GLI ARTISTI DELL'ARTE POVERA SONO PIU' QUOTATI DI QUELLI DELLA TRANSAVANGUARDIA
Aste di Cristie's e Sotheby's: record per Boetti, Pistoletto, Pascali. Le due mostre antologiche parallele a Milano
di Mauro Suttora
Oggi, 14 dicembre 2011
Grandi emozioni due mesi fa, il 13 ottobre, nel salone dalla casa d’aste Sotheby’s di Londra. Altro che crisi. La vendita di arte contemporanea italiana stabilisce il record d’incassi: 62 milioni di dollari. Più di tutte le vendite di contemporanea dell’intero 2010. Record per Alberto Burri: la sua Combustione Legno del 1957 se l’aggiudica un anonimo cliente al telefono, dopo una fiera battaglia con altri quattro collezionisti che provoca un rialzo del 300 per cento.
Straccia la base d’asta e stabilisce il record personale anche Michelangelo Pistoletto, decano biellese dell’Arte povera: 800 mila dollari per il suo Muro del ’67 (vedere la classifica a pag.92). Ma è un trionfo per tutta l’Arte povera, da Alighiero Boetti «battuto» l’anno scorso per 2,7 milioni di dollari, al povero Pino Pascali, scomparso in un incidente di moto a 33 anni nel ’68.
Fino alla fine di gennaio è possibile visitare una grande mostra sull’Arte Povera alla Triennale di Milano. E, contemporaneamente, paragonarla all’altra corrente pittorica che ha dominato la scena italiana negli ultimi trent’anni: la Transavanguardia, in mostra a Palazzo Reale.
Anche quest’ultima ha raccolto notevoli soddisfazioni commerciali: cinque anni fa Enzo Cucchi è stato battuto per un milione di dollari da Christie’s a Londra, e nel 2007 Sandro Chia ha toccato il mezzo milione.
Però, volendo fare una semplice e semplicistica hit parade dei prezzi, vincono i «poveri». Perché?
«Il motivo è semplice», risponde la art advisor Patrizia Manici: «Molti artisti dell’Arte povera purtroppo sono scomparsi: Pascali, Boetti, Merz, Fabro. Le quotazioni aumentano sempre, dopo la morte. Anche perché gli artisti non possono produrre più, inflazionando il mercato. Il riconoscimento alla qualità del loro lavoro è arrivato anche grazie ai media. E comunque l’arte povera è meno compiacente della Transavanguardia, frutto di una ricerca più intellettuale: per questo dura di più».
Il successo commerciale di un artista è costruito o facilitato da critici, galleristi, grandi collezionisti e curatori di musei. Non è un mistero, per esempio, che per riconquistare il titolo di «artista vivente più quotato» sottrattogli da Lucian Freud (vedi sotto) Damien Hirst nel 2008 orchestrò con un consorzio l’acquisto del suo Cranio con diamanti.
«In 40 anni i prezzi dell’Arte povera si sono rivalutati mediamente del 300 per cento», spiega Marina Mojana, critico del Sole 24 Ore, «conferma la regola d’oro del mercato dell’arte: il consolidamento arriva dopo una trentina d’anni dall’esordio, ma soltanto se intorno agli artisti si crea la felice congiunzione di un critico intelligente e di galleristi coraggiosi e lungimiranti».
Sia l’Arte povera, sia la Transavanguardia hanno avuto i loro numi tutelari in due critici, che le hanno «inventate» dando loro il nome: il genovese Germano Celant (nel 1968) e il salernitano Achille Bonito Oliva (1979). A decenni di distanza, le due mostre antologiche di Milano sono ancora curate da loro.
«Erano veramente poveri»
«L’Arte povera, però, non è mai stata una costruzione a tavolino», precisa Roberto Coda Zabetta, uno dei pittori italiani più apprezzati e “internazionali” della generazione dei trentenni. «Prima di essere risconosciuti, quegli artisti hanno sofferto. Alcuni di loro erano poveri sul serio, vivevano in campagna, scolpivano con le mani. Usavano materiali poveri anche per necessità: semplicemente, l’immondizia costava meno delle tele. E se un giornalista voleva intervistarli, magari lo mandavano a quel paese.
«La Transavanguardia, invece, nacque come operazione di marketing. Dopo i concettualismi degli anni ’70 le avanguardie artistiche erano in crisi. Di qui il nome del movimento, che “supera” l’avanguardia e recupera la pittura. Nel 1980 Bonito Oliva e i suoi ‘magnifici cinque’ hanno studiato perfettamente momento, motivo e modo per arrivare al successo. Che infatti hanno raggiunto subito, alla Biennale di Venezia. E dicendo questo non voglio sminuire la genialità del critico e dei pittori».
Adesso sia i «poveri», sia i «transavanguardisti» sono star internazionali. Su di loro vengono girati film, come quello del tedesco Georg Brintrup su Enzo Cucchi. Pistoletto, 78 anni, gira il mondo, ma nella sua Biella ha messo in piedi una fondazione (Cittadellarte) che offre borse di studio Unesco a giovani artisti di tutto il pianeta. Altre Fondazioni curano i lasciti di Boetti e Merz.
Trasferiti a New York
Sandro Chia vive fra New York e la Toscana, dove produce vino. Anche Francesco Clemente (che da giovane fu assistente del «povero» Boetti) ormai si è stabilito a Manhattan: lì il museo Guggenheim gli fece già nel 1999 (vedere il riquadro sopra) l’onore di una retrospettiva personale. Dalla quale è reduce il suo collega Mimmo Paladino, nel milanese Palazzo Reale (con la grande montagna di sala accanto al Duomo), dopo che l’anno scorso ha curato la scenografia del grande tour di Francesco de Gregori e Lucio Dalla.
Oltre che a Milano, i Transavanguardisti sono in mostra singolarmente a Modena (Chia, fino al 29 gennaio), Prato (Nicola De Maria, fino al 4 marzo), Catanzaro (Cucchi al Marca dal 17 dicembre a fine marzo), Roma (Paladino il prossimo marzo all’ex Gil) e Palermo (Clemente dal 15 marzo a palazzo Sant’Elia).
Mauro Suttora
Classifiche quotazioni alle aste:
TRANSAVANGUARDIA
1° Enzo CUCCHI
(Ancona, 1949)
1 milione di $
'Quadro Santo' (1980)
aggiudicato da Christie's Londra il 22.6.06
2° Sandro CHIA
(Firenze, 1946)
500 mila $
'Il figlio del farmacista'
Christie's Londra 15.10.07
3° Francesco CLEMENTE
(Napoli, 1952)
400 mila $
'Porta Coeli'
Christie's Londra 23.6.05
4° Mimmo PALADINO
(Benevento, 1948)
300 mila $
'Canto I' (1995)
Christie's Londra 22.6.06
5° Nicola DE MARIA
(Benevento, 1954)
150 mila $
'Regno dei fiori'
Christie's Londra 23.10.01
ARTE POVERA
1° Alighiero BOETTI
(1940-94)
2,7 milioni
'Mappa' (1989)
Christie's Londra, luglio 2010
2° Piero PASCALI
(Bari, 1935-68)
2,6 milioni
'Cannone semovente' (1965)
Christie's Londra ottobre 2003
3° Mario MERZ
(Milano, 1925-2003)
1,4 milioni
'Igloo object cache-toi' (1968)
Christie's Londra febbraio 2005
4° Jannis KOUNELLIS
(Pireo, Grecia 1936)
1,2 milioni
'Untitled' (1960)
Christie's Londra ottobre 2008
5° Luciano FABRO
(Torino, 1936-2007)
900 mila
'Italia carta stradale' (1969)
Sotheby's Londra ottobre 2006
6° Michelangelo PISTOLETTO
(Biella, 1933)
800 mila
'Muro' (1967)
Sotheby's Londra 13 ottobre 2011
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Wednesday, December 21, 2011
Monday, December 06, 2010
Museo del Novecento
Apre a Milano il museo del secolo
Nell'ex arengario arrivano i quadri più belli
Dal Futurismo all' Arte povera. Da Fontana a De Chirico. Tutte le avanguardie italiane nate nella capitale lombarda trovano una nuova casa nel centro della città. E come al Louvre...
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
L'orrendo Arengario di piazza Duomo fu fatto costruire da Benito Mussolini per avere un balcone da cui, appunto, arringare la folla. Il dittatore morì prima di riuscirci. Da allora, nessuno ha mai saputo bene cosa fare di quel tetro palazzo. Finalmente, il 6 dicembre ci nasce il Museo del Novecento.
Tre anni di lavoro e 20 milioni di euro per ospitare 350 quadri: il meglio delle 4 mila opere possedute dal Comune di Milano, e finora sparpagliate nelle raccolte civiche: dalla Gam (Galleria di arte moderna) nella villa Reale di via Palestro a un delizioso e sconosciuto museo, la Fondazione Boschi Di Stefano in una traversa di corso Buenos Aires, via Jan.
Sarà un grande evento, paragonabile all'inaugurazione del romano Maxxi (Museo arte XXI secolo) sei mesi fa. Come al Louvre, si potrà entrare nel museo direttamente dal metrò. «La grande rampa a spirale interna sarà la sua cifra architettonica più significativa, che lo renderà universalmente riconoscibile», dice il sindaco Letizia Moratti. All'ultimo piano, visibile dalla piazza, c'è il neon bianco che Lucio Fontana realizzò per la Triennale del 1951. Sulla terrazza, un ristorante gestito dal rinomato Giacomo e uno spazio aperitivi. E poi un cinema, come al Moma di New York.
«L'arte italiana è conosciuta all'estero per il Rinascimento e, nel Novecento, per due movimenti d'avanguardia: Futurismo e Arte povera», spiega l'assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. «Il fatto che il museo abbia come "perni" queste due collezioni costituisce perciò un evento di portata internazionale».
Si entra dal metrò
Arrivando dal metrò, il primo incont ro è con il pezzo forte del Museo: il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901), che aprì il secolo con le sue speranze social ste. Poi due sculture di Giorgio De Chirico, anch'esse sempre visibili dal pubblico, senza biglietto da pagare (a proposito: fino a fine febbraio l'ingresso è gratis).
Entrando, un tocco internazionale: Picasso, Braque, Klee, Kandinskij, Modigliani. Quindi la prima sala dedicata al futurismo, con Umberto Boccioni in evidenza. Seguono, in ordine cronologico, le sale De Chirico, Morandi, Martini e Piero Manzoni. Al terzo piano lo spazio dedicato a Burri e agli anni Cinquanta e Sessanta dei maggiori maestri italiani (Vedova, Capogrossi, Novelli).
Passerella sospesa
La sezione conclusiva sta al secondo piano dell'adiacente Palazzo Reale, collegata all Arengario da una passerella sospesa e dedicata agli anni Sessanta: arte cinetica con una serie di ambienti del gruppo T, poi la pop art italiana e infine l'Arte povera del biellese Michelangelo Pistoletto e del milanese Luciano Fabro. La serata di inaugurazione avrà una colonna sonora con i brani che hanno punteggiato il secolo milanese: dal Trio Lescano al Quartetto Cetra, da Enzo Jannacci a Giorgio Gaber, da Mina a Ornella Vanoni. Alcuni «testimonial» hanno «adottato» i loro quadri preferiti, a cominciare dal centenario critico Gillo Dorfles.
Fra le donne, la scrittrice Camilla Baresani spiega a Oggi la sua predilezione per Ottone Rosai: «Veniva denigrato come semplice bozzettista, invece era un intellettuale completo. Fu ottimo scrittore: il suo Diario di un teppista, appena ristampato da Vallecchi, nella prima edizione è una delle rarità più valutate del Novecento. Fu ardito fascista, ma anche omosessuale, e si vergognava di questa sua condizione che ne fece un artista "maledetto"».
Milioni in piazza Duomo
Come sarà accolto questo nuovo museo? «Puntiamo a 250 mila visitatori all' anno», spera Finazzer, «che sommati al milione e 700 mila dell'attiguo Palazzo Reale fanno due milioni. Milano è ormai in grado di offrire a tutti i turisti che arrivano in piazza Duomo attrattive di alto livello. Il museo è stato costruito per rapportarsi con la piazza, la metropolitana, le luci, le vetrate del Duomo. In un momento di crisi finanziaria e di caos politico, Milano dice all'Italia che si può uscirne anche grazie a una grande opera pubblica culturale».
La scrittrice Camilla Baresani, 48 anni, ha un debole per Ottone Rosai (1895-1957): «Questo suo Mulino del ' 38 sembra l'opera di un bozzettista, ma Rosai in realtà fu un grande artista "maledetto"».
Ornella Vanoni, 76, la cantante milanese per antonomasia, sarà presente alla serata inaugurale del 6 dicembre anche con alcune canzoni. «Il mio preferito è Boccioni», dice. Al museo c'è il quadro Quelli che restano, del 1911.
La conduttrice tv Camila Raznovic, 36, ha «adottato» il più celebre dei tre quadri di Amedeo Modigliani esposti nel Museo del Novecento: Ritratto di Paul Guillaume, dipinto nel 1916, solo quattro anni prima di morire.
Marta Marzotto, 79 anni, «adotta» l'opera giovanile del suo amante Renato Guttuso (1911-87): Piccola nuda sdraiata (1940).
Mauro Suttora
Nell'ex arengario arrivano i quadri più belli
Dal Futurismo all' Arte povera. Da Fontana a De Chirico. Tutte le avanguardie italiane nate nella capitale lombarda trovano una nuova casa nel centro della città. E come al Louvre...
di Mauro Suttora
Oggi, 8 dicembre 2010
L'orrendo Arengario di piazza Duomo fu fatto costruire da Benito Mussolini per avere un balcone da cui, appunto, arringare la folla. Il dittatore morì prima di riuscirci. Da allora, nessuno ha mai saputo bene cosa fare di quel tetro palazzo. Finalmente, il 6 dicembre ci nasce il Museo del Novecento.
Tre anni di lavoro e 20 milioni di euro per ospitare 350 quadri: il meglio delle 4 mila opere possedute dal Comune di Milano, e finora sparpagliate nelle raccolte civiche: dalla Gam (Galleria di arte moderna) nella villa Reale di via Palestro a un delizioso e sconosciuto museo, la Fondazione Boschi Di Stefano in una traversa di corso Buenos Aires, via Jan.
Sarà un grande evento, paragonabile all'inaugurazione del romano Maxxi (Museo arte XXI secolo) sei mesi fa. Come al Louvre, si potrà entrare nel museo direttamente dal metrò. «La grande rampa a spirale interna sarà la sua cifra architettonica più significativa, che lo renderà universalmente riconoscibile», dice il sindaco Letizia Moratti. All'ultimo piano, visibile dalla piazza, c'è il neon bianco che Lucio Fontana realizzò per la Triennale del 1951. Sulla terrazza, un ristorante gestito dal rinomato Giacomo e uno spazio aperitivi. E poi un cinema, come al Moma di New York.
«L'arte italiana è conosciuta all'estero per il Rinascimento e, nel Novecento, per due movimenti d'avanguardia: Futurismo e Arte povera», spiega l'assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. «Il fatto che il museo abbia come "perni" queste due collezioni costituisce perciò un evento di portata internazionale».
Si entra dal metrò
Arrivando dal metrò, il primo incont ro è con il pezzo forte del Museo: il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901), che aprì il secolo con le sue speranze social ste. Poi due sculture di Giorgio De Chirico, anch'esse sempre visibili dal pubblico, senza biglietto da pagare (a proposito: fino a fine febbraio l'ingresso è gratis).
Entrando, un tocco internazionale: Picasso, Braque, Klee, Kandinskij, Modigliani. Quindi la prima sala dedicata al futurismo, con Umberto Boccioni in evidenza. Seguono, in ordine cronologico, le sale De Chirico, Morandi, Martini e Piero Manzoni. Al terzo piano lo spazio dedicato a Burri e agli anni Cinquanta e Sessanta dei maggiori maestri italiani (Vedova, Capogrossi, Novelli).
Passerella sospesa
La sezione conclusiva sta al secondo piano dell'adiacente Palazzo Reale, collegata all Arengario da una passerella sospesa e dedicata agli anni Sessanta: arte cinetica con una serie di ambienti del gruppo T, poi la pop art italiana e infine l'Arte povera del biellese Michelangelo Pistoletto e del milanese Luciano Fabro. La serata di inaugurazione avrà una colonna sonora con i brani che hanno punteggiato il secolo milanese: dal Trio Lescano al Quartetto Cetra, da Enzo Jannacci a Giorgio Gaber, da Mina a Ornella Vanoni. Alcuni «testimonial» hanno «adottato» i loro quadri preferiti, a cominciare dal centenario critico Gillo Dorfles.
Fra le donne, la scrittrice Camilla Baresani spiega a Oggi la sua predilezione per Ottone Rosai: «Veniva denigrato come semplice bozzettista, invece era un intellettuale completo. Fu ottimo scrittore: il suo Diario di un teppista, appena ristampato da Vallecchi, nella prima edizione è una delle rarità più valutate del Novecento. Fu ardito fascista, ma anche omosessuale, e si vergognava di questa sua condizione che ne fece un artista "maledetto"».
Milioni in piazza Duomo
Come sarà accolto questo nuovo museo? «Puntiamo a 250 mila visitatori all' anno», spera Finazzer, «che sommati al milione e 700 mila dell'attiguo Palazzo Reale fanno due milioni. Milano è ormai in grado di offrire a tutti i turisti che arrivano in piazza Duomo attrattive di alto livello. Il museo è stato costruito per rapportarsi con la piazza, la metropolitana, le luci, le vetrate del Duomo. In un momento di crisi finanziaria e di caos politico, Milano dice all'Italia che si può uscirne anche grazie a una grande opera pubblica culturale».
La scrittrice Camilla Baresani, 48 anni, ha un debole per Ottone Rosai (1895-1957): «Questo suo Mulino del ' 38 sembra l'opera di un bozzettista, ma Rosai in realtà fu un grande artista "maledetto"».
Ornella Vanoni, 76, la cantante milanese per antonomasia, sarà presente alla serata inaugurale del 6 dicembre anche con alcune canzoni. «Il mio preferito è Boccioni», dice. Al museo c'è il quadro Quelli che restano, del 1911.
La conduttrice tv Camila Raznovic, 36, ha «adottato» il più celebre dei tre quadri di Amedeo Modigliani esposti nel Museo del Novecento: Ritratto di Paul Guillaume, dipinto nel 1916, solo quattro anni prima di morire.
Marta Marzotto, 79 anni, «adotta» l'opera giovanile del suo amante Renato Guttuso (1911-87): Piccola nuda sdraiata (1940).
Mauro Suttora
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