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Thursday, August 03, 2017

Lo scoop del bacio di Lady Diana

PER LA PRIMA VOLTA DOPO 20 ANNI MARIO BRENNA, AUTORE DELLE FOTO, RIPERCORRE MINUTO PER MINUTO QUEI GIORNI STUPENDI E POI DRAMMATICI DELL’AGOSTO 1997.
«VENDETTI LE IMMAGINI PER UN MILIARDO E MEZZO DI LIRE»
di Mauro Suttora
Oggi, 3 agosto 2017


«Vidi movimento sul ponte dello yacht: inquadrai, misi a fuoco, e mi apparvero Diana e Dodi che ammiravano i prati del golf e le bianchissime spiagge con le dune di sabbia».
Erano le 13 del 3 agosto 1997. Il fotografo Mario Brenna aspettava da ore nascosto su capo Sperone, estremo sud della Corsica. Un sole cocente. Da tre giorni dava la caccia alla principessa d’Inghilterra e al suo presunto amante.

«Scattai la prima foto, si abbracciavano. Poi si baciarono per dieci secondi. Non mi feci prendere dal panico, li fotografai come se la cosa non mi coinvolgesse. La mia freddezza mi stupì».
Lo scoop del secolo. Paragonabile solo alle foto di Jacqueline Kennedy e Aristide Onassis sull’isola di Skorpios. «O a Papa Wojtyla in piscina nel 1980», aggiunge Brenna. Che per la prima volta dopo vent’anni racconta a Oggi la verità sulle foto che rivelarono al mondo l’amore di Lady Diana. Amore che le fu fatale: pochi giorni dopo, il 31 agosto, la principessa morì con Dodi, sfracellandosi nel tunnel dell’Alma a Parigi.
Brenna ha scritto per noi un libro, che ripercorre minuto per minuto quell’agosto magico e tragico: Il bacio di Lady Diana, in tutte le edicole da oggi.
Perché solo ora?
«Quando seppi della morte di Lady Di scoppiai a piangere, e decisi che non avrei mai raccontato nulla di quello che avevo visto e fatto fino a quando i figli della principessa non fossero stati uomini grandi e maturi. Per rispetto della sua memoria, di Dodi e delle loro famiglie».
Si è mai sentito responsabile per la tragedia di Diana? La sua auto si schiantò mentre era braccata dai paparazzi parigini.
«Me lo domandai, e andai un po’ in crisi. Avevo scoperto io la storia di Diana con Dodi, e contribuii a scatenare dietro ai due amanti i giornalisti durante quell’agosto. Ma per Lady Di essere inseguita era la normalità. E se non fossi stato io a scattare la foto del loro bacio, lo avrebbe fatto qualcun altro qualche giorno dopo. Però anche per me fu uno choc: le persone che un mese prima mi avevano donato il momento più alto nel mio lavoro, che avevo visto felici e serene, complici, appassionate, piene di vita e solarità, erano scomparse».
Per qualche giorno, attorno a quel Ferragosto ’97, anche Brenna sperimentò cosa vuol dire essere famosi e richiesti da tutti i giornali e tv del mondo, come Diana. E come lei, si nascose.
«Non volevo che il mio viso diventasse noto. Perché non sono un vanitoso, ma anche perché il mio mestiere richiede discrezione. Frequento ambienti in cui posso entrare proprio perché rimango un anonimo».
Si fantasticò sul valore dello scoop. Il Sunday Mirror lo pagò 700 milioni di lire, cifra da record per una foto. Il direttore di Oggi Paolo Occhipinti sborsò 160 milioni per l’esclusiva italiana (tirando 1.250.000 copie).
In totale, fra giornali inglesi, francesi, spagnoli, americani e italiani, un miliardo e mezzo. Brenna nel libro racconta le ore rocambolesche delle trattative che condusse di persona a Parigi e Londra. 
«Ma mi resi subito conto del valore delle foto, quand’ero ancora sdraiato dietro quella roccia fra Corsica e Sardegna. Ricordo che lanciai un urlo di gioia. Tutti i fotografi del mondo avrebbero desiderato essere al mio posto, era il sogno di ogni reporter. E io, Mario Brenna di Trecallo in provincia di Como, il figlio del Nello e della Anna, avevo fatto quelle foto. Il sogno si era avverato».
Il racconto del libro è avvincente, da missione 007. Brenna era uno dei fotografi più bravi ed esperti, frequentava da vent’anni Costa Smeralda, Monte Carlo e St. Moritz. Aveva appena realizzato un altro scoop: il primo bacio di Ernst di Hannover con Carolina di Monaco, vedova di Stefano Casiraghi (suo grande amico di gioventù).
Il primo agosto ’97 vide, dal gommone con cui perlustrava le acque di Porto Cervo, lo yacht Jonikal che sapeva essere dell’industriale Edoardo Polli. Non sapeva però che pochi mesi prima Polli lo aveva venduto al miliardario egiziano Mohamed Al-Fayed, padre di Dodi. E, soprattutto, ignorava che la bionda col costume rosa che intravedeva a bordo fosse Diana. «Me ne resi conto solo avvicinandomi, e la fotografai stupefatto. Era già un bel colpo».
Ma, raccogliendo indizi nelle ore successive, capì che poteva esserci qualcosa di molto più grosso. E che un’eventuale liaison fra la madre del futuro re d’Inghilterra (seppure divorziata da un anno da Carlo) e un playboy musulmano, il figlio di Al-Fayed, avrebbe causato uno scandalo immenso.
«Dovevo proteggere il mio segreto anche dai concorrenti, che in quei giorni erano tanti in Sardegna». Alla fine lo scoop riesce. E in solitario.
Brenna poi si rifugia a St. Moritz per sfuggire ai giornalisti dai quali è a sua volta tallonato.
«Lì incontrai Gianni Agnelli che, curiosissimo, si fece raccontare per due ore i dettagli dell’avventura, con il mio inseguimento dello yacht fra le isole di Maddalena e Cavallo».


Il 24 agosto 1997, l’avventura ricomincia. «Diana e Dodi si imbarcarono di nuovo a Monte-Carlo, e io li aspettai a Portofino. Questa volta però in squadra con altri tre colleghi, per affrontare la concorrenza di tutti i fotografi d’Europa».
Lo yacht fugge a Portovenere, poi fa rotta verso l’Elba. «Lì scompare, noi affittiamo un aereo e lo ritroviamo all’isola di Tavolara».
Altre immagini rubate, in moto d’acqua a San Teodoro, fino all’ultimo giorno al Cala di Volpe. Con un altro fotografo che perde la testa e insulta la principessa mentre scappa.
Il 30 agosto Diana e Dodi volano via da Olbia, cenano a Parigi. E dopo poche ore si compie il loro destino.
Brenna, nei suoi 40 anni di carriera quali sono i personaggi più simpatici che ha fotografato?
«Celentano, Fiorello, Alberto di Monaco, Mike Bongiorno, Pavarotti».
E quelli meno simpatici?
«La moglie di Celentano, Leonardo di Caprio, Naomi Campbell. Johnny Depp mi minacciò di morte».
Quale scoop varrebbe oggi quello di Diana?
«Mah, forse Clooney con i suoi gemellini, o Brad Pitt che pare stia con Sienna Miller, o il principe Harry con la nuova fidanzata…»
Ma basta pronunciare questi nomi per capire la distanza siderale da una leggenda come Diana.
Mauro Suttora

Wednesday, October 13, 2010

Angelo Rizzoli

Nel 1970 moriva Angelo Rizzoli, il nostro fondatore. Noi lo ricordiamo così

Orfano di un ciabattino analfabeta, lui stesso poco colto, creò un impero editoriale e cinematografico. Ecco come lo descrivono i suoi giornalisti, dalla Fallaci a Montanelli, da Enzo Biagi a Occhipinti

di Mauro Suttora

Oggi, 4 ottobre 2010

«Non gli ho mai sentito dire una parolaccia, mai visto fare un verso sconcio, e anche quando dava un ordine era delicato: “Abbia l’amabilità di farmi questa cosa”, “Lei dovrebbe essere così gentile da farmi questo”».
Con queste parole, quarant’anni fa, Oriana Fallaci ricordava sull’Europeo il suo editore Angelo Rizzoli appena scomparso a 81 anni.

Così la scrittrice proseguiva la descrizione del fondatore della casa editrice omonima che pubblica anche Oggi e che ora, inglobato il Corriere della Sera, si chiama Rcs: «Quando gli piaceva una donna, le lodava gli occhi. Non diceva “belle gambe” o “bel corpo”, diceva “begli occhi”. Quando si dedicava a lei, la trattava col rispetto e la cautela che si deve a un fiore».

«Nell’atrio del suo moderno stabilimento di via Civitavecchia [oggi via Rizzoli, ndr] viene ancora ostentata come cimelio e blasone la sua prima linotype [del 1909], comprata coi risparmi del salario d’operaio tipografo, mestiere che gli avevano insegnato all’orfanatrofio».

Altri ricordi sono contenuti nel libro celebrativo Angelo Rizzoli 1889-1970: «Raccontava quasi con civetteria della povertà che aveva sofferto da piccolo», ricorda Paolo Occhipinti, direttore storico di Oggi, assunto da Rizzoli nel ’58, e tuttora direttore editoriale del nostro giornale.

«Diceva: “Vivevamo in miseria in una zona molto ricca di Milano. È la cosa peggiore che ci sia, quella di essere poveri in mezzo ai ricchi. A scuola mi trovavo sempre da solo, isolato all’ultimo banco, perché nessuno voleva stare accanto a me. Il giorno più bello della mia vita di bambino fu il 10 febbraio 1895, quando entrai nell’orfanatrofio. Lì finalmente fui felice, perché ero un povero fra i poveri, uguale a tutti gli altri”». «La mamma gli tagliava i capelli e la maestra, supponendo che in quella chioma buffa potessero alloggiare anche animaletti fastidiosi, lo isolava nell’ultimo banco», rivelò poi Enzo Biagi.

Film di Manfredi e Fellini

Rizzoli, figlio di un ciabattino analfabeta morto prima che lui nascesse, non leggeva i libri che pubblicava. «Però aveva per i loro autori un rispetto reverenziale», precisò Montanelli. «L’ultima volta che l’ho visto, a Lacco Ameno d’Ischia, era contento del film che aveva messo in lavorazione con Nino Manfredi regista e interprete [Per grazia ricevuta, del 1971, ndr] e cercò di raccontarmi la trama. La parola non era mai stata il suo forte. Fece un tale garbuglio che alla fine se ne accorse anche lui, e in tono mortificato interpolò: “Scusami sai, io ho fatto la quinta elementare alle serali”. Molti si domandano come abbia fatto quest’uomo incolto a diventare uno dei più grandi impresari di cultura. Della prosa che mandava sotto i torchi non sapeva nulla. Ma sugli uomini che venivano a offrirgliela non prendeva abbagli».

Conferma Occhipinti: «La sua grande qualità era saper scegliere gli uomini. Per intuito aveva detto sì a quel matto di Fellini che gli proponeva La dolce vita, a Edilio Rusconi che gli suggeriva di fare uscire Oggi, settimanale per la famiglia, e agli inventori della Bur, la Biblioteca universale Rizzoli».

«Dicono che prima della Seconda guerra mondiale possedesse già un miliardo di lire», ha scritto Biagi, «e che alla sua morte nel 1970 gli eredi ne hanno trovato in cassa cento. Ma diceva che i quattrini bisogna farseli perdonare. Non fu entusiasta quando il figlio Andrea decise di comperare un aereo: gli pareva troppo. Quando entrava nei casinò, perché gli piaceva giocare, aveva di solito dietro un codazzo. Regalava alla compagnia fiches di centomila lire; i più furbi le infilavano in tasca. Se gli andava male si vergognava: “Ho perso quello che la mia segretaria guadagna in cinque anni”».

«Nel 1954 incontrai Rizzoli a San Felice Circeo», ricorda Giulio Andreotti, «e lui si lamentava della poca comprensibilità del linguaggio politico. Mi offrì la direzione di un giornale divulgativo: nacque così il quindicinale Concretezza, che pubblicò per 22 anni. La sua amicizia con Nenni [capo del Psi,ndr] era nota, ma aveva apprezzato anche me».

Mauro Suttora