LE POLEMICHE DOPO LA RIVELAZIONE DEL FLIRT
di Roberto Alessi e Mauro Suttora
Oggi, 13 settembre 2011
La lettera pubblicata da Oggi due settimane fa in cui Romano Mussolini scrive che tra suo padre Benito e la principessa Maria Josè di Savoia (poi regina) ci fu «una relazione sentimentale intima» ha fatto il giro del mondo.
Prima di realizzare il servizio avevamo contattato le parti più interessate ai due personaggi coinvolti: Emanuele Filiberto di Savoia, nipote di Maria Josè e ultimo discendente dell’ex regina, e Maria Scicolone, moglie separata di Romano.
Il principe, molto legato alla nonna, ci ha detto: «Non ho mai sentito una cosa del genere». La Scicolone, sorella di Sophia Loren, in una prima telefonata ha escluso che Romano, scomparso nel 2006, potesse aver scritto quelle parole. Vista la lettera, però, non solo ne ha confermato l’autenticità, ma ha rivelato che di quella relazione lei aveva spesso parlato con la vedova di Benito Mussolini, Rachele, con la quale aveva vissuto per anni.
Nonostante la conferma dello scoop, sono iniziate le proteste. Ecco associazioni monarchiche («Nulla di più falso»), nostalgici del ventennio («Indegno, Mussolini è stato il più grande statista d’Italia»), e anche la principessa Maria Gabriella di Savoia, figlia di Maria Josè. La quale ha definito la lettera di Romano «vecchia poltiglia». Paolo Granzotto su Il Giornale ha aggiunto: «È solo una vecchia patacca servita come ghiottoneria storica».
Peccato che nello scorso numero di Oggi Vittorio Emanuele, altro figlio di Maria Josè, ci abbia onestamente dichiarato: «Non posso escludere il presunto flirt, ma gli unici che potevano sapere la verità non sono più vivi. Quindi non la sapremo mai».
Romano Mussolini scrisse la lettera nel 1971 al direttore del settimanale Gente Antonio Terzi (poi vicedirettore del Corriere della Sera) dopo che l’autista del duce Ercole Boratto rivelò che tra il dittatore e la principessa c’era stata una liaison.
«Caro Terzi», si legge nella missiva di Romano, «posso in perfetta buona fede confermarLe… spesso in casa nostra si è parlato dei rapporti sia politici sia sentimentali tra Maria José e mio padre, e Le posso dire con sincerità che mia madre a tale proposito è stata sempre (anche se con logico riserbo) assai esplicita: tra mio padre e l’allora Principessa di Piemonte c’è stato un breve periodo di relazione sentimentale intima, poi credo sicuramente interrotta per volontà di mio padre».
«Ho trovato solo ora la lettera nell’archivio di mio padre scomparso nel 2001», ci dice Giovanni Terzi, figlio di Antonio, «e l’ho consegnata a Oggi». Probabilmente Terzi e Mussolini non hanno divulgato la lettera per rispetto verso Maria Josè, morta anche lei nel 2001.
E gli storici, cosa pensano dello scoop di Oggi? «Certo, è difficile pensare, col senno di poi, che ci potesse essere un coinvolgimento così diretto fra qualcuno dei Savoia e Benito Mussolini», ci dice Pasquale Chessa, autore tv (Raistoria) e di molti libri sul fascismo (il più recente: L’ultima lettera di Benito).
«Ma Maria Josè, anticonformista e spregiudicata, non era una Savoia tipica. Difficile capire cosa sia davvero successo. Rimane il dato storico della lettera di Romano Mussolini: tramanda una vulgata famigliare che bene si incrocia con la testimonianza di Clara Petacci, la quale delle parole di Benito si è rivelata essere lo specchio fedele [«La principessa di Piemonte si offrì a me, ma io la rifiutai»]. Naturalmente non si può escludere che si tratti di una vanteria di Mussolini. Oppure che ci abbia provato e sia stato lui rifiutato. Certo sarebbe bello se i Savoia aprissero per davvero i loro archivi consentendo agli studiosi di uscire dal pettegolezzo per entrare nella storia».
«Che i Savoia aprano gli archivi»
Su questo tasto preme anche Christopher Duggan, docente di Storia italiana all’università inglese di Reading e autore di La forza del destino: «La prova definitiva della relazione con Mussolini non ci può essere perché la famiglia reale si è portata via gli archivi. Non sappiamo neppure dove siano, forse a Losanna. Probabilmente molto materiale compromettente sul periodo fascista è stato distrutto».
Roberto Alessi e Mauro Suttora
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Tuesday, September 20, 2011
Friday, May 13, 2011
"Ero figlia del duce, non amante"
"Claretta Petacci pensava fossi l'amante del duce. Invece sono sua figlia"
Elena Curti, 88 anni, risponde alle accuse dei diari di Claretta Petacci
dal nostro inviato Mauro Suttora
Acquapendente (Viterbo), 11 maggio 2011
«Questa precoce prostituta che hai elevato a tua consigliera, amante e confidente, mentre si dava a te per calcolo, per orgoglio, per vizio, ti ridicoleggia con giovani amanti... Tolleri che questa indefinibile ragazza, mocciosa e impudente, ti spubblichi e ti invilisca sfruttando il tuo nome e vendendo il tuo prestigio?».
Estate 1944. La guerra infuria, e a Salò (Brescia) Benito Mussolini guida la Repubblica sociale sotto il controllo dei nazisti. Ogni giovedì riceve a rapporto nel proprio studio una bellissima ragazza 21enne, che lavora per il segretario del partito Alessandro Pavolini. È la sua figlia naturale Elena Curti, avuta a Milano da una relazione con Angela Cucciati, moglie del capo fascista Bruno Curti. La madre, poi separata, aveva rivelato il segreto alla figlia quando compì 18 anni.
Ma la gelosissima Claretta Petacci, principale amante del duce, non conosce questo legame di sangue. E sospetta che la giovane Elena sia l’ennesima conquista del suo Benito, traditore seriale.
Attraverso i propri informatori Claretta scopre che Elena lavora con i giovani del battaglione Bir El Gobi. E che in quel clima da caserma le vengono attribuite molte relazioni. Intima a Mussolini di interrompere gli appuntamenti settimanali.
Il dittatore acconsente, ma Elena vuole vederlo ancora. E lui la riceve. Sapendo però che la tremenda Claretta sarebbe venuta a saperlo quasi subito, si affretta a scriverle: «Ha tanto insistito che si trattava di cose politiche che l’ho ricevuta oggi alle 12, con a immediata portata il vicesegretario del partito. Aveva qualcosa da dirmi sull’ambiente della Mas, che pare dominato da una donna, e sul Barbarigo, battaglione totalmente fascista. Non la vedevo dal 6 giugno. Questi mesi di attività hanno lasciato tracce sul suo volto. Il colloquio è durato una decina di minuti, dopodiché l’ho pregata di non venire più a Gargnano, per nessun motivo. L’ha capito e si è allontanata. Questa è la assoluta verità. Chiedo, perché lo merito, il tuo abbraccio».
LETTERE DESECRETATE
Questo messaggio, e quello di risposta di Claretta, sono stati appena pubblicati nel libro L’ultima lettera di Benito (Mondadori) di Barbara Raggi e Pasquale Chessa. Ai quali l’Archivio Centrale dello Stato ha permesso di visionare tutti i diari e le lettere della Petacci, resi pubblici dopo 70 anni.
La replica di Claretta a Mussolini è furibonda: «Giurasti sulla memoria di tuo figlio che mai più la Curti avrebbe varcato la soglia del tuo ufficio... [E invece] la Curti sgonnellava nelle prime ore del pomeriggio in bici in pieno sole, e in pieno giorno veniva da te... Prendi come vessillifera questa pettegola immorale, e non senti tutto il ridicolo e la miseria morale di questo gesto? I segni che tu trovi sul suo volto e che attribuisci alla sua attività lavorativa - sono infatti lavorativi: anche per una costituzione così robusta un battaglione è estenuante invero!».
Insomma, Claretta accusa la povera Elena («Donna screditata, chiacchierata, in continua vita dissoluta») addirittura di relazioni contemporanee e promiscue. E fa qualche nome: Gai, Ciolfi...
Elena Curti, oggi lucidissima ed elegante signora 88enne, ci riceve a casa sua e leggendo la lettera scoppia a ridere: «E certo, il povero Ciolfi era il mio fidanzato. Più per volontà di sua madre che mia, per la verità... Invece Giulio Gai era figlio dell’ex ministro dell’Economia Silvio. In quell’ambiente di intrighi le voci correvano. Io ero la madrina del battaglione Bir El Gobi. Frequentavo tanti uomini, perfino Mussolini una volta si preoccupò per la mia verginità. Che invece persi anni dopo con un altro fidanzato, se proprio si vuole saperlo...».
La Curti ha affidato le proprie memorie al libro Il chiodo a tre punte (ed. Iuculano, 2003): «La guerra non ci impediva di andare a spettacoli di varietà come quelli di Dario Fo e della bellissima Franca Rame, che facevano furore con la loro ironia piccante. Spirava aria di fronda, ma nessuno censurava gli spettacoli».
Il 25 aprile ‘45 anche Elena Curti fa parte del convoglio di gerarchi che con Mussolini cerca di raggiungere la Valtellina. Quando dicono a Claretta che c’è anche lei, la Petacci dà in escandescenze. A quel punto qualcuno la informa della parentela segreta.
«E allora quando ci siamo incontrate per la prima e ultima volta, il 27 aprile», racconta la signora Curti, «lei mi ha rivolto uno sguardo indagatore, incuriosito. Notai i suoi occhi azzurri, quasi viola. Io ero nell’autoblindo accanto a Mussolini, lei invece viaggiava su un’auto con il fratello Marcello, la cognata Zita Ritossa e i loro due piccoli figli. Poi Mussolini salì sul camion tedesco in cui lo arrestarono i partigiani. La fine è nota».
Mauro Suttora
Elena Curti, 88 anni, risponde alle accuse dei diari di Claretta Petacci
dal nostro inviato Mauro Suttora
Acquapendente (Viterbo), 11 maggio 2011
«Questa precoce prostituta che hai elevato a tua consigliera, amante e confidente, mentre si dava a te per calcolo, per orgoglio, per vizio, ti ridicoleggia con giovani amanti... Tolleri che questa indefinibile ragazza, mocciosa e impudente, ti spubblichi e ti invilisca sfruttando il tuo nome e vendendo il tuo prestigio?».
Estate 1944. La guerra infuria, e a Salò (Brescia) Benito Mussolini guida la Repubblica sociale sotto il controllo dei nazisti. Ogni giovedì riceve a rapporto nel proprio studio una bellissima ragazza 21enne, che lavora per il segretario del partito Alessandro Pavolini. È la sua figlia naturale Elena Curti, avuta a Milano da una relazione con Angela Cucciati, moglie del capo fascista Bruno Curti. La madre, poi separata, aveva rivelato il segreto alla figlia quando compì 18 anni.
Ma la gelosissima Claretta Petacci, principale amante del duce, non conosce questo legame di sangue. E sospetta che la giovane Elena sia l’ennesima conquista del suo Benito, traditore seriale.
Attraverso i propri informatori Claretta scopre che Elena lavora con i giovani del battaglione Bir El Gobi. E che in quel clima da caserma le vengono attribuite molte relazioni. Intima a Mussolini di interrompere gli appuntamenti settimanali.
Il dittatore acconsente, ma Elena vuole vederlo ancora. E lui la riceve. Sapendo però che la tremenda Claretta sarebbe venuta a saperlo quasi subito, si affretta a scriverle: «Ha tanto insistito che si trattava di cose politiche che l’ho ricevuta oggi alle 12, con a immediata portata il vicesegretario del partito. Aveva qualcosa da dirmi sull’ambiente della Mas, che pare dominato da una donna, e sul Barbarigo, battaglione totalmente fascista. Non la vedevo dal 6 giugno. Questi mesi di attività hanno lasciato tracce sul suo volto. Il colloquio è durato una decina di minuti, dopodiché l’ho pregata di non venire più a Gargnano, per nessun motivo. L’ha capito e si è allontanata. Questa è la assoluta verità. Chiedo, perché lo merito, il tuo abbraccio».
LETTERE DESECRETATE
Questo messaggio, e quello di risposta di Claretta, sono stati appena pubblicati nel libro L’ultima lettera di Benito (Mondadori) di Barbara Raggi e Pasquale Chessa. Ai quali l’Archivio Centrale dello Stato ha permesso di visionare tutti i diari e le lettere della Petacci, resi pubblici dopo 70 anni.
La replica di Claretta a Mussolini è furibonda: «Giurasti sulla memoria di tuo figlio che mai più la Curti avrebbe varcato la soglia del tuo ufficio... [E invece] la Curti sgonnellava nelle prime ore del pomeriggio in bici in pieno sole, e in pieno giorno veniva da te... Prendi come vessillifera questa pettegola immorale, e non senti tutto il ridicolo e la miseria morale di questo gesto? I segni che tu trovi sul suo volto e che attribuisci alla sua attività lavorativa - sono infatti lavorativi: anche per una costituzione così robusta un battaglione è estenuante invero!».
Insomma, Claretta accusa la povera Elena («Donna screditata, chiacchierata, in continua vita dissoluta») addirittura di relazioni contemporanee e promiscue. E fa qualche nome: Gai, Ciolfi...
Elena Curti, oggi lucidissima ed elegante signora 88enne, ci riceve a casa sua e leggendo la lettera scoppia a ridere: «E certo, il povero Ciolfi era il mio fidanzato. Più per volontà di sua madre che mia, per la verità... Invece Giulio Gai era figlio dell’ex ministro dell’Economia Silvio. In quell’ambiente di intrighi le voci correvano. Io ero la madrina del battaglione Bir El Gobi. Frequentavo tanti uomini, perfino Mussolini una volta si preoccupò per la mia verginità. Che invece persi anni dopo con un altro fidanzato, se proprio si vuole saperlo...».
La Curti ha affidato le proprie memorie al libro Il chiodo a tre punte (ed. Iuculano, 2003): «La guerra non ci impediva di andare a spettacoli di varietà come quelli di Dario Fo e della bellissima Franca Rame, che facevano furore con la loro ironia piccante. Spirava aria di fronda, ma nessuno censurava gli spettacoli».
Il 25 aprile ‘45 anche Elena Curti fa parte del convoglio di gerarchi che con Mussolini cerca di raggiungere la Valtellina. Quando dicono a Claretta che c’è anche lei, la Petacci dà in escandescenze. A quel punto qualcuno la informa della parentela segreta.
«E allora quando ci siamo incontrate per la prima e ultima volta, il 27 aprile», racconta la signora Curti, «lei mi ha rivolto uno sguardo indagatore, incuriosito. Notai i suoi occhi azzurri, quasi viola. Io ero nell’autoblindo accanto a Mussolini, lei invece viaggiava su un’auto con il fratello Marcello, la cognata Zita Ritossa e i loro due piccoli figli. Poi Mussolini salì sul camion tedesco in cui lo arrestarono i partigiani. La fine è nota».
Mauro Suttora
Thursday, April 28, 2011
I libri di scuola sono comunisti?
Gabriella Carlucci all'attacco dei testi di storia «faziosi»
Venti deputati Pdl chiedono una commissione d'inchiesta per alcuni passaggi "cruciali". Gli storici insorgono. Ma qualcuno ammette: «Il problema esiste». Giudicate voi
di Mauro Suttora
Oggi, 20 aprile 2011
Palmiro Togliatti? «Uomo politico intelligente, duttile e capace di ampie visioni generali». Ma nessun riferimento al fatto che il segretario del Pci fino al 1964 fosse stato, negli anni Trenta a Mosca, uno dei principali collaboratori del dittatore Josip Stalin nell'Internazionale comunista, durante il peggior periodo delle purghe e dei gulag.
Enrico Berlinguer? «Uomo di profonda onestà intellettuale e morale, misurato e alieno alla retorica». Il che è certamente vero. Ma, anche qui, sottacendo, per esempio, la mancata condanna, da parte del partito comunista di cui era dirigente, delle invasioni sovietiche in Cecoslovacchia o Afghanistan. Oppure la critica alla dittatura dell'Urss che però non divenne mai rottura.
E i gulag, i famigerati campi di lavoro comunisti? «La loro ignominia non è dipesa da questo sacrosanto ideale (il comunismo), ma dal tentativo utopico di tradurlo immediatamente in atto, o peggio dalla conversione di Stalin all'imperialismo». Fino ad arrivare a Rosy Bindi, lodata perché vent'anni fa «combatté gli inquisiti» di Tangentopoli.
Alcune definizioni contenute nei manuali di storia per l'ultimo anno delle scuole superiori hanno fatto arrabbiare la deputata Gabriella Carlucci e una ventina di suoi colleghi del Pdl, che hanno chiesto l'istituzione di una commissione parlamentare d' inchiesta sull'imparzialità dei libri di testo scolastici.
Ecco il passo «incriminato» del libro Camera-Fabietti sul 1994: «Berlusconi, nonostante le ricorrenti promesse di vendite, cessioni e altri provvedimenti radicali, non sembrava ansioso di superare l' anomalia senza precedenti di un capo del governo che era grande imprenditore, monopolista o quasi delle reti tv private: un'anomalia denunciata dalla Lega e dalle opposizioni, e ammessa dallo stesso Berlusconi. L'uso sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi di Berlusconi (...)»
Un altro libro messo sotto accusa dalla Carlucci è l'Ortoleva-Revelli. Qui appare un giudizio positivo sull'ex presidente Oscar Luigi Scalfaro, detestato dai berlusconiani perché nel 1995 non concesse il voto anticipato, aprendo la strada al governo Dini e alla vittoria di Prodi del '96. Ancor oggi il 92enne Scalfaro è più antiberlusconiano che mai, e non lo nasconde.
«In Italia negli ultimi cinquant'anni lo studio della storia è stato spesso sostituito da un puro e semplice tentativo di indottrinamento ideologico», sostiene la Carlucci. «Con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell' ideologia comunista i tentativi subdoli di indottrinamento restano tali, anzi si rafforzano. E si scagliano non solo contro gli attori della storia che hanno combattuto l'avanzata del comunismo, ma anche contro la parte politica che oggi è antagonista della sinistra».
Nel mirino della Carlucci sono finiti in particolare due libri: il Camera-Fabietti (edizioni Zanichelli) e La storia di Della Peruta-Chittolini-Capra della casa editrice Le Monnier che, per ironia della sorte, appartiene al gruppo Mondadori, di proprietà di Silvio Berlusconi.
Il quale Berlusconi viene così maltrattato a pagina 1.682 del Camera-Fabietti: «Nel 1994 l'uso sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi alla magistratura, alla Direzione generale antimafia, alla Banca d'Italia, alla Corte costituzionale e soprattutto al Presidente della Repubblica condotti da Berlusconi e dai suoi portavoce esasperarono le tensioni politiche nel Paese, sommandosi alle tensioni sociali determinate dalla disoccupazione crescente (che contraddiceva clamorosamente le promesse elettorali di Forza Italia) e dai tagli proposti dal governo alle pensioni, alla sanità e alla previdenza sociale».
«Ognuno ha diritto ad avere il suo punto di vista e anche la sua faziosità», dice la Carlucci, «può scrivere articoli o libri, poi li comprerà chi vuole. Ma si può essere così di parte in libri di testo che migliaia di studenti devono, per forza, comprare e studiare? Può la scuola di Stato, quella che paghiamo con i nostri soldi, trasformarsi in una fabbrica di pensiero partigiano e anche fazioso, spesso superficiale?».
«Il vero problema è che non si discute più di storia nella società, per colpa soprattutto della tv», risponde Pino Polistena, professore di storia prima di diventare preside del liceo civico Manzoni di Milano. «Ma la tv non è il solo imputato: sociologi come Norbert Elias ci spiegano che è la modernità stessa a privilegiare il presente. Per questo la storia è in sofferenza, non per i travisamenti dei libri di testo. È vero, alcuni di essi sfiorano il dogmatismo storico. Ma anche se a questi testi si associano docenti altrettanto dogmatici, non esiste un vero problema didattico. Perché ovunque si discuta di storia si determina un effetto positivo, per il fatto stesso di discuterne».
«La ex soubrette Gabriella Carlucci propone addirittura una commissione d'inchiesta parlamentare per purgare i libri di storia?», sbotta Pasquale Chessa, già vicedirettore di Panorama (settimanale della Mondadori) e storico lui stesso. «Nemmeno Orwell aveva pensato una cosa del genere. Verrebbe voglia di interrogare in storia la Carlucci. Ma da che pulpito parla, da quale cattedra? La politica stia lontana dalla cultura. La signora studi la storia, e non si permetta di interferire con il libero dibattito delle idee».
Ma lodare Togliatti senza accennare ai suoi demeriti non è scorretto?
«Incompletezze e imprecisioni non si possono punire per legge. Nemmeno sotto l'Inquisizione il giudizio positivo su una persona era considerato un insulto alla storia. Per fortuna , dico io, ci sono queste frasi che possono essere messe a confronto con altri giudizi. Io per primo da trent'anni, come giornalista, m i sono sempre battuto contro il conformismo storico di sinistra. Per esempio evidenziando i famosi strafalcioni filosovietici dell'enciclopedia Garzantina negli anni Ottanta, che per questo avevamo soprannominato "Garzantova". Ed è ovvio che Tranfaglia aveva torto quando accusò De Felice per i suoi libri sul fascismo considerati "revisionisti". Ma, ripeto: lontano dalla politica».
Marco Revelli, docente universitario, è uno degli autori presi di mira dalla Carlucci. Nel suo L'età contemporanea, scritto con Peppino Ortoleva, c'è il giudizio troppo laudatorio espresso su Oscar Luigi Scalfaro che abbiamo evidenziato a pagina 49. «Non ho creduto ai miei occhi quando ho letto la critica al passo su Scalfaro», dice a Oggi. «Fra tutti i personaggi possibili, sono andati a pescare un giudizio positivo su un democristiano, non su un comunista. Attenzione: un giudizio, non un fatto. E, come insegna Benedetto Croce - un liberale, non un comunista - le interpretazioni sono necessariamente libere».
Ma non ci vorrebbe più equilibrio, professore?
«Certo, però solo un ministro come la Gelmini può dire che i libri di storia devono essere "oggettivi". Nessun testo può offrire l'unica verità. Io esorto sempre i miei studenti a ricercare le verità, al plurale, leggendo decine di testi. Il problema vero, in realtà, è Berlusconi. È lui la questione del contendere. Siamo arrivati al punto che non solo non si possono criticare i suoi vizi, ma qualcuno vorrebbe vietare perfino le lodi alle virtù dei suoi avversari. Certi berlusconiani hanno in testa solo il bunga-bunga, e misurano tutto con metro da tifosi. Cercano di guadagnare punti agli occhi del loro capo, o meglio del loro Dio. Perfino il ministro fascista Gentile aveva maggiore tolleranza nei confronti delle eterodossie».
Ma perché per gli storici è così difficile equiparare la svastica alla falce e martello, fra le disgrazie del secolo scorso?
«Esiste una robusta corrente storiografica che lo fa, accomunando fascismi e comunismi sotto la categoria del totalitarismo. È un dibattito molto interessante. Ma, appunto, è un dibattito. Che non può essere deciso da un decreto ministeriale...»
«Sì, molti manuali sono faziosi», ammette Lorenzo Strik Lievers, docente di storia all'università di Milano. «Ma il peggio è che sono noiosi, e così allontanano gli studenti».
Alcuni libri sono scritti in sociologhese, più che in italiano...
«Come strumenti didattici sono in gran parte deplorevoli», dice Strik Lievers. «Il risultato è che quasi tutti gli studenti che arrivano all'università di storia sanno poco. Il problema riguarda soprattutto i docenti. Sono loro a scegliere i libri di testo più o meno faziosi. E non riescono ad appassionare alla materia i propri studenti. Non fanno nemmeno sospettar loro che sulla storia ci possa essere dibattito. Nessun libro di testo ha al proprio centro il concetto della discutibilità della storia. Quindi, mentre trent'anni fa gli studenti politicizzati cercavano nella storia conferme alle proprie idee, oggi che l' interesse per la politica è quasi nullo anche lo studio della storia ne soffre».
Ma forse tutta questa polemica è inutile, perché raramente nei licei, per ragioni di tempo, si studiano gli ultimi decenni. E se la soluzione fosse proprio questa? Evitare gli ultimi trent'anni, che suscitano troppe polemiche? «Idea infantile», obietta Revelli, «perché per qualcuno anche Menenio Agrippa era un comunista...»
Mauro Suttora
Venti deputati Pdl chiedono una commissione d'inchiesta per alcuni passaggi "cruciali". Gli storici insorgono. Ma qualcuno ammette: «Il problema esiste». Giudicate voi
di Mauro Suttora
Oggi, 20 aprile 2011
Palmiro Togliatti? «Uomo politico intelligente, duttile e capace di ampie visioni generali». Ma nessun riferimento al fatto che il segretario del Pci fino al 1964 fosse stato, negli anni Trenta a Mosca, uno dei principali collaboratori del dittatore Josip Stalin nell'Internazionale comunista, durante il peggior periodo delle purghe e dei gulag.
Enrico Berlinguer? «Uomo di profonda onestà intellettuale e morale, misurato e alieno alla retorica». Il che è certamente vero. Ma, anche qui, sottacendo, per esempio, la mancata condanna, da parte del partito comunista di cui era dirigente, delle invasioni sovietiche in Cecoslovacchia o Afghanistan. Oppure la critica alla dittatura dell'Urss che però non divenne mai rottura.
E i gulag, i famigerati campi di lavoro comunisti? «La loro ignominia non è dipesa da questo sacrosanto ideale (il comunismo), ma dal tentativo utopico di tradurlo immediatamente in atto, o peggio dalla conversione di Stalin all'imperialismo». Fino ad arrivare a Rosy Bindi, lodata perché vent'anni fa «combatté gli inquisiti» di Tangentopoli.
Alcune definizioni contenute nei manuali di storia per l'ultimo anno delle scuole superiori hanno fatto arrabbiare la deputata Gabriella Carlucci e una ventina di suoi colleghi del Pdl, che hanno chiesto l'istituzione di una commissione parlamentare d' inchiesta sull'imparzialità dei libri di testo scolastici.
Ecco il passo «incriminato» del libro Camera-Fabietti sul 1994: «Berlusconi, nonostante le ricorrenti promesse di vendite, cessioni e altri provvedimenti radicali, non sembrava ansioso di superare l' anomalia senza precedenti di un capo del governo che era grande imprenditore, monopolista o quasi delle reti tv private: un'anomalia denunciata dalla Lega e dalle opposizioni, e ammessa dallo stesso Berlusconi. L'uso sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi di Berlusconi (...)»
Un altro libro messo sotto accusa dalla Carlucci è l'Ortoleva-Revelli. Qui appare un giudizio positivo sull'ex presidente Oscar Luigi Scalfaro, detestato dai berlusconiani perché nel 1995 non concesse il voto anticipato, aprendo la strada al governo Dini e alla vittoria di Prodi del '96. Ancor oggi il 92enne Scalfaro è più antiberlusconiano che mai, e non lo nasconde.
«In Italia negli ultimi cinquant'anni lo studio della storia è stato spesso sostituito da un puro e semplice tentativo di indottrinamento ideologico», sostiene la Carlucci. «Con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell' ideologia comunista i tentativi subdoli di indottrinamento restano tali, anzi si rafforzano. E si scagliano non solo contro gli attori della storia che hanno combattuto l'avanzata del comunismo, ma anche contro la parte politica che oggi è antagonista della sinistra».
Nel mirino della Carlucci sono finiti in particolare due libri: il Camera-Fabietti (edizioni Zanichelli) e La storia di Della Peruta-Chittolini-Capra della casa editrice Le Monnier che, per ironia della sorte, appartiene al gruppo Mondadori, di proprietà di Silvio Berlusconi.
Il quale Berlusconi viene così maltrattato a pagina 1.682 del Camera-Fabietti: «Nel 1994 l'uso sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi alla magistratura, alla Direzione generale antimafia, alla Banca d'Italia, alla Corte costituzionale e soprattutto al Presidente della Repubblica condotti da Berlusconi e dai suoi portavoce esasperarono le tensioni politiche nel Paese, sommandosi alle tensioni sociali determinate dalla disoccupazione crescente (che contraddiceva clamorosamente le promesse elettorali di Forza Italia) e dai tagli proposti dal governo alle pensioni, alla sanità e alla previdenza sociale».
«Ognuno ha diritto ad avere il suo punto di vista e anche la sua faziosità», dice la Carlucci, «può scrivere articoli o libri, poi li comprerà chi vuole. Ma si può essere così di parte in libri di testo che migliaia di studenti devono, per forza, comprare e studiare? Può la scuola di Stato, quella che paghiamo con i nostri soldi, trasformarsi in una fabbrica di pensiero partigiano e anche fazioso, spesso superficiale?».
«Il vero problema è che non si discute più di storia nella società, per colpa soprattutto della tv», risponde Pino Polistena, professore di storia prima di diventare preside del liceo civico Manzoni di Milano. «Ma la tv non è il solo imputato: sociologi come Norbert Elias ci spiegano che è la modernità stessa a privilegiare il presente. Per questo la storia è in sofferenza, non per i travisamenti dei libri di testo. È vero, alcuni di essi sfiorano il dogmatismo storico. Ma anche se a questi testi si associano docenti altrettanto dogmatici, non esiste un vero problema didattico. Perché ovunque si discuta di storia si determina un effetto positivo, per il fatto stesso di discuterne».
«La ex soubrette Gabriella Carlucci propone addirittura una commissione d'inchiesta parlamentare per purgare i libri di storia?», sbotta Pasquale Chessa, già vicedirettore di Panorama (settimanale della Mondadori) e storico lui stesso. «Nemmeno Orwell aveva pensato una cosa del genere. Verrebbe voglia di interrogare in storia la Carlucci. Ma da che pulpito parla, da quale cattedra? La politica stia lontana dalla cultura. La signora studi la storia, e non si permetta di interferire con il libero dibattito delle idee».
Ma lodare Togliatti senza accennare ai suoi demeriti non è scorretto?
«Incompletezze e imprecisioni non si possono punire per legge. Nemmeno sotto l'Inquisizione il giudizio positivo su una persona era considerato un insulto alla storia. Per fortuna , dico io, ci sono queste frasi che possono essere messe a confronto con altri giudizi. Io per primo da trent'anni, come giornalista, m i sono sempre battuto contro il conformismo storico di sinistra. Per esempio evidenziando i famosi strafalcioni filosovietici dell'enciclopedia Garzantina negli anni Ottanta, che per questo avevamo soprannominato "Garzantova". Ed è ovvio che Tranfaglia aveva torto quando accusò De Felice per i suoi libri sul fascismo considerati "revisionisti". Ma, ripeto: lontano dalla politica».
Marco Revelli, docente universitario, è uno degli autori presi di mira dalla Carlucci. Nel suo L'età contemporanea, scritto con Peppino Ortoleva, c'è il giudizio troppo laudatorio espresso su Oscar Luigi Scalfaro che abbiamo evidenziato a pagina 49. «Non ho creduto ai miei occhi quando ho letto la critica al passo su Scalfaro», dice a Oggi. «Fra tutti i personaggi possibili, sono andati a pescare un giudizio positivo su un democristiano, non su un comunista. Attenzione: un giudizio, non un fatto. E, come insegna Benedetto Croce - un liberale, non un comunista - le interpretazioni sono necessariamente libere».
Ma non ci vorrebbe più equilibrio, professore?
«Certo, però solo un ministro come la Gelmini può dire che i libri di storia devono essere "oggettivi". Nessun testo può offrire l'unica verità. Io esorto sempre i miei studenti a ricercare le verità, al plurale, leggendo decine di testi. Il problema vero, in realtà, è Berlusconi. È lui la questione del contendere. Siamo arrivati al punto che non solo non si possono criticare i suoi vizi, ma qualcuno vorrebbe vietare perfino le lodi alle virtù dei suoi avversari. Certi berlusconiani hanno in testa solo il bunga-bunga, e misurano tutto con metro da tifosi. Cercano di guadagnare punti agli occhi del loro capo, o meglio del loro Dio. Perfino il ministro fascista Gentile aveva maggiore tolleranza nei confronti delle eterodossie».
Ma perché per gli storici è così difficile equiparare la svastica alla falce e martello, fra le disgrazie del secolo scorso?
«Esiste una robusta corrente storiografica che lo fa, accomunando fascismi e comunismi sotto la categoria del totalitarismo. È un dibattito molto interessante. Ma, appunto, è un dibattito. Che non può essere deciso da un decreto ministeriale...»
«Sì, molti manuali sono faziosi», ammette Lorenzo Strik Lievers, docente di storia all'università di Milano. «Ma il peggio è che sono noiosi, e così allontanano gli studenti».
Alcuni libri sono scritti in sociologhese, più che in italiano...
«Come strumenti didattici sono in gran parte deplorevoli», dice Strik Lievers. «Il risultato è che quasi tutti gli studenti che arrivano all'università di storia sanno poco. Il problema riguarda soprattutto i docenti. Sono loro a scegliere i libri di testo più o meno faziosi. E non riescono ad appassionare alla materia i propri studenti. Non fanno nemmeno sospettar loro che sulla storia ci possa essere dibattito. Nessun libro di testo ha al proprio centro il concetto della discutibilità della storia. Quindi, mentre trent'anni fa gli studenti politicizzati cercavano nella storia conferme alle proprie idee, oggi che l' interesse per la politica è quasi nullo anche lo studio della storia ne soffre».
Ma forse tutta questa polemica è inutile, perché raramente nei licei, per ragioni di tempo, si studiano gli ultimi decenni. E se la soluzione fosse proprio questa? Evitare gli ultimi trent'anni, che suscitano troppe polemiche? «Idea infantile», obietta Revelli, «perché per qualcuno anche Menenio Agrippa era un comunista...»
Mauro Suttora
Wednesday, December 15, 2010
L'ultima lettera di Benito
MA CHE COSA SI SCRIVEVANO CLARA E IL DITTATORE?
Un libro di Pasquale Chessa e Barbara Raggi
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
È un grande colpo storiografico quello messo a segno da Pasquale Chessa e Barbara Raggi con il libro L’ultima lettera di Benito (ed. Mondadori, € 19,50). A distanza di 65 anni, infatti, vengono pubblicate le 318 lettere che Mussolini scrisse a Clara Petacci fra l’autunno 1943 e l’aprile ‘45, quando entrambi vivevano sul lago di Garda a pochi chilometri l’uno dall’altra: il dittatore a Gargnano (Brescia) nella villa Feltrinelli (oggi hotel posseduto da russi), l’amante a Gardone nella villa Fiordaliso (anch’essa ora albergo di lusso).
Sono i 600 lugubri giorni della repubblica di Salò. Mussolini è in pratica prigioniero dei nazisti e Clara, dopo essere finita in prigione nel ‘43, assurge al rango di sua consigliera anche politica: capeggia una delle fazioni che si fronteggiano fra i collaborazionisti dei tedeschi, e spinge il duce a negare la grazia al genero Galeazzo Ciano: «Per rifare l’Italia ci vuole il sangue dei traditori», gli scrive. Quanto a Edda Mussolini, la definisce «degna compagna delle azioni del marito». I due nutrono ancora la speranza di vincere la guerra grazie alle «armi segrete» di Hitler: lo scrive Benito a Clara nel giugno ‘44, dopo la liberazione di Roma da parte degli alleati.
Quando la fine si avvicina, ecco i progetti (finora sconosciuti) di fuggire all’estero: in Ungheria con l’aiuto del fratello Marcello Petacci, in Svizzera, in Giappone. Nella sua ultima lettera del 18 aprile ‘45 Mussolini scrive a Clara che l’ingrato Francisco Franco rifiuta di ospitarlo in Spagna, dove avrebbe voluto costituire un governo in esilio.
In quello stesso giorno il duce scappa a Milano, e Clara invece di prendere l’ultimo aereo per Barcellona con la famiglia lo segue. Prima, però, fa seppellire i propri diari (pubblicati nel libro Mussolini segreto, ed. Bur Rizzoli, 2010) con il carteggio nel giardino di un’amica. Disobbedisce così a Benito, che voleva distruggere le lettere. Tutto è stato poi trovato nel ‘50 e conservato dall’Archivio centrale dello Stato, garante dell’autenticità.
Mauro Suttora
Un libro di Pasquale Chessa e Barbara Raggi
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
È un grande colpo storiografico quello messo a segno da Pasquale Chessa e Barbara Raggi con il libro L’ultima lettera di Benito (ed. Mondadori, € 19,50). A distanza di 65 anni, infatti, vengono pubblicate le 318 lettere che Mussolini scrisse a Clara Petacci fra l’autunno 1943 e l’aprile ‘45, quando entrambi vivevano sul lago di Garda a pochi chilometri l’uno dall’altra: il dittatore a Gargnano (Brescia) nella villa Feltrinelli (oggi hotel posseduto da russi), l’amante a Gardone nella villa Fiordaliso (anch’essa ora albergo di lusso).
Sono i 600 lugubri giorni della repubblica di Salò. Mussolini è in pratica prigioniero dei nazisti e Clara, dopo essere finita in prigione nel ‘43, assurge al rango di sua consigliera anche politica: capeggia una delle fazioni che si fronteggiano fra i collaborazionisti dei tedeschi, e spinge il duce a negare la grazia al genero Galeazzo Ciano: «Per rifare l’Italia ci vuole il sangue dei traditori», gli scrive. Quanto a Edda Mussolini, la definisce «degna compagna delle azioni del marito». I due nutrono ancora la speranza di vincere la guerra grazie alle «armi segrete» di Hitler: lo scrive Benito a Clara nel giugno ‘44, dopo la liberazione di Roma da parte degli alleati.
Quando la fine si avvicina, ecco i progetti (finora sconosciuti) di fuggire all’estero: in Ungheria con l’aiuto del fratello Marcello Petacci, in Svizzera, in Giappone. Nella sua ultima lettera del 18 aprile ‘45 Mussolini scrive a Clara che l’ingrato Francisco Franco rifiuta di ospitarlo in Spagna, dove avrebbe voluto costituire un governo in esilio.
In quello stesso giorno il duce scappa a Milano, e Clara invece di prendere l’ultimo aereo per Barcellona con la famiglia lo segue. Prima, però, fa seppellire i propri diari (pubblicati nel libro Mussolini segreto, ed. Bur Rizzoli, 2010) con il carteggio nel giardino di un’amica. Disobbedisce così a Benito, che voleva distruggere le lettere. Tutto è stato poi trovato nel ‘50 e conservato dall’Archivio centrale dello Stato, garante dell’autenticità.
Mauro Suttora
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