INTERVISTA ESCLUSIVA CON L'ULTIMA FIAMMA DEL PREMIER
"Ho cantato con il presidente"
È l’ultima «new entry» fra le fiamme di Berlusconi. «Abbiamo fatto le quattro del mattino», ammette. Ma poi a nanna
Riccione (Rimini), 2 agosto 2009
dal nostro inviato Mauro Suttora
«Per me lui vede un futuro in politica o nel giornalismo».
E lei?
«Magistrato o attrice. Ma non gli ho mai parlato della mia carriera nello spettacolo. Non volevo sembrare una delle tante che vogliono raccomandazioni. In ogni caso, ha detto che prima devo laurearmi».
E bravo Papi, che spinge le sue adoratrici sulla retta via. Anche quando hanno un viso da Angelina Jolie come Graziana Capone, 24 anni, figlia di un costruttore di Gravina di Puglia (Bari), «e lui mi vuole sempre alla sua destra quando m’invita a cena».
Graziana è l’ultima «new entry» nel magico mondo di Silvio Berlusconi. Il suo nome è emerso per la prima volta dieci giorni fa. Appartiene all’inesauribile serbatoio di belle pugliesi che Giampaolo Tarantini proponeva al premier.
Graziana però vuole far sapere, in esclusiva a Oggi, che lei non ha nulla a che fare con le altre ragazze. Nè la Noemi di maggio, né tantomeno la squillo Patty D’Addario di giugno. Il suo manager Rody Mirri (già scopritore di Michelle Hunziker) ci dà appuntamento all’hotel Des Bains di Riccione. Eccola.
«Giornali di tutto il mondo, dalla Bild tedesca al Mundo spagnolo, mi chiedono interviste in modo molto reiterante. E io voglio togliermi questo brand di dosso...»
Graziana, ma come parla?
(Sorride): «Insomma, voglio precisare. Non sono una escort, mai preso soldi. Sono andata a cena da Berlusconi, ma siamo solo amici. È un uomo affascinante, lo adoro e sono onorata dalla sua amicizia. Mi ha telefonato pure l’altro giorno, complimentandosi per non essere caduta nella trappola di Repubblica che voleva intervistarmi. Però non mi ha mai proposto nulla di sconveniente».
Lo ha conosciuto attraverso Tarantini, come Patty.
«Sì, ma io la D’Addario e le altre non le ho mai viste. Non sono andata al centro Messegué di Todi come Licia Nunez, né a villa Certosa. Non sono una ragazza immagine, non appartengo a quel giro, ho una mia carriera bene avviata. Mi sto laureando in legge, a ottobre discuterò la tesi».
Ci racconti la prima volta con Berlusconi.
«Lo scorso settembre Tarantini, cui ero stata presentata dall’amministrativista Totò Castellaneta, mi ha portato a San Siro per il derby Milan-Inter. Silvio è stato subito simpaticissimo, mi ha voluto al suo fianco. In tribuna c’erano Ezio Greggio, la Hunziker. Poi siamo andati nel club privato del Milan, allo stadio. Poi, sempre in gruppo, a visitare il palazzo dell’università privata che sta costruendo ad Arcore. È bellissima, mi ha detto che verrà a insegnarci Clinton...»
E poi?
«Andammo a cena a casa sua».
In quanti eravate?
«Prima una trentina, a cena dieci».
C’era qualche personaggio?
«Non conoscevo nessuno, tranne Tarantini. Abbiamo mangiato due assaggini di primo, verdura, pesce. Il presidente ci tiene all’alimentazione, mangia fette biscottate».
Di che parlavate?
«Di tutto. Era fiero per il salvataggio Alitalia, per i sondaggi che lo davano al 60 per cento di popolarità...»
E poi?
«Poi abbiamo cantato, io e lui con un pianista».
Che cosa?
«Io a cappella un paio di cose, Non ti scordar mai di me di Giusi Ferreri. Poi, assieme, le sue canzoni».
Le conosceva?
«Certo, per me lui rappresenta il sogno americano. Lo ammiro molto. Abbiamo cantato Stay with me, un suo pezzo tradotto in inglese».
E gli faceva i controcanti?
«Sì, la melodia sulla terza. Ho studiato piano per dodici anni, sono cantante, ho fatto parecchi spettacoli. Dopo la laurea voglio diplomarmi al conservatorio, in jazz...»
E poi?
«Era tardissimo, le tre o le quattro. Alcuni dormicchiavano sul divano. Ci siamo salutati e congedati. Sono tornata a Milano con Tarantini e dei ragazzi su un’auto con chauffeur».
Come Cenerentola.
«Beh, un po’ più tardi. Lui è stato di un’ospitalità perfetta. Il giorno dopo mi ha telefonato per salutarmi, ha detto che passava il giorno del suo compleanno in famiglia, con il nipotino che adora».
E Veronica?
«Si capiva che erano un po’ distanti».
Quando lo ha rivisto?
«Alla vigilia di Natale. Una cena a Roma, a palazzo Grazioli. Eravamo una decina, sei-sette ragazze, ho riconosciuto Carolina Marconi del Grande Fratello e Barbara Guerra. C’era un clima molto rilassato, per nulla ambiguo come quello descritto dalla D’Addario. Ero seduta alla destra del presidente. Sono uscita fra le ultime, non è rimasto nessuno. In quei giorni ero triste perché mi ero lasciata col fidanzato. Berlusconi mi ha consolata e invitata in Sardegna per Capodanno. Non ho accettato, perché sarei stata di peso. Lui da noi giovani vuole leggerezza, non problemi».
Quante altre volte l’ha visto?
«Mah, sei, sette...»
Sempre a palazzo Grazioli?
«No, una volta anche a Milano, all’inaugurazione di uno spazio Dolce & Gabbana».
L’ultima volta?
«In primavera, prima delle polemiche su Noemi. Ma abbiamo continuato a telefonarci».
Le ha dato regali?
«Sì. La famosa farfalla, e poi anelli, collane, bracciali. Anche un orologio».
Abbia pazienza Graziana, lei dice che Berlusconi non l’ha mai corteggiata. Come definisce il vostro rapporto?
«Amicizia».
Potrebbe essere suo nonno.
«E allora? È molto più interessante dei miei coetanei».
Cosa si aspettava da lui?
«Nulla. Io sono attrice di cinema, l’anno scorso ho fatto In passato e in terra straniera con Elio Germano, tratto da un libro di Carofiglio. Ho recitato nella fiction Rai Giuseppe Di Vittorio con Favino e in altre su Telenorba, la tv di Bari per cui sono stata anche segretaria di produzione e speaker radio. Ho fatto teatro: Bettina nel cilindro di Eduardo. Sono stata vocalist in discoteca. Ho fatto pubblicità: lo spot tv Campari e una campagna cartacea per il caffé Palombini».
Curriculum sterminato.
«Sì, ma in realtà metà di me vuole fare il magistrato. Insomma, non ho bisogno di una spintarella di Berlusconi».
E quindi?
«Quindi non mettetemi assieme alle altre. Anche perché se il presidente avesse veramente un harem, io sarei la favorita».
Mauro Suttora
Wednesday, August 12, 2009
Wednesday, July 29, 2009
Vacanze sul Gran Sesso
Dove dormirà il Berlusconi d'Abruzzi?
Oggi, 21 luglio 2009
«Deportazione in Abruzzo d'agosto»: così qualche ministro riottoso brontola, all'idea di Silvio Berlusconi di organizzare una settimana intera di riunione di governo nella caserma di Coppito (L'Aquila). Prima di riconsegnarla alla Guardia di Finanza, ancora fresca di G8. Per nulla eccitati dall'idea di capitare nello stesso letto che fu di Barack Obama appaiono soprattutto i ministri della Lega Nord.
Ma dopo il 7 agosto? «Passerò tutto il mese in Abruzzo per controllare l'avanzamento dei lavori di ricostruzione», ha promesso il premier. E subito si è scatenato il toto-villa: quale magione soppianterà la Certosa sarda?
La favorita è la Corte dei Tini, lussuoso relais a Villa Vomano (Teramo). Qui Berlusconi ha già passato una notte, lo scorso novembre, durante la campagna elettorale vittoriosa delle regionali d'Abruzzo. Oppure, dall'altra parte del Gran Sasso, la residenza privata del costruttore Giovanni Frattale a Marruci di Pizzoli (L'Aquila). Qui ha dormito per una notte addirittura Muammar Gheddafi. il dittatore libico che al G8 stava in tenda, ma solo di giorno.
«Vacanze sul Gran Sesso», scherza qualche buontempone, alludendo alle recenti disavventure del premier. Il quale avrebbe deciso di cambiare vita, abbandonando veline e Briatore per la quiete abruzzese. «Saremmo felici di accoglierlo», ci dice Antonio Di Gianvito, 55 anni, proprietario della Corte dei Tini. Dove hanno già dormito, fra gli altri, Vasco Rossi per nove giorni, Maria Grazia Cucinotta, Riccardo Scamarcio e, fra i politici, Giulio Tremonti. «È venuto anche Dario Fo», racconta Di Gianvito, che della notte già trascorsa da Berlusconi a Teramo ricorda divertito la «corsa» dei fedelissimi ad aggiudicarsi la stanza più vicina a Lui. «Ma abbiamo soltanto diciotto stanze, non abbiamo potuto accontentare tutti…»
Mauro Suttora
Oggi, 21 luglio 2009
«Deportazione in Abruzzo d'agosto»: così qualche ministro riottoso brontola, all'idea di Silvio Berlusconi di organizzare una settimana intera di riunione di governo nella caserma di Coppito (L'Aquila). Prima di riconsegnarla alla Guardia di Finanza, ancora fresca di G8. Per nulla eccitati dall'idea di capitare nello stesso letto che fu di Barack Obama appaiono soprattutto i ministri della Lega Nord.
Ma dopo il 7 agosto? «Passerò tutto il mese in Abruzzo per controllare l'avanzamento dei lavori di ricostruzione», ha promesso il premier. E subito si è scatenato il toto-villa: quale magione soppianterà la Certosa sarda?
La favorita è la Corte dei Tini, lussuoso relais a Villa Vomano (Teramo). Qui Berlusconi ha già passato una notte, lo scorso novembre, durante la campagna elettorale vittoriosa delle regionali d'Abruzzo. Oppure, dall'altra parte del Gran Sasso, la residenza privata del costruttore Giovanni Frattale a Marruci di Pizzoli (L'Aquila). Qui ha dormito per una notte addirittura Muammar Gheddafi. il dittatore libico che al G8 stava in tenda, ma solo di giorno.
«Vacanze sul Gran Sesso», scherza qualche buontempone, alludendo alle recenti disavventure del premier. Il quale avrebbe deciso di cambiare vita, abbandonando veline e Briatore per la quiete abruzzese. «Saremmo felici di accoglierlo», ci dice Antonio Di Gianvito, 55 anni, proprietario della Corte dei Tini. Dove hanno già dormito, fra gli altri, Vasco Rossi per nove giorni, Maria Grazia Cucinotta, Riccardo Scamarcio e, fra i politici, Giulio Tremonti. «È venuto anche Dario Fo», racconta Di Gianvito, che della notte già trascorsa da Berlusconi a Teramo ricorda divertito la «corsa» dei fedelissimi ad aggiudicarsi la stanza più vicina a Lui. «Ma abbiamo soltanto diciotto stanze, non abbiamo potuto accontentare tutti…»
Mauro Suttora
Friday, July 24, 2009
George Clooney e Manuela Arcuri al 'Gatto nero'
A CENA SUL LAGO DI COMO
Oggi, 22 luglio 2009
di Mauro Suttora
Manuela Arcuri non è come le ragazze della pubblicità Nespresso, quindi non è rimasta indifferente al fascino dell' attore più sexy del pianeta. Così qualche sera fa, quando si è trovata a cenare nel tavolo accanto a quello di George Clooney, è partito un gioco di sguardi intensi.
George, da otto anni sul Lago di Como e dal 2004 cittadino onorario di Laglio, mangiava con i genitori e il suo amico attore americano Bill Murray (Lost in Translation, Ghostbusters, Treno per Darjeeling) al ristorante Il Gatto Nero di Rovenna, sopra Cernobbio (Como). Dopo un' ora è arrivata la stella romana delle fiction di Canale 5, pure lei con mamma e due amici. Ma al panorama mozzafiato sul lago, Manuela (di nuovo single dopo la rottura col tronista Matteo Guerra) ha preferito la vista sul tavolo accanto.
Quando gliel'hanno presentata, il simpatico George, ignaro delle classifiche di popolarità nostrana, le ha sorriso cordialmente così come sorride a tutti. Poco dopo nella stessa sala è piombato Jonathan Kashanian, vincitore del Grande Fratello 5: baci e abbracci con la Arcuri, gelo al tavolo degli americani. Cernobbio in questi giorni è il crocevia mondiale degli attori. Robert De Niro era ospite dell'hotel Villa d' Este (che l'ultima classifica della rivista Forbes conferma come il migliore del mondo), mentre Denzel Washington è stato avvistato all'Harry's Bar in riva al lago, vicino all' imbarcadero per i traghetti.
I VIP CENANO DA FAUSTO PERCHÉ LÌ SONO AL SICURO
Questa volta gliel'hanno fatta. Ma di solito è Fausto Fontana, 59 anni, estroso proprietario del ristorante Il Gatto Nero di Cernobbio (Como), a vincere la guerra con i paparazzi. Il suo è il locale a maggiore intensità di vip internazionali in Italia, più del Bolognese a Roma. E lui la privacy dei suoi preziosi clienti la protegge gelosamente. Prima del Gatto Nero, che sta compiendo vent' anni, Fontana aveva un altro ristorante a Como: il Sant' Anna, frequentato da Caroline di Monaco e Stefano Casiraghi. Poi ha aperto questo gioiello a picco sul lago, che i giocatori di Milan e Inter (e dal 2002 Clooney) considerano la loro mensa personale. Non mancano le famiglie reali, assieme agli ospiti del sottostante hotel Villa d' Este.
Foto:
21 settembre 2008: Liam Gallagher degli Oasis festeggia i suoi 36 anni al Gatto Nero.
Fausto Fontana, 59 anni, con Mick Hucknall, voce dei Simply Red.
Claudio Baglioni posa con Fontana dopo un concerto a Villa Erba.
Neil Armstrong, primo uomo sulla Luna 40 anni fa.
Fra i clienti del Gatto Nero c' è anche Catherine Zeta-Jones.
Ronaldo con Fontana. Tutti i giocatori di Inter e Milan sono clienti.
Oggi, 22 luglio 2009
di Mauro Suttora
Manuela Arcuri non è come le ragazze della pubblicità Nespresso, quindi non è rimasta indifferente al fascino dell' attore più sexy del pianeta. Così qualche sera fa, quando si è trovata a cenare nel tavolo accanto a quello di George Clooney, è partito un gioco di sguardi intensi.
George, da otto anni sul Lago di Como e dal 2004 cittadino onorario di Laglio, mangiava con i genitori e il suo amico attore americano Bill Murray (Lost in Translation, Ghostbusters, Treno per Darjeeling) al ristorante Il Gatto Nero di Rovenna, sopra Cernobbio (Como). Dopo un' ora è arrivata la stella romana delle fiction di Canale 5, pure lei con mamma e due amici. Ma al panorama mozzafiato sul lago, Manuela (di nuovo single dopo la rottura col tronista Matteo Guerra) ha preferito la vista sul tavolo accanto.
Quando gliel'hanno presentata, il simpatico George, ignaro delle classifiche di popolarità nostrana, le ha sorriso cordialmente così come sorride a tutti. Poco dopo nella stessa sala è piombato Jonathan Kashanian, vincitore del Grande Fratello 5: baci e abbracci con la Arcuri, gelo al tavolo degli americani. Cernobbio in questi giorni è il crocevia mondiale degli attori. Robert De Niro era ospite dell'hotel Villa d' Este (che l'ultima classifica della rivista Forbes conferma come il migliore del mondo), mentre Denzel Washington è stato avvistato all'Harry's Bar in riva al lago, vicino all' imbarcadero per i traghetti.
I VIP CENANO DA FAUSTO PERCHÉ LÌ SONO AL SICURO
Questa volta gliel'hanno fatta. Ma di solito è Fausto Fontana, 59 anni, estroso proprietario del ristorante Il Gatto Nero di Cernobbio (Como), a vincere la guerra con i paparazzi. Il suo è il locale a maggiore intensità di vip internazionali in Italia, più del Bolognese a Roma. E lui la privacy dei suoi preziosi clienti la protegge gelosamente. Prima del Gatto Nero, che sta compiendo vent' anni, Fontana aveva un altro ristorante a Como: il Sant' Anna, frequentato da Caroline di Monaco e Stefano Casiraghi. Poi ha aperto questo gioiello a picco sul lago, che i giocatori di Milan e Inter (e dal 2002 Clooney) considerano la loro mensa personale. Non mancano le famiglie reali, assieme agli ospiti del sottostante hotel Villa d' Este.
Foto:
21 settembre 2008: Liam Gallagher degli Oasis festeggia i suoi 36 anni al Gatto Nero.
Fausto Fontana, 59 anni, con Mick Hucknall, voce dei Simply Red.
Claudio Baglioni posa con Fontana dopo un concerto a Villa Erba.
Neil Armstrong, primo uomo sulla Luna 40 anni fa.
Fra i clienti del Gatto Nero c' è anche Catherine Zeta-Jones.
Ronaldo con Fontana. Tutti i giocatori di Inter e Milan sono clienti.
Wednesday, July 15, 2009
Guido Bertolaso
SUPERGUIDO
Non solo Protezione civile: Bertolaso organizza tutti i grandi eventi, dal G8 ai Mondiali di nuoto, restaura monumenti, toglie la spazzatura, gestisce aree archeologiche, distribuisce indennizzi. In nome di un'eterna emergenza. Perché Berlusconi si fida solo di lui
di Mauro Suttora
Oggi, 8 luglio 2009
Una volta, disastri come quella di Viareggio venivano affrontate da prefetti e questori. Oggi arriva Bertolaso. Per i terremoti c’erano vigili del fuoco ed esercito. Ora c’è Bertolaso. Per ricostruire dopo i terremoti c’erano regioni e ministri dei Lavori pubblici. Adesso, Guido Bertolaso. E chi ha organizzato gli spettacolari funerali del Papa nel 2005? Sempre Bertolaso.
Bertolaso di qua, Bertolaso di là. “Ha 106 controfigure”, scherza Fiorello. Superbertolaso. L’eroe della spazzatura di Napoli e Sicilia. Il trionfatore della piena del Tevere: il sindaco di Roma Alemanno si affidò a lui lo scorso dicembre, e poi lo ha nominato commissario straordinario per tutte le zone archeologiche di Roma. Soprintendenti, addio.
L’apoteosi di Bertolaso si compie in questi giorni, con l’appalto totale del vertice G8 all’Aquila. Esautorato il ministero degli Esteri, è la Protezione civile a gestire tutto. Perfino l’ordine pubblico: polizia e carabinieri sono agli ordini di Bertolaso. «Coordinati», bisogna dire, per non irritare troppo i ministri dell’Interno e della Difesa ormai bypassati.
Ma chi è questo bell’uomo 59enne, faccia da attore, poche parole e molti fatti, diventato più potente di tutti i ministri non essendo neanche sottosegretario?
Romano, figlio di un generale dell’Aviazione, nel ‘63 vide sfrecciare il padre all’aeroporto, primo collaudatore di un F104: «Ero con mia madre, ci passò sopra quell’uccello di ferro che urlava. Un’emozione indimenticabile”.
Poi, narra la leggenda, quand’era ragazzino in collegio organizzò squadre di volontari per spegnere un incendio vicino all’abbazia di Farfa, in Sabina. Vocazione precoce. Oggi sono 15 i Canadair che fa volare ogni estate per (cercare di) proteggere i nostri boschi. Anche qui, è lui il capo di tutti: un milione e 300 mila volontari della protezione civile divisi in 2.500 organizzazioni, diecimila guardie forestali, trentamila pompieri, Cnr, Aeronautica, Agenzie regionali dell’Ambiente.
Superguido si laurea in medicina a Roma. Sarebbe diventato medico ai Parioli, il suo quartiere, se lo spirito d’avventura non lo avesse spinto a Liverpool, per specializzarsi in malattie tropicali. E poi via, in Africa: missionario laico in Algeria, Burkina Faso, Mali. Nel 1980, a trent’anni, la Farnesina lo manda in Thailandia a gestire un ospedale italiano.
Poi se lo piglia Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri, per lavorare alla Cooperazione internazionale. Tanto basta agli invidiosi per catalogarlo come democristiano, e sussurrare: «È nipote del cardinale Camillo Ruini». Gli schizzi non lo colpiscono: «Sono un tecnico, non ho tessere».
Intanto Bertolaso sposa Gloria Piermarini, architetto paesaggista, famiglia della Roma-benissimo. Due figlie, Olivia e Chiara. Carattere non facile, si distrae giocando a golf all’Olgiata. Quando Andreotti lascia gli Esteri nell’89 va al ministero Affari sociali sotto Rosa Russo Iervolino, oggi sindaco della Napoli da lui ripulita. Una breve incursione nel volontariato internazionale (Unicef Italia), poi di nuovo a iniettare managerialità nel parastato nostrano: il sindaco di Roma Francesco Rutelli lo chiama nel ‘97 a gestire il Giubileo 2000. Il suo capolavoro: guidare l’auto che, fendendo la folla di papa-boys, portò Giovanni Paolo II in mezzo al prato dello storico raduno di Tor Vergata.
Dopo il Vaticano, ad maiora: capo della Protezione civile. Silvio Berlusconi si innamora di questo antesignano di Sergio Marchionne, sempre in maglioncino blu o grigio (ma bordato di tricolore), che sprizza efficienza da tutti i pori. Gli fa organizzare il vertice Nato di Pratica di Mare, ne rimane soddisfatto. Da allora, se c’è un problema, chiama sempre Bertolaso. Tutti i summit sono suoi: Fao 2002, presidenza Ue 2003, costituzione europea 2004.
Non si capisce bene cosa c’entri con i «grandi eventi» la Protezione civile, che dovrebbe proteggerci dalle emergenze naturali. Ma per velocizzare la burocrazia è comodo catalogare tutto come «emergenza».
Quindi a Bertolaso vengono affidati anche i mondiali di ciclismo a Varese l’anno scorso, quelli imminenti di nuoto a Roma (con appalti costosissimi per opere non finite o abbandonate a metà, come il megastadio di Calatrava) e i Giochi del Mediterraneo a Pescara. SuperGuido organizzerà pure le celebrazioni per i 150 anni dell’Italia, nel 2011.
Non pago, Bertolaso sta soppiantando pure il ministero dei Beni culturali: ha restaurato la cattedrale di Noto (Ragusa) e perfino la statua del David di Donatello a Firenze, oltre a ricostruire in Umbria e Marche dopo il terremoto del ‘97.
La sua bravura ha un riconoscimento bipartisan: il primo governo Prodi lo fece capo della Protezione civile nel ‘96, e dieci anni dopo lo ha lasciato al suo posto.
Unica grossa polemica, quella con la Croce Rossa di Maurizio Scelli (oggi deputato Pdl) sui 25 milioni inviati via sms per lo tsunami del 2004. Unico infortunio giudiziario, il processo per tangenti sui rifiuti in Campania: 25 arresti, incriminata il suo ex braccio destro Marta Di Gennaro. Prima udienza il 15 luglio.
Per il G8 alla Maddalena Bertolaso aveva speso 363 milioni, prima che Berlusconi decidesse di spostarlo all’Aquila. La Protezione civile ci costa 1,6 miliardi l’anno. Il grosso va per le calamità naturali: 1,1 miliardi. Dopo la strage della classe di San Giuliano di Puglia del 2002, Bertolaso si occupa anche di sicurezza nelle scuole al posto del ministero dell’Istruzione: venti milioni di euro quest’anno. E distribuisce indennizzi per 37 milioni annui ai contadini danneggiati da alluvioni e siccità, al posto del ministero dell’Agricoltura.
Per far fronte all’espansione di compiti i 700 uomini della Protezione civile hanno ottenuto un raddoppio di sedi: oltre a quella vecchia di via Ulpiano, accanto al Palazzaccio di giustizia di Roma, una nuova di zecca in via Flaminia, alla confluenza con la Flaminia vecchia. E Bertolaso è ricompensato (dichiarazione 2007) con un milione di euro l’anno.
Mauro Suttora
Non solo Protezione civile: Bertolaso organizza tutti i grandi eventi, dal G8 ai Mondiali di nuoto, restaura monumenti, toglie la spazzatura, gestisce aree archeologiche, distribuisce indennizzi. In nome di un'eterna emergenza. Perché Berlusconi si fida solo di lui
di Mauro Suttora
Oggi, 8 luglio 2009
Una volta, disastri come quella di Viareggio venivano affrontate da prefetti e questori. Oggi arriva Bertolaso. Per i terremoti c’erano vigili del fuoco ed esercito. Ora c’è Bertolaso. Per ricostruire dopo i terremoti c’erano regioni e ministri dei Lavori pubblici. Adesso, Guido Bertolaso. E chi ha organizzato gli spettacolari funerali del Papa nel 2005? Sempre Bertolaso.
Bertolaso di qua, Bertolaso di là. “Ha 106 controfigure”, scherza Fiorello. Superbertolaso. L’eroe della spazzatura di Napoli e Sicilia. Il trionfatore della piena del Tevere: il sindaco di Roma Alemanno si affidò a lui lo scorso dicembre, e poi lo ha nominato commissario straordinario per tutte le zone archeologiche di Roma. Soprintendenti, addio.
L’apoteosi di Bertolaso si compie in questi giorni, con l’appalto totale del vertice G8 all’Aquila. Esautorato il ministero degli Esteri, è la Protezione civile a gestire tutto. Perfino l’ordine pubblico: polizia e carabinieri sono agli ordini di Bertolaso. «Coordinati», bisogna dire, per non irritare troppo i ministri dell’Interno e della Difesa ormai bypassati.
Ma chi è questo bell’uomo 59enne, faccia da attore, poche parole e molti fatti, diventato più potente di tutti i ministri non essendo neanche sottosegretario?
Romano, figlio di un generale dell’Aviazione, nel ‘63 vide sfrecciare il padre all’aeroporto, primo collaudatore di un F104: «Ero con mia madre, ci passò sopra quell’uccello di ferro che urlava. Un’emozione indimenticabile”.
Poi, narra la leggenda, quand’era ragazzino in collegio organizzò squadre di volontari per spegnere un incendio vicino all’abbazia di Farfa, in Sabina. Vocazione precoce. Oggi sono 15 i Canadair che fa volare ogni estate per (cercare di) proteggere i nostri boschi. Anche qui, è lui il capo di tutti: un milione e 300 mila volontari della protezione civile divisi in 2.500 organizzazioni, diecimila guardie forestali, trentamila pompieri, Cnr, Aeronautica, Agenzie regionali dell’Ambiente.
Superguido si laurea in medicina a Roma. Sarebbe diventato medico ai Parioli, il suo quartiere, se lo spirito d’avventura non lo avesse spinto a Liverpool, per specializzarsi in malattie tropicali. E poi via, in Africa: missionario laico in Algeria, Burkina Faso, Mali. Nel 1980, a trent’anni, la Farnesina lo manda in Thailandia a gestire un ospedale italiano.
Poi se lo piglia Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri, per lavorare alla Cooperazione internazionale. Tanto basta agli invidiosi per catalogarlo come democristiano, e sussurrare: «È nipote del cardinale Camillo Ruini». Gli schizzi non lo colpiscono: «Sono un tecnico, non ho tessere».
Intanto Bertolaso sposa Gloria Piermarini, architetto paesaggista, famiglia della Roma-benissimo. Due figlie, Olivia e Chiara. Carattere non facile, si distrae giocando a golf all’Olgiata. Quando Andreotti lascia gli Esteri nell’89 va al ministero Affari sociali sotto Rosa Russo Iervolino, oggi sindaco della Napoli da lui ripulita. Una breve incursione nel volontariato internazionale (Unicef Italia), poi di nuovo a iniettare managerialità nel parastato nostrano: il sindaco di Roma Francesco Rutelli lo chiama nel ‘97 a gestire il Giubileo 2000. Il suo capolavoro: guidare l’auto che, fendendo la folla di papa-boys, portò Giovanni Paolo II in mezzo al prato dello storico raduno di Tor Vergata.
Dopo il Vaticano, ad maiora: capo della Protezione civile. Silvio Berlusconi si innamora di questo antesignano di Sergio Marchionne, sempre in maglioncino blu o grigio (ma bordato di tricolore), che sprizza efficienza da tutti i pori. Gli fa organizzare il vertice Nato di Pratica di Mare, ne rimane soddisfatto. Da allora, se c’è un problema, chiama sempre Bertolaso. Tutti i summit sono suoi: Fao 2002, presidenza Ue 2003, costituzione europea 2004.
Non si capisce bene cosa c’entri con i «grandi eventi» la Protezione civile, che dovrebbe proteggerci dalle emergenze naturali. Ma per velocizzare la burocrazia è comodo catalogare tutto come «emergenza».
Quindi a Bertolaso vengono affidati anche i mondiali di ciclismo a Varese l’anno scorso, quelli imminenti di nuoto a Roma (con appalti costosissimi per opere non finite o abbandonate a metà, come il megastadio di Calatrava) e i Giochi del Mediterraneo a Pescara. SuperGuido organizzerà pure le celebrazioni per i 150 anni dell’Italia, nel 2011.
Non pago, Bertolaso sta soppiantando pure il ministero dei Beni culturali: ha restaurato la cattedrale di Noto (Ragusa) e perfino la statua del David di Donatello a Firenze, oltre a ricostruire in Umbria e Marche dopo il terremoto del ‘97.
La sua bravura ha un riconoscimento bipartisan: il primo governo Prodi lo fece capo della Protezione civile nel ‘96, e dieci anni dopo lo ha lasciato al suo posto.
Unica grossa polemica, quella con la Croce Rossa di Maurizio Scelli (oggi deputato Pdl) sui 25 milioni inviati via sms per lo tsunami del 2004. Unico infortunio giudiziario, il processo per tangenti sui rifiuti in Campania: 25 arresti, incriminata il suo ex braccio destro Marta Di Gennaro. Prima udienza il 15 luglio.
Per il G8 alla Maddalena Bertolaso aveva speso 363 milioni, prima che Berlusconi decidesse di spostarlo all’Aquila. La Protezione civile ci costa 1,6 miliardi l’anno. Il grosso va per le calamità naturali: 1,1 miliardi. Dopo la strage della classe di San Giuliano di Puglia del 2002, Bertolaso si occupa anche di sicurezza nelle scuole al posto del ministero dell’Istruzione: venti milioni di euro quest’anno. E distribuisce indennizzi per 37 milioni annui ai contadini danneggiati da alluvioni e siccità, al posto del ministero dell’Agricoltura.
Per far fronte all’espansione di compiti i 700 uomini della Protezione civile hanno ottenuto un raddoppio di sedi: oltre a quella vecchia di via Ulpiano, accanto al Palazzaccio di giustizia di Roma, una nuova di zecca in via Flaminia, alla confluenza con la Flaminia vecchia. E Bertolaso è ricompensato (dichiarazione 2007) con un milione di euro l’anno.
Mauro Suttora
Wednesday, July 08, 2009
Debora Serracchiani privata
Ha battuto Berlusconi, ma la temono anche i capi democratici
Oggi, 28 giugno 2009
dal nostro inviato a Udine Mauro Suttora
Mai, nella storia d’Italia, c’era stata un’ascesa politica più rapida. Fino al 2003 Debora Serracchiani di politica non si interessava, se non leggendo i giornali. Fino a cento giorni fa non era mai scesa a Roma per una riunione nazionale del suo partito, il Democratico.
Oggi, milioni di simpatizzanti sperano in questa 38enne romana-udinese per rinnovare il centrosinistra. In 144 mila l’hanno votata il 7 giugno, spedendola all’Europarlamento. «E in Friuli ho battuto anche “papi”», scherza lei: settemila preferenze più del premier Silvio Berlusconi.
Incontriamo il fenomeno con frangetta a casa sua, nella periferia estrema di Udine. Una casetta comprata col mutuo assieme al compagno Riccardo, 40 anni, romano pure lui, impiegato in un’impresa di telecomunicazioni. Debora, che da quindici anni fa l’avvocatessa specializzata in cause di lavoro, ci accoglie nel giardinetto di fronte al canale Ledra. Poco più in là il palasport della Snaidero basket e lo stadio dell’Udinese calcio: «Da qui sentiamo gratis i concerti: ottimi quelli di Vasco Rossi e Red Hot Chili Pepper, ora aspettiamo i Coldplay a fine agosto».
Debora ha appena scritto un libro: Il coraggio che manca (ed. Rizzoli). Sottotitolo: A un cittadino deluso dalla politica. Racconta le incredibili dieci settimane fra il suo primo discorso del 21 marzo a Roma e il trionfo alle Europee. Il giorno dell’equinozio primaverile 2009 «è stato forse il momento più basso nella storia della sinistra italiana». Il segretario del Pd Walter Veltroni si era dimesso. Sul tavolo del successore Dario Franceschini i sondaggi davano il partito al 20 per cento. Un disastro per gli eredi di Dc e Pci, attestati al 70 per cento per mezzo secolo.
La Serracchiani, con un discorso di pochi minuti, è riuscita a galvanizzare il pubblico democratico. Era arrivata in corriera di notte da Udine assieme ai colleghi di base del Pd, non aveva dormito, era a disagio per la scarsa eleganza del proprio vestito rispetto ai dirigenti romani: «Pensavo a un incontro di partito, mi sono ritrovata in una convention». Eppure ha attirato l’attenzione di tutti i delusi dalla nomenklatura democratica, che l’hanno applaudita 35 volte. Dal giorno dopo, migliaia di e-mail e sms.
Ma chi è la Serracchiani, da dove viene?
«Sono nata nel 1970 a Roma, quartiere Casetta Mattei, zona Portuense. Mio padre era impiegato Alitalia, mia madre ha smesso di lavorare quand’è nato mio fratello Emiliano. Scuola dalle suore fino alla terza media. Poi istituto tecnico commerciale, perché non volevo andare all’università: ragioneria con lingue, inglese e francese. Ci ho aggiunto lo spagnolo. Fino a 18 anni ho giocato a tennis a livello agonistico. Ma le ore d’allenamento erano troppe: entrata all’università, non ho più toccato la racchetta per dieci anni. Laureata in legge nel ‘94 con 110 e lode, tesi di diritto commerciale su una direttiva europea per le srl”.
E nel tempo libero?
«Musica: Bruce Sprigsteen, Zero Assoluto, Elisa. Libri: Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, l’ho letto dieci volte, anche in inglese. E i legal thriller di Grisham. Cinema: Il marchese del Grillo con Alberto Sordi, grandi dialoghi e senso civico».
Ha visto il film Mister Smith va a Washington di Frank Capra?
«No».
È proprio la sua storia: James Stewart, idealista digiuno di politica, viene eletto deputato.
«E poi?»
Non le rovino la sorpresa del finale. Ci dica lei piuttosto: com’è finita a Udine, e per di più in via Sondrio? Più a nord di così...
«Ricordo ancora il giorno del trasloco: 3 gennaio ‘95. Un freddo incredibile. Ho seguito Riccardo, che aveva trovato lavoro qui».
Lo ha trovato subito anche lei.
«Sì, lo studio Businello mi ha fatto fare il praticantato. Mi sono specializzata in cause di lavoro».
A proposito di lavoro. All’ultimo incontro nazionale del Pd, nel Lingotto di Torino domenica scorsa, lei ha affrontato un totem e tabù della sinistra: l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Che secondo alcuni tutela un po’ troppo i dipendenti, rendendoli quasi illicenziabili.
«Ho posto il problema, più in generale, sul mondo del lavoro. Il Pd deve dire chiaramente cosa pensa su alcuni temi fondamentali. Oggi purtroppo c’è troppa differenza fra lavoratori garantiti e precari. Anche per una questione di tempi: le cause di lavoro sono lunghissime».
Stia attenta: a sinistra chi tocca i fili (l’articolo 18) muore.
«La risposta è: migliorare gli ammortizzatori sociali. Che non devono proteggere settori improduttivi, ma accompagnare chi perde il posto a un nuovo lavoro».
L’avvocato Businello, prima suo principale e poi socio, mi ha parlato molto bene di lei. Dice che le sue grandi virtù, determinazione e capacità di lavoro, sono anche il suo unico difetto: qualche segretaria non rimpiange i suoi ritmi.
«Sono esigente soprattutto cone me stessa. Al sabato mattina lavoro. E anche in agosto, quando c’è più tempo e tranquillità per smaltire il lavoro arretrato».
Povero Riccardo.
«Ma no, anche a lui piace andare in vacanza a giugno o a fine estate, fuori dalla ressa».
Dove?
«Isole greche».
E i week-end azzoppati?
«Passiamo le domeniche pomeriggio qui sul divano a vedere le partite della Roma in tv».
Su Sky?
«Macché: digitale terrestre Mediaset. Pagando Berlusconi. Me ne vergogno...»
Non vi sposate?
«Non vogliamo svilire il matrimonio, istituto nel quale non crediamo fino in fondo, sposandoci solo per convenienza. Aspettiamo i Dico, i patti di convivenza».
Aspetta e spera. Anche nel Pd i cattolici fondamentalisti sembrano dettare la linea sulle questioni etiche.
«È ora di discutere, rispettando la sensibilità di tutti, ma prendendo una decisione. Magari lasciando a casa qualcuno. Anche perché nel 2020 le nuove convivenze in Italia supereranno i matrimoni».
Nel suo primo e ormai famoso discorso lei si è presentata così: «Vengo dalla città che ha accolto Eluana Englaro».
«Certo. Sono questioni di civiltà. Sto con Ignazio Marino, il medico cattolico fautore del testamento biologico».
E nel libro maltratta Francesco Rutelli.
«Ricandidarlo sindaco a Roma dopo quindici anni è stato un disastro. Ci voleva un volto nuovo. Abbiamo regalato la capitale alla destra».
Quattro a Rutelli, cinque a D’Alema e Di Pietro, sei a Franceschini, sei più a Veltroni: questa è la severa pagella Serracchiani ai capi del centrosinistra.
«Veramente secondo me Di Pietro non ha nulla a che fare col centrosinistra: nel suo partito personale ha riciclato di tutto».
Visto il voto a D’Alema, inutile chiederle se appoggerà il suo candidato Pierluigi Bersani al congresso d’autunno, contro Franceschini.
«Ci vogliono facce nuove».
«A destra sono capaci di tutto, a sinistra sono buoni a nulla»: all’inizio del libro lei cita questa tremenda frase di Marco Pannella contro i politici italiani. La condivide?
«Dobbiamo fare di tutto per smentirlo».
Mauro Suttora
Oggi, 28 giugno 2009
dal nostro inviato a Udine Mauro Suttora
Mai, nella storia d’Italia, c’era stata un’ascesa politica più rapida. Fino al 2003 Debora Serracchiani di politica non si interessava, se non leggendo i giornali. Fino a cento giorni fa non era mai scesa a Roma per una riunione nazionale del suo partito, il Democratico.
Oggi, milioni di simpatizzanti sperano in questa 38enne romana-udinese per rinnovare il centrosinistra. In 144 mila l’hanno votata il 7 giugno, spedendola all’Europarlamento. «E in Friuli ho battuto anche “papi”», scherza lei: settemila preferenze più del premier Silvio Berlusconi.
Incontriamo il fenomeno con frangetta a casa sua, nella periferia estrema di Udine. Una casetta comprata col mutuo assieme al compagno Riccardo, 40 anni, romano pure lui, impiegato in un’impresa di telecomunicazioni. Debora, che da quindici anni fa l’avvocatessa specializzata in cause di lavoro, ci accoglie nel giardinetto di fronte al canale Ledra. Poco più in là il palasport della Snaidero basket e lo stadio dell’Udinese calcio: «Da qui sentiamo gratis i concerti: ottimi quelli di Vasco Rossi e Red Hot Chili Pepper, ora aspettiamo i Coldplay a fine agosto».
Debora ha appena scritto un libro: Il coraggio che manca (ed. Rizzoli). Sottotitolo: A un cittadino deluso dalla politica. Racconta le incredibili dieci settimane fra il suo primo discorso del 21 marzo a Roma e il trionfo alle Europee. Il giorno dell’equinozio primaverile 2009 «è stato forse il momento più basso nella storia della sinistra italiana». Il segretario del Pd Walter Veltroni si era dimesso. Sul tavolo del successore Dario Franceschini i sondaggi davano il partito al 20 per cento. Un disastro per gli eredi di Dc e Pci, attestati al 70 per cento per mezzo secolo.
La Serracchiani, con un discorso di pochi minuti, è riuscita a galvanizzare il pubblico democratico. Era arrivata in corriera di notte da Udine assieme ai colleghi di base del Pd, non aveva dormito, era a disagio per la scarsa eleganza del proprio vestito rispetto ai dirigenti romani: «Pensavo a un incontro di partito, mi sono ritrovata in una convention». Eppure ha attirato l’attenzione di tutti i delusi dalla nomenklatura democratica, che l’hanno applaudita 35 volte. Dal giorno dopo, migliaia di e-mail e sms.
Ma chi è la Serracchiani, da dove viene?
«Sono nata nel 1970 a Roma, quartiere Casetta Mattei, zona Portuense. Mio padre era impiegato Alitalia, mia madre ha smesso di lavorare quand’è nato mio fratello Emiliano. Scuola dalle suore fino alla terza media. Poi istituto tecnico commerciale, perché non volevo andare all’università: ragioneria con lingue, inglese e francese. Ci ho aggiunto lo spagnolo. Fino a 18 anni ho giocato a tennis a livello agonistico. Ma le ore d’allenamento erano troppe: entrata all’università, non ho più toccato la racchetta per dieci anni. Laureata in legge nel ‘94 con 110 e lode, tesi di diritto commerciale su una direttiva europea per le srl”.
E nel tempo libero?
«Musica: Bruce Sprigsteen, Zero Assoluto, Elisa. Libri: Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, l’ho letto dieci volte, anche in inglese. E i legal thriller di Grisham. Cinema: Il marchese del Grillo con Alberto Sordi, grandi dialoghi e senso civico».
Ha visto il film Mister Smith va a Washington di Frank Capra?
«No».
È proprio la sua storia: James Stewart, idealista digiuno di politica, viene eletto deputato.
«E poi?»
Non le rovino la sorpresa del finale. Ci dica lei piuttosto: com’è finita a Udine, e per di più in via Sondrio? Più a nord di così...
«Ricordo ancora il giorno del trasloco: 3 gennaio ‘95. Un freddo incredibile. Ho seguito Riccardo, che aveva trovato lavoro qui».
Lo ha trovato subito anche lei.
«Sì, lo studio Businello mi ha fatto fare il praticantato. Mi sono specializzata in cause di lavoro».
A proposito di lavoro. All’ultimo incontro nazionale del Pd, nel Lingotto di Torino domenica scorsa, lei ha affrontato un totem e tabù della sinistra: l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Che secondo alcuni tutela un po’ troppo i dipendenti, rendendoli quasi illicenziabili.
«Ho posto il problema, più in generale, sul mondo del lavoro. Il Pd deve dire chiaramente cosa pensa su alcuni temi fondamentali. Oggi purtroppo c’è troppa differenza fra lavoratori garantiti e precari. Anche per una questione di tempi: le cause di lavoro sono lunghissime».
Stia attenta: a sinistra chi tocca i fili (l’articolo 18) muore.
«La risposta è: migliorare gli ammortizzatori sociali. Che non devono proteggere settori improduttivi, ma accompagnare chi perde il posto a un nuovo lavoro».
L’avvocato Businello, prima suo principale e poi socio, mi ha parlato molto bene di lei. Dice che le sue grandi virtù, determinazione e capacità di lavoro, sono anche il suo unico difetto: qualche segretaria non rimpiange i suoi ritmi.
«Sono esigente soprattutto cone me stessa. Al sabato mattina lavoro. E anche in agosto, quando c’è più tempo e tranquillità per smaltire il lavoro arretrato».
Povero Riccardo.
«Ma no, anche a lui piace andare in vacanza a giugno o a fine estate, fuori dalla ressa».
Dove?
«Isole greche».
E i week-end azzoppati?
«Passiamo le domeniche pomeriggio qui sul divano a vedere le partite della Roma in tv».
Su Sky?
«Macché: digitale terrestre Mediaset. Pagando Berlusconi. Me ne vergogno...»
Non vi sposate?
«Non vogliamo svilire il matrimonio, istituto nel quale non crediamo fino in fondo, sposandoci solo per convenienza. Aspettiamo i Dico, i patti di convivenza».
Aspetta e spera. Anche nel Pd i cattolici fondamentalisti sembrano dettare la linea sulle questioni etiche.
«È ora di discutere, rispettando la sensibilità di tutti, ma prendendo una decisione. Magari lasciando a casa qualcuno. Anche perché nel 2020 le nuove convivenze in Italia supereranno i matrimoni».
Nel suo primo e ormai famoso discorso lei si è presentata così: «Vengo dalla città che ha accolto Eluana Englaro».
«Certo. Sono questioni di civiltà. Sto con Ignazio Marino, il medico cattolico fautore del testamento biologico».
E nel libro maltratta Francesco Rutelli.
«Ricandidarlo sindaco a Roma dopo quindici anni è stato un disastro. Ci voleva un volto nuovo. Abbiamo regalato la capitale alla destra».
Quattro a Rutelli, cinque a D’Alema e Di Pietro, sei a Franceschini, sei più a Veltroni: questa è la severa pagella Serracchiani ai capi del centrosinistra.
«Veramente secondo me Di Pietro non ha nulla a che fare col centrosinistra: nel suo partito personale ha riciclato di tutto».
Visto il voto a D’Alema, inutile chiederle se appoggerà il suo candidato Pierluigi Bersani al congresso d’autunno, contro Franceschini.
«Ci vogliono facce nuove».
«A destra sono capaci di tutto, a sinistra sono buoni a nulla»: all’inizio del libro lei cita questa tremenda frase di Marco Pannella contro i politici italiani. La condivide?
«Dobbiamo fare di tutto per smentirlo».
Mauro Suttora
Wednesday, July 01, 2009
Roberto Formigoni in yacht con Alicia
FORMIGONI NON BALLA DA SOLO
IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA SCATENATO A CAPRERA
Tre anni fa lo avevamo «beccato» con una bella spagnola. Ora il casto Roberto ci ricasca. È solo un' amica, come giura lui, o qualcosa di più?
di Mauro Suttora
Porto Cervo, 1 luglio 2009
Sembra un po' Gei Ar del serial tv Dallas, il governatore della Lombardia, con quel cappello bianco da cow boy. Invece Roberto Formigoni, 62 anni, non si trova in Texas. Sta trascorrendo un simpatico weekend di relax all' isola di Caprera, a bordo dello yacht Ad Maiora.
La Sardegna avrà anche perso il vertice G8, che si doveva tenere dall' 8 luglio alla Madda lena ed è stato spostato all' Aquila, ma i vip sulle megabarche fioccano come sempre. Formigoni era col fratello, la cognata e altri amici. E ha dimostrato una predilezione per una bella signora che, si sussurra in Costa Smeralda, si chiama Alicia, età 32 anni, spagnola, professione pubbliche relazioni nel ramo gioielli, residenze fra Barcellona, Parigi e Londra.
Già tre anni fa i nostri fotografi avevano «pizzicato» la coppia al mare. Questa volta Formigoni, di ottimo umore, improvvisa una danza con la caliente spagnola. E Alicia si lascia trasportare dall'entusiasmo del governatore, accennando pure lei un paso doble sul ponte del megayacht. Poi in quattro si avventurano sul gommone-tender per un'escursione. Ma sfortunatamente l'imbarcazione impatta su uno scoglio, e così Formigoni & company devono chiamare l'equipaggio per farsi recuperare.
Archiviata la relazione con Emanuela Talenti, con la quale comunque ogni tanto è avvistato a cena nel ristorante Gatto Nero di Rovenna, sopra Cernobbio (Como), il governatore non disdegna le amicizie femminili.
Fa sempre parte del gruppo Memores Domini, che all' interno di Comunione e Liberazione pratica una vita di preghiera, povertà e castità. Anche Alicia farebbe parte del gruppo. Ma ciò non impedisce a entrambi di frequentare, ridere e scherzare con esponenti del sesso opposto.
MIRA A RUOLI NAZIONALI
L'anno prossimo si voterà per le regionali, e Formigoni è dato vincente per la quarta volta consecutiva in Lombardia. Un record. Ma non è un mistero che il governatore miri da anni a più prestigiosi incarichi di livello nazionale. Silvio Berlusconi, però, finora non ha assecondato questa sua ambizione.
Tre mesi fa il suo ex collaboratore Marco De Petro è stato condannato a due anni di carcere per corruzione (tangente da un milione di dollari) nello scandalo Oil for Food sulle vendite di petrolio iracheno. Ma Formigoni non è stato toccato dall' inchiesta.
Mauro Suttora
IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA SCATENATO A CAPRERA
Tre anni fa lo avevamo «beccato» con una bella spagnola. Ora il casto Roberto ci ricasca. È solo un' amica, come giura lui, o qualcosa di più?
di Mauro Suttora
Porto Cervo, 1 luglio 2009
Sembra un po' Gei Ar del serial tv Dallas, il governatore della Lombardia, con quel cappello bianco da cow boy. Invece Roberto Formigoni, 62 anni, non si trova in Texas. Sta trascorrendo un simpatico weekend di relax all' isola di Caprera, a bordo dello yacht Ad Maiora.
La Sardegna avrà anche perso il vertice G8, che si doveva tenere dall' 8 luglio alla Madda lena ed è stato spostato all' Aquila, ma i vip sulle megabarche fioccano come sempre. Formigoni era col fratello, la cognata e altri amici. E ha dimostrato una predilezione per una bella signora che, si sussurra in Costa Smeralda, si chiama Alicia, età 32 anni, spagnola, professione pubbliche relazioni nel ramo gioielli, residenze fra Barcellona, Parigi e Londra.
Già tre anni fa i nostri fotografi avevano «pizzicato» la coppia al mare. Questa volta Formigoni, di ottimo umore, improvvisa una danza con la caliente spagnola. E Alicia si lascia trasportare dall'entusiasmo del governatore, accennando pure lei un paso doble sul ponte del megayacht. Poi in quattro si avventurano sul gommone-tender per un'escursione. Ma sfortunatamente l'imbarcazione impatta su uno scoglio, e così Formigoni & company devono chiamare l'equipaggio per farsi recuperare.
Archiviata la relazione con Emanuela Talenti, con la quale comunque ogni tanto è avvistato a cena nel ristorante Gatto Nero di Rovenna, sopra Cernobbio (Como), il governatore non disdegna le amicizie femminili.
Fa sempre parte del gruppo Memores Domini, che all' interno di Comunione e Liberazione pratica una vita di preghiera, povertà e castità. Anche Alicia farebbe parte del gruppo. Ma ciò non impedisce a entrambi di frequentare, ridere e scherzare con esponenti del sesso opposto.
MIRA A RUOLI NAZIONALI
L'anno prossimo si voterà per le regionali, e Formigoni è dato vincente per la quarta volta consecutiva in Lombardia. Un record. Ma non è un mistero che il governatore miri da anni a più prestigiosi incarichi di livello nazionale. Silvio Berlusconi, però, finora non ha assecondato questa sua ambizione.
Tre mesi fa il suo ex collaboratore Marco De Petro è stato condannato a due anni di carcere per corruzione (tangente da un milione di dollari) nello scandalo Oil for Food sulle vendite di petrolio iracheno. Ma Formigoni non è stato toccato dall' inchiesta.
Mauro Suttora
Wednesday, June 24, 2009
Francesca Balzani, eurodeputata
Oggi, 24 giugno 2009
Francesca Balzani, 43 anni, di Genova, avvocata dello studio Uckmar, sposata, due figli. È stata eletta eurodeputata Pd per il Nordovest. Non ha mai fatto politica fino a due anni fa, quando il sindaco di Genova Marta Vincenzi l'ha scelta come assessore al Bilancio.
Il nostro giornale (il settimanale Oggi) l'ha "adottata" al posto di Rosaria Capacchione, che non ce l'ha fatta ad arrivare a Bruxelles. Gli eurodeputati adottati, uno per partito, si sono impegnati a partecipare a tempo pieno ai lavori ell'Europarlamento, a diminuirne gli sprechi e a farlo funzionare meglio. Nei prossimi cinque anni li controlleremo, e loro sranno le nostre "spie" a Bruxelles, raccontandoci che cosa succede in Europa.
Mauro Suttora
Francesca Balzani, 43 anni, di Genova, avvocata dello studio Uckmar, sposata, due figli. È stata eletta eurodeputata Pd per il Nordovest. Non ha mai fatto politica fino a due anni fa, quando il sindaco di Genova Marta Vincenzi l'ha scelta come assessore al Bilancio.
Il nostro giornale (il settimanale Oggi) l'ha "adottata" al posto di Rosaria Capacchione, che non ce l'ha fatta ad arrivare a Bruxelles. Gli eurodeputati adottati, uno per partito, si sono impegnati a partecipare a tempo pieno ai lavori ell'Europarlamento, a diminuirne gli sprechi e a farlo funzionare meglio. Nei prossimi cinque anni li controlleremo, e loro sranno le nostre "spie" a Bruxelles, raccontandoci che cosa succede in Europa.
Mauro Suttora
Roberto Giovalli picchiato a Formentera
dal nostro inviato Mauro Suttora
Oggi, 15 giugno 2009
«Come sta, Giovalli?»
«Ho visto tempi migliori».
Secondo piano dell'ospedale di Ibiza. Roberto Giovalli parla a fatica, ma non ha perso il senso dell'humour. Lo hanno massacrato di botte nella sua isola di Formentera. È intubato. Occhi gonfi, viso irriconoscibile.
«Tornavo a casa da solo in auto verso l'una di notte. Erano in quattro. Ho avuto solo il tempo di scorgerne uno. Parlava spagnolo. Mi ha colpito in testa con un bastone grosso così. Poi mi hanno legato le mani con un filo della luce strappato all'entrata. Mi hanno avvolto la testa in un paio di miei pantaloni trovati in cortile. E hanno cominciato a colpirmi, in silenzio. Dappertutto: in faccia, sulla testa, sul corpo...»
Arriva un'infermiera, gli dà un aggeggio in cui deve soffiare e fare alzare una pallina. Serve per controllare i polmoni. Ha avuto un versamento, costole incrinate.
Questo 52enne piemontese, poco conosciuto al grande pubblico, è un monumento della tv italiana. Un quarto di secolo fa era accanto a Silvio Berlusconi. Le sue invenzioni geniali fecero decollare Italia Uno. Negli anni '90 mollò tutto ed emigrò a Formentera. Nel 2001 tornò in Italia per trasformare La Sette in un canale da 7-10 per cento: il terzo polo fra Rai e Mediaset, con Gad Lerner, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. La politica lo impedì.
Così Giovalli, intascati sette miliardi di liquidazione, è tornato nel suo paradiso terrestre. Dove legge, guarda film, macina decine di chilometri di footing. Ogni tanto qualcuno dall'Italia gli propone qualcosa (la presidenza di Federbasket), Berlusconi continua a corteggiarlo. Lui gentilmente rifiuta. Un intellettuale. Un originale. «Il Guru», lo hanno soprannominato i (tanti) amici di Formentera.
E adesso, il paradiso che per lui improvvisamente diventa inferno. Rapina? Giovalli teneva la porta di casa aperta tutto il giorno. Gli hanno rubato il portafogli, ma dentro non sono entrati. Messaggio mafioso, vendetta, regolamento di conti? Giovalli non ha mai avuto proprietà o iniziative economiche da queste parti. Dopo vent'anni è ancora in affitto. «Assieme ad altri aveva aperto un chiringuito, il 10,7 (l'altezza in chilometri dell'unica strada di Formentera), ma lo hanno subito rivenduto», ci dicono gli amici spagnoli e italiani al ristorante Sa Sargantana.
Mistero. Nessuno sembra voler male al mite Guru, qui sull'isola. «I picchiatori sono venuti da fuori», dice la Guardia Civil. Probabilmente sono scappati in motoscafo subito dopo la spedizione punitiva. Difficile e rischioso che si siano mescolati ai turisti dell’unico traghetto per Ibiza. O che abbiano pernottato nella piccola Formentera, dove gli alberghi si contano sulle dita di una mano. Forse erano qui da giorni, lo pedinavano.
Giovalli è un solitario, ma sempre circondato da amici. Quella era una delle poche sere in cui è rincasato da solo. Aveva una coppia di ospiti italiani in una dépendance a pochi metri da casa. Ma quando sono rientrati loro, più tardi, non si sono accorti di nulla. Li ha svegliati la Guardia Civil alle tre. Nel frattempo Giovalli, grondante sangue, era riuscito a slegarsi, a trascinarsi fino all’auto e a guidare verso la strada principale, dove ha chiesto aiuto.
Quindi gli aggressori venivano da fuori. Ma quanto fuori? Dalla rutilante Ibiza (le isole sono praticamente attaccate, mezz'ora di traversata), dalla Spagna, dall'Italia? Qual era il messaggio del commando? «Volevano ucciderlo», dice l'amico più allarmista, «se fosse stato solo un avvertimento avrebbero mirato a gambe e braccia. È stato molto fortunato. Lo ha salvato il suo fisicaccio compatto».
Formentera è già affollata in giugno. Dietro a Giovalli molti vip italiani l'hanno scoperta: Carlo Sama (ex impero Ferruzzi-Gardini), Cristina Parodi e Giorgio Gori, Rosita Celentano, Bonolis, qualche calciatore. Negli ultimi dieci anni sempre più italiani, sempre meno tedeschi. Ma la tranquillità di ex riserva hippy è rimasta. L’isola è il contrario della Costa Smeralda e della Costa Brava. Il massimo del glamour è un aperitivo al tramonto sulla spiaggia Tiburon. E il massimo trofeo dei paparazzi è stato proprio Giovalli nudista sulla sabbia.
Da un anno il Guru ha anche smesso di fare lo scapolo ad oltranza. Sta con la minuta Erika, ex compagna di Renzo Rosso, padrone della Diesel. Ma, pure qui, con discrezione: mai stato a casa di lei, mai incontrati i tre figli avuti da lei con l'ex.
Mistero. «Ho presentato denuncia contro ignoti», mormora sconsolato Giovalli.
Mauro Suttora
Oggi, 15 giugno 2009
«Come sta, Giovalli?»
«Ho visto tempi migliori».
Secondo piano dell'ospedale di Ibiza. Roberto Giovalli parla a fatica, ma non ha perso il senso dell'humour. Lo hanno massacrato di botte nella sua isola di Formentera. È intubato. Occhi gonfi, viso irriconoscibile.
«Tornavo a casa da solo in auto verso l'una di notte. Erano in quattro. Ho avuto solo il tempo di scorgerne uno. Parlava spagnolo. Mi ha colpito in testa con un bastone grosso così. Poi mi hanno legato le mani con un filo della luce strappato all'entrata. Mi hanno avvolto la testa in un paio di miei pantaloni trovati in cortile. E hanno cominciato a colpirmi, in silenzio. Dappertutto: in faccia, sulla testa, sul corpo...»
Arriva un'infermiera, gli dà un aggeggio in cui deve soffiare e fare alzare una pallina. Serve per controllare i polmoni. Ha avuto un versamento, costole incrinate.
Questo 52enne piemontese, poco conosciuto al grande pubblico, è un monumento della tv italiana. Un quarto di secolo fa era accanto a Silvio Berlusconi. Le sue invenzioni geniali fecero decollare Italia Uno. Negli anni '90 mollò tutto ed emigrò a Formentera. Nel 2001 tornò in Italia per trasformare La Sette in un canale da 7-10 per cento: il terzo polo fra Rai e Mediaset, con Gad Lerner, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. La politica lo impedì.
Così Giovalli, intascati sette miliardi di liquidazione, è tornato nel suo paradiso terrestre. Dove legge, guarda film, macina decine di chilometri di footing. Ogni tanto qualcuno dall'Italia gli propone qualcosa (la presidenza di Federbasket), Berlusconi continua a corteggiarlo. Lui gentilmente rifiuta. Un intellettuale. Un originale. «Il Guru», lo hanno soprannominato i (tanti) amici di Formentera.
E adesso, il paradiso che per lui improvvisamente diventa inferno. Rapina? Giovalli teneva la porta di casa aperta tutto il giorno. Gli hanno rubato il portafogli, ma dentro non sono entrati. Messaggio mafioso, vendetta, regolamento di conti? Giovalli non ha mai avuto proprietà o iniziative economiche da queste parti. Dopo vent'anni è ancora in affitto. «Assieme ad altri aveva aperto un chiringuito, il 10,7 (l'altezza in chilometri dell'unica strada di Formentera), ma lo hanno subito rivenduto», ci dicono gli amici spagnoli e italiani al ristorante Sa Sargantana.
Mistero. Nessuno sembra voler male al mite Guru, qui sull'isola. «I picchiatori sono venuti da fuori», dice la Guardia Civil. Probabilmente sono scappati in motoscafo subito dopo la spedizione punitiva. Difficile e rischioso che si siano mescolati ai turisti dell’unico traghetto per Ibiza. O che abbiano pernottato nella piccola Formentera, dove gli alberghi si contano sulle dita di una mano. Forse erano qui da giorni, lo pedinavano.
Giovalli è un solitario, ma sempre circondato da amici. Quella era una delle poche sere in cui è rincasato da solo. Aveva una coppia di ospiti italiani in una dépendance a pochi metri da casa. Ma quando sono rientrati loro, più tardi, non si sono accorti di nulla. Li ha svegliati la Guardia Civil alle tre. Nel frattempo Giovalli, grondante sangue, era riuscito a slegarsi, a trascinarsi fino all’auto e a guidare verso la strada principale, dove ha chiesto aiuto.
Quindi gli aggressori venivano da fuori. Ma quanto fuori? Dalla rutilante Ibiza (le isole sono praticamente attaccate, mezz'ora di traversata), dalla Spagna, dall'Italia? Qual era il messaggio del commando? «Volevano ucciderlo», dice l'amico più allarmista, «se fosse stato solo un avvertimento avrebbero mirato a gambe e braccia. È stato molto fortunato. Lo ha salvato il suo fisicaccio compatto».
Formentera è già affollata in giugno. Dietro a Giovalli molti vip italiani l'hanno scoperta: Carlo Sama (ex impero Ferruzzi-Gardini), Cristina Parodi e Giorgio Gori, Rosita Celentano, Bonolis, qualche calciatore. Negli ultimi dieci anni sempre più italiani, sempre meno tedeschi. Ma la tranquillità di ex riserva hippy è rimasta. L’isola è il contrario della Costa Smeralda e della Costa Brava. Il massimo del glamour è un aperitivo al tramonto sulla spiaggia Tiburon. E il massimo trofeo dei paparazzi è stato proprio Giovalli nudista sulla sabbia.
Da un anno il Guru ha anche smesso di fare lo scapolo ad oltranza. Sta con la minuta Erika, ex compagna di Renzo Rosso, padrone della Diesel. Ma, pure qui, con discrezione: mai stato a casa di lei, mai incontrati i tre figli avuti da lei con l'ex.
Mistero. «Ho presentato denuncia contro ignoti», mormora sconsolato Giovalli.
Mauro Suttora
Anna Maria Corazza eurodeputata
Amore e parmigiano: così ho conquistato la Svezia
PROTAGONISTE E SORPRESE DELLE ELEZIONI
Emiliana purosangue, è famosa a Stoccolma per il suo sito gastronomico e un marito importante. E ora si è fatta eleggere all' Europarlamento
di Mauro Suttora
Oggi, 24 giugno 2009
Abbiamo un'altra Carla Bruni in Europa . Un'altra donna italiana che ha sposato un importante uomo politico straniero, ed è diventata un personaggio nel suo nuovo Paese. Ma Anna Maria Corazza, 45 anni, ora ha perfino superato Carlà Sarkozy di Francia: ha infatti trionfato alle elezioni europee in Svezia, salendo dall' ottavo posto in lista del suo partito al secondo posto fra gli eletti. Da undici anni la signora Corazza è moglie di Carl Bildt, uno dei principali politici svedesi: ex premier, capo del Partito moderato (26 per cento dei voti, fa parte dei popolari europei), prestigiosi incarichi internazionali, e dal 2006 ministro degli Esteri. Oggi Bildt è una delle «tre B» in corsa per i massimi incarichi dell'Unione europea, con Tony Blair e José Manuel Barroso.
L' INCONTRO IN JUGOSLAVIA
Galeotta fu la ex Jugoslavia. Che negli anni Novanta non era proprio uno dei posti più romantici del mondo: guerre dappertutto, dalla Slovenia alla Croazia, dalla Bosnia al Kosovo. Ma è lì che Anna Maria, allora funzionaria Onu, incontrò nel 1996 Bildt per ragioni di lavoro. Allora lui era Alto rappresentante dell' Unione europea in Bosnia, la prima grande missione di pace gestita dalla Ue. La signora Corazza, nata a Roma, è emiliana purosangue: la sua famiglia era proprietaria delle terme di Tabiano, vicino a quelle di Salsomaggiore, e lì conserva un castello trasformato in hotel de charme. Dopo la laurea in Scienze politiche a Roma è andata a specializzarsi in California e alla Columbia University di New York.
«Poi ho lavorato alla Cooperazione col ministero degli Esteri italiano, all'Ocse, all'Unesco e alla Banca mondiale», ci dice. Infine l'Onu: prima al Commissariato dei rifugiati a Ginevra, poi dal 1992 nell'inferno della ex Jugoslavia: due anni in Serbia, due anni in Croazia e due anni in Bosnia. Nella Sarajevo crivellata dai colpi dei cecchini l'ambasciatore italiano Michele Valensise celebrò il matrimonio. Poi, la vita tranquilla di Stoccolma. Anche troppo, per l'intraprendente Anna Maria. Che mette su un sito Internet ( www.italiantradition.com ) per pubblicizzare i prodotti italiani. Innanzitutto quelli della sua Parma: il grana e il prosciutto. Nel 2002 scrive un libro, Da Parma con amore, che diventa un best seller in Svezia. Le affibbiano il soprannome «signora Parmigiano». «La mia famiglia aveva un'azienda agricola, sono cresciuta andando a prendere il latte in fattoria per portarlo al caseificio. E poi le mucche, i maiali...». Al figlio della signora Corazza, Gustav, 5 anni, è venuta una strana allergia: alle arachidi. E allora lei si è messa a studiare le etichette dei cibi per scopri re qual i componenti possono essere dannosi. «Il cibo è collegato alle quattro principali malattie dei tempi moderni: tumori, infarti, diabete e obesità. Di questo voglio occuparmi a Bruxelles», annuncia battagliera.
La campagna elettorale non è stata una passeggiata. «Ovviamente tutti i miei avversari, sia all'interno del partito sia all' esterno, mi hanno subito bollata come "la moglie del ministro". E essere raccomandati in Svezia, contrariamente a quanto accade troppo spesso in Italia, è peccato mortale. Qui c'è democrazia di base. Per questo ho dovuto sudare il doppio. Ma ce l'ho fatta». Le dispiace che Emma Bonino non sia più eurodeputata: «L' avevo conosciuta quand' era commissaria ai diritti umani della Ue, negli anni Novanta. Allora era l'unica a battersi per le donne oppresse dai talebani a Kabul, e ho cercato di aiutarla». Due mesi fa ha accompagnato i reali svedesi nel loro viaggio a Roma. La rivedremo presto, e spesso.
Mauro Suttora
PROTAGONISTE E SORPRESE DELLE ELEZIONI
Emiliana purosangue, è famosa a Stoccolma per il suo sito gastronomico e un marito importante. E ora si è fatta eleggere all' Europarlamento
di Mauro Suttora
Oggi, 24 giugno 2009
Abbiamo un'altra Carla Bruni in Europa . Un'altra donna italiana che ha sposato un importante uomo politico straniero, ed è diventata un personaggio nel suo nuovo Paese. Ma Anna Maria Corazza, 45 anni, ora ha perfino superato Carlà Sarkozy di Francia: ha infatti trionfato alle elezioni europee in Svezia, salendo dall' ottavo posto in lista del suo partito al secondo posto fra gli eletti. Da undici anni la signora Corazza è moglie di Carl Bildt, uno dei principali politici svedesi: ex premier, capo del Partito moderato (26 per cento dei voti, fa parte dei popolari europei), prestigiosi incarichi internazionali, e dal 2006 ministro degli Esteri. Oggi Bildt è una delle «tre B» in corsa per i massimi incarichi dell'Unione europea, con Tony Blair e José Manuel Barroso.
L' INCONTRO IN JUGOSLAVIA
Galeotta fu la ex Jugoslavia. Che negli anni Novanta non era proprio uno dei posti più romantici del mondo: guerre dappertutto, dalla Slovenia alla Croazia, dalla Bosnia al Kosovo. Ma è lì che Anna Maria, allora funzionaria Onu, incontrò nel 1996 Bildt per ragioni di lavoro. Allora lui era Alto rappresentante dell' Unione europea in Bosnia, la prima grande missione di pace gestita dalla Ue. La signora Corazza, nata a Roma, è emiliana purosangue: la sua famiglia era proprietaria delle terme di Tabiano, vicino a quelle di Salsomaggiore, e lì conserva un castello trasformato in hotel de charme. Dopo la laurea in Scienze politiche a Roma è andata a specializzarsi in California e alla Columbia University di New York.
«Poi ho lavorato alla Cooperazione col ministero degli Esteri italiano, all'Ocse, all'Unesco e alla Banca mondiale», ci dice. Infine l'Onu: prima al Commissariato dei rifugiati a Ginevra, poi dal 1992 nell'inferno della ex Jugoslavia: due anni in Serbia, due anni in Croazia e due anni in Bosnia. Nella Sarajevo crivellata dai colpi dei cecchini l'ambasciatore italiano Michele Valensise celebrò il matrimonio. Poi, la vita tranquilla di Stoccolma. Anche troppo, per l'intraprendente Anna Maria. Che mette su un sito Internet ( www.italiantradition.com ) per pubblicizzare i prodotti italiani. Innanzitutto quelli della sua Parma: il grana e il prosciutto. Nel 2002 scrive un libro, Da Parma con amore, che diventa un best seller in Svezia. Le affibbiano il soprannome «signora Parmigiano». «La mia famiglia aveva un'azienda agricola, sono cresciuta andando a prendere il latte in fattoria per portarlo al caseificio. E poi le mucche, i maiali...». Al figlio della signora Corazza, Gustav, 5 anni, è venuta una strana allergia: alle arachidi. E allora lei si è messa a studiare le etichette dei cibi per scopri re qual i componenti possono essere dannosi. «Il cibo è collegato alle quattro principali malattie dei tempi moderni: tumori, infarti, diabete e obesità. Di questo voglio occuparmi a Bruxelles», annuncia battagliera.
La campagna elettorale non è stata una passeggiata. «Ovviamente tutti i miei avversari, sia all'interno del partito sia all' esterno, mi hanno subito bollata come "la moglie del ministro". E essere raccomandati in Svezia, contrariamente a quanto accade troppo spesso in Italia, è peccato mortale. Qui c'è democrazia di base. Per questo ho dovuto sudare il doppio. Ma ce l'ho fatta». Le dispiace che Emma Bonino non sia più eurodeputata: «L' avevo conosciuta quand' era commissaria ai diritti umani della Ue, negli anni Novanta. Allora era l'unica a battersi per le donne oppresse dai talebani a Kabul, e ho cercato di aiutarla». Due mesi fa ha accompagnato i reali svedesi nel loro viaggio a Roma. La rivedremo presto, e spesso.
Mauro Suttora
Rosaria Capacchione non eletta
Stop a donna coraggio, la camorra ringrazia
PROTAGONISTE E SORPRESE DELLE ELEZIONI
Rosaria Capacchione , «capolista» del Pd al Sud, sconfitta nel voto per Bruxelles
di Mauro Suttora
Oggi, 24 giugno 2009
Incredibile: la «capolista» del Partito democratico alle Europee nella circoscrizione meridionale, Rosaria Capacchione, 49 anni, non è stata eletta. I dirigenti le avevano offerto il secondo posto in lista, dietro all' ex ministro dell' Agricoltura Paolo De Castro. Lei, giornalista del quotidiano Il Mattino nella redazione di Caserta, aveva accettato. Non che tenesse particolarmente alla carriera politica. Era diventata famosa per i suoi articoli sulla camorra, come lo scrittore Roberto Saviano, autore di Gomorra . Il suo libro sui boss casalesi, L' oro della camorra, pubblicato lo scorso dicembre da Rizzoli, è alla terza edizione. E lei ha ottenuto 73 mila preferenze. Ma questo non le è valso uno dei quattro seggi a Bruxelles conquistati dal Pd nel Sud.
SUPERATA DAGLI ASSESSORI
È arrivata soltanto all' ottavo posto in classifica, superata non solo da De Castro che la precedeva e dall' eurodeputato uscente Pittella, ma da altri rodati politici locali, fra i quali alcuni assessori regionali alle Attività produttive. Cioè proprio il settore più appetito per i fondi europei che distribuisce. E che troppo spesso finisce nella cronaca nera, per le truffe perpetrate ai danni del bilancio comunitario. Naturalmente Rosaria è amareggiata, ma non vuole polemizzare: «Da lunedì sono tornata al mio lavoro a Caserta, e dovrò pagare 20 mila euro di debiti con la tipografia per i volantini. Tutti i ragazzi che hanno lavorato con me era no volontari, ed è stata un' esperienza entusiasmante. Per lottare contro la camorra non c' è bisogno di andare a Bruxelles. In Campania abbiamo avuto 60 mila voti. Però il Partito democratico non mi ha appoggiato come forse era nelle previsioni».
Rosaria, in effetti, era stata invitata a stare in testa alla lista dei candidati. Ma adesso la sensazione è che il suo nome sia stato usato come uno specchio per le allodole. Se il Partito democratico non è più in grado di fare eleggere un «capolista», esponendolo alla figuraccia della «trombatura», forse ha ragione Gustavo Zagrebelski. L' ex presidente della Corte costituzionale ha lanciato l'allarme: «Nel Partito democratico al Sud si è aperta una questione morale. Il partito è in mano a cacicchi locali». I cacicchi erano dei capipopolo dell' America Latina. «Purtroppo i cacicchi imperversano non solo al Sud», commenta sconsolato Nando dalla Chiesa, esponente di quella «società civile antimafia» di cui fa parte la Capacchione.
PROTAGONISTE E SORPRESE DELLE ELEZIONI
Rosaria Capacchione , «capolista» del Pd al Sud, sconfitta nel voto per Bruxelles
di Mauro Suttora
Oggi, 24 giugno 2009
Incredibile: la «capolista» del Partito democratico alle Europee nella circoscrizione meridionale, Rosaria Capacchione, 49 anni, non è stata eletta. I dirigenti le avevano offerto il secondo posto in lista, dietro all' ex ministro dell' Agricoltura Paolo De Castro. Lei, giornalista del quotidiano Il Mattino nella redazione di Caserta, aveva accettato. Non che tenesse particolarmente alla carriera politica. Era diventata famosa per i suoi articoli sulla camorra, come lo scrittore Roberto Saviano, autore di Gomorra . Il suo libro sui boss casalesi, L' oro della camorra, pubblicato lo scorso dicembre da Rizzoli, è alla terza edizione. E lei ha ottenuto 73 mila preferenze. Ma questo non le è valso uno dei quattro seggi a Bruxelles conquistati dal Pd nel Sud.
SUPERATA DAGLI ASSESSORI
È arrivata soltanto all' ottavo posto in classifica, superata non solo da De Castro che la precedeva e dall' eurodeputato uscente Pittella, ma da altri rodati politici locali, fra i quali alcuni assessori regionali alle Attività produttive. Cioè proprio il settore più appetito per i fondi europei che distribuisce. E che troppo spesso finisce nella cronaca nera, per le truffe perpetrate ai danni del bilancio comunitario. Naturalmente Rosaria è amareggiata, ma non vuole polemizzare: «Da lunedì sono tornata al mio lavoro a Caserta, e dovrò pagare 20 mila euro di debiti con la tipografia per i volantini. Tutti i ragazzi che hanno lavorato con me era no volontari, ed è stata un' esperienza entusiasmante. Per lottare contro la camorra non c' è bisogno di andare a Bruxelles. In Campania abbiamo avuto 60 mila voti. Però il Partito democratico non mi ha appoggiato come forse era nelle previsioni».
Rosaria, in effetti, era stata invitata a stare in testa alla lista dei candidati. Ma adesso la sensazione è che il suo nome sia stato usato come uno specchio per le allodole. Se il Partito democratico non è più in grado di fare eleggere un «capolista», esponendolo alla figuraccia della «trombatura», forse ha ragione Gustavo Zagrebelski. L' ex presidente della Corte costituzionale ha lanciato l'allarme: «Nel Partito democratico al Sud si è aperta una questione morale. Il partito è in mano a cacicchi locali». I cacicchi erano dei capipopolo dell' America Latina. «Purtroppo i cacicchi imperversano non solo al Sud», commenta sconsolato Nando dalla Chiesa, esponente di quella «società civile antimafia» di cui fa parte la Capacchione.
Wednesday, June 17, 2009
Il buon eurodeputato in 10 domande
risponde Roberto Bin, professore di Diritto Costituzionale all'università di Ferrara
di Mauro Suttora
Oggi, 17 giugno 2009
1) Quali sono le qualità necessarie per un buon eurodeputato?
La qualità è una sola: prendere sul serio la sua carica e dedicarle il 100% della propria attività e energia. Non possiamo permetterci di avere parlamentari europei distratti da altre cariche, spesso importanti; né possiamo permetterci di usare il Parlamento europeo come “cimitero degli elefanti”, una ricca casa di riposo in cui mandare politici ormai alla fine della loro carriera.
2) Quant’è importante conoscere le lingue? Quali?
Nel Parlamento europeo tutto ciò che è ufficiale viene tradotto in tutte le lingue (i costi sono ovviamente enormi). Ma un parlamento moderno lavora soprattutto nelle Commissioni e nei gruppi di lavoro: lì è fondamentale parlare inglese o francese. Altrimenti come si fa a comunicare con i propri colleghi non italiani? Però le lingue si possono sempre imparare, se lo si vuole, ci vuole solo buona volontà. Se uno non ce l’ha, faccia un mestiere diverso.
3) Spesso politici o giornalisti famosi in Italia hanno deluso a Bruxelles. Meglio eurodeputati meno “importanti” ma più competenti in un determinato settore (ad es.: sanità, industria, commercio, trasporti)? Quali sono i settori prevedibilmente cruciali nella prossima legislatura?
Di settori importanti ce ne sono davvero molti, moltissimi. Dall’ambiente alla ricerca scientifica, dall'alimentazione alla salute, dalla tutela dei consumatori alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. E poi tutto quello che riguarda l’economia, la moneta, il mercato, il commercio internazionale…
Non si può pensare che il deputato europeo “nasca imparato”, e forse non è neppure utile che sia specializzato in un determinato settore. Il politico non dev’essere uno specialista, checché se ne pensi di solito: anzi, spesso lo “specialista” non ha quella visione estesa ed equilibrata che il politico dovrebbe avere. Ma un buon politico deve saper scegliere i suoi collaboratori e capire “politicamente” le cose di cui si deve occupare. Insomma, non uno “specialista”, ma un politico capace di capire le cose, di informarsi, di studiare i problemi, di valutare i dati… ecco quello che serve.
4) Piaga dell’assenteismo. Contano di più le sedute in plenaria, quelle nelle commissioni, o quelle nei gruppi politici d’appartenenza, per farsi affidare dossier importanti?
Certo il grosso del lavoro non lo si fa in plenaria, sotto i riflettori della stampa, dove le piume colorate dei politici brillano di più! È nelle commissioni che si svolge il lavoro più importante, è là che un politico riesce anche a far valere il peso della propria esperienza e serietà. Ma non c’è un’attività più importante dell’altra, dipende dagli argomenti e dai momenti. Chi si assume il compito di rappresentarci lo deve fare sempre e ovunque. Non lo paghiamo per questo?
5) L’eurodeputato modello può fare avanti e indietro con l’Italia, o è meglio che si trasferisca a Bruxelles?
Il Parlamento lavora tra Strasburgo e Bruxelles. Ma il deputato europeo non deve neppure perdere i rapporti con il proprio territorio, per questo è molto criticabile il modo con cui sono scelti i candidati, troppo spesso “paracadutati” in un megacollegio con cui hanno ben poco a che fare. Teniamo presente che l’Italia soffre di cronico ritardo nel percepire ciò che succede in Europa, e quindi anche nell'accedere alle grandi risorse (non solo finanziarie) messe a disposizione: ciò danneggia la nostra competitività.
Questo è un compito che i deputati europei dovrebbero assolvere, perché sanno in anticipo ciò che sta per accadere e possono stimolare le Regioni e gli enti locali a prepararsi. Per cui è bene che mantengano rapporti saldi con l’Italia: basta che non lo facciano soltanto per gestire i propri affari in patria!
6) Come può l’eurodeputato strappare più poteri per l’Europarlamento, sottraendolo ai burocrati della Commissione o ai difensori degli interessi nazionali del Consiglio?
Benché si creda il contrario, il Parlamento europeo ha conquistato da tempo poteri assai più rilevanti e penetranti di quelli esercitati, per esempio, dal parlamento italiano: ogni decisione importante deve essere approvata dal Parlamento. Che il parlamento europeo abbia pochi poteri è perciò un mito. Così come è un mito il gigantismo della burocrazia europea: ha più funzionari il comune di Roma che la Comunità.
La Commissione e il Parlamento operano spesso assieme per superare il nazionalismo dei ministri che siedono in Consiglio, nazionalismo troppe volte cieco. Per questo poi i politici nazionali accusano la Commissione di essere “burocratica”: perché difende gli interessi della Comunità contro gli interessi “politici” dei singoli Stati.
7) Gli sprechi dell’Europarlamento sono leggendari: dalle due sedi a mezzo (Bruxelles/Strasburgo/Lussemburgo) alle traduzioni in 23 lingue, dai “rimborsi” per assistenti (17 mila euro al mese) agli stipendi (che saranno ridotti dagli attuali 12mila al mese, ma solo per gli eurodeputati di prima nomina). Cosa può fare il singolo eurodeputato per ridurli?
Che dall’Italia si avanzino critiche ai costi del Parlamento europeo fa un po’ ridere, dati i costi della nostra politica. Ma poi il problema non è quanto costi un parlamento, ma che cosa è capace di fare. E questo dipende soltanto dalle persone. Sarebbe bene che si smettesse di considerare la spesa per la politica come una spesa inutile. È un errore, governare e legiferare richiedono un lavoro preparatorio che costa, non è una responsabilità che possa essere affidata a dilettanti o al volontariato. Il problema nasce dal fatto che in Italia troppo spesso i soldi che diamo alla politica vengono incassati dai politici, anziché essere investiti in conoscenza e preparazione delle decisioni.
8) Si arriverà mai agli Stati Uniti d’Europa? Probabilmente no, ma ci possono essere modelli molto diversi e più moderni di organizzazione politica. La comunità europea ha fatto passi da gigante, anche se ogni tanto si ingrippa, come sta accadendo ora. Ma spesso i momenti di crisi sono quelli che provocano i progressi più imprevedibili, sviluppi che procedono per vie inattese. E questo fa dell’Europa un’esperienza incredibilmente affascinante.
9) I fondi Ue sono irrimediabilmente soggetti a truffe, oppure ci sono esempi di corretta gestione?
Ci sono molti esempi di ottima gestione, anche in Italia. Alcune delle realizzazioni più importanti si sono potute fare con gli investimenti europei. Purtroppo, nel nostro paese, la truffa prospera ovunque vi siano risorse, è anche questo il frutto dello scarso senso civico e del “furbismo” degli italiani. Che cos’è l’evasione fiscale se non una truffa ai danni dei cittadini corretti?
10) La legislazione comunitaria, fra trattati di Nizza, Lisbona ecc, è diventata un ginepraio gogoliano, facile bersaglio degli anti Ue ad ogni referendum (Irlanda). La semplificazione è una priorità?
Anche in questo l’Italia non può certo gettare la prima pietra. La legislazione italiana è molto più sconnessa, confusa, contorta ed esorbitante di quella europea. Anche questo appartiene ai miti, in fondo (almeno per noi italiani).
Il problema è semmai un altro. La Comunità è nata per il mercato, e quindi per l’economia. Ha una grande difficoltà a capire che, oltre alle imprese, ci sono i cittadini con le loro esigenze di solidarietà sociale, di tutela del lavoro, di garanzia dei diritti.
Come metterebbe lei, in ordine di importanza fra i punti precedenti, l’impegno degli eurodeputati che Oggi “adotterà”, sorvegliandoli fino al 2014 (uno per partito)?
Al primo posto la presenza e l’unicità dell’impegno, rinunciando ad ogni altro incarico in Italia (n.1), il lavoro attivo in commissione e nei gruppi di lavoro, di cui devono diventare protagonisti (n.4), i rapporti attivi e collaborativi con il proprio territorio, di cui devono diventare il “consulente” e il “suggeritore” (n.5), la acquisita conoscenza di una lingua straniera “forte”, magari anche ex novo (n. 2)
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 17 giugno 2009
1) Quali sono le qualità necessarie per un buon eurodeputato?
La qualità è una sola: prendere sul serio la sua carica e dedicarle il 100% della propria attività e energia. Non possiamo permetterci di avere parlamentari europei distratti da altre cariche, spesso importanti; né possiamo permetterci di usare il Parlamento europeo come “cimitero degli elefanti”, una ricca casa di riposo in cui mandare politici ormai alla fine della loro carriera.
2) Quant’è importante conoscere le lingue? Quali?
Nel Parlamento europeo tutto ciò che è ufficiale viene tradotto in tutte le lingue (i costi sono ovviamente enormi). Ma un parlamento moderno lavora soprattutto nelle Commissioni e nei gruppi di lavoro: lì è fondamentale parlare inglese o francese. Altrimenti come si fa a comunicare con i propri colleghi non italiani? Però le lingue si possono sempre imparare, se lo si vuole, ci vuole solo buona volontà. Se uno non ce l’ha, faccia un mestiere diverso.
3) Spesso politici o giornalisti famosi in Italia hanno deluso a Bruxelles. Meglio eurodeputati meno “importanti” ma più competenti in un determinato settore (ad es.: sanità, industria, commercio, trasporti)? Quali sono i settori prevedibilmente cruciali nella prossima legislatura?
Di settori importanti ce ne sono davvero molti, moltissimi. Dall’ambiente alla ricerca scientifica, dall'alimentazione alla salute, dalla tutela dei consumatori alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. E poi tutto quello che riguarda l’economia, la moneta, il mercato, il commercio internazionale…
Non si può pensare che il deputato europeo “nasca imparato”, e forse non è neppure utile che sia specializzato in un determinato settore. Il politico non dev’essere uno specialista, checché se ne pensi di solito: anzi, spesso lo “specialista” non ha quella visione estesa ed equilibrata che il politico dovrebbe avere. Ma un buon politico deve saper scegliere i suoi collaboratori e capire “politicamente” le cose di cui si deve occupare. Insomma, non uno “specialista”, ma un politico capace di capire le cose, di informarsi, di studiare i problemi, di valutare i dati… ecco quello che serve.
4) Piaga dell’assenteismo. Contano di più le sedute in plenaria, quelle nelle commissioni, o quelle nei gruppi politici d’appartenenza, per farsi affidare dossier importanti?
Certo il grosso del lavoro non lo si fa in plenaria, sotto i riflettori della stampa, dove le piume colorate dei politici brillano di più! È nelle commissioni che si svolge il lavoro più importante, è là che un politico riesce anche a far valere il peso della propria esperienza e serietà. Ma non c’è un’attività più importante dell’altra, dipende dagli argomenti e dai momenti. Chi si assume il compito di rappresentarci lo deve fare sempre e ovunque. Non lo paghiamo per questo?
5) L’eurodeputato modello può fare avanti e indietro con l’Italia, o è meglio che si trasferisca a Bruxelles?
Il Parlamento lavora tra Strasburgo e Bruxelles. Ma il deputato europeo non deve neppure perdere i rapporti con il proprio territorio, per questo è molto criticabile il modo con cui sono scelti i candidati, troppo spesso “paracadutati” in un megacollegio con cui hanno ben poco a che fare. Teniamo presente che l’Italia soffre di cronico ritardo nel percepire ciò che succede in Europa, e quindi anche nell'accedere alle grandi risorse (non solo finanziarie) messe a disposizione: ciò danneggia la nostra competitività.
Questo è un compito che i deputati europei dovrebbero assolvere, perché sanno in anticipo ciò che sta per accadere e possono stimolare le Regioni e gli enti locali a prepararsi. Per cui è bene che mantengano rapporti saldi con l’Italia: basta che non lo facciano soltanto per gestire i propri affari in patria!
6) Come può l’eurodeputato strappare più poteri per l’Europarlamento, sottraendolo ai burocrati della Commissione o ai difensori degli interessi nazionali del Consiglio?
Benché si creda il contrario, il Parlamento europeo ha conquistato da tempo poteri assai più rilevanti e penetranti di quelli esercitati, per esempio, dal parlamento italiano: ogni decisione importante deve essere approvata dal Parlamento. Che il parlamento europeo abbia pochi poteri è perciò un mito. Così come è un mito il gigantismo della burocrazia europea: ha più funzionari il comune di Roma che la Comunità.
La Commissione e il Parlamento operano spesso assieme per superare il nazionalismo dei ministri che siedono in Consiglio, nazionalismo troppe volte cieco. Per questo poi i politici nazionali accusano la Commissione di essere “burocratica”: perché difende gli interessi della Comunità contro gli interessi “politici” dei singoli Stati.
7) Gli sprechi dell’Europarlamento sono leggendari: dalle due sedi a mezzo (Bruxelles/Strasburgo/Lussemburgo) alle traduzioni in 23 lingue, dai “rimborsi” per assistenti (17 mila euro al mese) agli stipendi (che saranno ridotti dagli attuali 12mila al mese, ma solo per gli eurodeputati di prima nomina). Cosa può fare il singolo eurodeputato per ridurli?
Che dall’Italia si avanzino critiche ai costi del Parlamento europeo fa un po’ ridere, dati i costi della nostra politica. Ma poi il problema non è quanto costi un parlamento, ma che cosa è capace di fare. E questo dipende soltanto dalle persone. Sarebbe bene che si smettesse di considerare la spesa per la politica come una spesa inutile. È un errore, governare e legiferare richiedono un lavoro preparatorio che costa, non è una responsabilità che possa essere affidata a dilettanti o al volontariato. Il problema nasce dal fatto che in Italia troppo spesso i soldi che diamo alla politica vengono incassati dai politici, anziché essere investiti in conoscenza e preparazione delle decisioni.
8) Si arriverà mai agli Stati Uniti d’Europa? Probabilmente no, ma ci possono essere modelli molto diversi e più moderni di organizzazione politica. La comunità europea ha fatto passi da gigante, anche se ogni tanto si ingrippa, come sta accadendo ora. Ma spesso i momenti di crisi sono quelli che provocano i progressi più imprevedibili, sviluppi che procedono per vie inattese. E questo fa dell’Europa un’esperienza incredibilmente affascinante.
9) I fondi Ue sono irrimediabilmente soggetti a truffe, oppure ci sono esempi di corretta gestione?
Ci sono molti esempi di ottima gestione, anche in Italia. Alcune delle realizzazioni più importanti si sono potute fare con gli investimenti europei. Purtroppo, nel nostro paese, la truffa prospera ovunque vi siano risorse, è anche questo il frutto dello scarso senso civico e del “furbismo” degli italiani. Che cos’è l’evasione fiscale se non una truffa ai danni dei cittadini corretti?
10) La legislazione comunitaria, fra trattati di Nizza, Lisbona ecc, è diventata un ginepraio gogoliano, facile bersaglio degli anti Ue ad ogni referendum (Irlanda). La semplificazione è una priorità?
Anche in questo l’Italia non può certo gettare la prima pietra. La legislazione italiana è molto più sconnessa, confusa, contorta ed esorbitante di quella europea. Anche questo appartiene ai miti, in fondo (almeno per noi italiani).
Il problema è semmai un altro. La Comunità è nata per il mercato, e quindi per l’economia. Ha una grande difficoltà a capire che, oltre alle imprese, ci sono i cittadini con le loro esigenze di solidarietà sociale, di tutela del lavoro, di garanzia dei diritti.
Come metterebbe lei, in ordine di importanza fra i punti precedenti, l’impegno degli eurodeputati che Oggi “adotterà”, sorvegliandoli fino al 2014 (uno per partito)?
Al primo posto la presenza e l’unicità dell’impegno, rinunciando ad ogni altro incarico in Italia (n.1), il lavoro attivo in commissione e nei gruppi di lavoro, di cui devono diventare protagonisti (n.4), i rapporti attivi e collaborativi con il proprio territorio, di cui devono diventare il “consulente” e il “suggeritore” (n.5), la acquisita conoscenza di una lingua straniera “forte”, magari anche ex novo (n. 2)
Mauro Suttora
Abbiamo adottato cinque eurodeputati
E adesso lavorate per noi
L' INIZIATIVA DEL NOSTRO GIORNALE DOPO LE ELEZIONI EUROPEE
A Bruxelles gli italiani si vedono poco. Noi vogliamo mettere «alla corda» un gruppo di matricole: le terremo d' occhio
Mauro Suttora
Oggi, 10 giugno 2009
«E la forbice? Di quant'è la forbice?». È impallidito, il povero Ignazio La Russa, quando è apparso «35 per cento» nella prima proiezione dei voti per il suo partito, il Pdl (Popolo della libertà). Pochissimo, rispetto alle speranze esibite in pubblico da Silvio Berlusconi prima del voto: «Raggiungeremo il 40 per cento». Invece, 35. E il sondaggista a spiegare che la «forbice» era del cinque per cento: quindi il risultato finale poteva essere 37, ma anche 33 per cento. Alla fine, è rimasto il mesto 35,3. Ovvero: quasi tre milioni di voti persi dal Pdl in un solo anno. Berlusconi deve licenziare i suoi sondaggisti, oppure ha bluffato? «Né l' una né l'altra», dice Licia Ronzulli, eurodeputata Pdl neoeletta. «Il problema è che la gente dice quel che voterebbe, ma poi a votare ci deve andare sul serio». Invece gli astenuti hanno trionfato, e si sono recati alle urne solo due italiani su t re: il 66 per cento. Questa volta il leggendario ottimismo di Berlusconi gli si è rivolt ato co nt r o: molt i suoi elettori, vista la vittoria annunciata, si sono risparmiati la fatica di tornare in fretta dal weekend per correre in cabina prima delle 22 di domenica.
I VERI VINCITORI
Non che gli altri stiano meglio. Il Pd ha perso per strada oltre quattro milioni di voti i n dodici mesi: u no su t re. Però i sondaggi per il partito di centrosinistra erano catast rofici, qui ndi i suoi dirigenti hanno la reazione oppo st a a l cent rodest ra: ora sono quasi content i del 26 per cento raccolto. I due vi ncitori sono certamente Umberto Bossi e Antonio Di Pietro. La lega Nord in realtà ha appena centomila voti in più sul 2008, però grazie agli astenuti quelli attuali valgono il 10,2 per cento, rispetto all'8,3 dell'anno scorso.
Quando la torta si fa più piccola, la stessa fetta sembra più grande. L' esempio perfetto è l' Udc: i suoi due milioni di voti, sempre gli stessi, rappresentavano il 5,6 per cento nel 2008, e il 6,5 oggi. L'unica ad avere aumentato di molto i consensi anche in cifre assolute è stata l'Italia dei valori: gli 800 mila voti in più le permettono di raddoppiare in percentuale, dal quattro all' otto. Insomma, il voto europeo è stata una sconfitta per entrambi i grandi partiti. Addio bipartitismo? «Pdl e Pd si concepiscono come contenitori in cui può stare di tutto, dai sostenitori della sacralità della vita a quelli di aborto ed euta nasia», dice Magdi Cristiano Allam, eletto nelle file de l' Udc, «ma sono stati puniti. Premiati invece tutti e tre i partiti che rappresentano identità e valori forti, anche se diversi e in conflitto fra loro: Udc, Lega e Di Pietro». Aggiungendoci pure le liste senza eurodeputati perché non hanno superato la tagliola del quattro per cento (Rifondazione, Sinistra e libertà, Radicali, Mpa, Destra di Storace ecc.), si scopre che un buon trenta per cento di elettori ha espresso, in un modo o nell' altro, un voto di protesta.
BASTA CASTA
Ma protesta contro che cosa? Sicuramente contro la cosiddetta «Casta» dei politici di professione, ampiamente denunciata da una serie di libri-inchiesta diventati bestseller negli ultimi due anni. E leggere le classifiche degli assenteisti al Parlamento europeo non ha migliorato le cose. Per questo il nostro giornale ha preso l'iniziativa di «adottare» cinque nuovi eurodeputati, uno per ogni partito. Abbiamo proposto loro un «decalogo», messo a punto con il professor Roberto Bin, ordinario di Diritto costituzionale all'università di Ferrara. E loro hanno accettato la sfida. Con il professore, uno dei massimi esperti dei meccanismi della legislazione europea in Italia, abbiamo individuato alcuni punti che, al di là delle idee politiche di ciascun partito, possono contribuire a migliorare l' Europarlamento, ad avvicinare i cittadini a Bruxelles. E i nostri cinque li terremo d' occhio.
Mauro Suttora
ECCO I 5 "ADOTTATI":
Licia Ronzulli
Popolo della Libertà
Licia Ronzulli, 33 anni, è dirigente sanitaria all' istituto ortopedico Galeazzi di Milano. È impegnata come volontaria da anni con l' associazione Progetto sorriso nel mondo: un gruppo di medici e infermieri che opera in Bangladesh per curare le malformazioni cranio-facciali dei bambini. Candidata l' anno scorso alle Politiche, è stata prima dei non eletti nel collegio delle Marche. Quest' anno Silvio Berlusconi in persona l' ha candidata alle Europee, con Lara Comi e Barbara Matera, suscitando le note polemiche sulle Veline. La Ronzulli ha risposto con il proprio curriculum, e nella circoscrizione Nord Ovest ha ottenuto un buon numero di preferenze, piazzandosi dietro a Mario Mauro e alla Comi (sostenuti da Comunione e Liberazione) e all' ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, eurodeputato uscente. A Bruxelles si occuperà di sanità, anche se Berlusconi ha già auspicato per lei un prestigioso ruolo di «coordinamento» degli eurodeputati Pdl.
Magdi Cristiano Allam
Unione di Centro
Magdi Cristiano Allam, 57 anni, è nato al Cairo (Egitto). Di religione musulmana, per volontà della madre ha studiato prima in un collegio di suore comboniane e poi in uno di salesiani, dove ha imparato l' italiano. A vent' anni emigra a Roma per l' università. Laureato in sociologia, è diventato giornalista di Repubblica. Dal 2003 al 2008 è stato vicedirettore ed editorialista del Corriere della Sera. Critico dell' estremismo islamico, un anno fa si è convertito al cattolicesimo, aggiungendo «Cristiano» al proprio nome. Due anni fa si è sposato con Valentina, traduttrice di opere di letteratura araba, dalla quale ha avuto un figlio, Davide, dopo i due da un' unione precedente. Ha scritto i libri Vincere la paura, Io amo l' Italia. Ma gli italiani la amano? e Viva Israele. Ha fondato il partito Protagonisti per l' Europa Cristiana, ed era capolista per l' Udc nel Nord-Ovest.
Rosaria Capacchione
Partito Democratico<
Rosaria Capacchione, 49 anni, nata a Napoli, dal 1985 è giornalista del quotidiano Il Mattino . Vive e lavora a Caserta. È autrice del libro L' Oro della Camorra: come i boss casalesi sono diventati ricchi e potenti manager che influuenzano e controllano l' economia di tutta la Penisola, da Casal di Principe al centro di Milano (Rizzoli, 2008). Una copia del libro è stata trovata dai carabinieri nel covo dove si nascondeva il super latitante boss camorrista Giuseppe Setola, durante un blitz del 12 gennaio 2009.
Assieme a Roberto Saviano, la Capacchione è la massima esperta, a livello giornalistico, di criminalità organizzata in Campania. Vive pure lei sotto scorta, a causa del proprio lavoro di cronista giudiziaria e per la sua attività di divulgazione. Più volte negli anni è stata minacciata di morte. Il Partito Democratico l'ha candidata capolista nella circoscrizione Italia Meridionale.
Lorenzo Fontana
Lega Nord
Lorenzo Fontana, 29 anni, di Verona, celibe, ha fatto il liceo scientifico ed è laureando in Scienze politiche. Ha lavorato come impiegato e ha collaborato a giornali. Iscritto alla Lega Nord dal 1997, nel 2002 è diventato vice coordinatore federale del Movimento giovani padani. Vicesegretario provinciale della Lega a Verona dal 2007, è stato eletto consigliere comunale dopo cinque anni da consigliere circoscrizionale.
Umberto Bossi lo ha scelto personalmente come capolista della Lega alle Europee nella circoscrizione Nord Est, anche se i leghisti veneti possono già vantare due «pesi massimi» relativamente giovani nelle gerarchie interne: il sindaco di Verona Flavio Tosi, e il ministro trevigiano dell' Agricoltura Luca Zaia. In Veneto, la Lega Nord in queste elezioni ha mancato di soli 25 mila voti l' obiettivo di superare il Popolo della Libertà, diventando così il primo partito regionale per candidarsi alla guida della Regione.
Niccolò Rinaldi
Italia dei Valori
Niccolò Rinaldi, 47 anni, di Firenze, al liceo ha militato nella Federazione giovanile repubblicana. Laureato in Scienze politiche con una tesi sull' economia di strada di Dakar (Senegal), frutto di una ricerca sul campo. Dopo l' università ha superato un concorso per entrare nelle Nazioni Unite, ed è diventato responsabile dell' informazione in Afghanistan (posto che era vacante da mesi: nessuno voleva andarci). Ha vissuto a Peshawar e a Kabul durante la guerra.
Ha scritto il libro Islam, guerra e dintorni con la prefazione di Jas Gawronski, tradotto in francese con la prefazione di Daniel Cohn-Bendit (leader dei Verdi francesi, che hanno appena trionfato alle europee con il 16 per cento dei voti). Nel '91 ha lasciato l' Onu per il Parlamento europeo, dove nel 2000 è diventato segretario generale aggiunto. La sua carriera ha colpito Antonio Di Pietro, che lo ha candidato.
Dieci promesse da mantenere
1 Dedicare alla carica di eurodeputato il cento per cento della mia attività ed energia.
2 Partecipare non solo alle sedute in aula, ma anche a quelle di commissione e di gruppo, dove si svolge il vero lavoro, spesso oscuro.
3 Tenere i rapporti con le Regioni della mia circoscrizione, per farle accedere alle grandi risorse (non solo finanziarie) dell' Unione europea.
4 Imparare bene una o due lingue (inglese, francese), nel caso non le conosca già, per comunicare direttamente con i colleghi stranieri.
5 Scegliere bravi collaboratori, non in base all' amicizia, ma alla competenza.
6 Allargare i poteri dell' Europarlamento, unico organo eletto, rispetto ai burocrati della Commissione e ai difensori degli interessi nazionali nel Consiglio.
7 Diminuire gli sprechi: due sedi e mezzo (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo), traduzioni in 23 lingue, stipendi e rimborsi per gli assistenti (25 mila euro al mese).
8 Battermi per gli Stati Uniti d' Europa, federali e con le massime autonomie locali (sussidiarietà), ma con un' unica politica estera e di difesa.
9 Vigilare sulle truffe sui fondi dell' Unione europea.
10 Semplificare le leggi comunitarie, diventate eccessive quanto quelle nazionali.
L' INIZIATIVA DEL NOSTRO GIORNALE DOPO LE ELEZIONI EUROPEE
A Bruxelles gli italiani si vedono poco. Noi vogliamo mettere «alla corda» un gruppo di matricole: le terremo d' occhio
Mauro Suttora
Oggi, 10 giugno 2009
«E la forbice? Di quant'è la forbice?». È impallidito, il povero Ignazio La Russa, quando è apparso «35 per cento» nella prima proiezione dei voti per il suo partito, il Pdl (Popolo della libertà). Pochissimo, rispetto alle speranze esibite in pubblico da Silvio Berlusconi prima del voto: «Raggiungeremo il 40 per cento». Invece, 35. E il sondaggista a spiegare che la «forbice» era del cinque per cento: quindi il risultato finale poteva essere 37, ma anche 33 per cento. Alla fine, è rimasto il mesto 35,3. Ovvero: quasi tre milioni di voti persi dal Pdl in un solo anno. Berlusconi deve licenziare i suoi sondaggisti, oppure ha bluffato? «Né l' una né l'altra», dice Licia Ronzulli, eurodeputata Pdl neoeletta. «Il problema è che la gente dice quel che voterebbe, ma poi a votare ci deve andare sul serio». Invece gli astenuti hanno trionfato, e si sono recati alle urne solo due italiani su t re: il 66 per cento. Questa volta il leggendario ottimismo di Berlusconi gli si è rivolt ato co nt r o: molt i suoi elettori, vista la vittoria annunciata, si sono risparmiati la fatica di tornare in fretta dal weekend per correre in cabina prima delle 22 di domenica.
I VERI VINCITORI
Non che gli altri stiano meglio. Il Pd ha perso per strada oltre quattro milioni di voti i n dodici mesi: u no su t re. Però i sondaggi per il partito di centrosinistra erano catast rofici, qui ndi i suoi dirigenti hanno la reazione oppo st a a l cent rodest ra: ora sono quasi content i del 26 per cento raccolto. I due vi ncitori sono certamente Umberto Bossi e Antonio Di Pietro. La lega Nord in realtà ha appena centomila voti in più sul 2008, però grazie agli astenuti quelli attuali valgono il 10,2 per cento, rispetto all'8,3 dell'anno scorso.
Quando la torta si fa più piccola, la stessa fetta sembra più grande. L' esempio perfetto è l' Udc: i suoi due milioni di voti, sempre gli stessi, rappresentavano il 5,6 per cento nel 2008, e il 6,5 oggi. L'unica ad avere aumentato di molto i consensi anche in cifre assolute è stata l'Italia dei valori: gli 800 mila voti in più le permettono di raddoppiare in percentuale, dal quattro all' otto. Insomma, il voto europeo è stata una sconfitta per entrambi i grandi partiti. Addio bipartitismo? «Pdl e Pd si concepiscono come contenitori in cui può stare di tutto, dai sostenitori della sacralità della vita a quelli di aborto ed euta nasia», dice Magdi Cristiano Allam, eletto nelle file de l' Udc, «ma sono stati puniti. Premiati invece tutti e tre i partiti che rappresentano identità e valori forti, anche se diversi e in conflitto fra loro: Udc, Lega e Di Pietro». Aggiungendoci pure le liste senza eurodeputati perché non hanno superato la tagliola del quattro per cento (Rifondazione, Sinistra e libertà, Radicali, Mpa, Destra di Storace ecc.), si scopre che un buon trenta per cento di elettori ha espresso, in un modo o nell' altro, un voto di protesta.
BASTA CASTA
Ma protesta contro che cosa? Sicuramente contro la cosiddetta «Casta» dei politici di professione, ampiamente denunciata da una serie di libri-inchiesta diventati bestseller negli ultimi due anni. E leggere le classifiche degli assenteisti al Parlamento europeo non ha migliorato le cose. Per questo il nostro giornale ha preso l'iniziativa di «adottare» cinque nuovi eurodeputati, uno per ogni partito. Abbiamo proposto loro un «decalogo», messo a punto con il professor Roberto Bin, ordinario di Diritto costituzionale all'università di Ferrara. E loro hanno accettato la sfida. Con il professore, uno dei massimi esperti dei meccanismi della legislazione europea in Italia, abbiamo individuato alcuni punti che, al di là delle idee politiche di ciascun partito, possono contribuire a migliorare l' Europarlamento, ad avvicinare i cittadini a Bruxelles. E i nostri cinque li terremo d' occhio.
Mauro Suttora
ECCO I 5 "ADOTTATI":
Licia Ronzulli
Popolo della Libertà
Licia Ronzulli, 33 anni, è dirigente sanitaria all' istituto ortopedico Galeazzi di Milano. È impegnata come volontaria da anni con l' associazione Progetto sorriso nel mondo: un gruppo di medici e infermieri che opera in Bangladesh per curare le malformazioni cranio-facciali dei bambini. Candidata l' anno scorso alle Politiche, è stata prima dei non eletti nel collegio delle Marche. Quest' anno Silvio Berlusconi in persona l' ha candidata alle Europee, con Lara Comi e Barbara Matera, suscitando le note polemiche sulle Veline. La Ronzulli ha risposto con il proprio curriculum, e nella circoscrizione Nord Ovest ha ottenuto un buon numero di preferenze, piazzandosi dietro a Mario Mauro e alla Comi (sostenuti da Comunione e Liberazione) e all' ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, eurodeputato uscente. A Bruxelles si occuperà di sanità, anche se Berlusconi ha già auspicato per lei un prestigioso ruolo di «coordinamento» degli eurodeputati Pdl.
Magdi Cristiano Allam
Unione di Centro
Magdi Cristiano Allam, 57 anni, è nato al Cairo (Egitto). Di religione musulmana, per volontà della madre ha studiato prima in un collegio di suore comboniane e poi in uno di salesiani, dove ha imparato l' italiano. A vent' anni emigra a Roma per l' università. Laureato in sociologia, è diventato giornalista di Repubblica. Dal 2003 al 2008 è stato vicedirettore ed editorialista del Corriere della Sera. Critico dell' estremismo islamico, un anno fa si è convertito al cattolicesimo, aggiungendo «Cristiano» al proprio nome. Due anni fa si è sposato con Valentina, traduttrice di opere di letteratura araba, dalla quale ha avuto un figlio, Davide, dopo i due da un' unione precedente. Ha scritto i libri Vincere la paura, Io amo l' Italia. Ma gli italiani la amano? e Viva Israele. Ha fondato il partito Protagonisti per l' Europa Cristiana, ed era capolista per l' Udc nel Nord-Ovest.
Rosaria Capacchione
Partito Democratico<
Rosaria Capacchione, 49 anni, nata a Napoli, dal 1985 è giornalista del quotidiano Il Mattino . Vive e lavora a Caserta. È autrice del libro L' Oro della Camorra: come i boss casalesi sono diventati ricchi e potenti manager che influuenzano e controllano l' economia di tutta la Penisola, da Casal di Principe al centro di Milano (Rizzoli, 2008). Una copia del libro è stata trovata dai carabinieri nel covo dove si nascondeva il super latitante boss camorrista Giuseppe Setola, durante un blitz del 12 gennaio 2009.
Assieme a Roberto Saviano, la Capacchione è la massima esperta, a livello giornalistico, di criminalità organizzata in Campania. Vive pure lei sotto scorta, a causa del proprio lavoro di cronista giudiziaria e per la sua attività di divulgazione. Più volte negli anni è stata minacciata di morte. Il Partito Democratico l'ha candidata capolista nella circoscrizione Italia Meridionale.
Lorenzo Fontana
Lega Nord
Lorenzo Fontana, 29 anni, di Verona, celibe, ha fatto il liceo scientifico ed è laureando in Scienze politiche. Ha lavorato come impiegato e ha collaborato a giornali. Iscritto alla Lega Nord dal 1997, nel 2002 è diventato vice coordinatore federale del Movimento giovani padani. Vicesegretario provinciale della Lega a Verona dal 2007, è stato eletto consigliere comunale dopo cinque anni da consigliere circoscrizionale.
Umberto Bossi lo ha scelto personalmente come capolista della Lega alle Europee nella circoscrizione Nord Est, anche se i leghisti veneti possono già vantare due «pesi massimi» relativamente giovani nelle gerarchie interne: il sindaco di Verona Flavio Tosi, e il ministro trevigiano dell' Agricoltura Luca Zaia. In Veneto, la Lega Nord in queste elezioni ha mancato di soli 25 mila voti l' obiettivo di superare il Popolo della Libertà, diventando così il primo partito regionale per candidarsi alla guida della Regione.
Niccolò Rinaldi
Italia dei Valori
Niccolò Rinaldi, 47 anni, di Firenze, al liceo ha militato nella Federazione giovanile repubblicana. Laureato in Scienze politiche con una tesi sull' economia di strada di Dakar (Senegal), frutto di una ricerca sul campo. Dopo l' università ha superato un concorso per entrare nelle Nazioni Unite, ed è diventato responsabile dell' informazione in Afghanistan (posto che era vacante da mesi: nessuno voleva andarci). Ha vissuto a Peshawar e a Kabul durante la guerra.
Ha scritto il libro Islam, guerra e dintorni con la prefazione di Jas Gawronski, tradotto in francese con la prefazione di Daniel Cohn-Bendit (leader dei Verdi francesi, che hanno appena trionfato alle europee con il 16 per cento dei voti). Nel '91 ha lasciato l' Onu per il Parlamento europeo, dove nel 2000 è diventato segretario generale aggiunto. La sua carriera ha colpito Antonio Di Pietro, che lo ha candidato.
Dieci promesse da mantenere
1 Dedicare alla carica di eurodeputato il cento per cento della mia attività ed energia.
2 Partecipare non solo alle sedute in aula, ma anche a quelle di commissione e di gruppo, dove si svolge il vero lavoro, spesso oscuro.
3 Tenere i rapporti con le Regioni della mia circoscrizione, per farle accedere alle grandi risorse (non solo finanziarie) dell' Unione europea.
4 Imparare bene una o due lingue (inglese, francese), nel caso non le conosca già, per comunicare direttamente con i colleghi stranieri.
5 Scegliere bravi collaboratori, non in base all' amicizia, ma alla competenza.
6 Allargare i poteri dell' Europarlamento, unico organo eletto, rispetto ai burocrati della Commissione e ai difensori degli interessi nazionali nel Consiglio.
7 Diminuire gli sprechi: due sedi e mezzo (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo), traduzioni in 23 lingue, stipendi e rimborsi per gli assistenti (25 mila euro al mese).
8 Battermi per gli Stati Uniti d' Europa, federali e con le massime autonomie locali (sussidiarietà), ma con un' unica politica estera e di difesa.
9 Vigilare sulle truffe sui fondi dell' Unione europea.
10 Semplificare le leggi comunitarie, diventate eccessive quanto quelle nazionali.
Wednesday, June 10, 2009
Massimiliano Dona e Affari tuoi
AFFARI DIMEZZATI, PACCHI TROPPO GENEROSI?
Oggi, 3 giugno 2009
«Da gennaio, quando abbiamo depositato un esposto alla magistratura su possibili irregolarità, le vincite medie ad Affari tuoi si sono quasi dimezzate».
Parla Massimiliano Dona, segretario dell'Unc (Unione nazionale consumatori). Cinque anni Striscia la Notizia accusò il quiz preserale di scegliere come concorrenti non persone comuni, ma gente già abituata alle telecamere. Lo scopo: rendere il programma più frizzante. Allora la Rai cominciò a invitarlo in studio per garantire la trasparenza del gioco.
In questi anni il programma è stato bersagliato spesso da polemiche: come avete reagito?
«Tenendo nella massima considerazione le accuse, anche quelle più recenti secondo cui il gioco era pilotato per fare in modo che i pacchi “danarosi” arrivassero fino alla fine, per tenere alti gli ascolti. Nonostante molte verifiche, non ho però trovato alcun riscontro concreto».
Che rapporti avete con la Rai e la società Endemol, produttrice del programma?
«Massima disponibilità, almeno fino a quando ho depositato l'esposto per alcune anomalie rilevate nell’attuale edizione». Comprensibile.
«Certo, ma non è da me che deve difendersi. Io ho solo tutelato gli utenti televisivi ed il soggetto pubblico che ne gestisce i soldi – cioè proprio la Rai – dalle condotte illecite di terzi. Credo che la Rai mi ringrazierà quando conterà i denari risparmiati grazie al mio intervento.
Che tipo di irregolarità avete rilevato?
«All’inizio di questa stagione le vincite si erano fatte esorbitanti. Almeno quattro giocatori avevano portato a casa il premio principale di 500 mila euro, e l’andamento di molte partite mi era sembrato sospetto. La mia attenzione poi è stata attirata da alcuni strani comportamenti dei concorrenti nella fase di preparazione dello studio televisivo, quella che precede la messa in onda».
Cioè?
«I pacchi vengono allestiti in una stanza segreta, e poi portati in sala da alcuni addetti: l’ordine con il quale entravano in studio, che non era quello numerico, poteva dare indicazioni sul valore del premio all’interno. Alcuni concorrenti lo avevano capito, e così bastava osservare quell’operazione per assicurarsi una bella vincita a danno della Rai».
E quindi?
«Ora aspettiamo che i magistrati accertino se i concorrenti hanno approfittato di una porta lasciata inavvertitamente socchiusa o, invece, siano stati invitati ad entrare dopo aver ricevuto la chiave. Comunque, da quando la nostra Unione ha chiesto ed ottenuto di modificare le procedure, le vincite si sono dimezzate».
Lei si è fatto intervistare su questo da Striscia la notizia, la trasmissione conocorrente di Affari tuoi. Non le sembra di cattivo gusto?
«No, perché i cittadini hanno il diritto di essere informati di come vengono usati i soldi pubblici. E ho richiesto a Striscia di non essere arruolato in una guerra di audience, alla quale l’Unc rimane estranea. Avrei fatto l’intervista anche alla Rai, se me l’avesse chiesto: in tal modo, peraltro, avrebbe manifestato solidarietà con chi le sta proteggendo il portafogli».
Reazioni dai telespettatori?
«Hanno saputo distinguere il nostro esposto dalle precedenti polemiche, che riguardavano più con una questione di ascolti. Ho ricevuto molti messaggi di solidarietà».
Come andrà a finire?
«Non vorrei che, come spesso accade, a rimetterci siano le persone oneste: i molti lavoratori seri della Rai, gli addetti ai lavori, gli autori, lo stesso presentatore - attualmente Max Giusti - che non hanno alcuna responsabilità. Per questo, mi rivolgo a chi sa perché chiarisca la situazione».
Pensa che la Rai la chiamerà ancora come garante?
«Credo di si. In fondo, cinque anni fa mi avevano chiamato per controllare. E io ho controllato».
Mauro Suttora
Oggi, 3 giugno 2009
«Da gennaio, quando abbiamo depositato un esposto alla magistratura su possibili irregolarità, le vincite medie ad Affari tuoi si sono quasi dimezzate».
Parla Massimiliano Dona, segretario dell'Unc (Unione nazionale consumatori). Cinque anni Striscia la Notizia accusò il quiz preserale di scegliere come concorrenti non persone comuni, ma gente già abituata alle telecamere. Lo scopo: rendere il programma più frizzante. Allora la Rai cominciò a invitarlo in studio per garantire la trasparenza del gioco.
In questi anni il programma è stato bersagliato spesso da polemiche: come avete reagito?
«Tenendo nella massima considerazione le accuse, anche quelle più recenti secondo cui il gioco era pilotato per fare in modo che i pacchi “danarosi” arrivassero fino alla fine, per tenere alti gli ascolti. Nonostante molte verifiche, non ho però trovato alcun riscontro concreto».
Che rapporti avete con la Rai e la società Endemol, produttrice del programma?
«Massima disponibilità, almeno fino a quando ho depositato l'esposto per alcune anomalie rilevate nell’attuale edizione». Comprensibile.
«Certo, ma non è da me che deve difendersi. Io ho solo tutelato gli utenti televisivi ed il soggetto pubblico che ne gestisce i soldi – cioè proprio la Rai – dalle condotte illecite di terzi. Credo che la Rai mi ringrazierà quando conterà i denari risparmiati grazie al mio intervento.
Che tipo di irregolarità avete rilevato?
«All’inizio di questa stagione le vincite si erano fatte esorbitanti. Almeno quattro giocatori avevano portato a casa il premio principale di 500 mila euro, e l’andamento di molte partite mi era sembrato sospetto. La mia attenzione poi è stata attirata da alcuni strani comportamenti dei concorrenti nella fase di preparazione dello studio televisivo, quella che precede la messa in onda».
Cioè?
«I pacchi vengono allestiti in una stanza segreta, e poi portati in sala da alcuni addetti: l’ordine con il quale entravano in studio, che non era quello numerico, poteva dare indicazioni sul valore del premio all’interno. Alcuni concorrenti lo avevano capito, e così bastava osservare quell’operazione per assicurarsi una bella vincita a danno della Rai».
E quindi?
«Ora aspettiamo che i magistrati accertino se i concorrenti hanno approfittato di una porta lasciata inavvertitamente socchiusa o, invece, siano stati invitati ad entrare dopo aver ricevuto la chiave. Comunque, da quando la nostra Unione ha chiesto ed ottenuto di modificare le procedure, le vincite si sono dimezzate».
Lei si è fatto intervistare su questo da Striscia la notizia, la trasmissione conocorrente di Affari tuoi. Non le sembra di cattivo gusto?
«No, perché i cittadini hanno il diritto di essere informati di come vengono usati i soldi pubblici. E ho richiesto a Striscia di non essere arruolato in una guerra di audience, alla quale l’Unc rimane estranea. Avrei fatto l’intervista anche alla Rai, se me l’avesse chiesto: in tal modo, peraltro, avrebbe manifestato solidarietà con chi le sta proteggendo il portafogli».
Reazioni dai telespettatori?
«Hanno saputo distinguere il nostro esposto dalle precedenti polemiche, che riguardavano più con una questione di ascolti. Ho ricevuto molti messaggi di solidarietà».
Come andrà a finire?
«Non vorrei che, come spesso accade, a rimetterci siano le persone oneste: i molti lavoratori seri della Rai, gli addetti ai lavori, gli autori, lo stesso presentatore - attualmente Max Giusti - che non hanno alcuna responsabilità. Per questo, mi rivolgo a chi sa perché chiarisca la situazione».
Pensa che la Rai la chiamerà ancora come garante?
«Credo di si. In fondo, cinque anni fa mi avevano chiamato per controllare. E io ho controllato».
Mauro Suttora
Sartori su Berlusconi
"E' un sultano. Ma furbissimo, si salverà"
di Mauro Suttora
Oggi, 3 giugno 2009
«Berlusconi ormai è un sultano. Mi diverto a chiamarlo così perché il termine islamico evoca, insieme, fasto e potere dispotico. Il Cavaliere sultaneggia su un partito prostrato ai suoi piedi. Nomina ministri e ministre chi vuole. Li caccia come se fossero personale di servizio. Nessuno fiata. I ministri del partito di sua proprietà sono tali per grazia ricevuta. E tornano a casa senza nemmeno un gemito, se così decide il padrone. Non manca nemmeno un gradevole harem di belle donne. Il sultanato era un po’ così».
Perfido toscano, il professor Giovanni Sartori, 85 anni, è il massimo politologo italiano. E commenta il «caso Noemi» che scuote l’Italia, suscitando commenti sghignazzanti nel resto del mondo. Le parole riportate sopra, però, non ce le ha dette adesso. «Le ho scritte in prefazione al mio ultimo libro, Il sultanato, pubblicato tre mesi fa da Laterza. E mi pare vadano benissimo per commentare il ‘caso Noemi’. Che è una storia sgradevole su cui non ho scritto né scriverò editoriali sul Corriere della Sera. Ma in qualsiasi altro Paese occidentale, un presidente del Consiglio impelagato in un infortunio del genere o si discolpa, o si dimette».
Berlusconi si è discolpato.
«Perché non è tipo da dimettersi. Ma continua a dare versioni diverse».
Sono fatti suoi, dicono i suoi.
«Non dopo che lui stesso è andato in tv a Porta a Porta rendendo pubblica questa vicenda scandalosa».
C’è una somiglianza con il caso Monica Lewinsky, che undici anni fa portò il presidente Usa Bill Clinton sull’orlo dell’impeachment?
«Clinton spergiurò davanti a un tribunale. Poteva rifiutarsi di rispondere, e sarebbe stato condannato per disprezzo della corte. Ma condannato a che? Il presidente era lui. Invece cadde nella trappola: fu incriminato non per il fatto in sè, ma per la menzogna sul fatto».
Sua moglie Hillary lo difese, mentre ora Veronica Berlusconi chiede il divorzio lanciando accuse tremende contro il marito.
«Ma Berlusconi è un genio della furbizia, ha trovato subito un diversivo. Per distrarre l’opinione pubblica i dittatori arrivavano a scatenare guerre. Lui non ne ha bisogno, perché controlla quasi tutti i mass media. Quindi, con un colpo d’ala, lancia l’idea di ridurre a cento i deputati, come nel Senato degli Stati Uniti. E tutti parlano di quello. È la trovata di un uomo di spettacolo genuino».
Berlusconi ha commesso reati?
«La ragazza era sicuramente minorenne all’epoca dei fatti, ma bisogna appurare quali fatti».
Succederà?
«Ne dubito. Ormai Berlusconi è riuscito a creare una fede attorno alla propria persona. Repubblica può insistere finché vuole, ma lui come sempre si atteggia a vittima. I media gli garantiscono consenso. E gli italiani - i maschi, almeno - dicono “Boh, chi non ha peccato scagli la prima pietra”».
I politici hanno diritto alla privacy, oppure la loro vita privata dev’essere irreprensibile?
«Ma Berlusconi non è un politico qualunque. È il presidente del Consiglio. Dev’essere al di sopra di ogni sospetto. Invece lui ha fatto l’esatto contrario: si è messo al di sopra di ogni legge. Il lodo Alfano gli garantisce l’impunità».
A volte i sultani affogano nel ridicolo.
«Berlusconi merita di essere cacciato. Ma non per le sue marachelle sessuali».
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 3 giugno 2009
«Berlusconi ormai è un sultano. Mi diverto a chiamarlo così perché il termine islamico evoca, insieme, fasto e potere dispotico. Il Cavaliere sultaneggia su un partito prostrato ai suoi piedi. Nomina ministri e ministre chi vuole. Li caccia come se fossero personale di servizio. Nessuno fiata. I ministri del partito di sua proprietà sono tali per grazia ricevuta. E tornano a casa senza nemmeno un gemito, se così decide il padrone. Non manca nemmeno un gradevole harem di belle donne. Il sultanato era un po’ così».
Perfido toscano, il professor Giovanni Sartori, 85 anni, è il massimo politologo italiano. E commenta il «caso Noemi» che scuote l’Italia, suscitando commenti sghignazzanti nel resto del mondo. Le parole riportate sopra, però, non ce le ha dette adesso. «Le ho scritte in prefazione al mio ultimo libro, Il sultanato, pubblicato tre mesi fa da Laterza. E mi pare vadano benissimo per commentare il ‘caso Noemi’. Che è una storia sgradevole su cui non ho scritto né scriverò editoriali sul Corriere della Sera. Ma in qualsiasi altro Paese occidentale, un presidente del Consiglio impelagato in un infortunio del genere o si discolpa, o si dimette».
Berlusconi si è discolpato.
«Perché non è tipo da dimettersi. Ma continua a dare versioni diverse».
Sono fatti suoi, dicono i suoi.
«Non dopo che lui stesso è andato in tv a Porta a Porta rendendo pubblica questa vicenda scandalosa».
C’è una somiglianza con il caso Monica Lewinsky, che undici anni fa portò il presidente Usa Bill Clinton sull’orlo dell’impeachment?
«Clinton spergiurò davanti a un tribunale. Poteva rifiutarsi di rispondere, e sarebbe stato condannato per disprezzo della corte. Ma condannato a che? Il presidente era lui. Invece cadde nella trappola: fu incriminato non per il fatto in sè, ma per la menzogna sul fatto».
Sua moglie Hillary lo difese, mentre ora Veronica Berlusconi chiede il divorzio lanciando accuse tremende contro il marito.
«Ma Berlusconi è un genio della furbizia, ha trovato subito un diversivo. Per distrarre l’opinione pubblica i dittatori arrivavano a scatenare guerre. Lui non ne ha bisogno, perché controlla quasi tutti i mass media. Quindi, con un colpo d’ala, lancia l’idea di ridurre a cento i deputati, come nel Senato degli Stati Uniti. E tutti parlano di quello. È la trovata di un uomo di spettacolo genuino».
Berlusconi ha commesso reati?
«La ragazza era sicuramente minorenne all’epoca dei fatti, ma bisogna appurare quali fatti».
Succederà?
«Ne dubito. Ormai Berlusconi è riuscito a creare una fede attorno alla propria persona. Repubblica può insistere finché vuole, ma lui come sempre si atteggia a vittima. I media gli garantiscono consenso. E gli italiani - i maschi, almeno - dicono “Boh, chi non ha peccato scagli la prima pietra”».
I politici hanno diritto alla privacy, oppure la loro vita privata dev’essere irreprensibile?
«Ma Berlusconi non è un politico qualunque. È il presidente del Consiglio. Dev’essere al di sopra di ogni sospetto. Invece lui ha fatto l’esatto contrario: si è messo al di sopra di ogni legge. Il lodo Alfano gli garantisce l’impunità».
A volte i sultani affogano nel ridicolo.
«Berlusconi merita di essere cacciato. Ma non per le sue marachelle sessuali».
Mauro Suttora
Elezioni 2009
di Mauro Suttora
Oggi, 3 giugno
Chi supererà la «tagliola» del quattro per cento? E’ questa una delle due grandi novità delle elezioni europee del 6-7 giugno: per la prima volta, le liste che non raggiungono questa quota non eleggono nessuno. Si prevede una strage.
L’altra primizia è che si comincia a votare già dalle 15 di sabato pomeriggio, fino alle 22. E poi come sempre la domenica, dalle 7 alle 22. Subito dopo comincerà lo scrutinio, in tutti i 27 Paesi dell’Unione europea. Questa volta ci saranno le preferenze (al massimo tre), quindi si prevede qualche sorpresa all’interno delle liste.
Accorpate al voto per Bruxelles, poi, ci sono le amministrative. Che coinvolgono quasi tutte le principali città e province italiane: 34 milioni di elettori su 50. Fra i capoluoghi di regione, in quattro si vota per il Comune (Bologna, Firenze, Perugia, Bari) e in sei per la Provincia (Torino, Milano, Venezia, L’Aquila, Napoli, Potenza). Al voto 62 province, 4.281 comuni, nessuna regione.
Ecco le liste che partecipano alle Europee, in ordine di grandezza secondo i sondaggi:
Pdl (Popolo della libertà)
Silvio Berlusconi è capolista in tutta Italia. Al numero due ci sono Ignazio La Russa nel Nordovest, Alberto Balboni (Nordest), Roberta Angelilli (Centro), Salvatore Tatarella (fratello dello scomparso Pinuccio) al Sud, e l’ex sindaco di Lula (Nuoro) Maddalena Calia nelle Isole. Iva Zanicchi si candida nel Nordovest, ultima in ordine alfabetico, al 19° posto. Nel Nordest Elisabetta Gardini è al decimo posto, nel Sud Clemente Mastella al settimo.
Pd (Partito democratico).
Nel Nordovest il capolista è Sergio Cofferati, ex segretario Cgil e sindaco di Bologna. Segue la ex dc Patrizia Toia. Nel Nordest Luigi Berlinguer, fratello di Enrico ed ex ministro dell’Istruzione. Al Centro c’é il presentatore del Tg1 David Sassoli, al Sud l’ex ministro Paolo De Castro seguito dalla giornalista anticamorra del Mattino di Napoli Rosaria Capacchione. Apre la lista nelle Isole Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso dalla mafia.
Lega Nord
Capolista ovunque è Umberto Bossi. Gli altri sono Matteo Salvini, deputato e consigliere comunale a Milano, l’europarlamentare uscente Mario Borghezio, il 29enne veronese Lorenzo Fontana nel Nordest e Francesco Speroni, storico eurodeputato 61enne.
Idv (Italia dei Valori)
Antonio Di Pietro capolista in tutta Italia, seguito dall’ex magistrato Luigi De Magistris e dal giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio che ne raccontato le gesta. Fra i candidati il filosofo Gianteresio Vattimo detto Gianni, ex di Rifondazione comunista, Giorgio Schultze del partito umanista, Sonia Alfano dell’Associazione vittime della mafia e lo scrittore Giorgio Pressburger.
Udc (Unione di centro)
Il Casini capolista nella circoscrizione Centro non è Pierferdinando, ma Carlo del Movimento per la vita, che precede Gianni Rivera. Spiccano al Nordovest Magdi Cristiano Allam, convertito al cattolicesimo, Emanuele Filiberto di Savoia e John Balzarini, ex compagno di Fiona Swarovski. Capolisti al Sud Ciriaco De Mita, 82 anni, e il lucano Angelo Sanza, ex Dc e Forza Italia.
Rifondazione Comunisti ital.
Guidano le liste al Nordovest Vittorio Agnoletto, capo noglobal nel 2001 a Genova, e la scienziata Margherita Hack. Nel Nordest Oliviero Diliberto e la pacifista Lidia Menapace. Al Sud Massimo Villone, ex senatore Ds, autore con Cesare Salvi del libro Il costo della democrazia che denunciò la casta politica prima del volume omonimo di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.
Sinistra e libertà
E’ un’alleanza fra metà Rifondazione, verdi e socialisti. Capilista Monica Frassoni, il presidente della Puglia Nichi Vendola, l’attore Bebo Storti («conte Uguccione»), Claudio Fava e, al Centro, la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, ostaggio in Iraq nel 2005.
Lista Pannella Bonino
I radicali, guidati dai leader storici Marco Pannella ed Emma Bonino, schierano l’eurodeputato uscente Marco Cappato, Mina Welby vedova di Piero, Maria Antonietta Farina vedova Coscioni e l’architetto napoletano Aldo Loris Rossi.
Autonomia
E’ un’alleanza tecnica, per superare la soglia del 4%, fra la Destra di Francesco Storace e Teodoro Buontempo, il Mpa (Movimento per l’autonomia) del governatore siciliano Raffaele Lombardo, l’Alleanza di centro dell’ex Tg1 e Udc Francesco Pionati e i Pensionati di Carlo Fatuzzo.
Fiamma tricolore
L’estrema destra è guidata da Luca Romagnoli, eurodeputato uscente. Nel 2004 riuscì a ottenere un seggio con lo 0,7 dei voti, questa volta l’impresa è quasi impossibile.
Liberaldemocratici Melchiorre
Il cognome dell’ex sottosegretaria alla Giustizia del governo Prodi (2006-8) Daniela Melchiorre, eletta poi deputata Pd, campeggia sul simbolo.
Partito comunista lavoratori
La terza lista di estrema sinistra è la meno favorita dai sondaggi. Si presenta solo nelle circoscrizioni Nordest, Nordovest e Centro, guidata dal trotskista Marco Ferrando.
Liste civiche Beppe Grillo
Alle europee non si presentano gli Amici di Beppe Grillo, che però partecipano alle elezioni di una sessantina di comuni (quasi tutti quelli più importanti) con «Liste civiche a cinque stelle».
Mauro Suttora
Oggi, 3 giugno
Chi supererà la «tagliola» del quattro per cento? E’ questa una delle due grandi novità delle elezioni europee del 6-7 giugno: per la prima volta, le liste che non raggiungono questa quota non eleggono nessuno. Si prevede una strage.
L’altra primizia è che si comincia a votare già dalle 15 di sabato pomeriggio, fino alle 22. E poi come sempre la domenica, dalle 7 alle 22. Subito dopo comincerà lo scrutinio, in tutti i 27 Paesi dell’Unione europea. Questa volta ci saranno le preferenze (al massimo tre), quindi si prevede qualche sorpresa all’interno delle liste.
Accorpate al voto per Bruxelles, poi, ci sono le amministrative. Che coinvolgono quasi tutte le principali città e province italiane: 34 milioni di elettori su 50. Fra i capoluoghi di regione, in quattro si vota per il Comune (Bologna, Firenze, Perugia, Bari) e in sei per la Provincia (Torino, Milano, Venezia, L’Aquila, Napoli, Potenza). Al voto 62 province, 4.281 comuni, nessuna regione.
Ecco le liste che partecipano alle Europee, in ordine di grandezza secondo i sondaggi:
Pdl (Popolo della libertà)
Silvio Berlusconi è capolista in tutta Italia. Al numero due ci sono Ignazio La Russa nel Nordovest, Alberto Balboni (Nordest), Roberta Angelilli (Centro), Salvatore Tatarella (fratello dello scomparso Pinuccio) al Sud, e l’ex sindaco di Lula (Nuoro) Maddalena Calia nelle Isole. Iva Zanicchi si candida nel Nordovest, ultima in ordine alfabetico, al 19° posto. Nel Nordest Elisabetta Gardini è al decimo posto, nel Sud Clemente Mastella al settimo.
Pd (Partito democratico).
Nel Nordovest il capolista è Sergio Cofferati, ex segretario Cgil e sindaco di Bologna. Segue la ex dc Patrizia Toia. Nel Nordest Luigi Berlinguer, fratello di Enrico ed ex ministro dell’Istruzione. Al Centro c’é il presentatore del Tg1 David Sassoli, al Sud l’ex ministro Paolo De Castro seguito dalla giornalista anticamorra del Mattino di Napoli Rosaria Capacchione. Apre la lista nelle Isole Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso dalla mafia.
Lega Nord
Capolista ovunque è Umberto Bossi. Gli altri sono Matteo Salvini, deputato e consigliere comunale a Milano, l’europarlamentare uscente Mario Borghezio, il 29enne veronese Lorenzo Fontana nel Nordest e Francesco Speroni, storico eurodeputato 61enne.
Idv (Italia dei Valori)
Antonio Di Pietro capolista in tutta Italia, seguito dall’ex magistrato Luigi De Magistris e dal giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio che ne raccontato le gesta. Fra i candidati il filosofo Gianteresio Vattimo detto Gianni, ex di Rifondazione comunista, Giorgio Schultze del partito umanista, Sonia Alfano dell’Associazione vittime della mafia e lo scrittore Giorgio Pressburger.
Udc (Unione di centro)
Il Casini capolista nella circoscrizione Centro non è Pierferdinando, ma Carlo del Movimento per la vita, che precede Gianni Rivera. Spiccano al Nordovest Magdi Cristiano Allam, convertito al cattolicesimo, Emanuele Filiberto di Savoia e John Balzarini, ex compagno di Fiona Swarovski. Capolisti al Sud Ciriaco De Mita, 82 anni, e il lucano Angelo Sanza, ex Dc e Forza Italia.
Rifondazione Comunisti ital.
Guidano le liste al Nordovest Vittorio Agnoletto, capo noglobal nel 2001 a Genova, e la scienziata Margherita Hack. Nel Nordest Oliviero Diliberto e la pacifista Lidia Menapace. Al Sud Massimo Villone, ex senatore Ds, autore con Cesare Salvi del libro Il costo della democrazia che denunciò la casta politica prima del volume omonimo di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.
Sinistra e libertà
E’ un’alleanza fra metà Rifondazione, verdi e socialisti. Capilista Monica Frassoni, il presidente della Puglia Nichi Vendola, l’attore Bebo Storti («conte Uguccione»), Claudio Fava e, al Centro, la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, ostaggio in Iraq nel 2005.
Lista Pannella Bonino
I radicali, guidati dai leader storici Marco Pannella ed Emma Bonino, schierano l’eurodeputato uscente Marco Cappato, Mina Welby vedova di Piero, Maria Antonietta Farina vedova Coscioni e l’architetto napoletano Aldo Loris Rossi.
Autonomia
E’ un’alleanza tecnica, per superare la soglia del 4%, fra la Destra di Francesco Storace e Teodoro Buontempo, il Mpa (Movimento per l’autonomia) del governatore siciliano Raffaele Lombardo, l’Alleanza di centro dell’ex Tg1 e Udc Francesco Pionati e i Pensionati di Carlo Fatuzzo.
Fiamma tricolore
L’estrema destra è guidata da Luca Romagnoli, eurodeputato uscente. Nel 2004 riuscì a ottenere un seggio con lo 0,7 dei voti, questa volta l’impresa è quasi impossibile.
Liberaldemocratici Melchiorre
Il cognome dell’ex sottosegretaria alla Giustizia del governo Prodi (2006-8) Daniela Melchiorre, eletta poi deputata Pd, campeggia sul simbolo.
Partito comunista lavoratori
La terza lista di estrema sinistra è la meno favorita dai sondaggi. Si presenta solo nelle circoscrizioni Nordest, Nordovest e Centro, guidata dal trotskista Marco Ferrando.
Liste civiche Beppe Grillo
Alle europee non si presentano gli Amici di Beppe Grillo, che però partecipano alle elezioni di una sessantina di comuni (quasi tutti quelli più importanti) con «Liste civiche a cinque stelle».
Mauro Suttora
Wednesday, June 03, 2009
intervista a Renato Brunetta
Oggi, 27 maggio 2009
di Mauro Suttora
Professor Brunetta, so chi è Brodolini.
«Bravo».
Renato Brunetta, 59 anni, il ministro (della Funzione pubblica) più popolare del governo Berlusconi, ha spopolato su Blob e Striscia per la scenata fatta a Daria Bignardi, che l’ha intervistato ignorando chi fosse Giacomo Brodolini, padre dello Statuto dei lavoratori.
I quali lavoratori scoprono di essere i meno pagati d’Europa.
«Ed è un male, perché stipendi bassi danno bassa produttività e competitività».
Di chi la colpa?
«Dei governi di sinistra e Cgil che hanno voluto moderazione salariale, ma anche della miopia delle imprese».
In pochi però si arrabbiano.
«Perché sommerso, evasione fiscale, pensioni, assistenza familiare e altre scappatoie italiane fanno da ammortizzatori».
Gli stipendi lordi sono buoni, ma vengono massacrati dal cuneo fiscale: tasse e contributi.
«Tasse troppo alte per chi le paga, basse o nulle per chi evade. E’ il modello Italia: salari contenuti, tanto benessere e pochi conflitti sociali».
Quindi va bene così.
«Sbagliato. Cambieremo questo welfare scassato, che costa tanto e protegge solo i pensionati, poco i giovani e pochissimo le famiglie».
A Como cento dipendenti privati devono mantenerne nove pubblici, a Catanzaro 43. Per questo al Nord votano Lega e non Pdl.
«E sbagliano. Il Pdl, e non la Lega, sta introducendo il federalismo fiscale. Per farlo occorre un partito con spalle grosse, nazionale. La Lega sta solo al Nord, l’alleanza giusta è quella col Pdl».
Stipendi pubblici aumentati del doppio rispetto ai privati in sette anni. E voi siete stati al governo per cinque. Cos’è, peronismo?
«Per il passato siamo corresponsabili. Ma ora premieremo il merito ovunque, senza dare tutto a tutti nei settori protetti».
Il solito politico che usa i verbi al tempo futuro.
«Sbagliato. I miei decreti passano entro luglio».
Ottantamila euro di debito pubblico gravano su ogni giovane. Se lo fossi, vi tirerei uova.
«E sbaglierebbe. Perché metà di quella cifra è in mano a suo padre, in Bot e Cct. E il resto è di fondi come quello dei pensionati californiani».
Ma anche di speculatori che possono far fare all’Italia la fine dell’Argentina, in bancarotta con i suoi bond.
«Sbagliato. “Speculatore” non è una brutta parola. Viene dal latino “speculare”, cioè studiare e capire, per approfittare. La speculazione è una scienza che fa fruttare i talenti».
E’ la prima cosa non di sinistra che dice in quest’intervista.
«Sono sempre stato socialista».
Il Pdl non è un partito liberale?
«Ci sono anche i socialisti lib-lab, riformisti».
Ma il Pdl è di centrodestra.
«Sbagliato. La maggioranza degli operai vota per noi. Siamo interclassisti, eredi del grande centrosinistra che cambiò l’Italia».
Facendo esplodere il debito pubblico.
«Sbagliato. Quello degenerò negli anni 70, quando il Pci votava le leggi di spesa del consociativismo».
La sua difesa degli speculatori mi fa senso. Hanno causato la crisi attuale, giocando con la finanza senza lavorare né produrre.
«Sbagliato. I cosiddetti speculatori, cioè i gestori dei fondi che tutti adoravamo finché ci facevano guadagnare, lavorano moltissimo: si devono informare per investire nei settori giusti. Sono molto intelligenti e preparati. Solo i tardo-cristiani li disprezzavano».
La crisi ha già buttato in strada il venti per cento dei precari...
(interrompe): «Sbagliato. Nessuno ha dati esatti».
Lei quali ha?
«Io dico che, paradossalmente, questa crisi ha reso più ricchi trenta milioni di italiani. La maggioranza».
E chi sarebbero i fortunati?
«Tutti i lavoratori dipendenti e pensionati con i redditi che salgono automaticamente del quattro per cento, mentre l’inflazione è al due. Il loro potere d’acquisto, dunque, è aumentato».
Nessuno festeggia.
«Perché nessuno investe e spende. Tutti hanno paura, risparmiano. Ma il primo governo che riesce a infondere fiducia ha vinto la sfida. Bisogna sbloccare questa massa di soldi . E’ quel che vogliamo fare con il piano casa».
Altro cemento.
«Non faccia il verde radical chic».
E voi perché non fate parchi?
«L’edilizia è il modo più rapido per rimettere i soldi in circolazione».
Allora costruite metropolitane, cose che servono.
«Sbagliato. Quella è spesa pubblica, aumenterebbe il deficit».
Insomma, la crisi non c’è.
«Non mi faccia dire fesserie. La crisi c’è eccome, con 500 mila posti di lavoro in meno. Soffrono anche gli autonomi, che però reggono meglio se sono stati previdenti nel precedente periodo di vacche grasse».
In Inghilterra i politici si dimettono per poche sterline usate impropriamente, anche senza commettere reati. In Italia invece continuate a scorrazzare in auto blu.
«Demagogia. Mi hanno imposto la scorta 25 anni fa, ne farei volentieri a meno. Nel frattempo hanno ammazzato D’Antona e Biagi. Di caste in Italia ce ne sono tante: magistrati, militari, professori universitari... Anche voi giornalisti».
Ho 50 anni, lavoro da 25 e guadagno 3.500 al mese. Qualsiasi deputato o consigliere regionale ne piglia 12mila.
«E allora perché non va a fare il consigliere regionale?»
Perché non sono una ventenne che conosce Berlusconi.
«La battuta è abbastanza buona. Però la sua collega Bignardi ne prende 600mila dalla Rai. E aspetto sempre di sapere quanto guadagna Gian Antonio Stella, autore del libro La Casta».
Neanche una lira, dallo stato.
«Ma lavora per la Rizzoli, finanziata dallo stato con 24 milioni».
Meno dell’uno per cento del suo fatturato.
«Non importa: chi prende soldi pubblici dia rendiconti pubblici. Trasparenza. Tutti gli stipendi dei miei collaboratori sono on-line».
Voi politici...
«Sbagliato».
Mi faccia almeno finire la domanda.
«Concesso».
Voi politici fate spendere ogni giorno allo stato il quattro per cento in più di quel che incassate con le tasse. Ora che le entrate fiscali sono diminuite del 14 per cento per la crisi, perché non tagliate le spese come tutti?
«E’ sbagliato dire “voi politici” perché noi siamo eletti da voi. Siamo lo specchio del Paese. Se l’Italia spende molto, è perché gli italiani pretendono che spenda molto».
I bilanci in rosso li votate voi politici.
«Con il consenso di tutti. E gli egoismi in Italia sono ben distribuiti in ogni categoria. Non si risana il deficit eliminando le auto blu».
Fatto sta che abbiamo il debito pubblico più alto del mondo: 1.700 miliardi. E ora, con la scusa della crisi, lo state peggiorando.
«Sbagliato: in tempi di crisi sarebbe criminale non risollevare l’economia con politiche di deficit spending. Se tagliamo la spesa corrente moltiplichiamo la depressione».
Lei è proprio un socialista: spendere, spendere...
«E lei è proprio un giornalista. La colgo un po’ impreparato in politica economica. Studi».
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Professor Brunetta, so chi è Brodolini.
«Bravo».
Renato Brunetta, 59 anni, il ministro (della Funzione pubblica) più popolare del governo Berlusconi, ha spopolato su Blob e Striscia per la scenata fatta a Daria Bignardi, che l’ha intervistato ignorando chi fosse Giacomo Brodolini, padre dello Statuto dei lavoratori.
I quali lavoratori scoprono di essere i meno pagati d’Europa.
«Ed è un male, perché stipendi bassi danno bassa produttività e competitività».
Di chi la colpa?
«Dei governi di sinistra e Cgil che hanno voluto moderazione salariale, ma anche della miopia delle imprese».
In pochi però si arrabbiano.
«Perché sommerso, evasione fiscale, pensioni, assistenza familiare e altre scappatoie italiane fanno da ammortizzatori».
Gli stipendi lordi sono buoni, ma vengono massacrati dal cuneo fiscale: tasse e contributi.
«Tasse troppo alte per chi le paga, basse o nulle per chi evade. E’ il modello Italia: salari contenuti, tanto benessere e pochi conflitti sociali».
Quindi va bene così.
«Sbagliato. Cambieremo questo welfare scassato, che costa tanto e protegge solo i pensionati, poco i giovani e pochissimo le famiglie».
A Como cento dipendenti privati devono mantenerne nove pubblici, a Catanzaro 43. Per questo al Nord votano Lega e non Pdl.
«E sbagliano. Il Pdl, e non la Lega, sta introducendo il federalismo fiscale. Per farlo occorre un partito con spalle grosse, nazionale. La Lega sta solo al Nord, l’alleanza giusta è quella col Pdl».
Stipendi pubblici aumentati del doppio rispetto ai privati in sette anni. E voi siete stati al governo per cinque. Cos’è, peronismo?
«Per il passato siamo corresponsabili. Ma ora premieremo il merito ovunque, senza dare tutto a tutti nei settori protetti».
Il solito politico che usa i verbi al tempo futuro.
«Sbagliato. I miei decreti passano entro luglio».
Ottantamila euro di debito pubblico gravano su ogni giovane. Se lo fossi, vi tirerei uova.
«E sbaglierebbe. Perché metà di quella cifra è in mano a suo padre, in Bot e Cct. E il resto è di fondi come quello dei pensionati californiani».
Ma anche di speculatori che possono far fare all’Italia la fine dell’Argentina, in bancarotta con i suoi bond.
«Sbagliato. “Speculatore” non è una brutta parola. Viene dal latino “speculare”, cioè studiare e capire, per approfittare. La speculazione è una scienza che fa fruttare i talenti».
E’ la prima cosa non di sinistra che dice in quest’intervista.
«Sono sempre stato socialista».
Il Pdl non è un partito liberale?
«Ci sono anche i socialisti lib-lab, riformisti».
Ma il Pdl è di centrodestra.
«Sbagliato. La maggioranza degli operai vota per noi. Siamo interclassisti, eredi del grande centrosinistra che cambiò l’Italia».
Facendo esplodere il debito pubblico.
«Sbagliato. Quello degenerò negli anni 70, quando il Pci votava le leggi di spesa del consociativismo».
La sua difesa degli speculatori mi fa senso. Hanno causato la crisi attuale, giocando con la finanza senza lavorare né produrre.
«Sbagliato. I cosiddetti speculatori, cioè i gestori dei fondi che tutti adoravamo finché ci facevano guadagnare, lavorano moltissimo: si devono informare per investire nei settori giusti. Sono molto intelligenti e preparati. Solo i tardo-cristiani li disprezzavano».
La crisi ha già buttato in strada il venti per cento dei precari...
(interrompe): «Sbagliato. Nessuno ha dati esatti».
Lei quali ha?
«Io dico che, paradossalmente, questa crisi ha reso più ricchi trenta milioni di italiani. La maggioranza».
E chi sarebbero i fortunati?
«Tutti i lavoratori dipendenti e pensionati con i redditi che salgono automaticamente del quattro per cento, mentre l’inflazione è al due. Il loro potere d’acquisto, dunque, è aumentato».
Nessuno festeggia.
«Perché nessuno investe e spende. Tutti hanno paura, risparmiano. Ma il primo governo che riesce a infondere fiducia ha vinto la sfida. Bisogna sbloccare questa massa di soldi . E’ quel che vogliamo fare con il piano casa».
Altro cemento.
«Non faccia il verde radical chic».
E voi perché non fate parchi?
«L’edilizia è il modo più rapido per rimettere i soldi in circolazione».
Allora costruite metropolitane, cose che servono.
«Sbagliato. Quella è spesa pubblica, aumenterebbe il deficit».
Insomma, la crisi non c’è.
«Non mi faccia dire fesserie. La crisi c’è eccome, con 500 mila posti di lavoro in meno. Soffrono anche gli autonomi, che però reggono meglio se sono stati previdenti nel precedente periodo di vacche grasse».
In Inghilterra i politici si dimettono per poche sterline usate impropriamente, anche senza commettere reati. In Italia invece continuate a scorrazzare in auto blu.
«Demagogia. Mi hanno imposto la scorta 25 anni fa, ne farei volentieri a meno. Nel frattempo hanno ammazzato D’Antona e Biagi. Di caste in Italia ce ne sono tante: magistrati, militari, professori universitari... Anche voi giornalisti».
Ho 50 anni, lavoro da 25 e guadagno 3.500 al mese. Qualsiasi deputato o consigliere regionale ne piglia 12mila.
«E allora perché non va a fare il consigliere regionale?»
Perché non sono una ventenne che conosce Berlusconi.
«La battuta è abbastanza buona. Però la sua collega Bignardi ne prende 600mila dalla Rai. E aspetto sempre di sapere quanto guadagna Gian Antonio Stella, autore del libro La Casta».
Neanche una lira, dallo stato.
«Ma lavora per la Rizzoli, finanziata dallo stato con 24 milioni».
Meno dell’uno per cento del suo fatturato.
«Non importa: chi prende soldi pubblici dia rendiconti pubblici. Trasparenza. Tutti gli stipendi dei miei collaboratori sono on-line».
Voi politici...
«Sbagliato».
Mi faccia almeno finire la domanda.
«Concesso».
Voi politici fate spendere ogni giorno allo stato il quattro per cento in più di quel che incassate con le tasse. Ora che le entrate fiscali sono diminuite del 14 per cento per la crisi, perché non tagliate le spese come tutti?
«E’ sbagliato dire “voi politici” perché noi siamo eletti da voi. Siamo lo specchio del Paese. Se l’Italia spende molto, è perché gli italiani pretendono che spenda molto».
I bilanci in rosso li votate voi politici.
«Con il consenso di tutti. E gli egoismi in Italia sono ben distribuiti in ogni categoria. Non si risana il deficit eliminando le auto blu».
Fatto sta che abbiamo il debito pubblico più alto del mondo: 1.700 miliardi. E ora, con la scusa della crisi, lo state peggiorando.
«Sbagliato: in tempi di crisi sarebbe criminale non risollevare l’economia con politiche di deficit spending. Se tagliamo la spesa corrente moltiplichiamo la depressione».
Lei è proprio un socialista: spendere, spendere...
«E lei è proprio un giornalista. La colgo un po’ impreparato in politica economica. Studi».
Mauro Suttora
Wednesday, May 27, 2009
Giampaolo Pansa
"Mi accusano di essere revisionista, io ne vado fiero"
di Mauro Suttora
Oggi, 20 maggio 2009
«Mi accusavano di essere un “revisionista”, quasi fosse il peggiore degli insulti. E allora, come risarcimento beffardo, ho titolato così questo mio libro”.
Giampaolo Pansa, 73 anni, è un principe del giornalismo. L’unico che ha lavorato in tutti i maggiori quotidiani e settimanali italiani: Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Messaggero, Giorno, Espresso, Panorama. E in posizioni di rilievo: inviato speciale, editorialista, condirettore. Da una quindicina d’anni, però, il successo di pubblico gli arriva soprattutto dai suoi libri sulla «guerra civile»: prima romanzi e poi, dal 2003, saggi come Il sangue dei vinti che hanno venduto un sacco di copie (un milione) ma gli hanno anche procurato un sacco di guai.
«Ho cercato di scrivere la verità su un’epoca della storia, fra il 1943 e il ’48, senza le omissioni imposte dalla retorica sulla resistenza e dagli storici del Pci-Pds-Ds-Pd», ci dice dalla sua casa in Toscana.
E così proprio lui, per trent’anni numero due dei giornali più letti a sinistra (Repubblica ed Espresso), è stato contestato come «filofascista» per avere descritto le stragi compiute anche dai partigiani, e anche dopo la fine della guerra nel ’45.
«Già usare la definizione “guerra civile”, invece di “guerra di liberazione”, è un sacrilegio per certi parrucconi postcomunisti. Chi aveva scelto la repubblica di Salò non era degno neppure di essere considerato italiano, ma soltanto collaborazionista dell’occupante tedesco. Nessuno storico ascoltava le versioni dei “repubblichini”, un termine che detesto».
Beh, in confronto alle sanguinosissime guerre civili dell’epoca, la spagnola e la jugoslava, che fecero milioni di morti, quella italiana, con le sue poche decine di migliaia di vittime, è stata poca cosa.
«Vero. Noi non abbiamo avuto quelle carneficine. Consideriamo che in Spagna la guerra è durata dal ’36 al ’39, e in Jugoslavia dal ’41 al ’45. Ma rendiamoci anche conto che dopo il 25 aprile ’45, nonostante la “pace”, in Italia le vendette contro i fascisti e i loro familiari innocenti hanno provocato dai venti ai trentamila morti. Dimenticati per mezzo secolo».
Tranne che dallo storico e senatore del Msi Giorgio Pisanò, che scrisse parecchi libri rivendicando pari dignità per i combattenti di Salò e cercando di accreditare, senza riuscirci, il termine «guerra civile». Poi arriva lei, e da sinistra «sdogana» questa definizione.
«Ho letto tutti i libri di Pisanò, e devo dire che nonostante il nostro diverso punto di vista sono storicamente accurati. I fatti non vengono gonfiati o taciuti per propaganda. Ma lui era finito nel ghetto riservato a chiunque non si conformasse alle versioni ufficiali sulla Resistenza».
Quella di Pansa non è una mania senile. Anzi, la sua tesi di laurea (a Torino in Scienze politiche, nel ’59) fu proprio su questi argomenti: Guerra partigiana fra Genova e il Po. Centodieci e lode, pubblicazione. Ma, come racconta nel libro, dovette aspettare sei anni: «La casa editrice Einaudi di Torino, roccaforte dell’ortodossia comunista, me la tenne bloccata perché avevo osato accennare ai contrasti fra le diverse formazioni partigiane. Così alla fine la diedi a Laterza, che la mandò in libreria nel ‘65».
Pansa era un rompiballe già da giovane. Si scontrò subito con i tenutari della fede partigiana. In un gustosissimo capitolo de Il revisionista racconta di un convegno di storiografia a Genova in cui lui, sconosciuto ventenne provinciale calato giù da Casale Monferrato (Alessandria), osò contestare i dirigenti del Pci chiedendo una cosa che oggi appare ovvia: che negli studi sulla Resistenza si sentisse anche l’altra campana, quella degli sconfitti. Apriti cielo. L’unico a notarlo e a difenderlo fu un distinto e anziano signore dai capelli bianchi che lgli fece avere una borsa di studio: Ferruccio Parri, comandante partigiano non comunista e primo presidente del Consiglio dell’Italia libera, nel ’45.
Quella stessa tesi vinse un premio finanziato con i diritti d’autore di un altro gigante della politica italiana: Luigi Einaudi, antifascista liberale e presidente della Repubblica dal ’48 al ’55.
«La consegna del premio avvenne a Dogliani (Cuneo) il 20 novembre 1960», racconta Pansa. «Einaudi aveva ottantasei anni ed era un signore piccolino, che si appoggiava a un bastone da contadino. A me e all’altro vincitore, Massimo Salvadori, che aveva scritto una ricerca su Salvemini e che sarebbe diventato ordinario di Storia a Torino, disse che il premio di mezzo milione di lire ciascuno – una somma importante – doveva servire “per finanziare i nostri sogni”. Ci raccomandò di studiare “gli anni della grande speranza”, quelli della guerra per la libertà. Credo di aver mantenuto l’impegno che il presidente mi aveva indicato».
Fu l’ultima uscita pubblica di Einaudi. «Si brindò tutti con il barolo di un’annata indimenticabile: il 1945». Ma Pansa non divenne mai uno storico professionista. Fu fuorviato dal suo professore Alessandro Galante Garrone che lo segnalò al direttore della Stampa. Dopo un mese il 25enne Pansa venne assunto come giornalista praticante nella redazione di Torino.
La sua brillante carriera viene raccontata nel libro, anche se forse i capitoli più divertenti e poetici sono gli iniziali: quelli sulla vita assieme alla nonna Caterina (poverissima), alla mamma Giovanna e a papà Ernesto, che riparava i pali del telegrafo. «Mia madre era ottimista, espansiva, generosa. Non sapeva che cosa fosse la gnagnera, la svogliatezza malinconica». Pansa infarcisce il racconto di affascinanti termini piemontesi, come le prostitute che erano chiamate «sansussì», alla francese, il «goga e migoga» (bagordi), i «cupio e giacufumna» (omosessuali).
Poi ci sono le cose serie. Come la storica intervista a Enrico Berlinguer del 1976, in cui il segretario del Pci regalò a Pansa lo scoop internazionale della frase: «Mi sento più tranquillo sotto l’ombrello della Nato». Fu il primo strappo dall’Unione Sovietica.
Ma oggi Pansa conclude amaramente: «La sinistra non cambierà mai. Sperare che migliori, si modernizzi, si evolva, equivale a cercare di pettinare un porcospino, come diceva mia nonna. E pensare che Eugenio Scalfari, il direttore di Repubblica, ed io, ci abbiamo sperato per trent’anni. Eppure ancora adesso i postcomunisti non hanno perduto il vizio di sentirsi migliori».
A destra invece, grazie ai suoi libri revisionisti, Pansa ha trovato nuovi lettori e ammiratori: «Da quella parte sono più gentili verso gli estranei alla propria parrocchia. Anche se io rimango un anarchico individualista».
Questo vuol dire che smetterà di irritare i suoi ex compagni di sinistra per i quali è un rinnegato o, nel migliore dei casi una pecorella smarrita? «Macché. Come diceva Totò, io insistisco e m’intigno. Devo ancora scrivere una serie di cose e ho già in mente altri libri, sempre sulla scia del Sangue dei vinti».
Pansa adesso è arrabbiato perché l’omonimo film con Michele Placido, tratto dal suo libro, viene distribuito nei cinema italiani in appena quaranta copie: «Equivale a una censura, come hanno fatto con Katyn, il film sulla strage sovietica in Polonia. Mentre il film Vincere di Bellocchio di copie ne ha trecento».
Pansa, possibile che l’Italia sia l’unico Paese al mondo in cui ci si accapiglia ancora su avvenimenti di sessant’anni fa? «Ditelo a quelli che vengono per tapparmi la bocca alle presentazioni dei miei libri».
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 20 maggio 2009
«Mi accusavano di essere un “revisionista”, quasi fosse il peggiore degli insulti. E allora, come risarcimento beffardo, ho titolato così questo mio libro”.
Giampaolo Pansa, 73 anni, è un principe del giornalismo. L’unico che ha lavorato in tutti i maggiori quotidiani e settimanali italiani: Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Messaggero, Giorno, Espresso, Panorama. E in posizioni di rilievo: inviato speciale, editorialista, condirettore. Da una quindicina d’anni, però, il successo di pubblico gli arriva soprattutto dai suoi libri sulla «guerra civile»: prima romanzi e poi, dal 2003, saggi come Il sangue dei vinti che hanno venduto un sacco di copie (un milione) ma gli hanno anche procurato un sacco di guai.
«Ho cercato di scrivere la verità su un’epoca della storia, fra il 1943 e il ’48, senza le omissioni imposte dalla retorica sulla resistenza e dagli storici del Pci-Pds-Ds-Pd», ci dice dalla sua casa in Toscana.
E così proprio lui, per trent’anni numero due dei giornali più letti a sinistra (Repubblica ed Espresso), è stato contestato come «filofascista» per avere descritto le stragi compiute anche dai partigiani, e anche dopo la fine della guerra nel ’45.
«Già usare la definizione “guerra civile”, invece di “guerra di liberazione”, è un sacrilegio per certi parrucconi postcomunisti. Chi aveva scelto la repubblica di Salò non era degno neppure di essere considerato italiano, ma soltanto collaborazionista dell’occupante tedesco. Nessuno storico ascoltava le versioni dei “repubblichini”, un termine che detesto».
Beh, in confronto alle sanguinosissime guerre civili dell’epoca, la spagnola e la jugoslava, che fecero milioni di morti, quella italiana, con le sue poche decine di migliaia di vittime, è stata poca cosa.
«Vero. Noi non abbiamo avuto quelle carneficine. Consideriamo che in Spagna la guerra è durata dal ’36 al ’39, e in Jugoslavia dal ’41 al ’45. Ma rendiamoci anche conto che dopo il 25 aprile ’45, nonostante la “pace”, in Italia le vendette contro i fascisti e i loro familiari innocenti hanno provocato dai venti ai trentamila morti. Dimenticati per mezzo secolo».
Tranne che dallo storico e senatore del Msi Giorgio Pisanò, che scrisse parecchi libri rivendicando pari dignità per i combattenti di Salò e cercando di accreditare, senza riuscirci, il termine «guerra civile». Poi arriva lei, e da sinistra «sdogana» questa definizione.
«Ho letto tutti i libri di Pisanò, e devo dire che nonostante il nostro diverso punto di vista sono storicamente accurati. I fatti non vengono gonfiati o taciuti per propaganda. Ma lui era finito nel ghetto riservato a chiunque non si conformasse alle versioni ufficiali sulla Resistenza».
Quella di Pansa non è una mania senile. Anzi, la sua tesi di laurea (a Torino in Scienze politiche, nel ’59) fu proprio su questi argomenti: Guerra partigiana fra Genova e il Po. Centodieci e lode, pubblicazione. Ma, come racconta nel libro, dovette aspettare sei anni: «La casa editrice Einaudi di Torino, roccaforte dell’ortodossia comunista, me la tenne bloccata perché avevo osato accennare ai contrasti fra le diverse formazioni partigiane. Così alla fine la diedi a Laterza, che la mandò in libreria nel ‘65».
Pansa era un rompiballe già da giovane. Si scontrò subito con i tenutari della fede partigiana. In un gustosissimo capitolo de Il revisionista racconta di un convegno di storiografia a Genova in cui lui, sconosciuto ventenne provinciale calato giù da Casale Monferrato (Alessandria), osò contestare i dirigenti del Pci chiedendo una cosa che oggi appare ovvia: che negli studi sulla Resistenza si sentisse anche l’altra campana, quella degli sconfitti. Apriti cielo. L’unico a notarlo e a difenderlo fu un distinto e anziano signore dai capelli bianchi che lgli fece avere una borsa di studio: Ferruccio Parri, comandante partigiano non comunista e primo presidente del Consiglio dell’Italia libera, nel ’45.
Quella stessa tesi vinse un premio finanziato con i diritti d’autore di un altro gigante della politica italiana: Luigi Einaudi, antifascista liberale e presidente della Repubblica dal ’48 al ’55.
«La consegna del premio avvenne a Dogliani (Cuneo) il 20 novembre 1960», racconta Pansa. «Einaudi aveva ottantasei anni ed era un signore piccolino, che si appoggiava a un bastone da contadino. A me e all’altro vincitore, Massimo Salvadori, che aveva scritto una ricerca su Salvemini e che sarebbe diventato ordinario di Storia a Torino, disse che il premio di mezzo milione di lire ciascuno – una somma importante – doveva servire “per finanziare i nostri sogni”. Ci raccomandò di studiare “gli anni della grande speranza”, quelli della guerra per la libertà. Credo di aver mantenuto l’impegno che il presidente mi aveva indicato».
Fu l’ultima uscita pubblica di Einaudi. «Si brindò tutti con il barolo di un’annata indimenticabile: il 1945». Ma Pansa non divenne mai uno storico professionista. Fu fuorviato dal suo professore Alessandro Galante Garrone che lo segnalò al direttore della Stampa. Dopo un mese il 25enne Pansa venne assunto come giornalista praticante nella redazione di Torino.
La sua brillante carriera viene raccontata nel libro, anche se forse i capitoli più divertenti e poetici sono gli iniziali: quelli sulla vita assieme alla nonna Caterina (poverissima), alla mamma Giovanna e a papà Ernesto, che riparava i pali del telegrafo. «Mia madre era ottimista, espansiva, generosa. Non sapeva che cosa fosse la gnagnera, la svogliatezza malinconica». Pansa infarcisce il racconto di affascinanti termini piemontesi, come le prostitute che erano chiamate «sansussì», alla francese, il «goga e migoga» (bagordi), i «cupio e giacufumna» (omosessuali).
Poi ci sono le cose serie. Come la storica intervista a Enrico Berlinguer del 1976, in cui il segretario del Pci regalò a Pansa lo scoop internazionale della frase: «Mi sento più tranquillo sotto l’ombrello della Nato». Fu il primo strappo dall’Unione Sovietica.
Ma oggi Pansa conclude amaramente: «La sinistra non cambierà mai. Sperare che migliori, si modernizzi, si evolva, equivale a cercare di pettinare un porcospino, come diceva mia nonna. E pensare che Eugenio Scalfari, il direttore di Repubblica, ed io, ci abbiamo sperato per trent’anni. Eppure ancora adesso i postcomunisti non hanno perduto il vizio di sentirsi migliori».
A destra invece, grazie ai suoi libri revisionisti, Pansa ha trovato nuovi lettori e ammiratori: «Da quella parte sono più gentili verso gli estranei alla propria parrocchia. Anche se io rimango un anarchico individualista».
Questo vuol dire che smetterà di irritare i suoi ex compagni di sinistra per i quali è un rinnegato o, nel migliore dei casi una pecorella smarrita? «Macché. Come diceva Totò, io insistisco e m’intigno. Devo ancora scrivere una serie di cose e ho già in mente altri libri, sempre sulla scia del Sangue dei vinti».
Pansa adesso è arrabbiato perché l’omonimo film con Michele Placido, tratto dal suo libro, viene distribuito nei cinema italiani in appena quaranta copie: «Equivale a una censura, come hanno fatto con Katyn, il film sulla strage sovietica in Polonia. Mentre il film Vincere di Bellocchio di copie ne ha trecento».
Pansa, possibile che l’Italia sia l’unico Paese al mondo in cui ci si accapiglia ancora su avvenimenti di sessant’anni fa? «Ditelo a quelli che vengono per tapparmi la bocca alle presentazioni dei miei libri».
Mauro Suttora
Wednesday, May 20, 2009
Ida Dalser, «pazza» già nel 1918
Vittima di Mussolini? Sì, ma...
Pubblichiamo in esclusiva documenti che provano lo squilibrio mentale della donna prima che il duce andasse al potere
Oggi, 20 maggio 2009
«Ida Dalser è una squilibrata con carattere nevropatico. Non intende ragioni, avanza pretese inverosimili. Suo figlio ha un’infermità dipendente da sifilide organica ereditaria, e nonostante i suoi soli tre anni d’età non è un angioletto: compendia tutto lo squilibrio psichico della genitrice».
Così scrive nel settembre 1918 il prefetto di Napoli all’ufficio riservato del ministero degli Interni. Attenzione alla data: allora Benito Mussolini era solo un caporale e agitatore politico. Quindi il prefetto non aveva alcun interesse a distorcere la verità in suo favore, dipingendo come pazza la madre di suo figlio e asserita moglie.
In questi giorni l’Italia presenta al festival di Cannes il film Vincere di Marco Bellocchio, che racconta la triste vicenda della Dalser. La quale è stata sicuramente una vittima del futuro duce: come abbiamo scritto la scorsa settimana, Mussolini riconobbe il figlio ma poi la ripudiò, nel ‘26 la fece rinchiudere in manicomio, e lì la donna morì undici anni dopo. Stessa fine per il figlio, al quale il dittatore tolse il proprio cognome: crepato pure lui in ospedale psichiatrico.
«Tutto vero», commenta il professor Antonio Alosco, docente di storia contemporanea all’università di Napoli. «Però, da qui a far passare la Dalser come un’eroina, magari impulsiva e ossessiva ma sana di mente, come pretende il battage pubblicitario attorno al film, ce ne corre. Io sono antifascista, ma non diamo a Mussolini troppe colpe, oltre alle tantissime che già ha».
Nell’archivio della prefettura di Napoli il professor Alosco ha trovato i documenti che provano lo stato mentale della Dalser, già deteriorato nel ’18. Nella primavera di quell’anno, dopo la disfatta di Caporetto, la donna finisce come profuga, con molti suoi corregionali trentini, nel campo di Piedimonte d’Alife (Caserta). Si porta dietro il figlio Benito Albino. Mussolini ha da tempo rotto ogni rapporto con lei: si è sposato con Rachele e non le invia più gli alimenti per il figlio. Nel campo sfollati la Dalser percepisce un sussidio giornaliero decoroso: quattro lire e mezzo.
Il piccolo Benito (che Ida chiama Benittino), però, non sta bene: vede poco da un occhio, ha la gambetta destra paralizzata. Potrebbe essere curato a Piedimonte, ma la mamma coglie il pretesto per trasferirsi in albergo a Napoli. E pretende che le autorità lo paghino, o che premano su Mussolini affinché la mantenga.
Il 18 agosto ’18 Benito junior è visitato dal dottor Manlio Giordano. Pubblichiamo il suo referto a pag. XX. La diagnosi è tremenda: costituzione linfatica, probabile sifilide ereditaria.
Intanto, la Dalser continua la sua battaglia quasi giornaliera con questore e prefetto. Li tempesta di lettere chiedendo soldi, tanto che il prefetto si sfoga con il ministro degli Interni: «Il primo agosto le abbiamo corrisposto un sussidio straordinario di 150 lire, che però ha impiegato per pagare i debiti (…) Le pretese di lei crebbero giornalmente, manifestandosi in forma violenta (…) E’ eccitata ed eccitabile, non tralascia di imperversare quotidianamente con petulante insistenza per tutti gli uffici, portando in giro la sua creatura scostumata, impertinente, smaniosa di distruggere tutto quanto gli capiti fra mano, rivoluzionaria come la stessa madre lo chiama. La Dalser è scontenta di tutto e di tutti, e sente sempre il bisogno di prendersela con qualcuno. Quando giunse a Napoli imprecava contro il trattamento inumano a Caserta; ora è la volta dei funzionari di questo ufficio».
Nel novembre ’18 la Dalser minaccia il suicidio, mentre la polizia ne evidenzia la «cattiva condotta specie morale, essendosi data alla vita allegra riservatamente». Insomma, oltre che squilibrata e «disfattista» (così erano bollati i pacifisti), ragione per la quale il ministro dell’Interno raccomanda «di intensificare la vigilanza sul suo conto», la signora è accusata anche di fare la prostituta. Persecuzione o mania di persecuzione? In ogni caso, nel ’18 non era colpa di Mussolini.
Mauro Suttora
Pubblichiamo in esclusiva documenti che provano lo squilibrio mentale della donna prima che il duce andasse al potere
Oggi, 20 maggio 2009
«Ida Dalser è una squilibrata con carattere nevropatico. Non intende ragioni, avanza pretese inverosimili. Suo figlio ha un’infermità dipendente da sifilide organica ereditaria, e nonostante i suoi soli tre anni d’età non è un angioletto: compendia tutto lo squilibrio psichico della genitrice».
Così scrive nel settembre 1918 il prefetto di Napoli all’ufficio riservato del ministero degli Interni. Attenzione alla data: allora Benito Mussolini era solo un caporale e agitatore politico. Quindi il prefetto non aveva alcun interesse a distorcere la verità in suo favore, dipingendo come pazza la madre di suo figlio e asserita moglie.
In questi giorni l’Italia presenta al festival di Cannes il film Vincere di Marco Bellocchio, che racconta la triste vicenda della Dalser. La quale è stata sicuramente una vittima del futuro duce: come abbiamo scritto la scorsa settimana, Mussolini riconobbe il figlio ma poi la ripudiò, nel ‘26 la fece rinchiudere in manicomio, e lì la donna morì undici anni dopo. Stessa fine per il figlio, al quale il dittatore tolse il proprio cognome: crepato pure lui in ospedale psichiatrico.
«Tutto vero», commenta il professor Antonio Alosco, docente di storia contemporanea all’università di Napoli. «Però, da qui a far passare la Dalser come un’eroina, magari impulsiva e ossessiva ma sana di mente, come pretende il battage pubblicitario attorno al film, ce ne corre. Io sono antifascista, ma non diamo a Mussolini troppe colpe, oltre alle tantissime che già ha».
Nell’archivio della prefettura di Napoli il professor Alosco ha trovato i documenti che provano lo stato mentale della Dalser, già deteriorato nel ’18. Nella primavera di quell’anno, dopo la disfatta di Caporetto, la donna finisce come profuga, con molti suoi corregionali trentini, nel campo di Piedimonte d’Alife (Caserta). Si porta dietro il figlio Benito Albino. Mussolini ha da tempo rotto ogni rapporto con lei: si è sposato con Rachele e non le invia più gli alimenti per il figlio. Nel campo sfollati la Dalser percepisce un sussidio giornaliero decoroso: quattro lire e mezzo.
Il piccolo Benito (che Ida chiama Benittino), però, non sta bene: vede poco da un occhio, ha la gambetta destra paralizzata. Potrebbe essere curato a Piedimonte, ma la mamma coglie il pretesto per trasferirsi in albergo a Napoli. E pretende che le autorità lo paghino, o che premano su Mussolini affinché la mantenga.
Il 18 agosto ’18 Benito junior è visitato dal dottor Manlio Giordano. Pubblichiamo il suo referto a pag. XX. La diagnosi è tremenda: costituzione linfatica, probabile sifilide ereditaria.
Intanto, la Dalser continua la sua battaglia quasi giornaliera con questore e prefetto. Li tempesta di lettere chiedendo soldi, tanto che il prefetto si sfoga con il ministro degli Interni: «Il primo agosto le abbiamo corrisposto un sussidio straordinario di 150 lire, che però ha impiegato per pagare i debiti (…) Le pretese di lei crebbero giornalmente, manifestandosi in forma violenta (…) E’ eccitata ed eccitabile, non tralascia di imperversare quotidianamente con petulante insistenza per tutti gli uffici, portando in giro la sua creatura scostumata, impertinente, smaniosa di distruggere tutto quanto gli capiti fra mano, rivoluzionaria come la stessa madre lo chiama. La Dalser è scontenta di tutto e di tutti, e sente sempre il bisogno di prendersela con qualcuno. Quando giunse a Napoli imprecava contro il trattamento inumano a Caserta; ora è la volta dei funzionari di questo ufficio».
Nel novembre ’18 la Dalser minaccia il suicidio, mentre la polizia ne evidenzia la «cattiva condotta specie morale, essendosi data alla vita allegra riservatamente». Insomma, oltre che squilibrata e «disfattista» (così erano bollati i pacifisti), ragione per la quale il ministro dell’Interno raccomanda «di intensificare la vigilanza sul suo conto», la signora è accusata anche di fare la prostituta. Persecuzione o mania di persecuzione? In ogni caso, nel ’18 non era colpa di Mussolini.
Mauro Suttora
Monday, May 18, 2009
Laurens Jolles, Unhcr Roma
IL BOSS ONU CHE HA ASSUNTO GLI HEZBOLLAH
Il nuovo direttore per l'Italia dell'Agenzia Onu per i rifugiati, che ci attacca per i clandestini, ha lasciato in anticipo l'incarico a Damasco dopo aver creato un caso diplomatico
Libero, domenica 17 maggio 2009
di Mauro Suttora
Da che pulpito viene la predica che l’Onu impartisce all’Italia sui respingimenti dei clandestini dalla Libia?
«Sarete responsabili secondo il diritto internazionale», tuona Laurens Jolles, 53 anni, avvocato olandese, nuovo capo per l’Italia dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Il quale ha sede nel quartiere più elegante di Roma: Parioli. Ben lontano dai campi profughi.
Il linguaggio di Jolles è inusualmente duro, ben lontano anch’esso dai toni diplomatici utilizzati abitualmente nei rapporti fra Onu e stati membri. Neanche i dittatori di Sudan o Birmania vengono maltrattati così dalle Nazioni Unite, nei felpati comunicati emessi dopo ogni incontro. Invece il povero Roberto Maroni, nostro ministro dell’Interno, si è sentito dare del “fuorilegge”. E fortuna che Jolles ha definito “costruttivo” il vertice con Maroni al Viminale. Dopodichè, minaccia di deferirlo a qualche tribunale internazionale.
Ma chi è questo Jolles?
Gli olandesi non hanno molta fortuna con Onu e profughi. Ruud Lubbers, che guidava il Commissariato dei rifugiati fino al 2005, ha dovuto dimettersi per molestie sessuali a una dipendente. Nel ’95 erano olandesi i battaglioni di caschi blu che avrebbero dovuto difendere i profughi bosniaci a Srebrenica. Ma non mossero un dito quando i serbi ne massacrarono ottomila. Il governo olandese ha dovuto dimettersi dopo questa strage.
Jolles è stato nominato a Roma due mesi fa. Oltre che per l’Italia, è responsabile anche su Portogallo, Grecia, Albania, Cipro e Malta. Non risulta abbia condannato quest’ultima per il suo vergognoso rifiuto di assistere i profughi, quando i barconi dei loro negrieri transitano nelle sue acque territoriali.
Fino a marzo Jolles guidava il Commissariato profughi in Siria. Uno dei pochi Paesi che, come la Libia, non ha firmato la Convenzione del 1951 sui rifugiati. Secondo l’Onu, la Libia non potrebbe assistere i profughi per questo motivo. Falso. La Siria infatti, pur non aderendo alla Convenzione, accoglie più di un milione di rifugiati iracheni. Duecentomila dei quali registrati e assistiti dal Commissariato Onu, guidato fino a due mesi fa proprio da Jolles.
Ma perché Jolles se n’è andato da Damasco? Di solito i mandati dei rappresentanti nelle agenzie Onu durano quattro-cinque anni. Il predecessore messicano di Jolles a Roma era qui dal 2004. Invece Jolles ha lasciato la Siria dopo soli tre anni.
Per conoscere la risposta bisogna fare la conoscenza di un popolo dimenticato: gli Ahwazi. Sono cinque milioni di arabi dell’Iran sudoccidentale, vicino all’Iraq. Il loro Paese si chiamava Arabistan fino al 1925, era un emirato autonomo. L’Italia aveva un consolato nella capitale, Ahwaz. Poi fu annesso forzosamente all’Iran, allora protetto dagli inglesi, e ribattezzato Khuzestan.
Fino al ’79 gli Ahwazi hanno patito l’occupazione straniera (i persiani sono sciiti e non parlano arabo), ma si sono barcamenati. Impossibile reclamare l’indipendenza: troppo petrolio nel loro sottosuolo. Altro che palestinesi: nessuna solidarietà internazionale.
Con l’arrivo dei khomeinisti, però, si è scatenata la persecuzione. In questi trent’anni un terzo degli Ahwazi è scappato all’estero. Molti in Siria. E lì hanno incontrato l’Alto commissariato Onu per i profughi. Che ha assistito pure loro.
Almeno fino a pochi mesi fa, quando gli Ahwazi hanno cominciato ad accusare il capo del Commissariato, Jolles, di non proteggerli più: «Ha assunto membri di Hezbollah nel suo ufficio». Gli Hezbollah sono filoiraniani. Gli Ahwazi li accusano addirittura di rapire famiglie di rifugiati (quelli politicizzati), per deportarli in Iran dove li attendono carceri e torture. E sostengono che Jolles ha chiuso entrambi gli occhi. Proprio come fecero i suoi connazionali olandesi a Srebrenica. «Siamo felici che sia stato mandato via, e speriamo che il suo successore sia più imparziale e degno di fiducia», dice la Bafs (British Ahwazi Friendship Society) in un comunicato del 24 aprile.
Da Damasco, Laurens Jolles è stato trasferito a Roma. Ora che non si trova più sotto una dittatura come la Siria e l’Iran, improvvisamente è diventato un leone. Critica il nostro governo, vuole accogliere a spese dell’Italia tutti i profughi del mondo. Chissà se sui barconi della tratta libica c’è anche qualche suo ex-amico Ahwazo in cerca di asilo.
Il nuovo direttore per l'Italia dell'Agenzia Onu per i rifugiati, che ci attacca per i clandestini, ha lasciato in anticipo l'incarico a Damasco dopo aver creato un caso diplomatico
Libero, domenica 17 maggio 2009
di Mauro Suttora
Da che pulpito viene la predica che l’Onu impartisce all’Italia sui respingimenti dei clandestini dalla Libia?
«Sarete responsabili secondo il diritto internazionale», tuona Laurens Jolles, 53 anni, avvocato olandese, nuovo capo per l’Italia dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Il quale ha sede nel quartiere più elegante di Roma: Parioli. Ben lontano dai campi profughi.
Il linguaggio di Jolles è inusualmente duro, ben lontano anch’esso dai toni diplomatici utilizzati abitualmente nei rapporti fra Onu e stati membri. Neanche i dittatori di Sudan o Birmania vengono maltrattati così dalle Nazioni Unite, nei felpati comunicati emessi dopo ogni incontro. Invece il povero Roberto Maroni, nostro ministro dell’Interno, si è sentito dare del “fuorilegge”. E fortuna che Jolles ha definito “costruttivo” il vertice con Maroni al Viminale. Dopodichè, minaccia di deferirlo a qualche tribunale internazionale.
Ma chi è questo Jolles?
Gli olandesi non hanno molta fortuna con Onu e profughi. Ruud Lubbers, che guidava il Commissariato dei rifugiati fino al 2005, ha dovuto dimettersi per molestie sessuali a una dipendente. Nel ’95 erano olandesi i battaglioni di caschi blu che avrebbero dovuto difendere i profughi bosniaci a Srebrenica. Ma non mossero un dito quando i serbi ne massacrarono ottomila. Il governo olandese ha dovuto dimettersi dopo questa strage.
Jolles è stato nominato a Roma due mesi fa. Oltre che per l’Italia, è responsabile anche su Portogallo, Grecia, Albania, Cipro e Malta. Non risulta abbia condannato quest’ultima per il suo vergognoso rifiuto di assistere i profughi, quando i barconi dei loro negrieri transitano nelle sue acque territoriali.
Fino a marzo Jolles guidava il Commissariato profughi in Siria. Uno dei pochi Paesi che, come la Libia, non ha firmato la Convenzione del 1951 sui rifugiati. Secondo l’Onu, la Libia non potrebbe assistere i profughi per questo motivo. Falso. La Siria infatti, pur non aderendo alla Convenzione, accoglie più di un milione di rifugiati iracheni. Duecentomila dei quali registrati e assistiti dal Commissariato Onu, guidato fino a due mesi fa proprio da Jolles.
Ma perché Jolles se n’è andato da Damasco? Di solito i mandati dei rappresentanti nelle agenzie Onu durano quattro-cinque anni. Il predecessore messicano di Jolles a Roma era qui dal 2004. Invece Jolles ha lasciato la Siria dopo soli tre anni.
Per conoscere la risposta bisogna fare la conoscenza di un popolo dimenticato: gli Ahwazi. Sono cinque milioni di arabi dell’Iran sudoccidentale, vicino all’Iraq. Il loro Paese si chiamava Arabistan fino al 1925, era un emirato autonomo. L’Italia aveva un consolato nella capitale, Ahwaz. Poi fu annesso forzosamente all’Iran, allora protetto dagli inglesi, e ribattezzato Khuzestan.
Fino al ’79 gli Ahwazi hanno patito l’occupazione straniera (i persiani sono sciiti e non parlano arabo), ma si sono barcamenati. Impossibile reclamare l’indipendenza: troppo petrolio nel loro sottosuolo. Altro che palestinesi: nessuna solidarietà internazionale.
Con l’arrivo dei khomeinisti, però, si è scatenata la persecuzione. In questi trent’anni un terzo degli Ahwazi è scappato all’estero. Molti in Siria. E lì hanno incontrato l’Alto commissariato Onu per i profughi. Che ha assistito pure loro.
Almeno fino a pochi mesi fa, quando gli Ahwazi hanno cominciato ad accusare il capo del Commissariato, Jolles, di non proteggerli più: «Ha assunto membri di Hezbollah nel suo ufficio». Gli Hezbollah sono filoiraniani. Gli Ahwazi li accusano addirittura di rapire famiglie di rifugiati (quelli politicizzati), per deportarli in Iran dove li attendono carceri e torture. E sostengono che Jolles ha chiuso entrambi gli occhi. Proprio come fecero i suoi connazionali olandesi a Srebrenica. «Siamo felici che sia stato mandato via, e speriamo che il suo successore sia più imparziale e degno di fiducia», dice la Bafs (British Ahwazi Friendship Society) in un comunicato del 24 aprile.
Da Damasco, Laurens Jolles è stato trasferito a Roma. Ora che non si trova più sotto una dittatura come la Siria e l’Iran, improvvisamente è diventato un leone. Critica il nostro governo, vuole accogliere a spese dell’Italia tutti i profughi del mondo. Chissà se sui barconi della tratta libica c’è anche qualche suo ex-amico Ahwazo in cerca di asilo.
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