, firmato solo dalla Cisl e da voi della Uil. Risponde Milana: «Vediamoli uno per uno. Le pause? Prima ce n’erano tre a turno, due di un quarto d’ora e una di dieci minuti. Ora saranno tutte di dieci minuti. La mensa? Spostata da metà a fine turno. Così chi vuole va a casa mezz’ora prima».
Non vi pagano più i primi due giorni di malattia. «Solo a chi fa il furbo e si dà malato il venerdì o il lunedì, per allungare il weekend. Poi magari li vediamo tornare abbronzati perché sono andati a sciare».
Ma chi sta male veramente? «Nessun problema. Una commissione paritetica azienda-sindacati valuterà i casi anomali di chi nei dodici mesi precedenti si è messo in mutua più di tre volte nei giorni critici, e solo se l’assenteismo supera il 3,5 per cento».
Adesso quant’è?
«Sette per cento, ma causato quasi sempre dalle stesse 400 persone. Non sarà un problema dimezzarlo, visto che il tre mezzo è la media nazionale».
E gli straordinari? La Fiom calcola che, triplicandolo a 120 ore annue obbligatorie a testa, la Fiat risparmia più di 200 assunzioni in caso di «vacche grasse».
«Senta, con gli straordinari riusciamo ad arrivare a 1.700 al mese. Ora invece, in cassa integrazione, siamo a 800. A tutti fa comodo guadagnare un po’ di più. Infatti, quando li facevamo al sabato, c’era la coda. Però la Fiom faceva scattare lo sciopero appena l’azienda parlava di maggiore utilizzo degli impianti. Certo, anche a me piacerebbe starmene a casa il sabato con mio figlio. Però so anche che dieci anni fa nessuno lavorava la domenica, mentre ora i centri commerciali sono tutti aperti. Le cose cambiano...»
In peggio, secondo la Fiom. I rappresentanti dei lavoratori, per esempio. Non potrete più votarli direttamente: saranno nominati dai sindacati. Ma solo da quelli che firmano l’accordo. Quindi niente Cgil-Fiom, e niente trattenute in busta paga per i loro iscritti. Cancellati.
«Il problema è che la Fiom non firma mai, per partito preso: per ragioni politiche, non sindacali. Salvo poi accettare i miglioramenti strappati dagli altri sindacati. Certo, questa della rappresentanza è una forzatura. Ma da qui a gridare che si viola la costituzione... Teniamo presente che l’auto è in crisi in tutto il mondo, che negli Stati Uniti i sindacati hanno accettato diminuzioni degli stipendi del 20 per cento e salari dimezzati per i nuovi assunti. Qui invece non perdiamo un euro».
Maria Epifania, iscritta Fiom (come il 13% dei dipendenti di Mirafiori, percentuale analoga agli altri sindacati), vede le cose diversamente: «Dieci minuti in meno di pausa possono sembrare poca cosa. Ma in concreto, per chi sta otto ore di fila in linea di montaggio a fare sempre lo stesso movimento, anche un minuto è prezioso. Quando la catena si ferma, infatti, tutti vanno simultaneamente al bagno. Quindi formano code. Lo stesso per le macchinette del caffè. Non parliamo di chi fuma, o di chi è lontano sia dalle zone fumatori, sia dal caffè, sia dai bagni. In un quarto d’ora si riusciva a fare tutto, in dieci minuti no. La mensa, poi, era una quarta pausa. Ora che è a fine turno, non serve più».
Potete andarvene prima. «Ma digiuni... Può essere comodo per chi abita vicino a Mirafiori, ma per chi prende i mezzi come non migliora nulla: gli orari dei bus non cambiano. Io quando ho il turno pomeridiano in pratica non vedo più mio figlio per una settimana, perché vado via prima che lui torni da scuola, e quando torno dorme da un pezzo».
E la mutua?
«Il problema di Mirafiori è che ormai è uno stabilimento di gente di mezza età, piena di acciacchi. Io che ho 37 anni sono una delle più giovani, perché dopo di me nel ’97 non hanno assunto più nessuno. Non illudiamoci quindi che si riescano a rispettare le medie di malattia di altre fabbriche».
Ma qual è la condizione peggiore del nuovo accordo, secondo lei?
«Che non saremo più neppure liberi di scioperare. Chi firmerà per la nuova joint venture delle jeep, infatti, dovrà accettare automaticamente tutte le regole sui ritmi di lavoro. Nella fabbrica dove lavoravo prima facevo piccoli elettrodomestici. La catena di montaggio si fermava, eseguivo la lavorazione, poi ripartiva. Alla Fiat invece la catena si muove sempre, siamo noi a correrle dietro. Se non ce la facciamo, se il carico di lavoro è troppo forte, se fa troppo caldo o troppo freddo, non possiamo più dirlo al capo, né protestare. Non possiamo più fare nulla, pena il licenziamento. Chi si ferma è perduto, come Charlot in Tempi moderni...»
E non ha paura che Marchionne, se vince il no, chiuda Mirafiori e trasferisca tutto nelle altre fabbriche Fiat in Polonia o in Serbia, dove gli operai prendono 400 euro al mese?
«Senta, i nostri nonni e genitori hanno lottato tanto per migliorare le condizioni di lavoro, di cui ora beneficiano tutti. Ora tocca a noi. Non possiamo arrenderci. Anche perché i nostri figli un giorno potrebbero rinfacciarcelo: mamma, come hai fatto ad accettare quelle umiliazioni?»
Mauro Suttora
No comments:
Post a Comment