L'EDITRICE DEL PIÙ DISCUSSO SCRITTORE FRANCESE CI SVELA IL SEGRETO DELL'ULTIMO LIBRO
«Quando ho letto La carta e il territorio ho avuto una sorpresa: Michel mi aveva inserita nel romanzo», dice Teresa Cremisi. Che qui racconta un misantropo di successo
di Mauro Suttora
«Sono stata la prima a leggere il nuovo romanzo di Houellebecq. Me l'ha mandato a maggio per posta dalla Spagna, dove vive. E quando ho visto il mio nome, sono saltata sulla sedia...»
Teresa Cremisi è la presidente di Flammarion, uno dei tre giganti dell'editoria francese. E ha la fortuna di pubblicare i romanzi di Michel Houellebecq, lo scrittore transalpino più importante, controverso e venduto nel mondo (oltre cinque milioni di copie). «Non è molto prolifico, scrive un libro ogni 4-5 anni. Ma ogni volta è un avvenimento. Questo romanzo ha già venduto i diritti per essere tradotto in quaranta lingue», ci dice.
Non pensavamo esistessero così tante lingue «letterarie» al mondo, e invece Houellebecq anche questa volta ha fatto il pieno. La carta e il territorio, pubblicato un mese fa in Francia (e una settimana fa in Italia, da Bompiani) è in testa alle classifiche. E anche, come sempre, oggetto sia di lodi enormi sia di polemiche feroci. Un critico francese ha scritto che Houellebecq ha «realizzato la fusione fra narrativa e saggistica».
Un altro, su Le Monde, sostiene che lo scrittore meriterebbe di essere nominato ministro dell'Economia per le acute dissertazioni sul sistema produttivo che mette in bocca ai suoi personaggi: fra vent' anni, prevede, tutta la Francia e non solo Parigi diventerà una grande destinazione turistica, e grazie alla leggiadria del proprio territorio (di qui il titolo) sarà la meta di milioni di nuovi ricchi russi e cinesi, i quali assicureranno così gli introiti venuti a mancare a causa della deindustrializzazione.
Una delle novità che ha più colpito il pubblico, e che contribuirà probabilmente a far assegnare per la prima volta a Houellebecq l'agognato premio Goncourt (lo Strega francese), è che nel romanzo sono stati inseriti parecchi personaggi reali. Primo fra tutti Houellebecq stesso: il protagonista Jed, pittore di successo, gli chiede una prefazione al catalogo della sua mostra di quadri. E va a trovarlo in Irlanda, dove lo scrittore francese ha abitato realmente per anni, prima di trasferirsi in Spagna.
UN COLPO DI SCENA
Misantropo nella realtà, misantropi i protagonisti dei suoi romanzi, Houellebecq non fatica certo a far fraternizzare il pittore Jed con il se stesso romanzato. «Si autodescrive in modo caricaturale, perfino in peggio rispetto alla fama di asociale che gli hanno costruito addosso», dice la Cremisi. La quale entra in scena a pagina 260 dell'edizione italiana, dopo un colpo di scena che ovviamente non riveliamo. Solo il suo numero di telefono e quello di un altro scrittore, Frederic Beigbeder (nella realtà amico di Houellebecq e nichilista quanto lui) appaiono infatti nella scheda telefonica dell'autore.
Poche pagine dopo, Houellebecq descrive così Teresa Cremisi: «Occhi orientali, potrebbe essere una prefica, una donna mandata a piangere ai funerali». Finita la prima lettura del romanzo, la Cremisi ha incontrato lo scrittore: «Lui mi ha guardato di sottecchi, per vedere che effetto mi aveva fatto questo suo scherzo. E pensare che io cinque anni fa ero andata in Irlanda a trovarlo, facendo lo stesso viaggio che oggi lui fa compiere al protagonista Jed. Lo avevo contattato per e-mail, e poi sono andata a parlargli per riportarlo da Flammarion».
Houellebecq, infatti, aveva «tradito» la sua casa editrice, pubblicando nel 2005 il romanzo La possibilità di un'isola con il concorrente Fayard. In quello stesso anno Teresa Cremisi era approdata alla guida di Flammarion, dopo 16 anni passati a dirigere Gallimard: caso unico, una donna e per di più italiana, inserita in una delle posizioni di maggior potere all'interno del mondo letterario francese.
Prima di andare a Parigi la Cremisi era dirigente della Garzanti. E da sei mesi è diventata vicepresidente della Rizzoli Libri, che nel 2000 aveva acquisito Flammarion. Come per ogni libro di Houellebecq, alle grandi manovre editoriali e alle tirature milionarie si mischiano critiche velenose. Come quella dello scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun, che in agosto ha condannato La carta e il territorio : «Non si capisce dove voglia andare a parare», ha scritto.
PRENDE IN GIRO I VIP
«Quando ho letto quella recensione ero in vacanza ad Amalfi, e ho fatto un altro salto», confessa Teresa Cremisi. «Non mi sembra elegante che un giurato Goncourt usi la copia ricevuta per stroncarla preventivamente». Houellebecq prende in giro il mondo dell' arte, gioca con i meccanismi della notorietà e ficca dentro al suo romanzo molti vip. Alcuni della Tv famosi in Francia ma sconosciuti all' estero, mentre altri godono di fama internazionale: il miliardario messicano Carlos Slim, quello francese François Pinault, gli artisti Jeff Koons (ex marito di Cicciolina) e Damien Hirst.
RIQUADRO
A ogni libro uno scandalo
Laureato in Agraria nel 1978, Michel Houellebecq è estraneo al mondo dell'editoria e degli intellettuali francesi. Lavora come informatico, perde il posto, va in depressione, divorzia, riprende a lavorare come impiegato al Parlamento. Tutte esperienze della vita reale che riverserà con tonnellate di ironia e sarcasmo nei suoi libri.
Il primo, Estensione del dominio della lotta, è del 1994 e descrive la solitudine provocata dalla società dei consumi. Arriva poi Le particelle elementari ('99), che consacra Houellebecq a livello mondiale (tradotto in 25 Paesi). Segue Lanzarote (2000), che descrive comicamente i giochi erotici di nudisti e lesbiche tedesche in vacanza. Dopo un anno, Piattaforma : qui lo scandalo è dato dall'accettazione del turismo sessuale nei Paesi del Terzo Mondo come un comportamento normale.
Nel 2005 è pubblicato La possibilità di un'isola, che suscita controversie sul tema della clonazione umana. D'altronde Houellebecq già in Lanzarote non nascondeva l'interesse per la setta «raeliana».
Houellebecq adora spiazzare. Considerato l'alfiere del nichilismo, in quest'ultimo suo libro se la prende invece con i fautori dell'eutanasia. Il protagonista va in Svizzera, nella sede dell'associazione Dignitas che ha offerto la «dolce morte» a suo padre, e prende a schiaffi la responsabile.
Nel suo saggio del 2010 Houellebecq, écrivain romantique, Aurelien Bellanger sostiene che lo scrittore è in realtà l' ultimo dei romantici.
Mauro Suttora
Thursday, October 28, 2010
Wednesday, October 27, 2010
Arrivano gli e-book
I libri senza carta? Oggi sono realtà
ANCHE IN ITALIA DECOLLA L'EDITORIA ELETTRONICA
Negli Stati Uniti sono già otto ogni cento. Noi cominciamo adesso, con l'entrata in campo dei grandi editori. A partire da Rcs Libri. Scommettiamo che tutti leggeremo così?
di Mauro Suttora
Oggi, 27 ottobre 2010
I libri nel 2010 compiono 555 anni. Fu nel 1455, infatti, che Johann Gutenberg stampò la prima Bibbia. Chissà se fra mezzo millennio in Italia qualcuno ricorderà che nell'ottobre 2010 arrivarono i libri elettronici: gli «e-book», che si scaricano a pagamento e si leggono sullo schermo di un computer, o di un lettore portatile.
Il 9 ottobre è partita Biblet, la libreria del gruppo Mondadori (comprendente anche Einaudi, Sperling&Kupfer, Piemme, Electa, Le Monnier) che si è alleata a Telecom. E dal 18 ottobre sono disponibili online 1.500 titoli di Edigita, joint-venture fra 45 marchi: il gruppo Rcs (Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Sonzogno, Marsilio, Adelphi), Feltrinelli, Garzanti, Longanesi, Guanda, Corbaccio, Chiarelettere, Vallardi, Fazi...
Assieme, questi editori coprono oltre la metà dei 213 milioni di libri venduti ogni anno in Italia, per un fatturato di tre miliardi e mezzo di euro. Poi ci sono gli altri, da tempo coalizzati nelle piattaforme Simplicissimus e Bookrepublic ( elenco nell' altra pagina ). Basta un clic, e da questi siti oltre che da quelli delle librerie online che da anni spediscono i volumi a casa, come Ibs, Hoepli, Bol, Edit, Unilibro - si comprano i «file» dei libri, anche le novità, a un prezzo più basso del 30 per cento.
«Sono curiosissimo», ci dice Edoardo Boncinelli, il famoso scienziato presente in libreria con i suoi ultimi bestseller: Perché non possiamo non dirci darwinisti e Lo scimmione intelligente (Rizzoli), e Mi ritorno in mente (Longanesi). «Presto i prezzi dei lettori portatili crolleranno, com' è successo per tutti gli aggeggi elettronici».
Crolleranno anche le vendite dei libri su carta? «Non credo. Succederà come per le riviste scientifiche: quelle cartacee non sono morte, continuano a esistere accanto a quelle online». E il rischio della pirateria, che ha dimezzato le vendite dei cd musicali e dei film in dvd? «Non mi pare che musicisti e attori stiano morendo di fame, contrariamente a molti poveri scrittori...», scherza Boncinelli.
Se lui, quasi settantenne, è entusiasta per la novità, non così sembra esserlo Silvia Avallone, la più giovane scrittrice di successo italiana (26 anni, 300 mila copie vendute del suo romanzo Acciaio , forse destinate a salire grazie alla versione elettronica): «Non ho un lettore e-book, libri e giornali preferisco leggerli su carta. Immergersi in un volume è un' esperienza totalizzante, mentre la lettura su uno schermo mi sembra frammentaria, consumistica. Gli e-book affiancheranno, ma non sostituiranno mai i libri».
Conferma Alessandro Bompieri, amministratore delegato di Rcs Libri: «L' e-book è un canale di vendita che ci porterà nuovi lettori, non in sostituzione di quelli del libro tradizionale».
«Forse soffriranno le edizioni "povere", quelle economiche e tascabili», ragiona Andrea De Carlo, che ha appena pubblicato con Bompiani il suo sedicesimo romanzo, Leielui. «Ma nella sua forma migliore, con buona carta, buona stampa e belle copertine, il libro di carta durerà per sempre». E il rischio pirateria? «Un incubo, quello di essere depredati dei frutti del proprio lavoro, così come lo sono i musicisti che hanno visto crollare i cd. Loro ormai guadagnano soprattutto con i concerti. Gli scrittori, chissà, potrebbero organizzare letture pubbliche delle proprie opere. Io lo faccio da anni, ma non mi sogno di far pagare il biglietto...».
Spiega Giorgio Riva, amministratore delegato di Edigita: «I nostri libri saranno disponibili nelle librerie online di Rizzoli, Feltrinelli, Gems e in molte altre. I testi sono comunque protetti dalla copiatura abusiva con il sistema Drm, Digital rights management , ovvero "gestione dei diritti digitali"».
Nonostante tutti i proclami, i libri virtuali sono comunque finora ancora lontani dall' impensierire quelli veri. Certo, li hanno superati fra i clienti di Amazon, il sito Usa di vendita a domicilio (che vende un suo lettore apposito, Kindle). Ma quello è un mondo di appassionati del computer. Nella realtà, anche negli Stati Uniti gli e-book sono appena otto ogni cento libri venduti. Una quota che gli editori italiani prevedono di raggiungere soltanto fra quattro-cinque anni.
Comunque la moda c'è, trascinata come sempre dalla Apple, che dopo l' i-Pod e l' i-Phone ha inventato l' i-Pad, tavoletta per leggere lunga 20 centimetri e pesante 7 etti. Da giugno ne sono stati venduti 200 mila in Italia, e questo ha spinto gli editori ad attrezzarsi per la stagione natalizia, in cui si concentrano le vendite dei libri. Si sono però attrezzati anche i concorrenti della Apple: Sony offre un lettore a metà del prezzo dell' i-Pad, mentre il Samsung Galaxy costa 700 euro, ed è telefonino e computer.
Potremo scegliere se ricevere i testi in formato pdf o e-pub. Il primo è immodificabile, nel secondo invece il lettore può intervenire con sottolineature e glosse, condividerle online, passare dalle parole stampate a video o documenti. L'e-book del nuovo Severgnini su Berlusconi, per esempio, grazie a un'applicazione può portare il lettore da una citazione del premier al video in cui lo si vede pronunciare le stesse parole.
Lo Stato tassa gli e-book con un'Iva al 20 per cento, mentre i libri di carta godono di un'aliquota del quattro. Ma gli editori hanno costi ridotti al minimo: oltre all' intermediazione delle librerie (30 per cento) risparmiano su tutti gli altri aspetti «fisici» del prodotto: carta, inchiostro, stampa, magazzino, trasporto, gestione scorte... Per questo alcuni grandi autori Usa capitanati dal loro agente William Wylie hanno minacciato di mettersi in proprio. «Ma anche gli editori sopravviveranno, se non altro per garantire la qualità degli autori che pubblicano», prevede De Carlo.
Le alleanze e i siti dove si vendono
In Italia a partire da questa settimana si sono formate quattro grandi alleanze fra editori per vendere gli e-book. I gruppi Rcs e Gems si sono messi assieme a Feltrinelli in Edigita, Bibletstore è gestito da Mondadori e Telecom. Ma tutti i titoli sono disponibili anche sui siti Simplicissimus e Bookrepublic dei piccoli editori, attivi da tempo.
Mauro Suttora
ANCHE IN ITALIA DECOLLA L'EDITORIA ELETTRONICA
Negli Stati Uniti sono già otto ogni cento. Noi cominciamo adesso, con l'entrata in campo dei grandi editori. A partire da Rcs Libri. Scommettiamo che tutti leggeremo così?
di Mauro Suttora
Oggi, 27 ottobre 2010
I libri nel 2010 compiono 555 anni. Fu nel 1455, infatti, che Johann Gutenberg stampò la prima Bibbia. Chissà se fra mezzo millennio in Italia qualcuno ricorderà che nell'ottobre 2010 arrivarono i libri elettronici: gli «e-book», che si scaricano a pagamento e si leggono sullo schermo di un computer, o di un lettore portatile.
Il 9 ottobre è partita Biblet, la libreria del gruppo Mondadori (comprendente anche Einaudi, Sperling&Kupfer, Piemme, Electa, Le Monnier) che si è alleata a Telecom. E dal 18 ottobre sono disponibili online 1.500 titoli di Edigita, joint-venture fra 45 marchi: il gruppo Rcs (Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Sonzogno, Marsilio, Adelphi), Feltrinelli, Garzanti, Longanesi, Guanda, Corbaccio, Chiarelettere, Vallardi, Fazi...
Assieme, questi editori coprono oltre la metà dei 213 milioni di libri venduti ogni anno in Italia, per un fatturato di tre miliardi e mezzo di euro. Poi ci sono gli altri, da tempo coalizzati nelle piattaforme Simplicissimus e Bookrepublic ( elenco nell' altra pagina ). Basta un clic, e da questi siti oltre che da quelli delle librerie online che da anni spediscono i volumi a casa, come Ibs, Hoepli, Bol, Edit, Unilibro - si comprano i «file» dei libri, anche le novità, a un prezzo più basso del 30 per cento.
«Sono curiosissimo», ci dice Edoardo Boncinelli, il famoso scienziato presente in libreria con i suoi ultimi bestseller: Perché non possiamo non dirci darwinisti e Lo scimmione intelligente (Rizzoli), e Mi ritorno in mente (Longanesi). «Presto i prezzi dei lettori portatili crolleranno, com' è successo per tutti gli aggeggi elettronici».
Crolleranno anche le vendite dei libri su carta? «Non credo. Succederà come per le riviste scientifiche: quelle cartacee non sono morte, continuano a esistere accanto a quelle online». E il rischio della pirateria, che ha dimezzato le vendite dei cd musicali e dei film in dvd? «Non mi pare che musicisti e attori stiano morendo di fame, contrariamente a molti poveri scrittori...», scherza Boncinelli.
Se lui, quasi settantenne, è entusiasta per la novità, non così sembra esserlo Silvia Avallone, la più giovane scrittrice di successo italiana (26 anni, 300 mila copie vendute del suo romanzo Acciaio , forse destinate a salire grazie alla versione elettronica): «Non ho un lettore e-book, libri e giornali preferisco leggerli su carta. Immergersi in un volume è un' esperienza totalizzante, mentre la lettura su uno schermo mi sembra frammentaria, consumistica. Gli e-book affiancheranno, ma non sostituiranno mai i libri».
Conferma Alessandro Bompieri, amministratore delegato di Rcs Libri: «L' e-book è un canale di vendita che ci porterà nuovi lettori, non in sostituzione di quelli del libro tradizionale».
«Forse soffriranno le edizioni "povere", quelle economiche e tascabili», ragiona Andrea De Carlo, che ha appena pubblicato con Bompiani il suo sedicesimo romanzo, Leielui. «Ma nella sua forma migliore, con buona carta, buona stampa e belle copertine, il libro di carta durerà per sempre». E il rischio pirateria? «Un incubo, quello di essere depredati dei frutti del proprio lavoro, così come lo sono i musicisti che hanno visto crollare i cd. Loro ormai guadagnano soprattutto con i concerti. Gli scrittori, chissà, potrebbero organizzare letture pubbliche delle proprie opere. Io lo faccio da anni, ma non mi sogno di far pagare il biglietto...».
Spiega Giorgio Riva, amministratore delegato di Edigita: «I nostri libri saranno disponibili nelle librerie online di Rizzoli, Feltrinelli, Gems e in molte altre. I testi sono comunque protetti dalla copiatura abusiva con il sistema Drm, Digital rights management , ovvero "gestione dei diritti digitali"».
Nonostante tutti i proclami, i libri virtuali sono comunque finora ancora lontani dall' impensierire quelli veri. Certo, li hanno superati fra i clienti di Amazon, il sito Usa di vendita a domicilio (che vende un suo lettore apposito, Kindle). Ma quello è un mondo di appassionati del computer. Nella realtà, anche negli Stati Uniti gli e-book sono appena otto ogni cento libri venduti. Una quota che gli editori italiani prevedono di raggiungere soltanto fra quattro-cinque anni.
Comunque la moda c'è, trascinata come sempre dalla Apple, che dopo l' i-Pod e l' i-Phone ha inventato l' i-Pad, tavoletta per leggere lunga 20 centimetri e pesante 7 etti. Da giugno ne sono stati venduti 200 mila in Italia, e questo ha spinto gli editori ad attrezzarsi per la stagione natalizia, in cui si concentrano le vendite dei libri. Si sono però attrezzati anche i concorrenti della Apple: Sony offre un lettore a metà del prezzo dell' i-Pad, mentre il Samsung Galaxy costa 700 euro, ed è telefonino e computer.
Potremo scegliere se ricevere i testi in formato pdf o e-pub. Il primo è immodificabile, nel secondo invece il lettore può intervenire con sottolineature e glosse, condividerle online, passare dalle parole stampate a video o documenti. L'e-book del nuovo Severgnini su Berlusconi, per esempio, grazie a un'applicazione può portare il lettore da una citazione del premier al video in cui lo si vede pronunciare le stesse parole.
Lo Stato tassa gli e-book con un'Iva al 20 per cento, mentre i libri di carta godono di un'aliquota del quattro. Ma gli editori hanno costi ridotti al minimo: oltre all' intermediazione delle librerie (30 per cento) risparmiano su tutti gli altri aspetti «fisici» del prodotto: carta, inchiostro, stampa, magazzino, trasporto, gestione scorte... Per questo alcuni grandi autori Usa capitanati dal loro agente William Wylie hanno minacciato di mettersi in proprio. «Ma anche gli editori sopravviveranno, se non altro per garantire la qualità degli autori che pubblicano», prevede De Carlo.
Le alleanze e i siti dove si vendono
In Italia a partire da questa settimana si sono formate quattro grandi alleanze fra editori per vendere gli e-book. I gruppi Rcs e Gems si sono messi assieme a Feltrinelli in Edigita, Bibletstore è gestito da Mondadori e Telecom. Ma tutti i titoli sono disponibili anche sui siti Simplicissimus e Bookrepublic dei piccoli editori, attivi da tempo.
Mauro Suttora
Daniela Santanchè
LA ZARINA DI BERLUSCONI
di Mauro Suttora
Oggi, 20 ottobre 2010
Secondo i più appassionati fra i suoi sostenitori, Silvio Berlusconi è un misto di Gesù Cristo, Napoleone, Giulio Cesare e re Sole. Quindi, ora che il premier sembra essersi stufato dei vari Bondi, Cicchitto, La Russa, Verdini, Gasparri e Quagliariello che lo attorniano ma creano solo casini (o ci sono finiti dentro), Daniela Santanchè è messa benissimo. A detta di alcuni, sarà lei la nuova segretaria del Popolo delle libertà.
Gesù, infatti, amava i figliol prodighi. Affidò addirittura la Chiesa a Pietro, che lo rinnegò tre volte. E allora, che importa se nel 2008 la Santanché tradì Berlusconi con Storace, osando perfino candidarsi premier contro di lui? Silvio l’ha perdonata. Anzi, l’ha nominata sottosegretaria otto mesi fa, visto che non avendo raggiunto il quattro per cento è rimasta fuori dal Parlamento, come Bertinotti.
Napoleone amava i colpi di scena. Vinceva battaglie e guerre perché era imprevedibile. Proprio come Silvio. Che dopo la sorpresa del predellino, ce ne sta sicuramente apparecchiando altre. Santanchè compresa.
E poi Giulio Cesare. Al diavolo i cursus honorum: prima di lui, per comandare nell’antica Roma (diventando console) bisognava inerpicarsi in una noiosa carriera da politico di professione: tribuno, questore, edile, pretore, censore... Il divo Giulio fece piazza pulita di tutta questa burocrazia. E così anche Berlusconi, il quale ha magicamente creato dal nulla eurodeputate ventenni e ministri trentenni, senza costringerli a gavette da consiglieri circoscrizionali o provinciali prima di portarli a Strasburgo o al governo. Nulla osta, quindi, che la Santanché venga installata a capo del primo partito d’Italia: in fondo fa politica da undici anni, tempo abbastanza lungo per i fulminei parametri berlusconiani.
E Luigi XIV di Francia? Nella Versailles del ’700 l’importanza dei ministri si misurava con la loro vicinanza al re Sole durante i banchetti. Oggi, con l’«accessibilità» a Berlusconi ad Arcore o a palazzo Grazioli. E da qualche mese la Santanché, invidiatissima, è una delle poche cui Silvio risponde sempre quando lei telefona, o porge l’orecchio se gli sussurra nelle riunioni. Ormai è fidatissima: quasi quanto l’indispensabile Letta e gli scudieri della giustizia, il ministro Alfano e l’avvocato Ghedini.
Se Berlusconi non riuscirà a issare Daniela al comando unico del Pdl, quindi, sarà più che altro per non dispiacere alle altre pretendenti. Si mormora infatti di un triumvirato rosa shocking, con la Santanché affiancata dalle junior Mariastella Gelmini (ex Forza Italia) e Giorgia Meloni (ex An). E ambizioni ne hanno molte altre suscettibili favorite (politiche), dalla veterana Prestigiacomo alla Carfagna, fino alla più recente ma scalpitante Brambilla.
Intanto, l’inesauribile zarina continua a macinare affari, uomini e politica. Dopo la discoteca Billionaire di Porto Cervo con Flavio Briatore e Lele Mora, e lo stabilimento Twiga di Forte dei Marmi (200 euro al giorno, soci ancora Briatore più Paolo Brosio e Marcello Lippi), si è lanciata nella pubblicità. La sua Visibilia (14 milioni di fatturato, 12 di debiti) fino a tre settimane fa riusciva nel miracolo di essere contemporaneamente la concessionaria di due quotidiani concorrenti: Libero e Il Giornale. Adesso Belpietro si è sganciato, accusandola di avere privilegiato Feltri. E si capisce: con il secondo Daniela vorrebbe rilevare la proprietà del Giornale da Paolo Berlusconi, oppure fondare una nuova testata di cui ha già depositato il nome: Fuori dal coro. Intanto, lavora anche per i giornali gratuiti DNews e Metro, e per il nuovo settimanale Io Spio.
Ora poi è anche sentimentalmente legata ad Alessandro Sallusti, numero due di Feltri. E numero tre dei suoi compagni, dopo il chirurgo estetico Paolo Santanchè, sposato nell’82 a soli 21 anni, e l’industriale farmaceutico lucano Canio Mazzaro. Quel che pensa degli uomini che reputa poco decisi, come Fini e gli ex colleghi di An, Daniela lo ha detto chiaramente: «Hanno le palle di velluto». Poi si è corretta: «Ora è estate, ce le hanno di lino». Altre sue frasi passate alla storia: «Per fare carriera non l’ho mai data», e «Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do...»
In politica, la Santanché ultimamente si è specializzata nell’anti-islamismo. Scelta intelligente, lavoro assicurato per i prossimi trent’anni. Richiestissima nei dibattiti tv come interlocutrice aggressiva di imam: baruffa, share e blob garantiti. Una volta è riuscita a dire in diretta: «Maometto era un pedofilo. L’ultima delle sue mogli aveva nove anni». Putiferio. Ora deve girare con la scorta.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 20 ottobre 2010
Secondo i più appassionati fra i suoi sostenitori, Silvio Berlusconi è un misto di Gesù Cristo, Napoleone, Giulio Cesare e re Sole. Quindi, ora che il premier sembra essersi stufato dei vari Bondi, Cicchitto, La Russa, Verdini, Gasparri e Quagliariello che lo attorniano ma creano solo casini (o ci sono finiti dentro), Daniela Santanchè è messa benissimo. A detta di alcuni, sarà lei la nuova segretaria del Popolo delle libertà.
Gesù, infatti, amava i figliol prodighi. Affidò addirittura la Chiesa a Pietro, che lo rinnegò tre volte. E allora, che importa se nel 2008 la Santanché tradì Berlusconi con Storace, osando perfino candidarsi premier contro di lui? Silvio l’ha perdonata. Anzi, l’ha nominata sottosegretaria otto mesi fa, visto che non avendo raggiunto il quattro per cento è rimasta fuori dal Parlamento, come Bertinotti.
Napoleone amava i colpi di scena. Vinceva battaglie e guerre perché era imprevedibile. Proprio come Silvio. Che dopo la sorpresa del predellino, ce ne sta sicuramente apparecchiando altre. Santanchè compresa.
E poi Giulio Cesare. Al diavolo i cursus honorum: prima di lui, per comandare nell’antica Roma (diventando console) bisognava inerpicarsi in una noiosa carriera da politico di professione: tribuno, questore, edile, pretore, censore... Il divo Giulio fece piazza pulita di tutta questa burocrazia. E così anche Berlusconi, il quale ha magicamente creato dal nulla eurodeputate ventenni e ministri trentenni, senza costringerli a gavette da consiglieri circoscrizionali o provinciali prima di portarli a Strasburgo o al governo. Nulla osta, quindi, che la Santanché venga installata a capo del primo partito d’Italia: in fondo fa politica da undici anni, tempo abbastanza lungo per i fulminei parametri berlusconiani.
E Luigi XIV di Francia? Nella Versailles del ’700 l’importanza dei ministri si misurava con la loro vicinanza al re Sole durante i banchetti. Oggi, con l’«accessibilità» a Berlusconi ad Arcore o a palazzo Grazioli. E da qualche mese la Santanché, invidiatissima, è una delle poche cui Silvio risponde sempre quando lei telefona, o porge l’orecchio se gli sussurra nelle riunioni. Ormai è fidatissima: quasi quanto l’indispensabile Letta e gli scudieri della giustizia, il ministro Alfano e l’avvocato Ghedini.
Se Berlusconi non riuscirà a issare Daniela al comando unico del Pdl, quindi, sarà più che altro per non dispiacere alle altre pretendenti. Si mormora infatti di un triumvirato rosa shocking, con la Santanché affiancata dalle junior Mariastella Gelmini (ex Forza Italia) e Giorgia Meloni (ex An). E ambizioni ne hanno molte altre suscettibili favorite (politiche), dalla veterana Prestigiacomo alla Carfagna, fino alla più recente ma scalpitante Brambilla.
Intanto, l’inesauribile zarina continua a macinare affari, uomini e politica. Dopo la discoteca Billionaire di Porto Cervo con Flavio Briatore e Lele Mora, e lo stabilimento Twiga di Forte dei Marmi (200 euro al giorno, soci ancora Briatore più Paolo Brosio e Marcello Lippi), si è lanciata nella pubblicità. La sua Visibilia (14 milioni di fatturato, 12 di debiti) fino a tre settimane fa riusciva nel miracolo di essere contemporaneamente la concessionaria di due quotidiani concorrenti: Libero e Il Giornale. Adesso Belpietro si è sganciato, accusandola di avere privilegiato Feltri. E si capisce: con il secondo Daniela vorrebbe rilevare la proprietà del Giornale da Paolo Berlusconi, oppure fondare una nuova testata di cui ha già depositato il nome: Fuori dal coro. Intanto, lavora anche per i giornali gratuiti DNews e Metro, e per il nuovo settimanale Io Spio.
Ora poi è anche sentimentalmente legata ad Alessandro Sallusti, numero due di Feltri. E numero tre dei suoi compagni, dopo il chirurgo estetico Paolo Santanchè, sposato nell’82 a soli 21 anni, e l’industriale farmaceutico lucano Canio Mazzaro. Quel che pensa degli uomini che reputa poco decisi, come Fini e gli ex colleghi di An, Daniela lo ha detto chiaramente: «Hanno le palle di velluto». Poi si è corretta: «Ora è estate, ce le hanno di lino». Altre sue frasi passate alla storia: «Per fare carriera non l’ho mai data», e «Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do...»
In politica, la Santanché ultimamente si è specializzata nell’anti-islamismo. Scelta intelligente, lavoro assicurato per i prossimi trent’anni. Richiestissima nei dibattiti tv come interlocutrice aggressiva di imam: baruffa, share e blob garantiti. Una volta è riuscita a dire in diretta: «Maometto era un pedofilo. L’ultima delle sue mogli aveva nove anni». Putiferio. Ora deve girare con la scorta.
Mauro Suttora
Sunday, October 24, 2010
essere giovani oggi
Siamo lieti di invitarLa alla conferenza
"Essere Giovani oggi"
che Sergio Zavoli terrà agli studenti dei
Corsi di Laurea in Comunicazione dell'Università di Roma Tor Vergata
giovedì 11 novembre 2010
Il Presidente
Gianfranco Proietti
ps: Zavoli ha 87 anni...
"Essere Giovani oggi"
che Sergio Zavoli terrà agli studenti dei
Corsi di Laurea in Comunicazione dell'Università di Roma Tor Vergata
giovedì 11 novembre 2010
Il Presidente
Gianfranco Proietti
ps: Zavoli ha 87 anni...
Wednesday, October 20, 2010
Tunnel San Gottardo
Parla italiano la galleria piu' lunga del mondo
dal nostro inviato a Bellinzona (Svizzera) Mauro Suttora
Oggi, 13 ottobre 2010
Altro che Cina, America, Paesi emergenti. È qui, nel cuore della vecchia Europa, che il 15 ottobre si fa la storia mondiale. Termina lo scavo della galleria ferroviaria più lunga del pianeta: il nuovo San Gottardo, 57 chilometri. E l’avvenimento parla italiano. Perché a neanche cento chilometri dalla nostra frontiera di Chiasso, sopra Bellinzona, siamo nel canton Ticino. Quando l’opera sarà pronta, nel 2017, ci vorranno solo due ore e 40 da Milano a Zurigo: un’ora in meno di adesso. Più veloce e conveniente dell’aereo, se si calcolano i tempi morti negli aeroporti.
«È un’impresa ciclopica», dice orgoglioso Renzo Simoni, presidente di Alp Transit. Anche questa mattina, a pochi giorni della caduta dell’ultimo diaframma di roccia, il centro informazioni all’imboccatura del tunnel dalla parte italiana è visitato da una scolaresca. Gli svizzeri sono riusciti a trasformare l’immenso cantiere in un’attrazione turistica. Nei fine settimana sono migliaia le persone che arrivano da tutta la Svizzera, ma anche dall’Italia.
Non ci si rende bene conto della portata dell’opera finché non si giunge qui, o nell’altro centro dall’altra parte delle Alpi vicino ad Altdorf, cantone di Uri (quello di Guglielmo Tell). La galleria è così lunga che soltanto per raggiungere la fresa meccanica che scava al ritmo di dieci-venti metri al giorno gli operai impiegano quasi mezz’ora, con un trenino. Poi, a fine turno, tornano indietro. Il via-vai dei trenini di servizio è continuo: in una direzione trasportano le enormi quantità di terra e roccia scavate, nell’altra fanno arrivare il cemento e l’armatura metallica per costruire la volta.
I lavori sono iniziati cinque anni fa. Costeranno in tutto 18 miliardi di euro, il quadruplo del ponte di Messina. Però, poiché siamo in Svizzera, patria della precisione, il preventivo finora non solo è stato rispettato, ma si è speso un meno del previsto.
«Sopra di noi abbiamo 2.500 metri di roccia», ci spiega un ingegnere. Il fatto che ogni qualche chilometro ci siano pozzi, sfiatatoi e uscite di emergenza non ci consola: la sensazione è opprimente, queste maxigallerie meglio percorrerle a 200 all’ora. «Si possono fare tutti i carotaggi, le trivellazioni e le proiezioni sismiche che si vogliono, ma alla fine è sempre una sorpresa: i tipi di roccia cambiano. È più facile studiare la superficie della luna con un buon telescopio, che sapere cosa c’è per due chilometri sotto i nostri piedi. Quindi, non sappiamo mai bene cosa ci aspetta dopo trenta centimetri: sabbia? Acqua? Granito? ».
Nel primo caso, lo scavo procede spedito. Per stabilizzare soffitto e pareti, evitando le frane, bastano le iniezioni di cemento. Nel secondo caso, occorrono molte settimane di pausa (tre mesi lo scorso inverno) per imbrigliare le falde acquifere con pompe aspiranti, e proteggere la galleria con calcestruzzo impermeabile. Nell’ultimo caso, se la roccia è troppo dura gli artificieri non riescono a progredire per più di tre metri al giorno. Insomma, le difficoltà geologiche non sono calcolabili in anticipo. Le peggiori eventualità però erano state già inserite nel bilancio preventivo. Contrariamente alla nostra Alta velocità, dai costi miliardari scandalosamente triplicati.
Sulla cima delle montagne, nella valle del Ticino che si restringe, c’è già la neve. Ma sotto, in fondo al cunicolo, la temperatura sarebbe di 40 gradi se non ci fosse un impianto di condizionamento.
Un’altra cosa che non è facile immaginare è la bassa quota della galleria: appena 500 metri, contro i mille della precedente, costruita cent’anni fa. «Il tunnel è così lungo per ridurre al minimo le pendenze», spiega Simoni. Oggi pochi passeggeri se ne accorgono, ma i treni devono girare in circolo con faticosi tornanti in galleria per salire in quota.
Poche salite e discese, eliminate le curve: i binari potranno così ospitare gli stessi locomotori dell’alta velocità che solcano la pianura, senza doverli cambiare a Chiasso o Bellinzona. Ma gli svizzeri, quando vent’anni fa decisero di affrontare l’enorme spesa, più che ai passeggeri hanno pensato a un traffico merci più ecologico: «Elimineremo centinaia di migliaia di Tir all’anno».
Il San Gottardo sarà completato da un’altra galleria, quella del Monteceneri: «soltanto» quindici chilometri, ma fondamentale per ridurre le distanze fra Lugano e Bellinzona, con diramazione per Locarno. Peccato però che dopo la frontiera l’Alta velocità si interrompa. L’Italia infatti non ha neppure in progetto una nuova linea diretta per Milano che ammoderni la vecchia Chiasso-Como-Seregno-Monza-Milano: 50 chilometri che potrebbero essere percorsi in metà degli attuali 40 minuti.
Mauro Suttora
dal nostro inviato a Bellinzona (Svizzera) Mauro Suttora
Oggi, 13 ottobre 2010
Altro che Cina, America, Paesi emergenti. È qui, nel cuore della vecchia Europa, che il 15 ottobre si fa la storia mondiale. Termina lo scavo della galleria ferroviaria più lunga del pianeta: il nuovo San Gottardo, 57 chilometri. E l’avvenimento parla italiano. Perché a neanche cento chilometri dalla nostra frontiera di Chiasso, sopra Bellinzona, siamo nel canton Ticino. Quando l’opera sarà pronta, nel 2017, ci vorranno solo due ore e 40 da Milano a Zurigo: un’ora in meno di adesso. Più veloce e conveniente dell’aereo, se si calcolano i tempi morti negli aeroporti.
«È un’impresa ciclopica», dice orgoglioso Renzo Simoni, presidente di Alp Transit. Anche questa mattina, a pochi giorni della caduta dell’ultimo diaframma di roccia, il centro informazioni all’imboccatura del tunnel dalla parte italiana è visitato da una scolaresca. Gli svizzeri sono riusciti a trasformare l’immenso cantiere in un’attrazione turistica. Nei fine settimana sono migliaia le persone che arrivano da tutta la Svizzera, ma anche dall’Italia.
Non ci si rende bene conto della portata dell’opera finché non si giunge qui, o nell’altro centro dall’altra parte delle Alpi vicino ad Altdorf, cantone di Uri (quello di Guglielmo Tell). La galleria è così lunga che soltanto per raggiungere la fresa meccanica che scava al ritmo di dieci-venti metri al giorno gli operai impiegano quasi mezz’ora, con un trenino. Poi, a fine turno, tornano indietro. Il via-vai dei trenini di servizio è continuo: in una direzione trasportano le enormi quantità di terra e roccia scavate, nell’altra fanno arrivare il cemento e l’armatura metallica per costruire la volta.
I lavori sono iniziati cinque anni fa. Costeranno in tutto 18 miliardi di euro, il quadruplo del ponte di Messina. Però, poiché siamo in Svizzera, patria della precisione, il preventivo finora non solo è stato rispettato, ma si è speso un meno del previsto.
«Sopra di noi abbiamo 2.500 metri di roccia», ci spiega un ingegnere. Il fatto che ogni qualche chilometro ci siano pozzi, sfiatatoi e uscite di emergenza non ci consola: la sensazione è opprimente, queste maxigallerie meglio percorrerle a 200 all’ora. «Si possono fare tutti i carotaggi, le trivellazioni e le proiezioni sismiche che si vogliono, ma alla fine è sempre una sorpresa: i tipi di roccia cambiano. È più facile studiare la superficie della luna con un buon telescopio, che sapere cosa c’è per due chilometri sotto i nostri piedi. Quindi, non sappiamo mai bene cosa ci aspetta dopo trenta centimetri: sabbia? Acqua? Granito? ».
Nel primo caso, lo scavo procede spedito. Per stabilizzare soffitto e pareti, evitando le frane, bastano le iniezioni di cemento. Nel secondo caso, occorrono molte settimane di pausa (tre mesi lo scorso inverno) per imbrigliare le falde acquifere con pompe aspiranti, e proteggere la galleria con calcestruzzo impermeabile. Nell’ultimo caso, se la roccia è troppo dura gli artificieri non riescono a progredire per più di tre metri al giorno. Insomma, le difficoltà geologiche non sono calcolabili in anticipo. Le peggiori eventualità però erano state già inserite nel bilancio preventivo. Contrariamente alla nostra Alta velocità, dai costi miliardari scandalosamente triplicati.
Sulla cima delle montagne, nella valle del Ticino che si restringe, c’è già la neve. Ma sotto, in fondo al cunicolo, la temperatura sarebbe di 40 gradi se non ci fosse un impianto di condizionamento.
Un’altra cosa che non è facile immaginare è la bassa quota della galleria: appena 500 metri, contro i mille della precedente, costruita cent’anni fa. «Il tunnel è così lungo per ridurre al minimo le pendenze», spiega Simoni. Oggi pochi passeggeri se ne accorgono, ma i treni devono girare in circolo con faticosi tornanti in galleria per salire in quota.
Poche salite e discese, eliminate le curve: i binari potranno così ospitare gli stessi locomotori dell’alta velocità che solcano la pianura, senza doverli cambiare a Chiasso o Bellinzona. Ma gli svizzeri, quando vent’anni fa decisero di affrontare l’enorme spesa, più che ai passeggeri hanno pensato a un traffico merci più ecologico: «Elimineremo centinaia di migliaia di Tir all’anno».
Il San Gottardo sarà completato da un’altra galleria, quella del Monteceneri: «soltanto» quindici chilometri, ma fondamentale per ridurre le distanze fra Lugano e Bellinzona, con diramazione per Locarno. Peccato però che dopo la frontiera l’Alta velocità si interrompa. L’Italia infatti non ha neppure in progetto una nuova linea diretta per Milano che ammoderni la vecchia Chiasso-Como-Seregno-Monza-Milano: 50 chilometri che potrebbero essere percorsi in metà degli attuali 40 minuti.
Mauro Suttora
Monday, October 18, 2010
intervista a La Razon
Mientras en España aparece el libro escrito por su amante
¿Ha recuperado Mussolini la memoria?
Italia publica sus polémicos diarios, aunque algunos afirman que son falsos
intervista al quotidiano spagnolo La Razon
16 Octubre 10
Darío Menor - Roma
Los diarios de cualquier persona provocan un impulso inmediato en el prójimo: leerlos. Si el autor es un conocido o un personaje famoso, el estímulo se torna fascinación. Cuando ya se trata de un líder mundial, un dictador o una estrella del espectáculo, el paroxismo es encauzado por las editoriales, que, atentas al negocio, los ofrecen al gran público en forma de libros. La mayor parte de los diarios son auténticos. Otras parece no importar demasiado su autoría.
Es lo que ahora ocurre en Italia con Mussolini. Tras más de 60 años de continuos rumores sobre la aparición de sus supuestos diarios, finalmente una editorial los publicará el mes que viene, poniendo a la venta el primero de cinco volúmenes, correspondiente a los escritos del «Duce» de 1939. El resto, que cubre sus memorias desde 1935 hasta el año en que comenzó la Segunda Guerra Mundial, irá viendo la luz cada seis meses sin seguir un orden cronológico.
Los herederos, de acuerdo
«Sé que hay muchas discusiones sobre su autenticidad: algunos historiadores la niegan, pero sus herederos sostienen que en esas páginas hay temas particulares tan personales que un falsificador nunca podría habérselos imaginado. Como editores, no queremos entrar en este campo», explica al «Corriere della Sera» Elisabetta Sgarbi, responsable de Bompiani, la casa que va a publicar los supuestos diarios de Mussolini. Aunque en el terreno de la autenticidad se lave las manos, Sgarbi ha conseguido ya un éxito poniendo de acuerdo a los propietarios de los manuscritos y a los herederos del «Duce».
La historia de esos textos es tan rocambolesca como típicamente italiana. Al parecer, los diarios fueron arrebatados de las manos del creador del fascismo por uno de los miembros de la brigada partisana que le detuvo y tiroteó en abril de 1945 cuando intentaba huir a Suiza.
El nuevo dueño de los manuscritos y sus herederos llevaban décadas intentado venderlos al mejor postor: al diario londinense «The Times», a la casa de subastas Shotheby’s, a varias editoriales italianas y al semanario «L’Espresso», que desveló en su portada «La verdadera historia de los falsos diarios de Mussolini». Todos los rechazaron por no ser auténticos. Finalmente, fueron comprados de forma conjunta por el senador Marcello Dell’Utri, mano derecha de Silvio Berlusconi y condenado a siete años de cárcel por colaboración con la mafia, y por un empresario afín.
Dell’Utri se vanaglorió hace tres años públicamente de su adquisición, provocando que los historiadores y grafólogos que los habían examinado tacharan de falsos los textos. El senador mafioso ya ni siquiera se preocupa por la autenticidad de los manuscritos. «Ese tema ya no me interesa tanto», dijo este verano al informar de las negociaciones con la editorial Bompiani para la publicación de los mismos. A la editora tampoco parece quitarle el sueño este aspecto, al parecer banal: «Cuando los vi por primera vez me quedé impresionada. Son las reflexiones de un protagonista del siglo XX antes de la entrada en la guerra: son documentos que es justo ofrecer a los lectores», dice.
Chaplin y la Petacci
La llegada a las librerías italianas de las memorias cotidianas del «Duce» distará pocas semanas de la publicación en España de «Mussolini secreto: los diarios de Claretta Petacci 1932-1938» (Crítica), en los que la amante del dictador cuenta con dedicación de amanuense las intimidades y confesiones políticas del hombre que hizo temblar a Italia y Europa.
«Estos sí que son los auténticos diarios de Mussolini. Claretta no habla de sí misma, sólo escribe de lo que le decía Benito», afirma Mauro Suttora, editor del volumen. «Lo que aquí se ve es lo mismo que si instaláramos una videocámara en la habitación de un dictador. Es como si hubiéramos pinchado continuamente el teléfono del “Duce”».
Suttora cuenta lo bien que se lo pasó conociendo a Mussolini a través de las palabras de su amante. «Fue muy divertido. Parecía el dictador de la película de Charles Chaplin. Es un personaje ridículo, obsesionado por el sexo y por el miedo a envejecer». La evocación cinematográfica puede ser real dentro de poco, ya que el editor reconoce que se está preparando una película sobre el «Duce» y Petacci basada en los diarios. «Nunca hemos tenido un retrato tan íntimo de uno de los grandes dictadores. Es como si al lado de Mussolini hubiésemos contado con una espía. Se trata de un documento único, de un gran drama que va más allá de la política. La historia acaba de forma trágica cuando a ambos les matan los partisanos. Claretta estaba tan enamorada de Benito que quiso hacerse fusilar con él, no imaginaba la vida sin su amor. La mataron cuando se tiró con su cuerpo para proteger a Mussolini».
«En este país adoran y luego destruyen»
¿Corre Berlusconi (en la imagen) el riesgo de acabar como Mussolini? El líder radical italiano Marco Pannella cree que sí. Por eso advirtió hace unos días al primer ministro que intente rebajar la tensión política para evitar acabar «fusilado, vejado por la multitud y colgado cabeza abajo junto a una de sus amantes». Suttora también piensa que es posible. «Los italianos están locos: primero adoran y luego destruyen. Cuanto más adoran primero, de forma más violenta destruyen después». Entre ambos líderes, además, hay un hilo conductor: Dell’Utri. Los mecanismos que utilizan estos dos poderosos son también similares. «Es la Italia de siempre, la del hombre solo circundado de aduladores o de gente que trama en la sombra pero que luego tiene miedo», cuenta.
«Mussolini secreto»
Clara Petacci
Suma de letras
480 páginas 28,90 euros
© Copyright 2010, La Razón
Madrid (España)
¿Ha recuperado Mussolini la memoria?
Italia publica sus polémicos diarios, aunque algunos afirman que son falsos
intervista al quotidiano spagnolo La Razon
16 Octubre 10
Darío Menor - Roma
Los diarios de cualquier persona provocan un impulso inmediato en el prójimo: leerlos. Si el autor es un conocido o un personaje famoso, el estímulo se torna fascinación. Cuando ya se trata de un líder mundial, un dictador o una estrella del espectáculo, el paroxismo es encauzado por las editoriales, que, atentas al negocio, los ofrecen al gran público en forma de libros. La mayor parte de los diarios son auténticos. Otras parece no importar demasiado su autoría.
Es lo que ahora ocurre en Italia con Mussolini. Tras más de 60 años de continuos rumores sobre la aparición de sus supuestos diarios, finalmente una editorial los publicará el mes que viene, poniendo a la venta el primero de cinco volúmenes, correspondiente a los escritos del «Duce» de 1939. El resto, que cubre sus memorias desde 1935 hasta el año en que comenzó la Segunda Guerra Mundial, irá viendo la luz cada seis meses sin seguir un orden cronológico.
Los herederos, de acuerdo
«Sé que hay muchas discusiones sobre su autenticidad: algunos historiadores la niegan, pero sus herederos sostienen que en esas páginas hay temas particulares tan personales que un falsificador nunca podría habérselos imaginado. Como editores, no queremos entrar en este campo», explica al «Corriere della Sera» Elisabetta Sgarbi, responsable de Bompiani, la casa que va a publicar los supuestos diarios de Mussolini. Aunque en el terreno de la autenticidad se lave las manos, Sgarbi ha conseguido ya un éxito poniendo de acuerdo a los propietarios de los manuscritos y a los herederos del «Duce».
La historia de esos textos es tan rocambolesca como típicamente italiana. Al parecer, los diarios fueron arrebatados de las manos del creador del fascismo por uno de los miembros de la brigada partisana que le detuvo y tiroteó en abril de 1945 cuando intentaba huir a Suiza.
El nuevo dueño de los manuscritos y sus herederos llevaban décadas intentado venderlos al mejor postor: al diario londinense «The Times», a la casa de subastas Shotheby’s, a varias editoriales italianas y al semanario «L’Espresso», que desveló en su portada «La verdadera historia de los falsos diarios de Mussolini». Todos los rechazaron por no ser auténticos. Finalmente, fueron comprados de forma conjunta por el senador Marcello Dell’Utri, mano derecha de Silvio Berlusconi y condenado a siete años de cárcel por colaboración con la mafia, y por un empresario afín.
Dell’Utri se vanaglorió hace tres años públicamente de su adquisición, provocando que los historiadores y grafólogos que los habían examinado tacharan de falsos los textos. El senador mafioso ya ni siquiera se preocupa por la autenticidad de los manuscritos. «Ese tema ya no me interesa tanto», dijo este verano al informar de las negociaciones con la editorial Bompiani para la publicación de los mismos. A la editora tampoco parece quitarle el sueño este aspecto, al parecer banal: «Cuando los vi por primera vez me quedé impresionada. Son las reflexiones de un protagonista del siglo XX antes de la entrada en la guerra: son documentos que es justo ofrecer a los lectores», dice.
Chaplin y la Petacci
La llegada a las librerías italianas de las memorias cotidianas del «Duce» distará pocas semanas de la publicación en España de «Mussolini secreto: los diarios de Claretta Petacci 1932-1938» (Crítica), en los que la amante del dictador cuenta con dedicación de amanuense las intimidades y confesiones políticas del hombre que hizo temblar a Italia y Europa.
«Estos sí que son los auténticos diarios de Mussolini. Claretta no habla de sí misma, sólo escribe de lo que le decía Benito», afirma Mauro Suttora, editor del volumen. «Lo que aquí se ve es lo mismo que si instaláramos una videocámara en la habitación de un dictador. Es como si hubiéramos pinchado continuamente el teléfono del “Duce”».
Suttora cuenta lo bien que se lo pasó conociendo a Mussolini a través de las palabras de su amante. «Fue muy divertido. Parecía el dictador de la película de Charles Chaplin. Es un personaje ridículo, obsesionado por el sexo y por el miedo a envejecer». La evocación cinematográfica puede ser real dentro de poco, ya que el editor reconoce que se está preparando una película sobre el «Duce» y Petacci basada en los diarios. «Nunca hemos tenido un retrato tan íntimo de uno de los grandes dictadores. Es como si al lado de Mussolini hubiésemos contado con una espía. Se trata de un documento único, de un gran drama que va más allá de la política. La historia acaba de forma trágica cuando a ambos les matan los partisanos. Claretta estaba tan enamorada de Benito que quiso hacerse fusilar con él, no imaginaba la vida sin su amor. La mataron cuando se tiró con su cuerpo para proteger a Mussolini».
«En este país adoran y luego destruyen»
¿Corre Berlusconi (en la imagen) el riesgo de acabar como Mussolini? El líder radical italiano Marco Pannella cree que sí. Por eso advirtió hace unos días al primer ministro que intente rebajar la tensión política para evitar acabar «fusilado, vejado por la multitud y colgado cabeza abajo junto a una de sus amantes». Suttora también piensa que es posible. «Los italianos están locos: primero adoran y luego destruyen. Cuanto más adoran primero, de forma más violenta destruyen después». Entre ambos líderes, además, hay un hilo conductor: Dell’Utri. Los mecanismos que utilizan estos dos poderosos son también similares. «Es la Italia de siempre, la del hombre solo circundado de aduladores o de gente que trama en la sombra pero que luego tiene miedo», cuenta.
«Mussolini secreto»
Clara Petacci
Suma de letras
480 páginas 28,90 euros
© Copyright 2010, La Razón
Madrid (España)
Wednesday, October 13, 2010
Angelo Rizzoli
Nel 1970 moriva Angelo Rizzoli, il nostro fondatore. Noi lo ricordiamo così
Orfano di un ciabattino analfabeta, lui stesso poco colto, creò un impero editoriale e cinematografico. Ecco come lo descrivono i suoi giornalisti, dalla Fallaci a Montanelli, da Enzo Biagi a Occhipinti
di Mauro Suttora
Oggi, 4 ottobre 2010
«Non gli ho mai sentito dire una parolaccia, mai visto fare un verso sconcio, e anche quando dava un ordine era delicato: “Abbia l’amabilità di farmi questa cosa”, “Lei dovrebbe essere così gentile da farmi questo”».
Con queste parole, quarant’anni fa, Oriana Fallaci ricordava sull’Europeo il suo editore Angelo Rizzoli appena scomparso a 81 anni.
Così la scrittrice proseguiva la descrizione del fondatore della casa editrice omonima che pubblica anche Oggi e che ora, inglobato il Corriere della Sera, si chiama Rcs: «Quando gli piaceva una donna, le lodava gli occhi. Non diceva “belle gambe” o “bel corpo”, diceva “begli occhi”. Quando si dedicava a lei, la trattava col rispetto e la cautela che si deve a un fiore».
«Nell’atrio del suo moderno stabilimento di via Civitavecchia [oggi via Rizzoli, ndr] viene ancora ostentata come cimelio e blasone la sua prima linotype [del 1909], comprata coi risparmi del salario d’operaio tipografo, mestiere che gli avevano insegnato all’orfanatrofio».
Altri ricordi sono contenuti nel libro celebrativo Angelo Rizzoli 1889-1970: «Raccontava quasi con civetteria della povertà che aveva sofferto da piccolo», ricorda Paolo Occhipinti, direttore storico di Oggi, assunto da Rizzoli nel ’58, e tuttora direttore editoriale del nostro giornale.
«Diceva: “Vivevamo in miseria in una zona molto ricca di Milano. È la cosa peggiore che ci sia, quella di essere poveri in mezzo ai ricchi. A scuola mi trovavo sempre da solo, isolato all’ultimo banco, perché nessuno voleva stare accanto a me. Il giorno più bello della mia vita di bambino fu il 10 febbraio 1895, quando entrai nell’orfanatrofio. Lì finalmente fui felice, perché ero un povero fra i poveri, uguale a tutti gli altri”». «La mamma gli tagliava i capelli e la maestra, supponendo che in quella chioma buffa potessero alloggiare anche animaletti fastidiosi, lo isolava nell’ultimo banco», rivelò poi Enzo Biagi.
Film di Manfredi e Fellini
Rizzoli, figlio di un ciabattino analfabeta morto prima che lui nascesse, non leggeva i libri che pubblicava. «Però aveva per i loro autori un rispetto reverenziale», precisò Montanelli. «L’ultima volta che l’ho visto, a Lacco Ameno d’Ischia, era contento del film che aveva messo in lavorazione con Nino Manfredi regista e interprete [Per grazia ricevuta, del 1971, ndr] e cercò di raccontarmi la trama. La parola non era mai stata il suo forte. Fece un tale garbuglio che alla fine se ne accorse anche lui, e in tono mortificato interpolò: “Scusami sai, io ho fatto la quinta elementare alle serali”. Molti si domandano come abbia fatto quest’uomo incolto a diventare uno dei più grandi impresari di cultura. Della prosa che mandava sotto i torchi non sapeva nulla. Ma sugli uomini che venivano a offrirgliela non prendeva abbagli».
Conferma Occhipinti: «La sua grande qualità era saper scegliere gli uomini. Per intuito aveva detto sì a quel matto di Fellini che gli proponeva La dolce vita, a Edilio Rusconi che gli suggeriva di fare uscire Oggi, settimanale per la famiglia, e agli inventori della Bur, la Biblioteca universale Rizzoli».
«Dicono che prima della Seconda guerra mondiale possedesse già un miliardo di lire», ha scritto Biagi, «e che alla sua morte nel 1970 gli eredi ne hanno trovato in cassa cento. Ma diceva che i quattrini bisogna farseli perdonare. Non fu entusiasta quando il figlio Andrea decise di comperare un aereo: gli pareva troppo. Quando entrava nei casinò, perché gli piaceva giocare, aveva di solito dietro un codazzo. Regalava alla compagnia fiches di centomila lire; i più furbi le infilavano in tasca. Se gli andava male si vergognava: “Ho perso quello che la mia segretaria guadagna in cinque anni”».
«Nel 1954 incontrai Rizzoli a San Felice Circeo», ricorda Giulio Andreotti, «e lui si lamentava della poca comprensibilità del linguaggio politico. Mi offrì la direzione di un giornale divulgativo: nacque così il quindicinale Concretezza, che pubblicò per 22 anni. La sua amicizia con Nenni [capo del Psi,ndr] era nota, ma aveva apprezzato anche me».
Mauro Suttora
Orfano di un ciabattino analfabeta, lui stesso poco colto, creò un impero editoriale e cinematografico. Ecco come lo descrivono i suoi giornalisti, dalla Fallaci a Montanelli, da Enzo Biagi a Occhipinti
di Mauro Suttora
Oggi, 4 ottobre 2010
«Non gli ho mai sentito dire una parolaccia, mai visto fare un verso sconcio, e anche quando dava un ordine era delicato: “Abbia l’amabilità di farmi questa cosa”, “Lei dovrebbe essere così gentile da farmi questo”».
Con queste parole, quarant’anni fa, Oriana Fallaci ricordava sull’Europeo il suo editore Angelo Rizzoli appena scomparso a 81 anni.
Così la scrittrice proseguiva la descrizione del fondatore della casa editrice omonima che pubblica anche Oggi e che ora, inglobato il Corriere della Sera, si chiama Rcs: «Quando gli piaceva una donna, le lodava gli occhi. Non diceva “belle gambe” o “bel corpo”, diceva “begli occhi”. Quando si dedicava a lei, la trattava col rispetto e la cautela che si deve a un fiore».
«Nell’atrio del suo moderno stabilimento di via Civitavecchia [oggi via Rizzoli, ndr] viene ancora ostentata come cimelio e blasone la sua prima linotype [del 1909], comprata coi risparmi del salario d’operaio tipografo, mestiere che gli avevano insegnato all’orfanatrofio».
Altri ricordi sono contenuti nel libro celebrativo Angelo Rizzoli 1889-1970: «Raccontava quasi con civetteria della povertà che aveva sofferto da piccolo», ricorda Paolo Occhipinti, direttore storico di Oggi, assunto da Rizzoli nel ’58, e tuttora direttore editoriale del nostro giornale.
«Diceva: “Vivevamo in miseria in una zona molto ricca di Milano. È la cosa peggiore che ci sia, quella di essere poveri in mezzo ai ricchi. A scuola mi trovavo sempre da solo, isolato all’ultimo banco, perché nessuno voleva stare accanto a me. Il giorno più bello della mia vita di bambino fu il 10 febbraio 1895, quando entrai nell’orfanatrofio. Lì finalmente fui felice, perché ero un povero fra i poveri, uguale a tutti gli altri”». «La mamma gli tagliava i capelli e la maestra, supponendo che in quella chioma buffa potessero alloggiare anche animaletti fastidiosi, lo isolava nell’ultimo banco», rivelò poi Enzo Biagi.
Film di Manfredi e Fellini
Rizzoli, figlio di un ciabattino analfabeta morto prima che lui nascesse, non leggeva i libri che pubblicava. «Però aveva per i loro autori un rispetto reverenziale», precisò Montanelli. «L’ultima volta che l’ho visto, a Lacco Ameno d’Ischia, era contento del film che aveva messo in lavorazione con Nino Manfredi regista e interprete [Per grazia ricevuta, del 1971, ndr] e cercò di raccontarmi la trama. La parola non era mai stata il suo forte. Fece un tale garbuglio che alla fine se ne accorse anche lui, e in tono mortificato interpolò: “Scusami sai, io ho fatto la quinta elementare alle serali”. Molti si domandano come abbia fatto quest’uomo incolto a diventare uno dei più grandi impresari di cultura. Della prosa che mandava sotto i torchi non sapeva nulla. Ma sugli uomini che venivano a offrirgliela non prendeva abbagli».
Conferma Occhipinti: «La sua grande qualità era saper scegliere gli uomini. Per intuito aveva detto sì a quel matto di Fellini che gli proponeva La dolce vita, a Edilio Rusconi che gli suggeriva di fare uscire Oggi, settimanale per la famiglia, e agli inventori della Bur, la Biblioteca universale Rizzoli».
«Dicono che prima della Seconda guerra mondiale possedesse già un miliardo di lire», ha scritto Biagi, «e che alla sua morte nel 1970 gli eredi ne hanno trovato in cassa cento. Ma diceva che i quattrini bisogna farseli perdonare. Non fu entusiasta quando il figlio Andrea decise di comperare un aereo: gli pareva troppo. Quando entrava nei casinò, perché gli piaceva giocare, aveva di solito dietro un codazzo. Regalava alla compagnia fiches di centomila lire; i più furbi le infilavano in tasca. Se gli andava male si vergognava: “Ho perso quello che la mia segretaria guadagna in cinque anni”».
«Nel 1954 incontrai Rizzoli a San Felice Circeo», ricorda Giulio Andreotti, «e lui si lamentava della poca comprensibilità del linguaggio politico. Mi offrì la direzione di un giornale divulgativo: nacque così il quindicinale Concretezza, che pubblicò per 22 anni. La sua amicizia con Nenni [capo del Psi,ndr] era nota, ma aveva apprezzato anche me».
Mauro Suttora
Silvio, sono tutti figli tuoi
A 74 anni, Berlusconi è il capo occidentale più anziano. E se ne vanta. Ma sono anche altri i record di durata che conquista, Per esempio, nessun premier in Italia (tranne i governi tecnici di Fanfani) è mai stato più vecchio di lui. Craxi quando lasciò Palazzo Chigi aveva solo 53 anni, Spadolini 57, Moro 60.
di Mauro Suttora
"Sono il più anziano ed esperto fra i leader dei Paesi occidentali"
(Silvio Berlusconi, 30 settembre 2010, al Senato)
BERLUSCONI anni 74
MERKEL (Germania) 56
SARKOZY (Francia) 55
ANSIP (Estonia) 54
SOCRATES (Portogallo) 53
KUBILIUS (Lituania) 53
HARPER (Canada) 51
STOLTENBERG (Norvegia) 51
ZAPATERO (Spagna) 50
FAYMANN (Austria) 50
LETERME (Belgio) 50
OBAMA (Usa) 49
GILLARD (Australia) 49
CALDERON (Messico) 48
LEUTHARD (Svizzera) 47
ORBAN (Ungheria) 47
PAHOR (Slovenia) 46
RASMUSSEN (Danimarca) 46
MEDVEDEV (Russia) 45
REINFELDT (Svezia) 45
NECAS (Rep. Ceca) 45
CAMERON (G.Bretagna) 44
BOC (Romania) 44
RUTTE (Olanda) 43
KIVINIEMI (Finlandia) 42
FILAT (Moldavia) 41
DOMBROVSKIS (Lettonia) 39
Oggi, 4 ottobre 2010
Quanto durerà? Sceso in politica 17 anni fa, Silvio Berlusconi ha ormai dato il suo nome a un'epoca. Qualunque opinione si possa avere su di lui, l'ultimo ventennio passerà alla storia come l'era Berlusconi. Il quale, il 29 settembre, ha compiuto 74 anni, superando così anche Giulio Andreotti come presidente del Consiglio più anziano nella storia della Repubblica.
Guardate la classifica che pubblichiamo nell' altra pagina. Mostriamo l'età che avevano i principali premier dal 1945 a oggi, al termine dei loro mandati. Perfino Alcide De Gasperi era più giovane di Berlusconi quando dovette lasciare la carica nel '53. Non parliamo poi dei due premier laici, Bettino Craxi e Giovanni Spadolini. Il primo aveva soltanto 53 anni all'uscita da palazzo Chigi nell'87: praticamente un bambino, in confronto a Berlusconi. E Spadolini era appena 57enne. Nella classifica abbiamo inserito anche Arnaldo Forlani, che fu premier per pochi mesi nell'80-81, a 55 anni. Poi però fino al '92 fu potente segretario della Dc, carica di fatto importante quanto quella del premier di allora, Andreotti. Non per niente il triennio 1989-92 fu definito come quello del «Caf», dalle iniziali di Craxi, Andreotti e Forlani.
FANFANI IL "TECNICO"
L' unico ad avere superato in anzianità Berlusconi è stato Amintore Fanfani, che nell'82 e nell'87 fu chiamato ultrasettantenne a presiedere per pochi mesi, in quanto presidente del Senato, i governi «elettorali» che seguirono le dimissioni di Spadolini e Craxi. La Dc infatti non voleva far gestire il voto a compagni a guida laica. Ma, come spieghiamo nella nota alla tabella, si trattò di governi «tecnici». L'ultimo suo vero governo dotato di pieni poteri politici Fanfani lo lasciò nel '63, quando aveva appena 55 anni. Ed è sorprendente pure l'età di Aldo Moro all' epoca del suo ultimo incarico. Il governo «tecnico» rappresenta anche oggi una minaccia per Berlusconi. Come nel ' 95, quando dovette cedere la poltrona a Lamberto Dini dopo aver ricevuto l' avviso di garanzia che lo estromise per la prima volta da palazzo Chigi.
Il Partito democratico adesso chiede un governo «tecnico» per cambiare le regole elettorali prima di un altro voto anticipato. «È l' unico modo in cui chi ha perso le elezioni potrebbe andare al potere», protesta Berlusconi. Il quale a gennaio potrà festeggiare i 3mila giorni di governo (tabella qui a fianco). Ha già battuto il record di De Gasperi, che per soli quattro giorni non arrivò ai 2.500. Lontani, anche se superano i 2mila giorni, Andreotti e Moro. Romano Prodi per soli otto giorni non è arrivato a 1.500 con i suoi due governi (1996-98 e 2006-08). Tutti gli altri, indietro.
In ogni caso, Berlusconi non si sente per niente vecchio. Ha scherzato anche sull'arrivo dei 74 anni: «Mi avete fatto passare un compleanno proprio di m...», ha detto all' avversario politico Massimo Donadi (dipietrista) a Montecitorio il 29 settembre, durante l'estenuante ultimo dibattito sulla fiducia. Alla propria età ha accennato di nuovo nel discorso di replica al Senato il 30 settembre, quando ha detto al senatore Luigi Zanda (Pd): «Proprio perché sono il leader più anziano fra tutti quelli dei Paesi occidentali, la mia esperienza è preziosa per far contare di più l'Italia sulla scena internazionale».
Il confronto dell'età di Berlusconi con quella degli altri leader mondiali e europei, in effetti, è impressionante ( tabella nella pagina precedente ). La più anziana, la tedesca Angela Merkel, ha 18 anni meno di Silvio: potrebbe essere sua figlia. Addirittura 32 anni lo separano dalla nuova premier finlandese 42enne Mari Kiviniemi, eletta tre mesi fa. E dalla classifica abbiamo tenuto fuori, per ragioni di spazio e di importanza del suo piccolo paese, il premier lettone Valdis Dombrovskis: 39 anni.
I GERONTOCRATI ITALIANI
Negli ultimi anni tutti i Paesi occidentali hanno eletto premier e presidenti 40-50enni, dall'americano Barack Obama all' inglese David Cameron. Il nuovo segretario laburista britannico Ed Miliband ha soltanto 40 anni. Il confronto con l'Italia è impressionante: il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con i suoi 85 anni potrebbe essere il nonno di molti leader europei. E i politici che noi consideriamo «giovani» (D'Alema, Bersani, Fini, Rutelli) stanno attorno ai 60 anni. L'unico premier mondiale più vecchio di Berlusconi è l'indiano Manmohan Singh, 78 anni. Ma non è un «occidentale», così come i leader sessantenni di Cina e Giappone.
Non è un mistero che Berlusconi punti a governare fino alla scadenza di questa legislatura, nel 2013, per poi farsi eleggere presidente della Repubblica. Alla fine del settennato al Quirinale, nel 2020, avrebbe 84 anni. Meno di tutti i presidenti della storia recente: Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro. E lui, c'è da scommetterlo, si sentirebbe ancora un ragazzino.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
"Sono il più anziano ed esperto fra i leader dei Paesi occidentali"
(Silvio Berlusconi, 30 settembre 2010, al Senato)
BERLUSCONI anni 74
MERKEL (Germania) 56
SARKOZY (Francia) 55
ANSIP (Estonia) 54
SOCRATES (Portogallo) 53
KUBILIUS (Lituania) 53
HARPER (Canada) 51
STOLTENBERG (Norvegia) 51
ZAPATERO (Spagna) 50
FAYMANN (Austria) 50
LETERME (Belgio) 50
OBAMA (Usa) 49
GILLARD (Australia) 49
CALDERON (Messico) 48
LEUTHARD (Svizzera) 47
ORBAN (Ungheria) 47
PAHOR (Slovenia) 46
RASMUSSEN (Danimarca) 46
MEDVEDEV (Russia) 45
REINFELDT (Svezia) 45
NECAS (Rep. Ceca) 45
CAMERON (G.Bretagna) 44
BOC (Romania) 44
RUTTE (Olanda) 43
KIVINIEMI (Finlandia) 42
FILAT (Moldavia) 41
DOMBROVSKIS (Lettonia) 39
Oggi, 4 ottobre 2010
Quanto durerà? Sceso in politica 17 anni fa, Silvio Berlusconi ha ormai dato il suo nome a un'epoca. Qualunque opinione si possa avere su di lui, l'ultimo ventennio passerà alla storia come l'era Berlusconi. Il quale, il 29 settembre, ha compiuto 74 anni, superando così anche Giulio Andreotti come presidente del Consiglio più anziano nella storia della Repubblica.
Guardate la classifica che pubblichiamo nell' altra pagina. Mostriamo l'età che avevano i principali premier dal 1945 a oggi, al termine dei loro mandati. Perfino Alcide De Gasperi era più giovane di Berlusconi quando dovette lasciare la carica nel '53. Non parliamo poi dei due premier laici, Bettino Craxi e Giovanni Spadolini. Il primo aveva soltanto 53 anni all'uscita da palazzo Chigi nell'87: praticamente un bambino, in confronto a Berlusconi. E Spadolini era appena 57enne. Nella classifica abbiamo inserito anche Arnaldo Forlani, che fu premier per pochi mesi nell'80-81, a 55 anni. Poi però fino al '92 fu potente segretario della Dc, carica di fatto importante quanto quella del premier di allora, Andreotti. Non per niente il triennio 1989-92 fu definito come quello del «Caf», dalle iniziali di Craxi, Andreotti e Forlani.
FANFANI IL "TECNICO"
L' unico ad avere superato in anzianità Berlusconi è stato Amintore Fanfani, che nell'82 e nell'87 fu chiamato ultrasettantenne a presiedere per pochi mesi, in quanto presidente del Senato, i governi «elettorali» che seguirono le dimissioni di Spadolini e Craxi. La Dc infatti non voleva far gestire il voto a compagni a guida laica. Ma, come spieghiamo nella nota alla tabella, si trattò di governi «tecnici». L'ultimo suo vero governo dotato di pieni poteri politici Fanfani lo lasciò nel '63, quando aveva appena 55 anni. Ed è sorprendente pure l'età di Aldo Moro all' epoca del suo ultimo incarico. Il governo «tecnico» rappresenta anche oggi una minaccia per Berlusconi. Come nel ' 95, quando dovette cedere la poltrona a Lamberto Dini dopo aver ricevuto l' avviso di garanzia che lo estromise per la prima volta da palazzo Chigi.
Il Partito democratico adesso chiede un governo «tecnico» per cambiare le regole elettorali prima di un altro voto anticipato. «È l' unico modo in cui chi ha perso le elezioni potrebbe andare al potere», protesta Berlusconi. Il quale a gennaio potrà festeggiare i 3mila giorni di governo (tabella qui a fianco). Ha già battuto il record di De Gasperi, che per soli quattro giorni non arrivò ai 2.500. Lontani, anche se superano i 2mila giorni, Andreotti e Moro. Romano Prodi per soli otto giorni non è arrivato a 1.500 con i suoi due governi (1996-98 e 2006-08). Tutti gli altri, indietro.
In ogni caso, Berlusconi non si sente per niente vecchio. Ha scherzato anche sull'arrivo dei 74 anni: «Mi avete fatto passare un compleanno proprio di m...», ha detto all' avversario politico Massimo Donadi (dipietrista) a Montecitorio il 29 settembre, durante l'estenuante ultimo dibattito sulla fiducia. Alla propria età ha accennato di nuovo nel discorso di replica al Senato il 30 settembre, quando ha detto al senatore Luigi Zanda (Pd): «Proprio perché sono il leader più anziano fra tutti quelli dei Paesi occidentali, la mia esperienza è preziosa per far contare di più l'Italia sulla scena internazionale».
Il confronto dell'età di Berlusconi con quella degli altri leader mondiali e europei, in effetti, è impressionante ( tabella nella pagina precedente ). La più anziana, la tedesca Angela Merkel, ha 18 anni meno di Silvio: potrebbe essere sua figlia. Addirittura 32 anni lo separano dalla nuova premier finlandese 42enne Mari Kiviniemi, eletta tre mesi fa. E dalla classifica abbiamo tenuto fuori, per ragioni di spazio e di importanza del suo piccolo paese, il premier lettone Valdis Dombrovskis: 39 anni.
I GERONTOCRATI ITALIANI
Negli ultimi anni tutti i Paesi occidentali hanno eletto premier e presidenti 40-50enni, dall'americano Barack Obama all' inglese David Cameron. Il nuovo segretario laburista britannico Ed Miliband ha soltanto 40 anni. Il confronto con l'Italia è impressionante: il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con i suoi 85 anni potrebbe essere il nonno di molti leader europei. E i politici che noi consideriamo «giovani» (D'Alema, Bersani, Fini, Rutelli) stanno attorno ai 60 anni. L'unico premier mondiale più vecchio di Berlusconi è l'indiano Manmohan Singh, 78 anni. Ma non è un «occidentale», così come i leader sessantenni di Cina e Giappone.
Non è un mistero che Berlusconi punti a governare fino alla scadenza di questa legislatura, nel 2013, per poi farsi eleggere presidente della Repubblica. Alla fine del settennato al Quirinale, nel 2020, avrebbe 84 anni. Meno di tutti i presidenti della storia recente: Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro. E lui, c'è da scommetterlo, si sentirebbe ancora un ragazzino.
Mauro Suttora
Quanto dura il governo
CRONACHE DA BISANZIO: I GIOCHI DI PALAZZO SUL GOVERNO BERLUSCONI
di Mauro Suttora
Oggi, 4 ottobre 2010
Come sedici anni fa? Nel dicembre 1994 Silvio Berlusconi fu detronizzato dal suo primo governo dopo un avviso di garanzia e il ritiro dei ministri della Lega nord.
Il 14 dicembre 2010 la Corte costituzionale giudicherà la legge sul «legittimo impedimento», che ha permesso finora a Berlusconi di evitare i processi. Se la Corte la boccerà, come ha già fatto con il «lodo Alfano», il premier sarà di nuovo esposto alle sentenze dell’ «associazione per delinquere», com’egli ormai definisce i magistrati. E allora, sarà ancora la Lega nord a staccare la spina al governo?
«Lo avremmo già fatto, ma Berlusconi ha voluto testare la maggioranza», ha detto il ministro Roberto Maroni. «Però se nelle prossime tre settimane la maggioranza non tiene, meglio votare».
Cosa succederà di così importante nei prossimi venti giorni? Verranno nominati i nuovi presidenti delle commissioni parlamentari. Quella cruciale della Giustizia alla Camera, per esempio, è guidata dall’avvocatessa Giulia Buongiorno, ora invisa a Berlusconi perché passata con Gianfranco Fini. Ma è difficile che i finiani ci rinuncino.
«Berlusconi si deve rassegnare», dice il finiano Benedetto Della Vedova: «Così come in Gran Bretagna i conservatori sono stati costretti ad allearsi con i liberali perché da soli non hanno la maggioranza, il Popolo delle libertà deve rimanere alleato con noi».
Il problema, per i finiani, è che i liberali inglesi hanno il 20 per cento, mentre loro nei sondaggi sono al quattro. «E neanche adesso sono decisivi», calcola il ministro Ignazio La Russa, «perché alla Camera in caso di voto sul filo di lana molti non se la sentirebbero di far cadere il governo. E al Senato, abbiamo la maggioranza anche senza di loro».
I finiani, però, non sono disposti ad approvare entro dicembre altre leggi d’immunità per Berlusconi, come quella sul «processo breve» o il nuovo «lodo Alfano» con rango di legge costituzionale: «Non erano nel programma Pdl votato dagli elettori». Conclusione: la maggior parte degli osservatori ritiene probabile un voto a marzo.
L’opposizione (Pd, Di Pietro, Udc) vorrebbe prima riformare la legge elettorale, che ora non permette di scegliere i singoli deputati e dà la maggioranza assoluta alla coalizione che raggiunga il 38%. «Così Berlusconi verrà eletto presidente della Repubblica fra tre anni», avverte Massimo D’Alema. Ma il Pdl, che gode ancora di sondaggi favorevoli rispetto al Pd, non intende rinunciare al premio maggioritario.
Con la crisi economica che morde e un debito pubblico di 1.800 miliardi in aumento al ritmo di 80 miliardi l’anno (150 mila euro al minuto), tutte queste possono apparire come «cronache da Bisanzio» agli elettori. «Infatti l’84 per cento prova disgusto, rabbia, diffidenza, indifferenza o noia per la politica», dice il sondaggista Renato Mannheimer, «solo sei su cento esprimono “interesse”, e appena 2,4 passione».
Mauro Suttora
Monday, October 04, 2010
'Mussolini segreto' tradotto in spagnolo
esce il 14 ottobre 2010:
Mussolini secreto
Claretta Petacci, la amante de Benito Mussolini, transcribía cada día en su diario las conversaciones que mantenía con el Duce, en que éste le contaba sus intimidades, recordaba su vida o la ponía al corriente de los acontecimientos políticos: la guerra de España (y su indignación contra “el idiota de Franco”), la persecución de los judíos, el pacto de Munich...
El comprometedor contenido político de estos diarios explica que el gobierno italiano los mantenga todavía en secreto y que sólo haya autorizado la publicación de esta primera parte.
Pero lo que los hace excepcionales es su calidad de documento humano en que un dictador se muestra sin disfraz alguno, con sus frustraciones, sus miserias, sus aspiraciones de grandeza y hasta con sus obsesiones sexuales, en unas confidencias que fueron hechas sin pensar que algún día podrían llegar a ver la luz pública.
Esta mezcla de experiencias vividas y sueños imperiales nos ayuda a entender mejor lo que fue realmente el tinglado de retórica y cartón piedra del fascismo italiano.
'Mussolini segreto' tradotto in Polonia
Claretta Petacci (red. Mauro Suttora)
Tajne dzienniki kochanki Mussoliniego 1932–1938
Tłum. Anna Wójcicka
presentazione dal catalogo dell'editore Bellona:
Claretta Petacci była najbardziej znaną kochanką Benito Mussoliniego i wraz z nim została stracona w 1945 r. podczas egzekucji na Piazza Loreto w Mediolanie.
Jej wspomnienia obejmują okres 1932–1938, począwszy od pierwszych dni znajomości, a skończywszy na okresie pełnego rozkwitu ich związku. Zawierają dokładny opis codziennych zajęć i przyzwyczajeń Mussoliniego, jego stosunku i poglądów na temat wydarzeń i nastrojów w faszystowskich Włoszech i w Europie.
Poza tym również widzimy Duce prywatnie:
Mussolini skarży się na obcierające go buty, nieustannie zapewnia Clarettę o swej miłości, i tłumaczy się jej z licznych zdrad z kochankami, a nawet z... własną żoną.
Tłem ich związku są wydarzenia Europy lat 30. XX w.: powstanie osi Włochy – Niemcy, wydanie ustaw rasistowskich i Anschluss Austrii.
Do pamiętników załączone są niektóre listy Claretty do swojego kochanka; są to pochodzące z lat 1933–1937 zapiski pełne miłosnych uniesień – ilustrują one perspektywę autorki, kobiety niezwykle emocjonalnej, zazdrosnej
i żyjącej jedynie dla swojego kochanka, gotowej ponieść tragiczną śmierć w imię miłości.
Tajne dzienniki kochanki Mussoliniego 1932–1938
Tłum. Anna Wójcicka
presentazione dal catalogo dell'editore Bellona:
Claretta Petacci była najbardziej znaną kochanką Benito Mussoliniego i wraz z nim została stracona w 1945 r. podczas egzekucji na Piazza Loreto w Mediolanie.
Jej wspomnienia obejmują okres 1932–1938, począwszy od pierwszych dni znajomości, a skończywszy na okresie pełnego rozkwitu ich związku. Zawierają dokładny opis codziennych zajęć i przyzwyczajeń Mussoliniego, jego stosunku i poglądów na temat wydarzeń i nastrojów w faszystowskich Włoszech i w Europie.
Poza tym również widzimy Duce prywatnie:
Mussolini skarży się na obcierające go buty, nieustannie zapewnia Clarettę o swej miłości, i tłumaczy się jej z licznych zdrad z kochankami, a nawet z... własną żoną.
Tłem ich związku są wydarzenia Europy lat 30. XX w.: powstanie osi Włochy – Niemcy, wydanie ustaw rasistowskich i Anschluss Austrii.
Do pamiętników załączone są niektóre listy Claretty do swojego kochanka; są to pochodzące z lat 1933–1937 zapiski pełne miłosnych uniesień – ilustrują one perspektywę autorki, kobiety niezwykle emocjonalnej, zazdrosnej
i żyjącej jedynie dla swojego kochanka, gotowej ponieść tragiczną śmierć w imię miłości.
Wednesday, September 29, 2010
Gruppo vacanze Parlamento
MISSIONI BIPARTISAN: GITA IN RUSSIA DEGLI ONOREVOLI
Guidati da monsignor Fisichella, 70 deputati e senatori (con famiglie) vanno a Mosca. Uniti dalla fede. E dall'allegria
di Mauro Suttora
Oggi, 22 settembre 2010
«La gente nel metrò di Mosca ci guardava esterrefatta. Uno ha chiesto: “State girando un film?”». Scene da un viaggio in Russia di 70 parlamentari italiani. Monsignor Rino Fisichella, «cappellano» di Montecitorio, era in ritardo per l’udienza con il patriarca di Mosca. Il traffico bloccava il suo torpedone. Unica soluzione: scendere in metrò per far prima, con il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. Stupendo gli ignari passanti russi con i suoi paramenti da cerimonia, i
Dal 2004, parlamentari di ogni schieramento partecipano a un pellegrinaggio di una settimana. Quest’anno sono andati per una settimana con i familiari (più di 200, in totale) a Mosca e San Pietroburgo. «Ottima occasione per familiarizzare anche con colleghi del campo avverso», dice Eugenio Mazzarella (Pd), preside della facoltà di Lettere e Filosofia all’università di Napoli: «A me, per esempio, il leghista Polledri non stava simpatico quando parlava in commissione Cultura e Istruzione. Conoscendolo, invece, ho scoperto una persona cordiale e interessante».
Unico denominatore comune: la fede cattolica. Per il resto, tutti i giorni a Roma, scintille. Comè capitato a Barbara Saltamartini (Pdl), coinvolta addirittura in una rissa fisica con un dipietrista. E invece con Ignazio Messina (Idv) nessun problema in Russia.
Clima amichevole fra Cremlino ed Hermitage per il sottosegretario Carlo Giovanardi, l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro, le supercattoliche Paola Binetti e Dorina Bianchi, la matricola di Montecitorio Annagrazia Calabria. E poi il ciellino Renato Farina, l’Udc Enzo Carra, il Pd Matteo Colaninno, l’ex cognata di Berlusconi Mariella Bocciardo. Uniti dalla curiosità bipartisan per i reperti dell’Armata Rossa, dai giorni passati nei cinque pullman fra monumenti e visite a fosse comuni, serate a cantare attorno al pianoforte suonato dal deputato barese Francesco Paolo Sisto (Pdl), e sveglie di buon’ora per la messa quotidiana alle otto di monsignor Fisichella. Il quale saluta tutti: dal primo ottobre lascia la cura spirituale dei deputati, perché il papa lo ha nominato presidente del nuovo dicastero della curia per la rievangelizzazione dell'Occidente.
Mauro Suttora
Guidati da monsignor Fisichella, 70 deputati e senatori (con famiglie) vanno a Mosca. Uniti dalla fede. E dall'allegria
di Mauro Suttora
Oggi, 22 settembre 2010
«La gente nel metrò di Mosca ci guardava esterrefatta. Uno ha chiesto: “State girando un film?”». Scene da un viaggio in Russia di 70 parlamentari italiani. Monsignor Rino Fisichella, «cappellano» di Montecitorio, era in ritardo per l’udienza con il patriarca di Mosca. Il traffico bloccava il suo torpedone. Unica soluzione: scendere in metrò per far prima, con il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. Stupendo gli ignari passanti russi con i suoi paramenti da cerimonia, i
Dal 2004, parlamentari di ogni schieramento partecipano a un pellegrinaggio di una settimana. Quest’anno sono andati per una settimana con i familiari (più di 200, in totale) a Mosca e San Pietroburgo. «Ottima occasione per familiarizzare anche con colleghi del campo avverso», dice Eugenio Mazzarella (Pd), preside della facoltà di Lettere e Filosofia all’università di Napoli: «A me, per esempio, il leghista Polledri non stava simpatico quando parlava in commissione Cultura e Istruzione. Conoscendolo, invece, ho scoperto una persona cordiale e interessante».
Unico denominatore comune: la fede cattolica. Per il resto, tutti i giorni a Roma, scintille. Comè capitato a Barbara Saltamartini (Pdl), coinvolta addirittura in una rissa fisica con un dipietrista. E invece con Ignazio Messina (Idv) nessun problema in Russia.
Clima amichevole fra Cremlino ed Hermitage per il sottosegretario Carlo Giovanardi, l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro, le supercattoliche Paola Binetti e Dorina Bianchi, la matricola di Montecitorio Annagrazia Calabria. E poi il ciellino Renato Farina, l’Udc Enzo Carra, il Pd Matteo Colaninno, l’ex cognata di Berlusconi Mariella Bocciardo. Uniti dalla curiosità bipartisan per i reperti dell’Armata Rossa, dai giorni passati nei cinque pullman fra monumenti e visite a fosse comuni, serate a cantare attorno al pianoforte suonato dal deputato barese Francesco Paolo Sisto (Pdl), e sveglie di buon’ora per la messa quotidiana alle otto di monsignor Fisichella. Il quale saluta tutti: dal primo ottobre lascia la cura spirituale dei deputati, perché il papa lo ha nominato presidente del nuovo dicastero della curia per la rievangelizzazione dell'Occidente.
Mauro Suttora
Roma: metro senza stazioni
Incredibile: nella futura linea C cancellate quasi tutte le fermate in centro
Oggi, 22 settembre 2010
di Mauro Suttora
Trenta chilometri di coda la scorsa settimana sul Raccordo anulare. Ma l’inferno, per chi vuole muoversi a Roma, è quotidiano. I pendolari non sanno più se rassegnarsi a passare ore in auto, o farsi schiacciare come sardine in metro e nei bus durante le ore di punta.
Urgentissime, quindi, nuove linee di metro.
Adesso però la capitale stabilisce un nuovo record da Guinness: una metropolitana senza stazioni.
La nuova linea C, infatti, nel suo tratto centrale da piazza Venezia a Ottaviano (quartiere Prati), ha eliminato tre delle quattro fermate previste: Largo di Torre Argentina, Chiesa Nuova e piazza Risorgimento.
«Così per ben due chilometri da Piazza Venezia a San Pietro, lungo tutta via del Plebiscito e corso Vittorio, non ci saranno stazioni», dice Mario Staderini, segretario dei Radicali, il primo a denunciare la sparizione delle fermate dal progetto. «Proprio la zona più centrale di Roma, con piazza Navona, il Pantheon e Campo de’ Fiori, non sarà servita».
Anche Beppe Grillo dieci giorni fa si è accorto della questione, e ha ospitato sul suo sito un’intervista all’architetto Paolo Gelsomini.
Ma non è questione di destra o sinistra. Infatti la società Roma Metropolitane, che sta realizzando la terza linea, è controllata dal Comune. E questo nel 2008 è passato dalla sinistra del sindaco Walter Veltroni alla destra di Gianni Alemanno.
Com’è potuto accadere questo svarione? E c’è possibilità di rimedio? La società Roma Metropolitane spiega che la fermata Argentina era saltata già due anni fa per il ritrovamento di reperti archeologici. E che la recente scomparsa della fermata Chiesa Nuova, un chilometro più avanti verso il Tevere, è dovuta all’instabilità del terreno, scoperta dopo sondaggi.
Il problema è che tutta Roma ha sottoterra qualche reperto archeologico. Quindi, se si rimane prigionieri della smania conservazionista, non si può scavare da nessuna parte. Addio metropolitane, anche la futura linea D.
E chi se ne importa se i reperti rimarranno comunque sepolti, perché non si possono certo abbattere le case per «valorizzarli» come fece Mussolini con i Fori Imperiali.
«Senza le fermate in centro la metro C serve a poco», dice Staderini, «sarebbe come se a Milano sparissero tutte le stazioni sulla linea rossa da Cadorna a Palestro. Sul prolungamento della linea B, poi, è stata abolita la fermata Nomentana, che serviva un quartiere popolatissimo. E nel progetto della linea D è già sparita quella di piazza San Silvestro, nodo fondamentale per i capolinea dei bus e perché serve tutta la zona di Montecitorio, piazza Colonna, fontana di Trevi e Tritone».
«La linea C è l’opera pubblica più costosa attualmente in costruzione in Italia, dai due miliardi e messo previsti è passata a cinque miliardi, contro i quattro e mezzo del ponte di Messina. Ma senza quelle stazioni non ha senso», dice l’architetto Gelsomini sul blog di Grillo.
«Nelle zone abitate la distanza fra le fermata delle metropolitane dev’essere al massimo un chilometro», conferma a Oggi Edoardo Croci, professore all’università Bocconi ed esperto di trasporti, «perché gli utenti non possono camminare più di mezzo chilometro per raggiungerle. E occorre che ci siano nodi di corrispondenza con tram e bus».
Proprio a questo servirebbe la fermata soppressa a largo Argentina, dove il capolinea del jumbotram 8 da Monteverde e Trastevere porta in centro decine di migliaia di persone. Che troverebbero agevole proseguire il viaggio con la metropolitana.
La linea C è in progetto dal 1992. Doveva essere pronta per il 2011, ma non lo sarà prima del 2018. Speriamo che almeno una fermata in centro venga ripristinata.
Mauro Suttora
Thursday, September 09, 2010
Usa: belle a destra, brutte a sinistra?
SCHERZO SU YOU TUBE
di Mauro Suttora
Oggi, 27 agosto 2010
La più sfrontata si chiama Ann Coulter. Adora titillare le fantasie erotiche del maschio reazionario medio americano facendosi fotografare seminuda vicino alla canna di un fucile. Per fare propaganda alla Nra (National Rifle Association), il bastione fascistoide che difende la libertà di portare armi, ossessione degli Stati Uniti.
Ma la Coulter non è l’unica bella donna della destra americana. La più famosa è Sarah Palin, l’ex governatrice dell’Alaska candidata repubblicana alla vicepresidenza con John McCain alle presidenziali del 2008, vinte dal democratico Barack Obama. Secondo alcuni McCain perse anche perché la Palin è di una destra troppo estrema. Ma invece di essere per questo emarginata dal partito, dopo il ko la pugnace Sarah si è rialzata, ha pubblicato un’autobiografia di successo (oltre due milioni di copie vendute), e adesso minaccia Obama alle elezioni di metà mandato di novembre, sull’onda del successo del movimento antitasse «Tea party».
Qualche giorno fa il responsabile di un sito di propaganda del partito repubblicano ha messo per scherzo su YouTube un video con una sequenza di belle donne di destra come la Coulter, la Palin e varie altre, fra cui l’attrice Bo Derek. In colonna sonora, la canzone di Tom Jones She’s a Lady.
Poi la musica cambia: arriva il brano Who let the dog out? (Chi ha tolto il guinzaglio al cane?), e una serie di foto distorte di donne politiche di sinistra: la segretaria di stato (ministra degli Esteri) Hillary Clinton, Madeleine Albright che la precedette nella stessa carica sotto la presidenza del marito Bill, la ministra Janet Napolitano, ministra dell’Interno e già governatrice dell’Arizona, e perfino la first lady Michelle Obama (contrapposta a un’altra donna di colore, Condoleezza Rice, considerata invece bella perché di destra). Apriti cielo: dopo una valanga di proteste YouTube ha censurato il video, ritenuto offensivo. Negli Usa non è considerato «politicamente corretto» scherzare sull’aspetto fisico delle persone.
In effetti, a destra negli Stati Uniti le bellezze abbondano. Ma non si tratta soltanto di «bionde sciocche», secondo lo stereotipo di Marilyn Monroe. Laura Ingraham, per esempio, ha sei milioni di ascoltatori per il suo programma conservatore alla radio. Ma è anche rimasta in testa alla classifica dei libri più venduti per tutta quest’estate, grazie ai suoi Obama’s Diaries. Lei è una che non le manda a dire: chiamava i gay «sodomiti», fino a quando ha scoperto che pure suo fratello lo è.
Anche i libri molto aggressivi della Coulter diventano subito bestseller. Entrambe hanno inoltre la lingua sciolta, per cui sono la delizia dei talk show politici tv sulla rete Fox di estrema destra di Rupert Murdoch, che scandalizzano ogni sera il popolo di sinistra.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 27 agosto 2010
La più sfrontata si chiama Ann Coulter. Adora titillare le fantasie erotiche del maschio reazionario medio americano facendosi fotografare seminuda vicino alla canna di un fucile. Per fare propaganda alla Nra (National Rifle Association), il bastione fascistoide che difende la libertà di portare armi, ossessione degli Stati Uniti.
Ma la Coulter non è l’unica bella donna della destra americana. La più famosa è Sarah Palin, l’ex governatrice dell’Alaska candidata repubblicana alla vicepresidenza con John McCain alle presidenziali del 2008, vinte dal democratico Barack Obama. Secondo alcuni McCain perse anche perché la Palin è di una destra troppo estrema. Ma invece di essere per questo emarginata dal partito, dopo il ko la pugnace Sarah si è rialzata, ha pubblicato un’autobiografia di successo (oltre due milioni di copie vendute), e adesso minaccia Obama alle elezioni di metà mandato di novembre, sull’onda del successo del movimento antitasse «Tea party».
Qualche giorno fa il responsabile di un sito di propaganda del partito repubblicano ha messo per scherzo su YouTube un video con una sequenza di belle donne di destra come la Coulter, la Palin e varie altre, fra cui l’attrice Bo Derek. In colonna sonora, la canzone di Tom Jones She’s a Lady.
Poi la musica cambia: arriva il brano Who let the dog out? (Chi ha tolto il guinzaglio al cane?), e una serie di foto distorte di donne politiche di sinistra: la segretaria di stato (ministra degli Esteri) Hillary Clinton, Madeleine Albright che la precedette nella stessa carica sotto la presidenza del marito Bill, la ministra Janet Napolitano, ministra dell’Interno e già governatrice dell’Arizona, e perfino la first lady Michelle Obama (contrapposta a un’altra donna di colore, Condoleezza Rice, considerata invece bella perché di destra). Apriti cielo: dopo una valanga di proteste YouTube ha censurato il video, ritenuto offensivo. Negli Usa non è considerato «politicamente corretto» scherzare sull’aspetto fisico delle persone.
In effetti, a destra negli Stati Uniti le bellezze abbondano. Ma non si tratta soltanto di «bionde sciocche», secondo lo stereotipo di Marilyn Monroe. Laura Ingraham, per esempio, ha sei milioni di ascoltatori per il suo programma conservatore alla radio. Ma è anche rimasta in testa alla classifica dei libri più venduti per tutta quest’estate, grazie ai suoi Obama’s Diaries. Lei è una che non le manda a dire: chiamava i gay «sodomiti», fino a quando ha scoperto che pure suo fratello lo è.
Anche i libri molto aggressivi della Coulter diventano subito bestseller. Entrambe hanno inoltre la lingua sciolta, per cui sono la delizia dei talk show politici tv sulla rete Fox di estrema destra di Rupert Murdoch, che scandalizzano ogni sera il popolo di sinistra.
Mauro Suttora
Wednesday, September 08, 2010
Politica & tacchi a spillo
LA SENATRICE CONTINI ACCUSA: TROPPE FANNO CARRIERA GRAZIE A TACCHI E MINIGONNE
Oggi, 1 settembre 2010
Porterà anche i tacchi a spillo, però possiamo testimoniare che quando le abbiamo telefonato, alle ore 15 di mercoledì 25 agosto, l’onorevole 28enne del Pdl Barbara Mannucci stava studiando a casa per la sua seconda laurea, in scienza dell’amministrazione.
«Studiare mi rilassa», confessa la secchiona. Allora, sono questi i vizi segreti delle berlusconiane taccospillate? Le ha staffilate un’altra Barbara, anche lei Pdl fino a un mese fa (quando è passata con Fini), la senatrice Contini: «Con Berlusconi le donne fanno carriera grazie a minigonne e tacchi a spillo».
Un’ovvietà, se lo dicesse qualcuno a sinistra: da anni il sito Dagospia ha soprannominato «Forza Gnocca» le appariscenti parlamentari del centrodestra. Ma che le stesse accuse ora le lanci una donna del Pdl, fa male. Risponde Daniela Santanchè, sempre splendida su tacco 12: «La Contini è invidiosa, gelosa, stupida».
La ministra Mara Carfagna, altra icona dello stiletto, preferisce il silenzio. Come l’altra principale indiziata degli strali della Contini, Laura Ravetto: bella e bellicosa, Berlusconi l’ha nominata sottosegretaria ai Rapporti col Parlamento sei mesi fa, assieme alla Santanché (quest’ultima a una non meglio precisata «Attuazione del programma»).
«Forse la Contini parla così perché non si è sentita abbastanza valorizzata», insinua Jole Santelli. Eppure Berlusconi l’aveva nominata governatrice di Nassiria in Iraq, e poi responsabile esteri di Forza Italia nel 2008: fu lei a scegliere i candidati nei collegi esteri. «Tutti maschi, però...», precisa la Mannucci.
Non sarà che il premier ha «valorizzato» un po’ troppe donne giovani e belle? «Per fortuna», dice a Oggi Melania Rizzoli, «ed è l’unico a farlo in Italia». Sì, ma alcune vengono paracadutate subito ai piani alti della politica, senza esperienza, saltando ogni cursus honorum. «Berlusconi è un ottimo conoscitore delle capacità di chi gli sta intorno», assicura l’onorevole Rizzoli.
Barbara Mannucci, sempre in testa alle classifiche di Miss Parlamento, dice che spesso ai tacchi a spillo deve rinunciare: «Troppa fatica, a me dopo un’ora fanno male i piedi. Invidio deputate come Paola Pelino che li portano tutto il giorno. Io invece, e anche la collega Fiorella Ceccacci Rubino, spesso arrivo alla Camera con le Hogan».
E perché a sinistra niente tacchi a spillo? «Perché si automortificano», dice la Mannucci, «Marianna Madia per esempio sarebbe così bella se solo si truccasse un po’...»
Mauro Suttora
Oggi, 1 settembre 2010
Porterà anche i tacchi a spillo, però possiamo testimoniare che quando le abbiamo telefonato, alle ore 15 di mercoledì 25 agosto, l’onorevole 28enne del Pdl Barbara Mannucci stava studiando a casa per la sua seconda laurea, in scienza dell’amministrazione.
«Studiare mi rilassa», confessa la secchiona. Allora, sono questi i vizi segreti delle berlusconiane taccospillate? Le ha staffilate un’altra Barbara, anche lei Pdl fino a un mese fa (quando è passata con Fini), la senatrice Contini: «Con Berlusconi le donne fanno carriera grazie a minigonne e tacchi a spillo».
Un’ovvietà, se lo dicesse qualcuno a sinistra: da anni il sito Dagospia ha soprannominato «Forza Gnocca» le appariscenti parlamentari del centrodestra. Ma che le stesse accuse ora le lanci una donna del Pdl, fa male. Risponde Daniela Santanchè, sempre splendida su tacco 12: «La Contini è invidiosa, gelosa, stupida».
La ministra Mara Carfagna, altra icona dello stiletto, preferisce il silenzio. Come l’altra principale indiziata degli strali della Contini, Laura Ravetto: bella e bellicosa, Berlusconi l’ha nominata sottosegretaria ai Rapporti col Parlamento sei mesi fa, assieme alla Santanché (quest’ultima a una non meglio precisata «Attuazione del programma»).
«Forse la Contini parla così perché non si è sentita abbastanza valorizzata», insinua Jole Santelli. Eppure Berlusconi l’aveva nominata governatrice di Nassiria in Iraq, e poi responsabile esteri di Forza Italia nel 2008: fu lei a scegliere i candidati nei collegi esteri. «Tutti maschi, però...», precisa la Mannucci.
Non sarà che il premier ha «valorizzato» un po’ troppe donne giovani e belle? «Per fortuna», dice a Oggi Melania Rizzoli, «ed è l’unico a farlo in Italia». Sì, ma alcune vengono paracadutate subito ai piani alti della politica, senza esperienza, saltando ogni cursus honorum. «Berlusconi è un ottimo conoscitore delle capacità di chi gli sta intorno», assicura l’onorevole Rizzoli.
Barbara Mannucci, sempre in testa alle classifiche di Miss Parlamento, dice che spesso ai tacchi a spillo deve rinunciare: «Troppa fatica, a me dopo un’ora fanno male i piedi. Invidio deputate come Paola Pelino che li portano tutto il giorno. Io invece, e anche la collega Fiorella Ceccacci Rubino, spesso arrivo alla Camera con le Hogan».
E perché a sinistra niente tacchi a spillo? «Perché si automortificano», dice la Mannucci, «Marianna Madia per esempio sarebbe così bella se solo si truccasse un po’...»
Mauro Suttora
Monday, September 06, 2010
Moglie di deputato: prezzi modici
Ecco i sorprendenti prezzi modici praticati da Carla Weatherley, moglie del deputato conservatore inglese che si prostituisce (lei. Lui non so, nonostante il detto "I politici sono tutti un po' puttane").
Al cambio attuale sterlina/euro sono 36 euro per il «sollievo manuale», 47 per «sesso orale con preservativo seguito da sesso», e 83 per «sesso orale senza preservativo seguito da sesso completo con preservativo»...
Che tariffe complicate, e anche che vita complicata quella della moglie dell'onorevole quando spiega i suoi turni nei tre bordelli al giornalista...
Infine: che tirchio l'onorevole, che evidentemente non la soddisfa nelle sue esigenze economiche. E non fatemi i razzisti, solo perché Carla è brasiliana.
"(...) Within minutes, smiling Carla walked into the room in pink lingerie and introduced herself as “Bea”. She then recited a price list, “£30 for hand relief, £40 for oral sex with a condom followed by sex and £70 for oral sex without a condom followed by full sex with a condom”.
After making herself comfortable on the bed she told how she used to live by Copacabana beach and moved to the UK to learn English.
She then spoke about the other two brothels where she works, nearby North Cheam Massage and Intimate Massage in Bedford. She said: “I started working in Bedford in February, but it is very far away. Here we have two houses, this one and one in Cheam. And I work there at the moment. I cover for my friend because she’s on holiday. I work Thursday there and Friday here. Then, when she is back, I will work Mondays. Thursdays here, Mondays there.”
When asked whether she minded selling her body Carla replied: “I like it here, nice clients, nice people, nice place and good money.” (...)
articolo del Sunday Mirror, 5.9.10
Al cambio attuale sterlina/euro sono 36 euro per il «sollievo manuale», 47 per «sesso orale con preservativo seguito da sesso», e 83 per «sesso orale senza preservativo seguito da sesso completo con preservativo»...
Che tariffe complicate, e anche che vita complicata quella della moglie dell'onorevole quando spiega i suoi turni nei tre bordelli al giornalista...
Infine: che tirchio l'onorevole, che evidentemente non la soddisfa nelle sue esigenze economiche. E non fatemi i razzisti, solo perché Carla è brasiliana.
"(...) Within minutes, smiling Carla walked into the room in pink lingerie and introduced herself as “Bea”. She then recited a price list, “£30 for hand relief, £40 for oral sex with a condom followed by sex and £70 for oral sex without a condom followed by full sex with a condom”.
After making herself comfortable on the bed she told how she used to live by Copacabana beach and moved to the UK to learn English.
She then spoke about the other two brothels where she works, nearby North Cheam Massage and Intimate Massage in Bedford. She said: “I started working in Bedford in February, but it is very far away. Here we have two houses, this one and one in Cheam. And I work there at the moment. I cover for my friend because she’s on holiday. I work Thursday there and Friday here. Then, when she is back, I will work Mondays. Thursdays here, Mondays there.”
When asked whether she minded selling her body Carla replied: “I like it here, nice clients, nice people, nice place and good money.” (...)
articolo del Sunday Mirror, 5.9.10
Friday, September 03, 2010
'Mussolini segreto': traduzione norvegese
Dagbladet, il principale quotidiano della Norvegia, il 13 agosto 2010 dedica un articolo di un'intera pagina di Simen Ekern al libro Jeg, Il Duces kvinne (Io, la donna del duce), traduzione in norvegese del libro Mussolini segreto, i diari di Claretta Petacci a cura di Mauro Suttora (Rizzoli 2009), pubblicata nell'agosto 2010:
articolo di Dagbladet
Tre giorni dopo (16 agosto) segue il secondo quotidiano norvegese, Aftenposten, con un articolo a tutta pagina di Ulf Andenaes della sezione Cultura:
*
articolo di Dagbladet
Tre giorni dopo (16 agosto) segue il secondo quotidiano norvegese, Aftenposten, con un articolo a tutta pagina di Ulf Andenaes della sezione Cultura:
*
articolo sul quotidiano Dagbladet, 13 agosto 2010 |
Coda Zabetta a Milano
A Palazzo Reale Coda Zabetta dipinge Hiroshima
Oggi, 11 agosto 2010
Quindici grandi tele in bianco e nero, due anni di lavoro, un'unica tragica ispirazione: la bomba atomica. A 65 anni da Hiroshima (era il 6 agosto 1945) Roberto Coda Zabetta racconta la follia di quel momento con i quadri della mostra Nuvole sacre (Palazzo Reale, fino al 29 agosto)
Oggi, 11 agosto 2010
Quindici grandi tele in bianco e nero, due anni di lavoro, un'unica tragica ispirazione: la bomba atomica. A 65 anni da Hiroshima (era il 6 agosto 1945) Roberto Coda Zabetta racconta la follia di quel momento con i quadri della mostra Nuvole sacre (Palazzo Reale, fino al 29 agosto)
Thursday, September 02, 2010
Oggi: la Tulliani come la Petacci?
da www.corriere.it del 17.8.10:
Non è un collegamento diretto, ma un punto in comune sì quello che il settimanale Oggi (www.oggi.it), in edicola mercoledì 18 agosto, evidenzia tra Mussolini e Fini. Non c'entra la politica, ma la famiglia: Claretta Petacci come Elisabetta Tulliani. Oggi pubblica infatti degli estratti del libro Mussolini segreto, a cura di Mauro Suttora (Rizzoli), da cui emerge che anche il Duce si prodigò per la famiglia della sua amante.
Nel 1937 raccomandò il fratello Marcello evitandogli il carcere: «Farò il tuo amante e il suo ministro (…)», le dice. Ordinò al quotidiano Il Messaggero di far scrivere il «suocero»: «Tuo padre è contento degli articoli?», chiede a Claretta. «Dopo dieci di questi lo faccio collaborare fisso (…). Poi lo farò senatore, sei contenta?».
Ma le analogie non finiscono qui – prosegue il settimanale. Mussolini si occupa anche della costruzione di una villa sulla Camilluccia, a Roma, per tutta la famiglia Petacci. Il 16 luglio ’38, il Duce chiede a Claretta: «Dimmi, tua madre ha fatto tutto il pagamento? Bene, così ora sei proprietaria. Bisogna fare il mutuo, non per me ma per la gente, capisci?». E il 20 dicembre del ’38 - conclude il settimanale - di nuovo un pensiero per il «cognato»: «Che fa il nostro? Hai ragione, a un certo momento bisogna sistemare un uomo, ormai ha trent’anni. Domani me ne interesserò, ora lo segno».
articolo completo di Oggi:
I potenti di ogni epoca hanno sempre avuto mogli, compagne e amanti ad assillarli con raccomandazioni. Gianfranco Fini come Benito Mussolini. Claretta Petacci, amante del duce, era asfissiante. Conobbe Benito a vent’anni, nell’aprile 1932. I due non si erano scambiati neanche un bacio, ma pochi mesi dopo lei era già lì a pretendere. Per suo padre, per il fidanzato, per il fratello.
Ecco la trascrizione di una telefonata del 15 dicembre ’32, dal libro Mussolini segreto (Rizzoli, 2009) con i diari di Claretta. La cui autenticità è garantita dall’Archivio di stato che li ha resi pubblici dopo 70 anni.
Claretta: «La causa di mio papà. Bisogna che lei se ne interessi. Ecco, ho qui dei nomi».
Mussolini: «Già, vedo. Ma io non posso far nulla direttamente, non posso interessarmene. In dieci anni non mi sono mai incaricato di giustizia, per un sentimento mio di coscienza».
C. «Già, ma la giustizia...»
M. «Farà il suo giusto corso. Il tuo fidanzamento, come va? [Claretta è fidanzata con Riccardo Federici, tenente dell’Aeronautica, 28 anni, ndr]»
C. «Il mio fidanzamento dipende da Vostra Eccellenza» [vuole un trasferimento che avvicini il suo Riccardo a Roma].
M. «Da me? Sai che non è possibile, perché c’è la legge che lo vieta. Te l’ho detto».
C. «Appunto perché esiste una legge che lo vieta, ho domandato il suo consenso. Altrimenti era inutile disturbarlo».
M. «Già, ma non è possibile far nulla, e lui pure deve saperlo».
C. «Precisamente, il tenente [mio fidanzato] non voleva fare la domanda per via gerarchica perché sapeva di non poterla fare, e perciò la diresse a lei. Era inutile andare per una strada che già si conosceva impossibile».
M. «Ma io di fronte ad una legge che vige non posso far nulla. Non posso essere io, il capo, a trasgredirla».
Nel marzo ‘34 Claretta, ormai sposata con Federici (e ancora allo stadio platonico con Mussolini) cambia obiettivo: «Perché non lo fa suo aiutante di volo?»
Mussolini: «Perché conosco te».
C. «Ebbene che c’entra? Anzi, ragione di più».
M. «No, perché direbbero: “L’ha fatto aiutante di volo perché è l’amico della moglie”».
C. «E allora di tutti questi che vanno avanti, che ne sappiamo se la moglie... non lo dicono, questo».
M. «Lo dicono, lo dicono».
C. «E che importa?»
M. «Importa sì, perché poi gli dovrò dare degli ordini, lo dovrò avere a mio contatto, e devo pensare che di fronte alla mia coscienza faccio la figura del traditore. No, questo no».
C. «Quanti scrupoli di coscienza».
M. «È questo il mio forte, se non avessi così profondamente coscienza non riuscirei a vincere gli altri».
C. «Ma pure Napoleone prendeva a benvolere delle ragazze e le favoriva».
M. «Già, e questa era una sua debolezza».
C. «Insomma, non mi vuole aiutare. Un aiutante dovrà pure prenderlo. È un bel ragazzo, di bella presenza, intelligente».
M. «Lo credo, lo credo, ho la massima stima di lui come pilota e come ufficiale. Ma conosco te e basta».
C. «Capisco, non mi aiutate perché non mi volete più bene».
M. «Non posso».
C. «Fate conto che io sia vostra figlia».
M. «Già, ma non lo sei. Io i miei parenti li pesto più che posso, non li aiuto mai, ho questa abitudine».
Abitudine che già l’anno dopo abbandonerà. Scrive infatti Claretta a Mussolini del ’35: «Ecco i documenti di mio fratello [Marcello, che verrà fucilato a Dongo nel ‘45, ndr], che Ella con tanta benevolenza mi ha richiesto e di cui vi è copia alla sede del fascio. Le sono infinitamente grata di quest’altra prova di affettuoso interessamento che Ella ha voluto darmi. Vi sono inoltre dei fatti avvenuti durante l’attività giovanile, che non sono documentati. Ricordo per esempio che nel 1921, per aver gettato nella calce una bandiera rossa, fu percosso tanto che dovette rimanere due settimane in clinica. Nello stesso periodo fu aggredito da un sovversivo armato di coltello, che riuscì fortunatamente soltanto a ferirlo».
Fratello fascistissimo, insomma, e mamma di Claretta pure lei felice per uno dei tanti favori di Mussolini al figlio. Ecco infatti una lettera di ringraziamento della signora Petacci del 29 ottobre ’36: «Ancora una volta per Voi c’è nel mio animo un raggio di luce. Per la Vostra grande bontà Vi ringrazio con cuore riconoscente di mamma. Sono certa che il mio Marcello corrisponderà sempre degnamente a questo Vostro prezioso interessamento».
Nell’ottobre ’36 Claretta (separata dal marito) e Benito sono ormai amanti. E lei gli chiede per lettera di proteggere il padre Francesco Saverio, medico del Vaticano, da un tizio con cui è in causa: «Perdonami si ti disturbo, se ti parlo di cose estranee al mio amore... ma come fare senza il tuo consiglio? Papà avrebbe lasciato libero l’appartamento per aderire all’accordo. [...] Hanno ricorso a Sua Eccellenza Pacelli [Eugenio Pacelli (1876-1958), segretario di stato vaticano, diventerà papa Pio XII nel ‘39, ndr], mettendo in cattiva luce papà anche presso il governatore. Continua la sua linea scorretta, oltre che con il fascio, anche con papà».
Un anno dopo, 15 ottobre ‘37: «Mi dice di Marcello [che ha combinato un guaio], che stia tranquilla, che non gli fanno nulla, e che prima di esprimersi con tanta leggerezza su di un ufficiale ci pensino e stiano attenti a quello che fanno. Dice che Sebastiani [il segretario di Mussolini] ha detto che Marcello è un po’ esuberante ma simpaticissimo. Molto contento di averlo potuto aiutare».
Nove giorni dopo: «Lo trovo scuro. C’è la questione riguardante Marcello, una vigliaccheria che vogliono fargli, un’infamia. Io scatto, mi dispiaccio, mi viene da piangere, difendo Marcello per la verità e per la giustizia. Lui si convince, mi calma. Dice che farà di tutto perché nulla di male avvenga, capisce che qualcuno ad arte ha esagerato per fargli del male. “Farò il tuo amante e il suo ministro. La mia situazione è falsa, non voglio che si dica che me ne occupo perché è tuo fratello, perché questo non è. D’altronde se l’hanno mandato a me, vuol dire che avevano uno scopo”».
Due giorni dopo, il verdetto. Mussolini dice a Claretta: «Volevano dargli niente di meno che la fortezza [il carcere] per una scemenza di così poco valore. Allora ho detto di andarci piano, di non calcare la mano, che non è il caso. Se la caverà con una decina di giorni di arresti semplici o di rigore, non so, che poi non farà perché lavorerà lo stesso».
Mussolini ordina al quotidiano Il Messaggero di far scrivere il padre di Claretta: poi le chiede: «Tuo padre è contento degli articoli? Dopo dieci di questi lo faccio collaborare fisso, prenderà 2000-2500 lire al mese. Poi, nel ‘39, lo farò senatore. Sei contenta?».
La nomina al Senato non va in porto. E il 24 gennaio ’39 Claretta scrive: «Gli dico che mi è dispiaciuto abbia fatto la legge dei 60 anni [età minima per diventare senatore] che lascia fuori papà. Rimane male e dice: “Non sapevo che tuo padre fosse ancora così giovane. Sono spiacente, mi ha costretto a farlo una richiesta per 700 e più [seggi di] senatori [sui 212 da nominare per il nuovo Senato, ndr], quindi ho dovuto mettere un limite. Non credere che l’abbia fatto apposta. Mi sono trovato costretto per eludere molte domande”». Ma Claretta non ci crede e gli molla una scenata: «Rispondo come devo e mi vengono le lagrime».
Intanto è iniziata la costruzione di una villa sulla Camilluccia per tutta la famiglia Petacci. Il 16 luglio ’38 Mussolini chiede a Claretta: «Dimmi, tua madre ha fatto tutto il pagamento? Bene, così ora sei proprietaria [di casa]. Bisogna fare il mutuo, non per me ma per la gente, capisci. Sono contento che tu abbia qualcosa. Io sono nemico di avere beni, cose, tenute, ma ciò non toglie che sia contento che li abbiano gli altri».
E il 20 dicembre ’38 di nuovo un pensiero per il «cognato»: «Che fa il nostro? Hai ragione, a un certo momento bisogna sistemare un uomo, ormai ha trent’anni. Domani me ne interesserò, ora lo segno».
Mauro Suttora
Non è un collegamento diretto, ma un punto in comune sì quello che il settimanale Oggi (www.oggi.it), in edicola mercoledì 18 agosto, evidenzia tra Mussolini e Fini. Non c'entra la politica, ma la famiglia: Claretta Petacci come Elisabetta Tulliani. Oggi pubblica infatti degli estratti del libro Mussolini segreto, a cura di Mauro Suttora (Rizzoli), da cui emerge che anche il Duce si prodigò per la famiglia della sua amante.
Nel 1937 raccomandò il fratello Marcello evitandogli il carcere: «Farò il tuo amante e il suo ministro (…)», le dice. Ordinò al quotidiano Il Messaggero di far scrivere il «suocero»: «Tuo padre è contento degli articoli?», chiede a Claretta. «Dopo dieci di questi lo faccio collaborare fisso (…). Poi lo farò senatore, sei contenta?».
Ma le analogie non finiscono qui – prosegue il settimanale. Mussolini si occupa anche della costruzione di una villa sulla Camilluccia, a Roma, per tutta la famiglia Petacci. Il 16 luglio ’38, il Duce chiede a Claretta: «Dimmi, tua madre ha fatto tutto il pagamento? Bene, così ora sei proprietaria. Bisogna fare il mutuo, non per me ma per la gente, capisci?». E il 20 dicembre del ’38 - conclude il settimanale - di nuovo un pensiero per il «cognato»: «Che fa il nostro? Hai ragione, a un certo momento bisogna sistemare un uomo, ormai ha trent’anni. Domani me ne interesserò, ora lo segno».
articolo completo di Oggi:
I potenti di ogni epoca hanno sempre avuto mogli, compagne e amanti ad assillarli con raccomandazioni. Gianfranco Fini come Benito Mussolini. Claretta Petacci, amante del duce, era asfissiante. Conobbe Benito a vent’anni, nell’aprile 1932. I due non si erano scambiati neanche un bacio, ma pochi mesi dopo lei era già lì a pretendere. Per suo padre, per il fidanzato, per il fratello.
Ecco la trascrizione di una telefonata del 15 dicembre ’32, dal libro Mussolini segreto (Rizzoli, 2009) con i diari di Claretta. La cui autenticità è garantita dall’Archivio di stato che li ha resi pubblici dopo 70 anni.
Claretta: «La causa di mio papà. Bisogna che lei se ne interessi. Ecco, ho qui dei nomi».
Mussolini: «Già, vedo. Ma io non posso far nulla direttamente, non posso interessarmene. In dieci anni non mi sono mai incaricato di giustizia, per un sentimento mio di coscienza».
C. «Già, ma la giustizia...»
M. «Farà il suo giusto corso. Il tuo fidanzamento, come va? [Claretta è fidanzata con Riccardo Federici, tenente dell’Aeronautica, 28 anni, ndr]»
C. «Il mio fidanzamento dipende da Vostra Eccellenza» [vuole un trasferimento che avvicini il suo Riccardo a Roma].
M. «Da me? Sai che non è possibile, perché c’è la legge che lo vieta. Te l’ho detto».
C. «Appunto perché esiste una legge che lo vieta, ho domandato il suo consenso. Altrimenti era inutile disturbarlo».
M. «Già, ma non è possibile far nulla, e lui pure deve saperlo».
C. «Precisamente, il tenente [mio fidanzato] non voleva fare la domanda per via gerarchica perché sapeva di non poterla fare, e perciò la diresse a lei. Era inutile andare per una strada che già si conosceva impossibile».
M. «Ma io di fronte ad una legge che vige non posso far nulla. Non posso essere io, il capo, a trasgredirla».
Nel marzo ‘34 Claretta, ormai sposata con Federici (e ancora allo stadio platonico con Mussolini) cambia obiettivo: «Perché non lo fa suo aiutante di volo?»
Mussolini: «Perché conosco te».
C. «Ebbene che c’entra? Anzi, ragione di più».
M. «No, perché direbbero: “L’ha fatto aiutante di volo perché è l’amico della moglie”».
C. «E allora di tutti questi che vanno avanti, che ne sappiamo se la moglie... non lo dicono, questo».
M. «Lo dicono, lo dicono».
C. «E che importa?»
M. «Importa sì, perché poi gli dovrò dare degli ordini, lo dovrò avere a mio contatto, e devo pensare che di fronte alla mia coscienza faccio la figura del traditore. No, questo no».
C. «Quanti scrupoli di coscienza».
M. «È questo il mio forte, se non avessi così profondamente coscienza non riuscirei a vincere gli altri».
C. «Ma pure Napoleone prendeva a benvolere delle ragazze e le favoriva».
M. «Già, e questa era una sua debolezza».
C. «Insomma, non mi vuole aiutare. Un aiutante dovrà pure prenderlo. È un bel ragazzo, di bella presenza, intelligente».
M. «Lo credo, lo credo, ho la massima stima di lui come pilota e come ufficiale. Ma conosco te e basta».
C. «Capisco, non mi aiutate perché non mi volete più bene».
M. «Non posso».
C. «Fate conto che io sia vostra figlia».
M. «Già, ma non lo sei. Io i miei parenti li pesto più che posso, non li aiuto mai, ho questa abitudine».
Abitudine che già l’anno dopo abbandonerà. Scrive infatti Claretta a Mussolini del ’35: «Ecco i documenti di mio fratello [Marcello, che verrà fucilato a Dongo nel ‘45, ndr], che Ella con tanta benevolenza mi ha richiesto e di cui vi è copia alla sede del fascio. Le sono infinitamente grata di quest’altra prova di affettuoso interessamento che Ella ha voluto darmi. Vi sono inoltre dei fatti avvenuti durante l’attività giovanile, che non sono documentati. Ricordo per esempio che nel 1921, per aver gettato nella calce una bandiera rossa, fu percosso tanto che dovette rimanere due settimane in clinica. Nello stesso periodo fu aggredito da un sovversivo armato di coltello, che riuscì fortunatamente soltanto a ferirlo».
Fratello fascistissimo, insomma, e mamma di Claretta pure lei felice per uno dei tanti favori di Mussolini al figlio. Ecco infatti una lettera di ringraziamento della signora Petacci del 29 ottobre ’36: «Ancora una volta per Voi c’è nel mio animo un raggio di luce. Per la Vostra grande bontà Vi ringrazio con cuore riconoscente di mamma. Sono certa che il mio Marcello corrisponderà sempre degnamente a questo Vostro prezioso interessamento».
Nell’ottobre ’36 Claretta (separata dal marito) e Benito sono ormai amanti. E lei gli chiede per lettera di proteggere il padre Francesco Saverio, medico del Vaticano, da un tizio con cui è in causa: «Perdonami si ti disturbo, se ti parlo di cose estranee al mio amore... ma come fare senza il tuo consiglio? Papà avrebbe lasciato libero l’appartamento per aderire all’accordo. [...] Hanno ricorso a Sua Eccellenza Pacelli [Eugenio Pacelli (1876-1958), segretario di stato vaticano, diventerà papa Pio XII nel ‘39, ndr], mettendo in cattiva luce papà anche presso il governatore. Continua la sua linea scorretta, oltre che con il fascio, anche con papà».
Un anno dopo, 15 ottobre ‘37: «Mi dice di Marcello [che ha combinato un guaio], che stia tranquilla, che non gli fanno nulla, e che prima di esprimersi con tanta leggerezza su di un ufficiale ci pensino e stiano attenti a quello che fanno. Dice che Sebastiani [il segretario di Mussolini] ha detto che Marcello è un po’ esuberante ma simpaticissimo. Molto contento di averlo potuto aiutare».
Nove giorni dopo: «Lo trovo scuro. C’è la questione riguardante Marcello, una vigliaccheria che vogliono fargli, un’infamia. Io scatto, mi dispiaccio, mi viene da piangere, difendo Marcello per la verità e per la giustizia. Lui si convince, mi calma. Dice che farà di tutto perché nulla di male avvenga, capisce che qualcuno ad arte ha esagerato per fargli del male. “Farò il tuo amante e il suo ministro. La mia situazione è falsa, non voglio che si dica che me ne occupo perché è tuo fratello, perché questo non è. D’altronde se l’hanno mandato a me, vuol dire che avevano uno scopo”».
Due giorni dopo, il verdetto. Mussolini dice a Claretta: «Volevano dargli niente di meno che la fortezza [il carcere] per una scemenza di così poco valore. Allora ho detto di andarci piano, di non calcare la mano, che non è il caso. Se la caverà con una decina di giorni di arresti semplici o di rigore, non so, che poi non farà perché lavorerà lo stesso».
Mussolini ordina al quotidiano Il Messaggero di far scrivere il padre di Claretta: poi le chiede: «Tuo padre è contento degli articoli? Dopo dieci di questi lo faccio collaborare fisso, prenderà 2000-2500 lire al mese. Poi, nel ‘39, lo farò senatore. Sei contenta?».
La nomina al Senato non va in porto. E il 24 gennaio ’39 Claretta scrive: «Gli dico che mi è dispiaciuto abbia fatto la legge dei 60 anni [età minima per diventare senatore] che lascia fuori papà. Rimane male e dice: “Non sapevo che tuo padre fosse ancora così giovane. Sono spiacente, mi ha costretto a farlo una richiesta per 700 e più [seggi di] senatori [sui 212 da nominare per il nuovo Senato, ndr], quindi ho dovuto mettere un limite. Non credere che l’abbia fatto apposta. Mi sono trovato costretto per eludere molte domande”». Ma Claretta non ci crede e gli molla una scenata: «Rispondo come devo e mi vengono le lagrime».
Intanto è iniziata la costruzione di una villa sulla Camilluccia per tutta la famiglia Petacci. Il 16 luglio ’38 Mussolini chiede a Claretta: «Dimmi, tua madre ha fatto tutto il pagamento? Bene, così ora sei proprietaria [di casa]. Bisogna fare il mutuo, non per me ma per la gente, capisci. Sono contento che tu abbia qualcosa. Io sono nemico di avere beni, cose, tenute, ma ciò non toglie che sia contento che li abbiano gli altri».
E il 20 dicembre ’38 di nuovo un pensiero per il «cognato»: «Che fa il nostro? Hai ragione, a un certo momento bisogna sistemare un uomo, ormai ha trent’anni. Domani me ne interesserò, ora lo segno».
Mauro Suttora
Viaggio nell'Europarlamento
Cosa fanno i cinque eurodeputati 'adottati' da Oggi
ORA PER ORA, COSÌ FUNZIONA IL PARLAMENTO UE
Nel 2009 ne avevamo scelto uno per partito, ripromettendoci di «controllare» la loro attività. Siamo andati a trovarli e abbiamo scoperto che due sono incinte, il leghista è infaticabile, e il dipietrista...
dall'inviato Mauro Suttora
Bruxelles, luglio 2010
Arrivo all'una nell'aeroporto della capitale belga (ed europea) durante l'ultima settimana di lavoro dell'Europarlamento prima delle ferie estive. Chiamo dal bus l'ufficio di Licia Ronzulli, deputata Pdl: «Peccato che arrivi solo adesso, è appena finito un bellissimo ricevimento per Roma con concerto di Bocelli!», mi risponde lei. La grande novità, però, è che Licia è incinta. All'ottavo mese. In agosto nasce Vittoria. E, incredibilmente, è in dolce attesa (quinto mese) anche l'altra eurodeputata «adottata» l'anno scorso da Oggi: Francesca Balzani, Pd.
Scendo dal bus e m'incammino verso il nuovo edificio che ospita gli uffici dell'Europarlamento. È intitolato ad Altiero Spinelli, che con il suo Manifesto di Ventotene del 1941, scritto al confino nell'isola con Ernesto Rossi, è uno dei padri dell'Europa unita. Da italiano, sono orgoglioso di vedere il suo nome all'ingresso del palazzo. Quello di fronte è dedicato a Paul-Henri Spaak, premier belga e zio di Catherine.
MINACCIA ISLAMICA
In portineria mi viene a prendere in consegna l'assistente della Balzani. A causa delle minacce dei terroristi islamici, entrare nell'Europarlamento è diventato difficile. Non solo bisogna fare un'apposita tessera con foto, ma ogni ospite dev'essere fisicamente accolto al piano terra da chi lo ha invitato e garantisce per lui. L'onorevole Balzani è in riunione, cosicché mi dirigo verso l'ufficio della Ronzulli: 09E246. Significa che è al nono piano nell'ala E. Complicatissimo: se si sbaglia ala bisogna tornare giù e risalire.
Nell'ascensore vedo il manifestino che annuncia la «festa per Roma». Oltre al concerto di Bocelli c'è stato un ricevimento e la proiezione di un documentario di Zeffirelli. Il sindaco Alemanno non è venuto, sostituito dal vice Mauro Cutrufo. Motivo della manifestazione: propagandare il Gran Premio di Formula Uno che Roma vuole organizzare all'Eur, e la candidatura alle Olimpiadi del 2020.
Arriva la Ronzulli nel corridoio moquettato, seguita dai suoi due assistenti. Le chiedo se «feste» come questa non rischiano di far parte dei leggendari sprechi dell'Europarlamento. Mi spiega che ogni eurodeputato ha a disposizione 15 mila euro l'anno per convegni e iniziative simili, o anche per invitare propri elettori dall'Italia a visitare il Parlamento.
Nella classifica delle presenze la Ronzulli non brilla: ha partecipato all'83% delle sedute plenarie, e risulta 46ª su 72. Ma è ampiamente giustificata dalla gravidanza, arrivata dopo due anni di matrimonio. «Per la verità sono stata assente anche la settimana dopo l'incidente a Berlusconi, lo scorso dicembre. Gli sono stata vicino». Licia, infatti, lavora in ospedale, è manager sanitaria ed è una delle giovani che il premier ha valorizzato. Le ha fatto saltare il cursus honorum abituale (prima consigliere circoscrizionale, comunale, provinciale, regionale, poi deputato nazionale, infine europeo), proiettandola subito in Europa.
Altre due eurodeputate giovanissime sono state elette nel Pdl per volere di Berlusconi: la bocconiana Lara Comi, 27 anni, e l'attrice pugliese 29enne Barbara Matera. Sono risultate assidue e preparate. Ovviamente la Ronzulli non vuole essere associata alle soubrette: «Qui si lavora, e molto. Faccio parte della commissione Occupazione e Affari sociali e di quella per i Rapporti con i Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico. Mi sono battuta per la risoluzione contro il precariato giovanile».
DA UKMAR A STRASBURGO
Saliamo al quindicesimo piano, dove stanno gli uffici degli eurodeputati democratici. Francesca Balzani, genovese, collaboratrice del tributarista Victor Ukmar, è stata assessore al Bilancio della sua città. E anche a Bruxelles è entrata nella commissione Bilancio. Un mese fa, poi, è stata nominata nella commissione Prospettive Finanziarie: sarà lei a decidere (assieme agli altri 49 membri, di cui solo due italiani) dove andranno i finanziamenti Ue nei prossimi anni. Un ruolo cruciale, per affrontare il quale ha preso casa a Bruxelles. «E adesso questa bella sorpresa: la terza figlia». Che si chiamerà Agata.
L'ASSURDA DOPPIA SEDE
Anche alla Balzani chiediamo degli sprechi europei: «Quelli più grandi avvengono non per il funzionamento delle istituzioni come il Parlamento, ma per certi finanziamenti con scarso rendiconto. Comunque è chiaro che la doppia sede del Parlamento, a Bruxelles e a Strasburgo, fa aumentare inutilmente i costi». Ma guai a parlarne ai francesi, di ogni colore: difendono la loro Strasburgo con i denti.
Lo conferma Niccolò Rinaldi, fiorentino e veterano di Bruxelles. Ci arrivò come assistente di Jas Gawronski, eurodeputato prima repubblicano per 15 anni, quindi di Forza Italia per altri quindici. «Poi sono diventato funzionario del gruppo liberaldemocratico, e lì ho conosciuto Di Pietro che mi ha apprezzato». Eletto per la prima volta europarlamentare l'anno scorso per l'Idv, Rinaldi si muove nei corridoi di Bruxelles con consumata abilità. E sopperisce all'inesperienza di altri eletti italiani i quali, parlando poco inglese e francese, spesso sono tagliati fuori dalle decisioni importanti.
«Parliamoci chiaro», spiega Rinaldi, «qui le battaglie non si fanno solo nelle sedute plenarie, ma anche nelle commissioni e nei gruppi. Perché oltre alle divisioni fra destra e sinistra ci sono quelle nazionali, che spesso pesano di più». Un esempio: il presidente francese del Ppe (i popolari) è stato il principale avversario dei deputati italiani del suo stesso gruppo, quando questi hanno chiesto un'unica sede per il Parlamento, eliminando Strasburgo, per risparmiare 250 milioni l'anno.
Intanto, si sono fatte le sei del pomeriggio. Accompagniamo Rinaldi, reduce da un viaggio ad Haiti dove ha controllato gli aiuti Ue, a un aperitivo in un caffè vicino al Parlamento. Tipico incontro cui devono partecipare i deputati. La Confindustria italiana, infatti, ha invitato a Bruxelles una delegazione di piccoli imprenditori per familiarizzarli ai meccanismi di finanziamento Ue.
LEGHISTA CONTRO TURCHIA
Il mattino dopo visitiamo un altro giovane: l'eurodeputato veronese Lorenzo Fontana (Lega Nord). È reduce da una battaglia con il commissario per l'Allargamento. Gli aveva indirizzato un'interrogazione contro l'entrata in Europa della Turchia, obiettando che Istanbul non ha mai chiesto scusa per il genocidio degli armeni. Quello gli ha risposto che bisogna guardare al futuro, non al passato. «Allora dimentichiamoci pure dello sterminio degli ebrei...», commenta Fontana. Il quale, per l'eccessiva lontananza, ha perso la fidanzata italiana. Capita anche questo, andando a Bruxelles.
Mauro Suttora
ORA PER ORA, COSÌ FUNZIONA IL PARLAMENTO UE
Nel 2009 ne avevamo scelto uno per partito, ripromettendoci di «controllare» la loro attività. Siamo andati a trovarli e abbiamo scoperto che due sono incinte, il leghista è infaticabile, e il dipietrista...
dall'inviato Mauro Suttora
Bruxelles, luglio 2010
Arrivo all'una nell'aeroporto della capitale belga (ed europea) durante l'ultima settimana di lavoro dell'Europarlamento prima delle ferie estive. Chiamo dal bus l'ufficio di Licia Ronzulli, deputata Pdl: «Peccato che arrivi solo adesso, è appena finito un bellissimo ricevimento per Roma con concerto di Bocelli!», mi risponde lei. La grande novità, però, è che Licia è incinta. All'ottavo mese. In agosto nasce Vittoria. E, incredibilmente, è in dolce attesa (quinto mese) anche l'altra eurodeputata «adottata» l'anno scorso da Oggi: Francesca Balzani, Pd.
Scendo dal bus e m'incammino verso il nuovo edificio che ospita gli uffici dell'Europarlamento. È intitolato ad Altiero Spinelli, che con il suo Manifesto di Ventotene del 1941, scritto al confino nell'isola con Ernesto Rossi, è uno dei padri dell'Europa unita. Da italiano, sono orgoglioso di vedere il suo nome all'ingresso del palazzo. Quello di fronte è dedicato a Paul-Henri Spaak, premier belga e zio di Catherine.
MINACCIA ISLAMICA
In portineria mi viene a prendere in consegna l'assistente della Balzani. A causa delle minacce dei terroristi islamici, entrare nell'Europarlamento è diventato difficile. Non solo bisogna fare un'apposita tessera con foto, ma ogni ospite dev'essere fisicamente accolto al piano terra da chi lo ha invitato e garantisce per lui. L'onorevole Balzani è in riunione, cosicché mi dirigo verso l'ufficio della Ronzulli: 09E246. Significa che è al nono piano nell'ala E. Complicatissimo: se si sbaglia ala bisogna tornare giù e risalire.
Nell'ascensore vedo il manifestino che annuncia la «festa per Roma». Oltre al concerto di Bocelli c'è stato un ricevimento e la proiezione di un documentario di Zeffirelli. Il sindaco Alemanno non è venuto, sostituito dal vice Mauro Cutrufo. Motivo della manifestazione: propagandare il Gran Premio di Formula Uno che Roma vuole organizzare all'Eur, e la candidatura alle Olimpiadi del 2020.
Arriva la Ronzulli nel corridoio moquettato, seguita dai suoi due assistenti. Le chiedo se «feste» come questa non rischiano di far parte dei leggendari sprechi dell'Europarlamento. Mi spiega che ogni eurodeputato ha a disposizione 15 mila euro l'anno per convegni e iniziative simili, o anche per invitare propri elettori dall'Italia a visitare il Parlamento.
Nella classifica delle presenze la Ronzulli non brilla: ha partecipato all'83% delle sedute plenarie, e risulta 46ª su 72. Ma è ampiamente giustificata dalla gravidanza, arrivata dopo due anni di matrimonio. «Per la verità sono stata assente anche la settimana dopo l'incidente a Berlusconi, lo scorso dicembre. Gli sono stata vicino». Licia, infatti, lavora in ospedale, è manager sanitaria ed è una delle giovani che il premier ha valorizzato. Le ha fatto saltare il cursus honorum abituale (prima consigliere circoscrizionale, comunale, provinciale, regionale, poi deputato nazionale, infine europeo), proiettandola subito in Europa.
Altre due eurodeputate giovanissime sono state elette nel Pdl per volere di Berlusconi: la bocconiana Lara Comi, 27 anni, e l'attrice pugliese 29enne Barbara Matera. Sono risultate assidue e preparate. Ovviamente la Ronzulli non vuole essere associata alle soubrette: «Qui si lavora, e molto. Faccio parte della commissione Occupazione e Affari sociali e di quella per i Rapporti con i Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico. Mi sono battuta per la risoluzione contro il precariato giovanile».
DA UKMAR A STRASBURGO
Saliamo al quindicesimo piano, dove stanno gli uffici degli eurodeputati democratici. Francesca Balzani, genovese, collaboratrice del tributarista Victor Ukmar, è stata assessore al Bilancio della sua città. E anche a Bruxelles è entrata nella commissione Bilancio. Un mese fa, poi, è stata nominata nella commissione Prospettive Finanziarie: sarà lei a decidere (assieme agli altri 49 membri, di cui solo due italiani) dove andranno i finanziamenti Ue nei prossimi anni. Un ruolo cruciale, per affrontare il quale ha preso casa a Bruxelles. «E adesso questa bella sorpresa: la terza figlia». Che si chiamerà Agata.
L'ASSURDA DOPPIA SEDE
Anche alla Balzani chiediamo degli sprechi europei: «Quelli più grandi avvengono non per il funzionamento delle istituzioni come il Parlamento, ma per certi finanziamenti con scarso rendiconto. Comunque è chiaro che la doppia sede del Parlamento, a Bruxelles e a Strasburgo, fa aumentare inutilmente i costi». Ma guai a parlarne ai francesi, di ogni colore: difendono la loro Strasburgo con i denti.
Lo conferma Niccolò Rinaldi, fiorentino e veterano di Bruxelles. Ci arrivò come assistente di Jas Gawronski, eurodeputato prima repubblicano per 15 anni, quindi di Forza Italia per altri quindici. «Poi sono diventato funzionario del gruppo liberaldemocratico, e lì ho conosciuto Di Pietro che mi ha apprezzato». Eletto per la prima volta europarlamentare l'anno scorso per l'Idv, Rinaldi si muove nei corridoi di Bruxelles con consumata abilità. E sopperisce all'inesperienza di altri eletti italiani i quali, parlando poco inglese e francese, spesso sono tagliati fuori dalle decisioni importanti.
«Parliamoci chiaro», spiega Rinaldi, «qui le battaglie non si fanno solo nelle sedute plenarie, ma anche nelle commissioni e nei gruppi. Perché oltre alle divisioni fra destra e sinistra ci sono quelle nazionali, che spesso pesano di più». Un esempio: il presidente francese del Ppe (i popolari) è stato il principale avversario dei deputati italiani del suo stesso gruppo, quando questi hanno chiesto un'unica sede per il Parlamento, eliminando Strasburgo, per risparmiare 250 milioni l'anno.
Intanto, si sono fatte le sei del pomeriggio. Accompagniamo Rinaldi, reduce da un viaggio ad Haiti dove ha controllato gli aiuti Ue, a un aperitivo in un caffè vicino al Parlamento. Tipico incontro cui devono partecipare i deputati. La Confindustria italiana, infatti, ha invitato a Bruxelles una delegazione di piccoli imprenditori per familiarizzarli ai meccanismi di finanziamento Ue.
LEGHISTA CONTRO TURCHIA
Il mattino dopo visitiamo un altro giovane: l'eurodeputato veronese Lorenzo Fontana (Lega Nord). È reduce da una battaglia con il commissario per l'Allargamento. Gli aveva indirizzato un'interrogazione contro l'entrata in Europa della Turchia, obiettando che Istanbul non ha mai chiesto scusa per il genocidio degli armeni. Quello gli ha risposto che bisogna guardare al futuro, non al passato. «Allora dimentichiamoci pure dello sterminio degli ebrei...», commenta Fontana. Il quale, per l'eccessiva lontananza, ha perso la fidanzata italiana. Capita anche questo, andando a Bruxelles.
Mauro Suttora
Classifica presenze eurodeputati
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Non è un segreto: il Parlamento europeo conta pochissimo. Quasi nulla, perché nell'Unione i due organi di gran lunga più importanti sono la Commissione (il governo dei burocrati) e il consiglio (dei ministri dei 27 stati). Il Parlamento può invitare, auspicare, protestare, ma decidere quasi mai: al massimo «co-decidere».
Per questo Bruxelles era il «cimitero degli elefanti». Ci arrivavano politici illustri ma a fine carriera. Per toglierli di mezzo, si offriva loro il lauto stipendio europeo. Ora, invece, il decano è proprio un italiano: l'82enne Ciriaco De Mita. Che infatti non brilla per assiduità: 68esimo su 72 nella classifica degli italiani più presenti. Ma almeno lui ha la scusante dell'età.
Una delusione invece è stato Magdi Cristiano Allam, l'ex giornalista eletto con l'Udc che Oggi aveva «adottato» proprio con l'impegno di essere più presente della media dei deputati italiani. Ma Allam si è candidato alle regionali come governatore della Basilicata, e risulta ultimo in classifica.
Anche Debora Serracchiani, ex astro nascente del Pd, sembra preferire l'Italia all'Europa. Complimenti, invece, a Sergio Cofferati: ha mancato una sola delle 50 sedute plenarie. Altri politici importanti che s'impegnano sono l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, quello di Firenze Domenici e il leghista Speroni. Bene anche David Sassoli, Iva Zanicchi, Elisabetta Gardini, De Magistris e Prodi-fratello. Ma vale la pena partecipare, se poi si conta così poco?
CLASSIFICA DELLE PRESENZE IN SEDUTA PLENARIA DEI 72 EURODEPUTATI ITALIANI
dati in %, dal luglio 2009 al luglio 2010
100%
Roberto GUALTIERI, S&D
Salvatore IACOLINO, Ppe
Giovanni LA VIA, Ppe
Oreste ROSSI, Lega
Giancarlo SCOTTA', Lega
98%
Salvatore CARONNA, S&D
Sergio COFFERATI, S&D
Lorenzo FONTANA, Lega
Mario MAURO, Ppe
P.Antonio PANZERI, S&D
Francesco SPERONI, Lega
96%
Lara COMI, Ppe
Gianni PITTELLA, S&D
Vittorio PRODI, S&D
Sergio SILVESTRIS, Ppe
94%
Gabriele ALBERTINI, Ppe
Francesca, BALZANI, S&D
Carlo CASINI, Udc
Andrea COZZOLINO, S&D
Herbert DORFMANN, Svp
93%
Niccolò RINALDI, IdV
92%
Raffaele BALDASSARRE, Ppe
Leonardo DOMENICI, S&D
David SASSOLI, S&D
Giommaria UGGIAS, IdV
91%
Gianluca SUSTA, S&D
90%
Silvia COSTA, S&D
Elisabetta GARDINI, Ppe
Iva ZANICCHI, Ppe
89%
Roberta ANGELILLI, Ppe
Antonio CANCIAN, Ppe
87%
Luigi DE MAGISTRIS, IdV
Carlo FIDANZA, Ppe
Barbara MATERA, Ppe
Lia SARTORI, Ppe
Salvatore TATARELLA, Ppe
Patrizia TOIA, S&D
86%
Fiorello PROVERA, Lega
85%
Luigi BERLINGUER, S&D
Mara, BIZZOTTO, Lega
Paolo DE CASTRO, S&D
Erminia, MAZZONI, Ppe
Tiziano MOTTI, Udc
84%
Sergio BERLATO, Ppe
Mario BORGHEZIO, Lega
83%
Sonia ALFANO, IdV
Pino ARLACCHI, IdV
Paolo BARTOLOZZI, Ppe
Giovanni COLLINO, Ppe
Guido MILANA, S&D
Licia RONZULLI, Ppe
Marco SCURRIA, Ppe
81%
Francesco DE ANGELIS, S&D
Claudio MORGANTI, Lega
Gianni VATTIMO, IdV
80%
Antonello ANTINORO, Udc
Potito SALATTO, Ppe
78%
Mario PIRILLO, S&D
77%
Cristiana MUSCARDINI, Ppe
Matteo SALVINI, Lega
76%
Clemente MASTELLA, Ppe
75%
Rosario CROCETTA, S&D
70%
Rita BORSELLINO, S&D
Aldo PATRICIELLO, Ppe
69%
Vito BONSIGNORE, Ppe
Crescenzio RIVELLINI, Ppe
Debora SERRACCHIANI, S&D
65%
Ciriaco DE MITA, Udc
63%
Vincenzo IOVINE, Idv
61%
Alfredo ANTONIOZZI, Ppe
60%
Alfredo PALLONE, Ppe
56%
Magdi Cristiano ALLAM, Udc
S&D corrisponde in Italia al Partito Democratico. Ppe al Pdl
Oggi, 18 agosto 2010
Non è un segreto: il Parlamento europeo conta pochissimo. Quasi nulla, perché nell'Unione i due organi di gran lunga più importanti sono la Commissione (il governo dei burocrati) e il consiglio (dei ministri dei 27 stati). Il Parlamento può invitare, auspicare, protestare, ma decidere quasi mai: al massimo «co-decidere».
Per questo Bruxelles era il «cimitero degli elefanti». Ci arrivavano politici illustri ma a fine carriera. Per toglierli di mezzo, si offriva loro il lauto stipendio europeo. Ora, invece, il decano è proprio un italiano: l'82enne Ciriaco De Mita. Che infatti non brilla per assiduità: 68esimo su 72 nella classifica degli italiani più presenti. Ma almeno lui ha la scusante dell'età.
Una delusione invece è stato Magdi Cristiano Allam, l'ex giornalista eletto con l'Udc che Oggi aveva «adottato» proprio con l'impegno di essere più presente della media dei deputati italiani. Ma Allam si è candidato alle regionali come governatore della Basilicata, e risulta ultimo in classifica.
Anche Debora Serracchiani, ex astro nascente del Pd, sembra preferire l'Italia all'Europa. Complimenti, invece, a Sergio Cofferati: ha mancato una sola delle 50 sedute plenarie. Altri politici importanti che s'impegnano sono l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, quello di Firenze Domenici e il leghista Speroni. Bene anche David Sassoli, Iva Zanicchi, Elisabetta Gardini, De Magistris e Prodi-fratello. Ma vale la pena partecipare, se poi si conta così poco?
CLASSIFICA DELLE PRESENZE IN SEDUTA PLENARIA DEI 72 EURODEPUTATI ITALIANI
dati in %, dal luglio 2009 al luglio 2010
100%
Roberto GUALTIERI, S&D
Salvatore IACOLINO, Ppe
Giovanni LA VIA, Ppe
Oreste ROSSI, Lega
Giancarlo SCOTTA', Lega
98%
Salvatore CARONNA, S&D
Sergio COFFERATI, S&D
Lorenzo FONTANA, Lega
Mario MAURO, Ppe
P.Antonio PANZERI, S&D
Francesco SPERONI, Lega
96%
Lara COMI, Ppe
Gianni PITTELLA, S&D
Vittorio PRODI, S&D
Sergio SILVESTRIS, Ppe
94%
Gabriele ALBERTINI, Ppe
Francesca, BALZANI, S&D
Carlo CASINI, Udc
Andrea COZZOLINO, S&D
Herbert DORFMANN, Svp
93%
Niccolò RINALDI, IdV
92%
Raffaele BALDASSARRE, Ppe
Leonardo DOMENICI, S&D
David SASSOLI, S&D
Giommaria UGGIAS, IdV
91%
Gianluca SUSTA, S&D
90%
Silvia COSTA, S&D
Elisabetta GARDINI, Ppe
Iva ZANICCHI, Ppe
89%
Roberta ANGELILLI, Ppe
Antonio CANCIAN, Ppe
87%
Luigi DE MAGISTRIS, IdV
Carlo FIDANZA, Ppe
Barbara MATERA, Ppe
Lia SARTORI, Ppe
Salvatore TATARELLA, Ppe
Patrizia TOIA, S&D
86%
Fiorello PROVERA, Lega
85%
Luigi BERLINGUER, S&D
Mara, BIZZOTTO, Lega
Paolo DE CASTRO, S&D
Erminia, MAZZONI, Ppe
Tiziano MOTTI, Udc
84%
Sergio BERLATO, Ppe
Mario BORGHEZIO, Lega
83%
Sonia ALFANO, IdV
Pino ARLACCHI, IdV
Paolo BARTOLOZZI, Ppe
Giovanni COLLINO, Ppe
Guido MILANA, S&D
Licia RONZULLI, Ppe
Marco SCURRIA, Ppe
81%
Francesco DE ANGELIS, S&D
Claudio MORGANTI, Lega
Gianni VATTIMO, IdV
80%
Antonello ANTINORO, Udc
Potito SALATTO, Ppe
78%
Mario PIRILLO, S&D
77%
Cristiana MUSCARDINI, Ppe
Matteo SALVINI, Lega
76%
Clemente MASTELLA, Ppe
75%
Rosario CROCETTA, S&D
70%
Rita BORSELLINO, S&D
Aldo PATRICIELLO, Ppe
69%
Vito BONSIGNORE, Ppe
Crescenzio RIVELLINI, Ppe
Debora SERRACCHIANI, S&D
65%
Ciriaco DE MITA, Udc
63%
Vincenzo IOVINE, Idv
61%
Alfredo ANTONIOZZI, Ppe
60%
Alfredo PALLONE, Ppe
56%
Magdi Cristiano ALLAM, Udc
S&D corrisponde in Italia al Partito Democratico. Ppe al Pdl
Wednesday, September 01, 2010
Fare futuro
LE PROVOCAZIONI DI FILIPPO ROSSI E DEGLI ALTRI GIORNALISTI FINIANI
di Mauro Suttora
Oggi, 25 agosto 2010
Provate a cercare su Google la parola «Fare futuro». Il nome della fondazione di Gianfranco Fini batte «fare l’amore» e «fare soldi» per cinque milioni di risultati contro mezzo milione e 400 mila, rispettivamente. Incredibile: le due attività più piacevoli della vita stracciate da un sito politico. Questo spiega ed è spiegato (causa ed effetto) dall’estate più pazza nella storia dei partiti italiani: un intero agosto passato da tv e giornali a registrare ogni sospiro di Fini e del suo nuovo avversario, il premier Silvio Berlusconi che lo rese «presentabile» nel 1993, e col quale appena due anni fa aveva fondato il Popolo della Libertà.
«Il berlusconismo è fatto di ricatti, menzogne, editti e killeraggio», ha scritto Filippo Rossi, direttore della rivista online di Fare futuro. Definizione durissima, che neppure gli oppositori del Partito democratico userebbero. Ormai siamo in territorio Di Pietro-Grillo. Presa di distanza immediata, quindi da parte dei 44 parlamentari transfughi finiani: «Editoriale fuori misura», hanno tagliato corto i capigruppo Italo Bocchino e Pasquale Viespoli.
Ma l’autore non fa marcia indietro: «A Fare futuro siamo commentatori e giornalisti», ci dice Rossi, «non facciamo direttamente politica, ma cultura. E registriamo sensazioni che abbiamo dentro di noi o attorno a noi».
Rossi come Vittorio Feltri? Il direttore del webmagazine finiano come quello de Il Giornale berlusconiano, che dopo la rottura non lascia passar giorno senza un titolo a nove colonne in prima pagina contro Fini? Giornalisti entrambi, Rossi e Feltri mitragliano all’impazzata. Poi arrivano i politici a smentire, attenuare, minimizzare. Ma intanto il danno è fatto, le parole sono state dette e scritte, il clima avvelenato.
Rossi non accetta il paragone con Feltri (o con Maurizio Belpietro, direttore di Libero, l’altro quotidiano belusconofilo altrettanto aggressivo): «Noi facciamo analisi politiche, non attacchi personali». Beh, accusare i berlusconiani di essere dei killer... «E cosa fanno da un anno, se non accusare Fini di qualsiasi nefandezza? Gettano cacca nel ventilatore, e alla fine qualche schizzo resta attaccato. Si sono ridotti ad attaccare il fratello della compagna di Fini, oppure a rovistare fra le fatture di una cucina Scavolini».
A proposito: non sarebbe meglio che Fini, per tacitare le accuse, dicesse sempre tutto e subito?
«In che senso?»
Che spieghi chi c’è dietro le società fantasma che hanno acquistato la casa di Montecarlo affittata dal fratello della sua compagna Elisabetta Tulliani, e se quella cucina l’ha comprata per lui. Magari aggiungendo: «Se ho commesso qualche stupidaggine, l’ho fatto per amore». Gli italiani capirebbero. Almeno quelli che tengono famiglia. Cioè quasi tutti.
«Ma figurarsi se il presidente della Camera deve abbassarsi a rispondere. Non può partecipare a questo gioco al massacro. Ha già dato abbastanza spiegazioni. D’altra parte, lo stesso Feltri ammette che si tratta soltanto di “questioni di galateo politico”. Non stiamo parlando certo di reati, di cui invece sono formalmente accusati vari dirigenti berlusconiani. Insomma, non è ridicolo che tutto il dibattito politico di una nazione, con i problemi che abbiamo, debba ruotare attorno a un piano rialzato a Montecarlo, una cucina componibile, una schedina Enalotto?»
Beh, è capitato anche a Clinton e Monica, a Sarkozy e Carla.
«Ecco. Invece noi vorremmo parlare di politica, possibilmente».
À la guerre comme à la guerre, però. Quindi, adesso ai giornali berlusconiani Elisabetta Tulliani risponde solo con querele: contro Il Giornale, Libero, il settimanale Panorama. Una linea dura suggerita probabilmente da Giulia Bongiorno, l’avvocata-deputata in questi giorni più vicina alla coppia Fini-Tulliani. Era stata lei a mettere una pietra tombale sul primo matrimonio di Fini con Daniela Di Sotto, trovando un accordo che impedisse alla signora di recriminare. Ora, invece, nessuna spiegazione all’opinione pubblica, nessun cedimento.
E poi ci sono i giornalisti mandati avanti a lanciare provocazioni, un po’ come vent’anni fa Gorbacev utilizzava Eltsin, «kamikaze della perestroika». Oltre a Rossi (ex Tempo e Italia Settimanale di Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco) fra i finiani brilla la stella di Flavia Perina, direttrice del quotidiano dell’ex An, Il Secolo. Una somiglianza con la governatrice del Lazio Renata Polverini, ogni volta che apre bocca è un carico da novanta. I metodi del Pdl? «Stalinisti». La legge sul «processo breve», ritenuta non trattabile da Berlusconi? «Deve servire solo a snellire la macchina della giustizia». E poi, sul suo giornale, giù paginate urticanti per i benpensanti della destra vandeana. «Aperture» su tutto: coppie di fatto, testamento biologico, cittadinanza agli immigrati, procreazione assistita...
Gli ex missini sono diventati radicali? Hanno rubato loro il mestiere di baluardo della laicità? Con «dibattiti culturali» come questi, da parte dei finiani, scintille garantite.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 25 agosto 2010
Provate a cercare su Google la parola «Fare futuro». Il nome della fondazione di Gianfranco Fini batte «fare l’amore» e «fare soldi» per cinque milioni di risultati contro mezzo milione e 400 mila, rispettivamente. Incredibile: le due attività più piacevoli della vita stracciate da un sito politico. Questo spiega ed è spiegato (causa ed effetto) dall’estate più pazza nella storia dei partiti italiani: un intero agosto passato da tv e giornali a registrare ogni sospiro di Fini e del suo nuovo avversario, il premier Silvio Berlusconi che lo rese «presentabile» nel 1993, e col quale appena due anni fa aveva fondato il Popolo della Libertà.
«Il berlusconismo è fatto di ricatti, menzogne, editti e killeraggio», ha scritto Filippo Rossi, direttore della rivista online di Fare futuro. Definizione durissima, che neppure gli oppositori del Partito democratico userebbero. Ormai siamo in territorio Di Pietro-Grillo. Presa di distanza immediata, quindi da parte dei 44 parlamentari transfughi finiani: «Editoriale fuori misura», hanno tagliato corto i capigruppo Italo Bocchino e Pasquale Viespoli.
Ma l’autore non fa marcia indietro: «A Fare futuro siamo commentatori e giornalisti», ci dice Rossi, «non facciamo direttamente politica, ma cultura. E registriamo sensazioni che abbiamo dentro di noi o attorno a noi».
Rossi come Vittorio Feltri? Il direttore del webmagazine finiano come quello de Il Giornale berlusconiano, che dopo la rottura non lascia passar giorno senza un titolo a nove colonne in prima pagina contro Fini? Giornalisti entrambi, Rossi e Feltri mitragliano all’impazzata. Poi arrivano i politici a smentire, attenuare, minimizzare. Ma intanto il danno è fatto, le parole sono state dette e scritte, il clima avvelenato.
Rossi non accetta il paragone con Feltri (o con Maurizio Belpietro, direttore di Libero, l’altro quotidiano belusconofilo altrettanto aggressivo): «Noi facciamo analisi politiche, non attacchi personali». Beh, accusare i berlusconiani di essere dei killer... «E cosa fanno da un anno, se non accusare Fini di qualsiasi nefandezza? Gettano cacca nel ventilatore, e alla fine qualche schizzo resta attaccato. Si sono ridotti ad attaccare il fratello della compagna di Fini, oppure a rovistare fra le fatture di una cucina Scavolini».
A proposito: non sarebbe meglio che Fini, per tacitare le accuse, dicesse sempre tutto e subito?
«In che senso?»
Che spieghi chi c’è dietro le società fantasma che hanno acquistato la casa di Montecarlo affittata dal fratello della sua compagna Elisabetta Tulliani, e se quella cucina l’ha comprata per lui. Magari aggiungendo: «Se ho commesso qualche stupidaggine, l’ho fatto per amore». Gli italiani capirebbero. Almeno quelli che tengono famiglia. Cioè quasi tutti.
«Ma figurarsi se il presidente della Camera deve abbassarsi a rispondere. Non può partecipare a questo gioco al massacro. Ha già dato abbastanza spiegazioni. D’altra parte, lo stesso Feltri ammette che si tratta soltanto di “questioni di galateo politico”. Non stiamo parlando certo di reati, di cui invece sono formalmente accusati vari dirigenti berlusconiani. Insomma, non è ridicolo che tutto il dibattito politico di una nazione, con i problemi che abbiamo, debba ruotare attorno a un piano rialzato a Montecarlo, una cucina componibile, una schedina Enalotto?»
Beh, è capitato anche a Clinton e Monica, a Sarkozy e Carla.
«Ecco. Invece noi vorremmo parlare di politica, possibilmente».
À la guerre comme à la guerre, però. Quindi, adesso ai giornali berlusconiani Elisabetta Tulliani risponde solo con querele: contro Il Giornale, Libero, il settimanale Panorama. Una linea dura suggerita probabilmente da Giulia Bongiorno, l’avvocata-deputata in questi giorni più vicina alla coppia Fini-Tulliani. Era stata lei a mettere una pietra tombale sul primo matrimonio di Fini con Daniela Di Sotto, trovando un accordo che impedisse alla signora di recriminare. Ora, invece, nessuna spiegazione all’opinione pubblica, nessun cedimento.
E poi ci sono i giornalisti mandati avanti a lanciare provocazioni, un po’ come vent’anni fa Gorbacev utilizzava Eltsin, «kamikaze della perestroika». Oltre a Rossi (ex Tempo e Italia Settimanale di Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco) fra i finiani brilla la stella di Flavia Perina, direttrice del quotidiano dell’ex An, Il Secolo. Una somiglianza con la governatrice del Lazio Renata Polverini, ogni volta che apre bocca è un carico da novanta. I metodi del Pdl? «Stalinisti». La legge sul «processo breve», ritenuta non trattabile da Berlusconi? «Deve servire solo a snellire la macchina della giustizia». E poi, sul suo giornale, giù paginate urticanti per i benpensanti della destra vandeana. «Aperture» su tutto: coppie di fatto, testamento biologico, cittadinanza agli immigrati, procreazione assistita...
Gli ex missini sono diventati radicali? Hanno rubato loro il mestiere di baluardo della laicità? Con «dibattiti culturali» come questi, da parte dei finiani, scintille garantite.
Mauro Suttora
Cinque genitori per una figlia
UN GAY SARDO, EX ASSISTENTE DI ORIANA FALLACI, HA UNA FIGLIA CON IL SUO MARITO AMERICANO GRAZIE A DUE MADRI: UNA SURROGATA E UNA BIOLOGICA
di Mauro Suttora
New York, 25 agosto 2010
«Pensando a Oriana, definirei la mia storia “Lettera a una bambina che non sarebbe mai nata”. Perché se fossi rimasto in Italia non sarei mai potuto diventare padre in questo modo».
Sandro Sechi, 40 anni, ora è una persona felice nella sua casa di Brooklyn. Nato a Sassari, laureato in Letteratura russa a Milano, in America ha veramente trovato l’America. Emigrato a New York, è stato assistente della grande scrittrice Oriana Fallaci negli ultimi anni della sua vita, fino al 2006. Ha raccontato quella straordinaria esperienza nel libro Gli occhi di Oriana (Fazi). Nello stesso periodo, cinque anni fa, oltre al lavoro ha trovato l’amore: Erik Mercer, 41 anni, psicologo di omicidi incarcerati, che negli Stati Uniti rischiano la pena di morte. Lo ha conosciuto in una palestra di Manhattan, poi è arrivata la convivenza.
«Lo stato di New York è uno dei tre - oltre al Rhode Island e al Maryland - che riconosce le coppie di fatto», ci spiega Sechi. Il che gli permette di essere coperto dall’assicurazione sanitaria di Erik. Lui a Manhattan dirige la scuola di lingue «Italian Forever» presso il consolato d’Italia, e ha tradotto in inglese sia Gli occhi di Oriana, sia il libro L’Angelo degli assassini che ha scritto su Erik, cui è interessato l’editore Usa Harper Collins.
Due anni fa, la grande decisione: Sandro ed Erik desiderano un figlio. Ma proprio un figlio loro, non adottato. Un’amica d’infanzia di Erik a Boston, Rachel Segall, ebrea praticante, sposata e madre di tre figli, si è offerta come madre surrogata, d’accordo con il marito Tony. «Un atto di generosità incredibile», dice Sechi. Ma ha messo a disposizione solo il proprio utero: gli ovuli impiantati sono di un’altra donna.
In totale, quindi, sono cinque gli adulti coinvolti nella nascita di Rachel Maria, venuta alla luce il 14 agosto alle sette del mattino nell’ospedale Beth Israel di Boston. «Pesava tre chili e tre etti», racconta raggiante Sechi, «era lunga 51 centimetri». E ora l’hanno portata a casa, a New York.
Nessun dubbio etico, Sechi? «Erik ed io abbiamo meditato a lungo su questa nostra scelta, che in Italia sarebbe impossibile. Primo, perché non c’è il matrimonio gay, secondo perché non sono riconosciute neanche le coppie di fatto, terzo perché la legge del 2004 proibisce la fecondazione assistita eterologa, cioè al di fuori di una coppia eterosessuale sposata. Figurarsi per le coppie omosessuali!».
Ammetterà che, vista dall’Italia, questa vostra paternità può sembrare un’«americanata». «Io sono cattolico praticante. So che la mia Chiesa condanna l’omosessualità. Ma non quella di Erik, i cui genitori anzi sono entrambi pastori protestanti. E suo padre mi ha presentato senza problemi in chiesa ai loro fedeli come “compagno di nostro figlio”».
E la sua famiglia? «Gli italiani sono più avanti del governo e della gerarchia religiosa. Quando sono tornato a Sassari per informare i miei, due fratelli, due sorelle e sei nipoti dell’arrivo di Rachel Maria, tutti erano entusiasti e abbiamo festeggiato a spumante. Maria è il nome di mia madre, morta poco dopo il mio incontro con Erik. Rachel, in omaggio alla madre surrogata».
Com’è andata, in concreto? «Abbiamo firmato un contratto di venti pagine su responsabilità, diritti e obblighi di tutti noi cinque. Ci siamo sottoposti a due visite psicologiche in una clinica della fertilità: la prima insieme, la seconda in coppie separate. Poi abbiamo visto le foto da bambina e da adulta delle possibili donatrici di ovulo, con un documento di una quindicina di pagine con tutti i dati necessari a partire dai bisnonni, per evitare il rischio di malattie genetiche».
A pagamento? «Sì, e con costi alti. Ci ha aiutati Seth MacFarlane, autore della serie tv I Griffin e cugino di mio marito».
Con Erik vi siete sposati? «Il matrimonio era necessario per avere i nostri due nomi sul certificato di nascita della bimba. Così nel marzo di quest’anno siamo andati a sposarci in Massachusetts, uno dei cinque stati americani che permette le nozze gay».
Cosa sapete della madre biologica? «Che è una bellissima ragazza metà americana e metà italiana, come noi. Fra l’altyro, gli ovuli di una studentessa di Harvard o Yale costano il triplo, perché qui l’istruzione è considerata un fattore importante. Ma per contratto è anonima, percepisce un compenso, non saprà il risultato della fecondazione assistita, non potremo incontrarla».
Ma di voi, chi è il padre? «Erik ha fecondato tre ovuli, io due. Ne sono stati impiantati tre, non sappiamo di chi. Gli altri due sono congelati, se vorremo un altro figlio. Anche questo è proibito in Italia».
Quindi non sapete chi è il padre? «No, se Rachel Maria non assomiglierà vistosamente a uno di noi. Così nessuno sarà geloso...»
Chissà cosa avrebbe detto Oriana. «Lei nel ’75 pubblicò la famosa Lettera a un bambino mai nato, in cui si diceva desiderosa di poter usufruire di quella misteriosa tecnologia che permetteva il trapianto dell’embrione in un altro utero, cosicché lei potesse godersi la maternità senza la sofferenza dell’immobilismo forzato a letto impostole dal dottore. Ma quelli erano i bei tempi dell’Oriana, ben diversi dagli ultimi anni in cui, nel libro L’Apocalisse, si batte furiosamente contro le adozioni e i matrimoni omosessuali, o quando condanna l’eutanasia. Certo non mi avrebbe approvato. Non per credo personale, però: solo per far polemica, come al solito».
Ma quando la vostra Rachel Maria sarà grande, cosa le direte?
«Che ci sono tanti tipi di famiglie, e che anche la nostra si impegna a fare felici i propri figli e a insegnar loro i valori del vivere civile».
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
New York, 25 agosto 2010
«Pensando a Oriana, definirei la mia storia “Lettera a una bambina che non sarebbe mai nata”. Perché se fossi rimasto in Italia non sarei mai potuto diventare padre in questo modo».
Sandro Sechi, 40 anni, ora è una persona felice nella sua casa di Brooklyn. Nato a Sassari, laureato in Letteratura russa a Milano, in America ha veramente trovato l’America. Emigrato a New York, è stato assistente della grande scrittrice Oriana Fallaci negli ultimi anni della sua vita, fino al 2006. Ha raccontato quella straordinaria esperienza nel libro Gli occhi di Oriana (Fazi). Nello stesso periodo, cinque anni fa, oltre al lavoro ha trovato l’amore: Erik Mercer, 41 anni, psicologo di omicidi incarcerati, che negli Stati Uniti rischiano la pena di morte. Lo ha conosciuto in una palestra di Manhattan, poi è arrivata la convivenza.
«Lo stato di New York è uno dei tre - oltre al Rhode Island e al Maryland - che riconosce le coppie di fatto», ci spiega Sechi. Il che gli permette di essere coperto dall’assicurazione sanitaria di Erik. Lui a Manhattan dirige la scuola di lingue «Italian Forever» presso il consolato d’Italia, e ha tradotto in inglese sia Gli occhi di Oriana, sia il libro L’Angelo degli assassini che ha scritto su Erik, cui è interessato l’editore Usa Harper Collins.
Due anni fa, la grande decisione: Sandro ed Erik desiderano un figlio. Ma proprio un figlio loro, non adottato. Un’amica d’infanzia di Erik a Boston, Rachel Segall, ebrea praticante, sposata e madre di tre figli, si è offerta come madre surrogata, d’accordo con il marito Tony. «Un atto di generosità incredibile», dice Sechi. Ma ha messo a disposizione solo il proprio utero: gli ovuli impiantati sono di un’altra donna.
In totale, quindi, sono cinque gli adulti coinvolti nella nascita di Rachel Maria, venuta alla luce il 14 agosto alle sette del mattino nell’ospedale Beth Israel di Boston. «Pesava tre chili e tre etti», racconta raggiante Sechi, «era lunga 51 centimetri». E ora l’hanno portata a casa, a New York.
Nessun dubbio etico, Sechi? «Erik ed io abbiamo meditato a lungo su questa nostra scelta, che in Italia sarebbe impossibile. Primo, perché non c’è il matrimonio gay, secondo perché non sono riconosciute neanche le coppie di fatto, terzo perché la legge del 2004 proibisce la fecondazione assistita eterologa, cioè al di fuori di una coppia eterosessuale sposata. Figurarsi per le coppie omosessuali!».
Ammetterà che, vista dall’Italia, questa vostra paternità può sembrare un’«americanata». «Io sono cattolico praticante. So che la mia Chiesa condanna l’omosessualità. Ma non quella di Erik, i cui genitori anzi sono entrambi pastori protestanti. E suo padre mi ha presentato senza problemi in chiesa ai loro fedeli come “compagno di nostro figlio”».
E la sua famiglia? «Gli italiani sono più avanti del governo e della gerarchia religiosa. Quando sono tornato a Sassari per informare i miei, due fratelli, due sorelle e sei nipoti dell’arrivo di Rachel Maria, tutti erano entusiasti e abbiamo festeggiato a spumante. Maria è il nome di mia madre, morta poco dopo il mio incontro con Erik. Rachel, in omaggio alla madre surrogata».
Com’è andata, in concreto? «Abbiamo firmato un contratto di venti pagine su responsabilità, diritti e obblighi di tutti noi cinque. Ci siamo sottoposti a due visite psicologiche in una clinica della fertilità: la prima insieme, la seconda in coppie separate. Poi abbiamo visto le foto da bambina e da adulta delle possibili donatrici di ovulo, con un documento di una quindicina di pagine con tutti i dati necessari a partire dai bisnonni, per evitare il rischio di malattie genetiche».
A pagamento? «Sì, e con costi alti. Ci ha aiutati Seth MacFarlane, autore della serie tv I Griffin e cugino di mio marito».
Con Erik vi siete sposati? «Il matrimonio era necessario per avere i nostri due nomi sul certificato di nascita della bimba. Così nel marzo di quest’anno siamo andati a sposarci in Massachusetts, uno dei cinque stati americani che permette le nozze gay».
Cosa sapete della madre biologica? «Che è una bellissima ragazza metà americana e metà italiana, come noi. Fra l’altyro, gli ovuli di una studentessa di Harvard o Yale costano il triplo, perché qui l’istruzione è considerata un fattore importante. Ma per contratto è anonima, percepisce un compenso, non saprà il risultato della fecondazione assistita, non potremo incontrarla».
Ma di voi, chi è il padre? «Erik ha fecondato tre ovuli, io due. Ne sono stati impiantati tre, non sappiamo di chi. Gli altri due sono congelati, se vorremo un altro figlio. Anche questo è proibito in Italia».
Quindi non sapete chi è il padre? «No, se Rachel Maria non assomiglierà vistosamente a uno di noi. Così nessuno sarà geloso...»
Chissà cosa avrebbe detto Oriana. «Lei nel ’75 pubblicò la famosa Lettera a un bambino mai nato, in cui si diceva desiderosa di poter usufruire di quella misteriosa tecnologia che permetteva il trapianto dell’embrione in un altro utero, cosicché lei potesse godersi la maternità senza la sofferenza dell’immobilismo forzato a letto impostole dal dottore. Ma quelli erano i bei tempi dell’Oriana, ben diversi dagli ultimi anni in cui, nel libro L’Apocalisse, si batte furiosamente contro le adozioni e i matrimoni omosessuali, o quando condanna l’eutanasia. Certo non mi avrebbe approvato. Non per credo personale, però: solo per far polemica, come al solito».
Ma quando la vostra Rachel Maria sarà grande, cosa le direte?
«Che ci sono tanti tipi di famiglie, e che anche la nostra si impegna a fare felici i propri figli e a insegnar loro i valori del vivere civile».
Mauro Suttora
parla Benedetto Della Vedova
"VOGLIAMO SOLO UN PARTITO DI CENTRODESTRA MODERNO"
Oggi, 25 agosto 2010
di Mauro Suttora
Della Vedova, che ci fa con tutti quei «terroni»?
L’imperturbabile Benedetto valtellinese, «colombissima» finiana, non si scompone: «I settentrionali non ci mancano: Valditara, la Moroni, la Germontani, Menia...»
Ma la stragrande maggioranza di voi 44 parlamentari di Libertà e futuro è meridionale. Infatti si parla di nuova «Lega Sud».
«Fini fa bene a chiedere garanzie sul federalismo. Ora sono in Grecia in vacanza: a causa di Atene perfino la Germania ha tremato. Allo stesso modo, la Lombardia non può ignorare Calabria e Sicilia. Lo dice uno come me, che più di nord non si può...»
È di Sondrio anche il suo ex amico Tremonti.
«Lo conobbi nel 2000, quando trattai con lui per conto di Pannella. Poi purtroppo invece della Bonino scelse Bossi. E oggi non posso condividere le sue analisi contro il mercatismo».
Così come Berlusconi condivide pochissimo di Fini.
«L’unica cosa che vogliamo è un centrodestra moderno, europeo. Come quelli di Cameron, Merkel, Sarkozy. Diventati premier dopo confronti intestini non da poco».
Proprio quel che Silvio detesta: le lotte interne ai partiti.
«Ma tutti i partiti del mondo democratico sono “contendibili”: c’è competizione di idee, e ci si conta nei congressi, o alle primarie».
Partiti del secolo scorso, dicono nel Pdl.
«Non mi pare. Obama e la Clinton si sono scannati alle primarie, e ora governano assieme. Blair e Brown si detestavano. Non parliamo dei due capi francesi del centrodestra, Sarkozy e Villepin, finiti in tribunale».
Appunto.
«Al congresso di fondazione del Pdl Fini disse: “So di essere in minoranza su alcuni temi: bioetica, immigrazione. Non pretendo nulla, solo dibattito”. Il confronto è l’essenza del liberalismo. Qualcuno nel Pdl vuole il centralismo democratico, ma è quello ad essere vecchissimo. Possibile che in una città europea come Milano siamo ridotti a dover scegliere fra La Russa, Cl e Calderoli?»
Verdini dice che il Pdl serve per diffondere le idee di Berlusconi fra la gente.
«Raccapricciante. Vedo in giro troppi analfabeti della politica».
Immigrati: c’era una volta la legge Bossi-Fini.
«Chi prende il filobus 90/91 a Milano prova disagio. La sinistra dice: non dovete avere paura. La Lega dice: dovete averla. Noi diciamo: i problemi non vanno né negati né creati, ma governati».
Quando ha parlato l’ultima volta con Berlusconi?
«Cinque mesi fa. Mi dispiace che ora come editore avalli il tentativo di distruzione di un avversario politico interno».
Non sopportava lo stillicidio di critiche di Fini.
«“Stillicidio” non è una categoria politica, ma sociologica. In realtà non abbiamo mai votato contro il governo. Questi sono i fatti. E non vogliamo farlo nel futuro. Tutto il resto è solo racconto fantasioso di Feltri».
Ma a destra Fini non è più tanto amato.
«Se invece di Feltri leggessero Ferrara, giornalista altrettanto vicino a Berlusconi e intelligente, gli elettori di centrodestra penserebbero diversamente».
Due mesi fa immaginava che sarebbe successo tutto questo casino?
«No. Pensavo che in Berlusconi avrebbe prevalso l’intuito politico, che avrebbe accettato nel suo interesse di un Pdl più aperto e inclusivo».
Finirete in un partito di centro con Casini, Rutelli e Montezemolo?
«No. Vogliamo rimanere nel centrodestra. Ma se vogliono distruggerci, ricorreremo alla legittima difesa».
Oggi, 25 agosto 2010
di Mauro Suttora
Della Vedova, che ci fa con tutti quei «terroni»?
L’imperturbabile Benedetto valtellinese, «colombissima» finiana, non si scompone: «I settentrionali non ci mancano: Valditara, la Moroni, la Germontani, Menia...»
Ma la stragrande maggioranza di voi 44 parlamentari di Libertà e futuro è meridionale. Infatti si parla di nuova «Lega Sud».
«Fini fa bene a chiedere garanzie sul federalismo. Ora sono in Grecia in vacanza: a causa di Atene perfino la Germania ha tremato. Allo stesso modo, la Lombardia non può ignorare Calabria e Sicilia. Lo dice uno come me, che più di nord non si può...»
È di Sondrio anche il suo ex amico Tremonti.
«Lo conobbi nel 2000, quando trattai con lui per conto di Pannella. Poi purtroppo invece della Bonino scelse Bossi. E oggi non posso condividere le sue analisi contro il mercatismo».
Così come Berlusconi condivide pochissimo di Fini.
«L’unica cosa che vogliamo è un centrodestra moderno, europeo. Come quelli di Cameron, Merkel, Sarkozy. Diventati premier dopo confronti intestini non da poco».
Proprio quel che Silvio detesta: le lotte interne ai partiti.
«Ma tutti i partiti del mondo democratico sono “contendibili”: c’è competizione di idee, e ci si conta nei congressi, o alle primarie».
Partiti del secolo scorso, dicono nel Pdl.
«Non mi pare. Obama e la Clinton si sono scannati alle primarie, e ora governano assieme. Blair e Brown si detestavano. Non parliamo dei due capi francesi del centrodestra, Sarkozy e Villepin, finiti in tribunale».
Appunto.
«Al congresso di fondazione del Pdl Fini disse: “So di essere in minoranza su alcuni temi: bioetica, immigrazione. Non pretendo nulla, solo dibattito”. Il confronto è l’essenza del liberalismo. Qualcuno nel Pdl vuole il centralismo democratico, ma è quello ad essere vecchissimo. Possibile che in una città europea come Milano siamo ridotti a dover scegliere fra La Russa, Cl e Calderoli?»
Verdini dice che il Pdl serve per diffondere le idee di Berlusconi fra la gente.
«Raccapricciante. Vedo in giro troppi analfabeti della politica».
Immigrati: c’era una volta la legge Bossi-Fini.
«Chi prende il filobus 90/91 a Milano prova disagio. La sinistra dice: non dovete avere paura. La Lega dice: dovete averla. Noi diciamo: i problemi non vanno né negati né creati, ma governati».
Quando ha parlato l’ultima volta con Berlusconi?
«Cinque mesi fa. Mi dispiace che ora come editore avalli il tentativo di distruzione di un avversario politico interno».
Non sopportava lo stillicidio di critiche di Fini.
«“Stillicidio” non è una categoria politica, ma sociologica. In realtà non abbiamo mai votato contro il governo. Questi sono i fatti. E non vogliamo farlo nel futuro. Tutto il resto è solo racconto fantasioso di Feltri».
Ma a destra Fini non è più tanto amato.
«Se invece di Feltri leggessero Ferrara, giornalista altrettanto vicino a Berlusconi e intelligente, gli elettori di centrodestra penserebbero diversamente».
Due mesi fa immaginava che sarebbe successo tutto questo casino?
«No. Pensavo che in Berlusconi avrebbe prevalso l’intuito politico, che avrebbe accettato nel suo interesse di un Pdl più aperto e inclusivo».
Finirete in un partito di centro con Casini, Rutelli e Montezemolo?
«No. Vogliamo rimanere nel centrodestra. Ma se vogliono distruggerci, ricorreremo alla legittima difesa».
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