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Friday, August 13, 2021

Nando dalla Chiesa: "Gino Strada un grande. Emergency nacque in un ristorante milanese"



Dalla Chiesa ricorda gli anni '70 passati assieme: "Poche chiacchiere, s'occupava di cose vere" 
 
di Mauro Suttora

HuffPost, 13 agosto 2021

 
‘Medicina al servizio delle masse proletarie’: si chiamava così il giornale che i giovani del Movimento studentesco milanese distribuivano all’università Statale negli anni ’70. Fra loro, Gino Strada.

“Un grande italiano”, commenta Nando dalla Chiesa, suo compagno fra i contestatori sessantottini, “chissà se ora, dopo la sua scomparsa, qualcuno lo riconoscerà”.

Due strade parallele, quelle imboccate da Strada e Dalla Chiesa dopo i furori studenteschi. Il primo, laureato in chirurgia nel 1978, gira il mondo per specializzarsi, da Stanford in California all’ospedale di Barnard a Città del Capo. Poi, dopo anni nella Croce Rossa Internazionale, fonda Emergency nel 1994.

Dalla Chiesa, bocconiano, intraprende invece la carriera universitaria. Ma anche lui declina l’impegno politico fuori dalle istituzioni, con libri e giornali: il circolo e il mensile ‘Società Civile’ (assieme fra gli altri a Gherardo Colombo, padre Turoldo, Pansa, Garzanti) dal 1985 al ’92 sono l’unica opposizione alla ‘Milano da bere’ craxiana, visto che il Pci era in giunta col Psi.

“Parecchi di noi ex del Movimento studentesco ci trovavamo in un ristorante di viale Monza, il Tempio d’Oro, e proprio lì nacque Emergency, la creatura di Strada”, ricorda Dalla Chiesa. “Nei primi tempi faticava a trovare contributi per il suo primo ospedale in zona di guerra, finché un’apparizione al Maurizio Costanzo Show lo rese popolare, e i finanziamenti arrivarono”.

Dalla Chiesa poi sarà parlamentare tre volte (Rete, verdi, Pd) e sottosegretario all’Università nell’ultimo governo Prodi, prima di tornare alla cattedra di sociologia.

“Gino Strada e i suoi colleghi impegnati in Medicina democratica già negli anni ’70 ci sembravano appartenere a un pianeta diverso. Poche chiacchiere, si occupavano di cose vere, concrete: Seveso, medicina del lavoro, del territorio. E sono riusciti a cambiare il modo di affrontare il problema salute in Italia. Anche l’infettivologo del Sacco Massimo Galli era fra loro, così come Paolo Setti Carraro, fratello di Manuela, prima di andare a combattere l’Ebola in Africa”.

Il Movimento studentesco di Mario Capanna nel 1976 si presentò alle elezioni nel cartello di estrema sinistra Dp (Democrazia proletaria). Poi divenne Mls (Movimento lavoratori per il socialismo), confluì nel Pdup e infine nel Pci.

“Strada diceva che il suo vero maestro, anche politico, era il professor Vittorio Staudacher, che gli insegnò la chirurgia d’urgenza. Ma la determinazione a fare le cose era tutta sua. La sua frase tipica, anche da studente, era: ‘Chi l’ha detto che non si può fare?’”

Dalla cesta di quel movimento arrivano anche Cofferati e Paolo Gentiloni, ex premier e chissà, oggi papabile per il Quirinale.
Strada invece è sempre rimasto un estremista. Memorabile, recentemente, una sua reazione stizzita contro Mario Giordano in tv: “Fate tacere quella gallina!”.

Ed è un’incredibile coincidenza che se ne sia andato proprio nei giorni in cui i talebani si stanno riprendendo l’Afghanistan.
Lui, come medico, non faceva differenza fra loro e gli afghani filoamericani: “Per me le vittime della guerra sono tutti uguali: sono solo persone che ho il dovere di salvare”.
Mauro Suttora

Wednesday, May 25, 2011

Parla Walter Sisti

INTERVISTA ALL'EX DIRIGENTE DELL'EXTRASINISTRA CHE AVREBBE DOVUTO ESSERE RAPITO DAGLI AUTONOMI

Volevano coprirlo di catrame e impiumarlo, come nel Far West

di Mauro Suttora

Oggi, 14 maggio 2011

Volevano incatramarlo e impiumarlo, come nel Far West. Perciò gli autonomi del centro sociale milanese di via Decembrio nel 1977 avevano progettato di sequestrare William Sisti, (foto sopra, con Mario Capanna nel ’73) oggi 59enne, allora dirigente del Movimento lavoratori per il socialismo. Che oggi ricorda così quell’episodio: «Il vicequestore Lucchese mi convocò in questura e mi disse che erano state arrestate due persone dell’area dell’autonomia armata, vicini al gruppo terroristico Prima linea. Avevano rubato un furgone con cui volevano rapirmi per farmi un processo politico».

E lei si impaurì?

«Caddi dalle nuvole. Alla sera quando tornavo a casa mi guardavo dietro per controllare se qualcuno mi seguiva. Ma anche nel clima di quegli anni sembrava una cosa strana. Probabilmente c’era stata una soffiata».

Estremisti di sinistra che volevano colpire non un fascista, ma un dirigente della sinistra extraparlamentare.

«Il nostro movimento era assolutamente contrario alla lotta armata. Le pistole nei cortei erano vietate. Invece dal gruppo di Potere operaio erano nati gli autonomi, che teorizzavano lo scontro armato e l’“attacco al cuore dello stato”. Come sempre, a sinistra si passava la maggior parte del tempo a litigare al proprio interno».

Seppe il nome di Pisapia?

«Assolutamente no. E non seguii il processo negli anni Ottanta, perché non ero parte lesa. Avevo lasciato la politica per il mio attuale lavoro di immobiliarista, dopo un periodo nel Psi nel quale Martelli aveva invitato molti di noi ex sessantottini».

Che effetto le fa rievocare quei tempi, dopo 35 anni?

«Se la Moratti vuole dimostrare che Pisapia non ha origini liberaldemocratiche,
non c’era bisogno di scomodare la contestazione studentesca. Alla quale partecipò buona parte dell’attuale classe dirigente italiana: politici, finanzieri, avvocati, medici, scienziati...»

Compreso lo stimato architetto Stefano Boeri, oggi leader Pd.

«Che era mio compagno nel movimento studentesco. Siamo ancora amici. Il nostro leader era Mario Capanna, ma con noi c’erano anche Gino Strada, Nando dalla Chiesa, Ferruccio de Bortoli, Dario Di Vico, Michele Cucuzza, Sergio Cusani, e tantissimi altri. Oggi sono tutti ottimi professionisti. In Germania l’ex sessantottino e adesso verde Joschka Fischer potrebbe addirittura diventare cancelliere dopo Angela Merkel».

Mauro Suttora

Wednesday, June 24, 2009

Rosaria Capacchione non eletta

Stop a donna coraggio, la camorra ringrazia

PROTAGONISTE E SORPRESE DELLE ELEZIONI

Rosaria Capacchione , «capolista» del Pd al Sud, sconfitta nel voto per Bruxelles

di Mauro Suttora

Oggi, 24 giugno 2009

Incredibile: la «capolista» del Partito democratico alle Europee nella circoscrizione meridionale, Rosaria Capacchione, 49 anni, non è stata eletta. I dirigenti le avevano offerto il secondo posto in lista, dietro all' ex ministro dell' Agricoltura Paolo De Castro. Lei, giornalista del quotidiano Il Mattino nella redazione di Caserta, aveva accettato. Non che tenesse particolarmente alla carriera politica. Era diventata famosa per i suoi articoli sulla camorra, come lo scrittore Roberto Saviano, autore di Gomorra . Il suo libro sui boss casalesi, L' oro della camorra, pubblicato lo scorso dicembre da Rizzoli, è alla terza edizione. E lei ha ottenuto 73 mila preferenze. Ma questo non le è valso uno dei quattro seggi a Bruxelles conquistati dal Pd nel Sud.

SUPERATA DAGLI ASSESSORI
È arrivata soltanto all' ottavo posto in classifica, superata non solo da De Castro che la precedeva e dall' eurodeputato uscente Pittella, ma da altri rodati politici locali, fra i quali alcuni assessori regionali alle Attività produttive. Cioè proprio il settore più appetito per i fondi europei che distribuisce. E che troppo spesso finisce nella cronaca nera, per le truffe perpetrate ai danni del bilancio comunitario. Naturalmente Rosaria è amareggiata, ma non vuole polemizzare: «Da lunedì sono tornata al mio lavoro a Caserta, e dovrò pagare 20 mila euro di debiti con la tipografia per i volantini. Tutti i ragazzi che hanno lavorato con me era no volontari, ed è stata un' esperienza entusiasmante. Per lottare contro la camorra non c' è bisogno di andare a Bruxelles. In Campania abbiamo avuto 60 mila voti. Però il Partito democratico non mi ha appoggiato come forse era nelle previsioni».

Rosaria, in effetti, era stata invitata a stare in testa alla lista dei candidati. Ma adesso la sensazione è che il suo nome sia stato usato come uno specchio per le allodole. Se il Partito democratico non è più in grado di fare eleggere un «capolista», esponendolo alla figuraccia della «trombatura», forse ha ragione Gustavo Zagrebelski. L' ex presidente della Corte costituzionale ha lanciato l'allarme: «Nel Partito democratico al Sud si è aperta una questione morale. Il partito è in mano a cacicchi locali». I cacicchi erano dei capipopolo dell' America Latina. «Purtroppo i cacicchi imperversano non solo al Sud», commenta sconsolato Nando dalla Chiesa, esponente di quella «società civile antimafia» di cui fa parte la Capacchione.

Wednesday, November 12, 2008

Gli universitari protestano

LE VERE CIFRE DEI TAGLI

Roma, 3 novembre 2008

Il 6 agosto, quando venne approvata la legge finanziaria, nessuno se n’era accorto. Eppure i tagli all’università erano già decisi lì, e ben dettagliati: meno 63 milioni di euro l’anno prossimo, 190 milioni nel 2010, 316 l’anno dopo, fino ai meno 455 del 2013. Ma quasi nessuno protestò. Un po’ perché erano tutti al mare, e un po’ perché un risparmio dello 0,6 per cento sui dieci miliardi e 800 milioni che nel 2009 finiranno all’università statale non sembrava drammatico. Soprattutto per un Paese con 1600 miliardi di debito pubblico, che anche quest’anno spende più di quello che incassa, e che quindi, impegnato al pareggio di bilancio entro il 2012, deve tagliare su tutto.

Poi, in ottobre, sull’onda del decreto sulla scuola elementare della ministra Mariastella Gelmini, gli universitari hanno cominciato a protestare anche loro. E non solo per i tagli. La finanziaria, infatti, ha introdotto altre due misure: il quasi blocco del turnover sul personale (un solo nuovo assunto ogni cinque dipendenti che vanno in pensione), e la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato.

«Attacco all’autonomia»

Quest’ultima iniziativa ha fatto tuonare i docenti universitari di sinistra (da Alberto Asor Rosa a Gianni Vattimo, in ordine alfabetico): «È il più grave attacco mai condotto contro l’autonomia e il futuro dell’università italiana», hanno proclamato.

Gli studenti temono che la conseguenza di questa trasformazione sia un forte aumento delle tasse universitarie, che attualmente coprono solo l’11 per cento dei costi delle università statali.

La nuova legge dice che nel caso in cui un ateneo si trasformi in una fondazione e ottenga fondi dai privati, lo Stato ridurrebbe i finanziamenti pubblici per quell’ateneo di tanto denaro quanto ammontano i fondi privati. Per docenti e studenti, che considerano molto remota la possibilità di essere finanziati dai privati, la prima conseguenza di questo provvedimento è un aumento delle tasse universitarie.

«In realtà non si capisce perché si debba passare attraverso la complicazione delle fondazioni», commenta Roberto Perotti, docente della Bocconi e autore del libro L’università truccata (ed. Einaudi, 2008), «invece di consentire, molto semplicemente, di dedurre dall’imponibile le donazioni private all’università».
Inoltre, c’è l’esempio negativo delle fondazioni bancarie: «Introdotte per staccare le casse di risparmio dal settore pubblico, ma diventate il regno del sottobosco politico, fonte di prebende per i politici locali», nota Perotti.

Quanto ai tagli e al blocco al 20% del turnover, la stalla viene chiusa quando i buoi sono già scappati: nei prossimi mesi infatti si svolgeranno concorsi per settemila posti di docenti (quattromila ordinari e associati, tremila ricercatori). Così aumentano in un colpo solo di più del dieci per cento i 60 mila prof oggi di ruolo (ce ne sono poi altri 40 mila fra straordinari, incaricati e a contratto).
«Se questi concorsi andranno in porto, ogni discussione sulla riforma dell’università sarà d’ora in poi vana: per dieci anni non ci sarà più posto per nessuno, e ai nostri studenti migliori non rimarrà altra via che l’emigrazione», avverte l’editorialista del Corriere della Sera Francesco Giavazzi.

E allora perché protestano gli universitari? «Mi sembra una giustificatissima rivolta generale contro la condizione cui sono costretti i giovani in Italia oggi», ci dice Nando dalla Chiesa, fino a maggio sottosegretario all’Università per il centrosinistra e oggi tornato alla sua cattedra di Sociologia della criminalità organizzata alla Statale di Milano. «I ragazzi hanno ragione, anche se fa un po’ specie vederli insieme a qualche barone universitario che difende i suoi fondi e magari non viene a far lezione».

«Molti sprechi da evitare»

«No, questi cortei e occupazioni non hanno alcun senso», ribatte Barbara Mannucci, che a 26 anni è la più giovane deputata del Popolo delle libertà, fresca laureata al Dams di Roma 3: «Siamo in una situazione economica molto difficile, tutti i ministeri sono stati colpiti dai risparmi, e la mia esperienza personale mi dice che ci sono parecchi sprechi che si possono eliminare. A cominciare dalle cinque segretarie e le auto blu per i rettori: perché, non possono usare l’auto o il taxi?».

Per fornire più cattedre ai docenti negli ultimi sette anni i corsi di laurea sono raddoppiati: da 2.400 a 5.500. I prof sono aumentati al ritmo del cinque per cento l’anno. «E io ero costretta a frequentare nella stessa giornata sette corsi diversi», si lamenta la Mannucci, «perché ogni corso è stato spezzettato in tre esami per moltiplicare gli stipendi. Non parliamo poi delle sedi staccate: la Sapienza di Roma ha aperto a Pomezia ben cinque facoltà con sei corsi di laurea, fra cui “Scienze infermieristiche”... Ma quale studente romano andrà mai a Pomezia? E sono tutte spese in più.»

«Bloccare i nuovi atenei»

«In effetti l’autonomia conquistata dalle università negli anni Noventa è stata usata nel modo peggiore», concorda Dalla Chiesa, «perché lo Stato ha detto ai rettori: “Fate quel che volete con i soldi pubblici”. È un meccanismo micidiale, senza alcun criterio di responsabilità. Ma a questo malcostume ha partecipato anche il centrodestra, con la ministra dell’Istruzione Moratti che ha permesso il moltiplicarsi delle università. Quando sono arrivato al ministero, nel 2006, abbiamo fatto appena in tempo a bloccare un nuovo ateneo a Villa San Giovanni. Che ha le università di Reggio Calabria e Messina a pochi chilometri».

Nel 1980 le università in Italia erano 40. Nel 1999 sono aumentate a 75. Oggi sono 95, ma con le sedi staccate si arriva a 330. La Lombardia ha sedi in 29 comuni, la Sicilia in 22, il Piemonte in 21 e il Lazio in 19.
In sette atenei la spesa per il personale supera il 90% del finanziamento statale, in altri 25 l’80. Denuncia uno studente di sinistra: «I miei prof hanno una stampante a colori e un fax ciascuno, mentre nell’università americana che ho frequentato sono in pool, e c’è una ogni dieci docenti».

Insomma, sembra di vivere l’incubo descritto dal filosofo libertario Ivan Illich trent’anni fa, nel suo libro Descolarizzare la società: «Il sistema scolastico, come tutte le burocrazie, serve più ai professori che agli studenti. Così come il sistema sanitario serve più ai medici che ai malati, e quello politico più ai politici di professione che ai cittadini rappresentati».

Gli universitari italiani pagano oggi una media di 720 euro l’anno in tasse (mille in Veneto, Emilia e Lombardia, 450 in Sardegna, Sicilia, Puglia). Ma cosa ricevono in cambio? Un pezzo di carta che serve a poco. L’università si è «democratizzata», il sapere è diventato un «diritto» diffuso, i laureati sono 300 mila all’anno contro i 40 mila di quarant’anni fa. Ma le lauree si sono svalutate.

«Certe università te le tirano dietro», denuncia Dalla Chiesa, «con il meccanismo della conversione in crediti dell’esperienza professionale si possono evitare un sacco di esami. L’immoralità è dilagante. Un esempio? In questi giorni, fateci caso, tutti parlano di “ricerca”. E la didattica? Abbiamo dimenticato che le università sono nate per insegnare? Certo, è noioso per i docenti fare lezione, ricevere gli studenti, seguirli, assisterli, fare gli esami, i seminari, le tesi. Tutti preferiscono fare “ricerca”. Perché? Perché è lì che girano i soldi».
«Il sistema attuale è di una straordinaria iniquità», aggiunge Perotti, «perché le tasse di tutti finanziano l’università gratuita dei più abbienti. Nessuno viene premiato se è bravo, e nessuno paga per i propri fallimenti».

Che fare, quindi? La soluzione non sono le università private. Che, sorpresa, in Italia sono finanziate anch’esse al 54% con soldi pubblici. Perotti, nella sua brillante requisitoria, non risparmia neppure casa propria. Tornato in Italia a insegnare alla Bocconi nonostante avesse ottenuto una cattedra di ruolo (a vita) alla Columbia di New York, rivela che «l’ufficio relazioni esterne della Bocconi impiega circa cento persone, e ha un bilancio di 13 milioni di euro, circa un quarto dell’intera spesa per gli stipendi dei docenti. Calcolando che i migliori professori di economia negli Usa costano 300-400 mila dollari, con un terzo della spesa per relazioni esterne la Bocconi potrebbe costruire il migliore dipartimento d’economia d’Europa».

E stiamo parlando non del corso con otto studenti che l’università di Sassari ha decentrato per motivi clientelari a Tempio Pausania, ma del tempio dell’accademia privata in Italia, che fa pagare quattromila euro l’anno di tasse ai propri universitari.

Mauro Suttora