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Wednesday, November 18, 2015

Chi è Giuseppe Sala

RITRATTO INDISCRETO DEL CANDIDATO SINDACO DI MILANO

di Mauro Suttora

Milano, 11 novembre 2015

La sua canzone preferita è Riders on the Storm dei Doors: cavalieri nella tempesta. E alle tempeste Giuseppe Sala, figlio di un mobiliere di Varedo (Monza), un metro e 80 per 73 chili, è abituato. Quelle passate (commissario Expo), e quelle future: si candida sindaco per il Pd, ma dovrà passare sotto le forche caudine delle primarie il 7 febbraio. 

E qualcuno a sinistra storce il naso di fronte al suo pedigree politico. Fu infatti la sindaca berlusconiana Letizia Moratti, cinque anni fa, a nominarlo direttore generale del Comune di Milano, e poi capo di Expo.

Guarito da un tumore, sposato tre volte
  
Sala, sposato tre volte, niente figli, guarito da un linfoma non Hodgkin (il tumore che si prese suo padre), dopo la Bocconi ha fatto tutta la sua carriera alla Pirelli, dove diventa amministratore delegato a soli 39 anni. A Telecom è primo assistente di Marco Tronchetti Provera. Dopo 23 anni la sua buonuscita è stata di cinque milioni.

All’Expo il nuovo sindaco di sinistra Giuliano Pisapia lo conferma nel 2011. Non viene toccato dalle tangenti che mandano in galera il suo vice e il general manager.

Villa di fronte a Portofino a Zoagli (Genova), a Milano vive in una casa di 180 metri quadri in affitto in zona Brera con la terza moglie Dorothy De Rubeis: 46 anni, laurea in legge a Bari, avvocato, consulente finanziaria di  importanti società, ma anche con interessi artistici.

La coppia, infatti, è stata avvistata all’ultima prima della Scala e poi all’inaugurazione del museo Prada.  E la signora De Rubeis in giugno è diventata una dei direttori della galleria d’arte Wunderkammern.

Wednesday, May 07, 2014

Eurodeputati: bilancio 2009-2014

Strasburgo (Francia), 15 aprile 2014

dall'inviato Mauro Suttora

Ultima seduta dell’Europarlamento nato nel 2009. È la settimana santa,  e i 766 deputati si affannano nelle   votazioni in extremis. Possono parlare al massimo un minuto ciascuno. È una catena di montaggio.

Tempo di bilanci. Lo facciamo anche noi, con i cinque parlamentari che avevamo «adottato» cinque anni fa. Chiedevamo loro innanzitutto una presenza costante a Bruxelles. I risultati sono nella pagina seguente.

Ottimo il leghista Lorenzo Fontana (95%), buoni gli altri. Ultima Francesca Balzani (Pd), al 71%, perché nell’ultimo anno è stata anche assessore comunale al Bilancio a Milano (in pratica la numero due del sindaco Giuliano Pisapia). Non si ripresenta alle elezioni del 25 maggio.

La produttività dei deputati, però, si misura anche con il numero di interrogazioni, mozioni, rapporti e interventi. Non solo in aula, ma anche nelle commissioni. E nelle riunioni dei partiti di appartenenza.
 
«È lì che si svolge il vero lavoro, spesso oscuro», spiega Licia Ronzulli (Forza Italia). 
«Senza un’assidua presenza in commissione, non avrei potuto raggiungere buoni risultati», conferma Niccolò Rinaldi. Che, eletto con l’Idv di Antonio Di Pietro, è stato anche vicepresidente dell’Alde (Alleanza liberal-democratici per l’Europa), terzo partito dopo i popolari/conservatori e i socialisti.

Fontana, per il sito mep ranking, è primo nel totale delle attività. Seconda Ronzulli, terzo Rinaldi. In coda Balzani e Magdi Allam. Quest’ultimo, eletto con l’Udc, ha poi fondato un suo partito personale (Amo l’Italia), e ora si presenta con Fratelli d’Italia nella circoscrizione Nordest.
 
Gli eurodeputati devono mantenere il contatto con i propri elettori. «Ogni anno ho visitato almeno due volte ognuna delle 22 province dell’Italia centrale», dice Rinaldi, «e ho organizzato 28 corsi gratuiti di formazione per l’accesso ai fondi europei. Ogni mese pubblico una newsletter con tutti i bandi in scadenza per i fondi europei diretti, da richiedere alla Ue, o indiretti, attraverso le quattro regioni del mio collegio: Umbria Lazio, Toscana e Marche. A Bruxelles ho organizzato sei corsi di formazione per amministratori e rappresentanti della società civile (disabili, insegnanti, volontari) per scambi di buone pratiche europee».

«Anch’io ho fatto conferenze per spiegare l’Europa e le sue grandi opportunità ai cittadini, avvicinandoli a una realtà troppo spesso vista come lontana ed astratta», aggiunge la Ronzulli.

Quanto a Fontana, proprio nel giorno in cui siamo a Strasburgo riceve un gruppo di elettori leghisti. Ogni deputato infatti ha diritto a invitare 110 persone l’anno, con viaggio rimborsato (260 euro un Roma-Bruxelles).
    
Passiamo a un argomento delicato: le lingue. È risaputo che gli eurodeputati italiani non brillano per conoscenza dell’inglese, lingua ormai indispensabile all’Europarlamento. Ha superato il francese dopo l’entrata nella Ue dei Paesi dell’Est, tutti anglofoni tranne la Romania.

Tutto da tradurre in 23 lingue

Rinaldi vola alto: «Parlo correntemente inglese, francese, spagnolo, portoghese. E sto imparando l’arabo». Ronzulli: «Sapevo già il francese, e in questi cinque anni ho frequentato corsi per migliorare l’inglese».

È vero che ogni documento dev’essere tradotto nelle ben 23 lingue dell’Europa-Babele, e che ogni intervento pronunciato in aula viene interpretato simultaneamente. Ma i veri contatti sono personali, e diversi deputati italiani hanno addirittura gettato la spugna dimettendosi, perché si sentivano tagliati fuori.

Una fonte di scandalo sono i portaborse. Ogni eletto ha diritto a ben 25mila euro lordi mensili per assumere quanti assistenti vuole. Tre al massimo a Bruxelles, gli altri nel proprio collegio. È vietato imbarcare parenti, ma i furbi lo fanno fare ai colleghi delle stesso gruppo.

«Pubblico tre volte l’anno bandi pubblici per tirocini nel mio ufficio, e poi l’esito della selezione», dice Rinaldi. «Idem per gli assistenti: ho fatto sessanta interviste».
Ronzulli: «Ho scelto collaboratori non per amicizia, ma perché competenti sul  funzionamento delle istituzioni europee».

E la doppia sede dell’Europarlamento? Mantenere i palazzi di Bruxelles (sede principale) e Strasburgo (una settimana al mese) costa 1,7 miliardi l’anno. Si risparmierebbero 200 milioni unificando.

«La decisione purtroppo dipende dai governi e non dal Parlamento, che anzi deve subirla», spiega Rinaldi. Aggiunge Ronzulli: «Quante risoluzioni abbiamo approvato per ottenere un’unica sede! È uno spreco intollerabile». Ma finché la Francia resisterà, Strasburgo rimarrà.

Si prevede una ventata antieuropeista al voto del 25 maggio. Il leghista Fontana è contro l’euro. Allam vuole un’Europa che difenda l’identità cristiana nei confronti degli immigrati, soprattutto quelli islamici. «Stati Uniti d’Europa», propongono invece Rinaldi e Ronzulli, «con un’unica politica estera e di difesa».
Mauro Suttora

Wednesday, January 15, 2014

Politici: nuovo stile "povero"


UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA FA RINUNCIARE AI SIMBOLI DEL POTERE




















Oggi, 9 gennaio 2014

di Marianna Aprile e Mauro Suttora

Fra i meriti che ora tutti riconoscono a Pier Luigi Bersani, ora convalescente, c’è quello di non aver mai esibito la pompa del potere. Nessun codazzo di gorilla da segretario Pd, poco uso di auto blu. Era facile incontrarlo solo, senza scorta (neanche un portaborse) sui voli di linea Roma-Milano, seduto in posti non privilegiati.

Con l’aria che tira, non è più l’unico. Diversi politici, in tutto il mondo, esibiscono una nuova consapevolezza. Il nuovo sindaco di New York, Bill de Blasio, è arrivato in metro alla propria cerimonia di inaugurazione. Per la verità anche Mike Bloomberg, suo miliardario predecessore, non disdegnava la subway.

Ma con i politici non si sa mai se le paparazzate di vita sobria siano casuali, combinate, o addirittura sollecitate: magari vanno sempre in elicottero, però l’unica volta che ci rinunciano si fanno fotografare. Quel che è sicuro, è che la cancelliera tedesca Angela Merkel usa ancora sci di fondo vecchi di vent’anni e costruiti nella sua ex Germania Est. È caduta, si è fratturata il bacino.

Pisapia a piedi, fa la spesa da solo

E in Italia? Niente trucchi per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia: neanche un vigile di scorta, gli piace andare a piedi, anche al super per la spesa. Quella stessa spesa (all’Ikea) che ha invece distrutto le speranze quirinalizie di Anna Finocchiaro, sorpresa a far spingere il suo carrello da un agente.

Sono le scorte per ragioni di sicurezza la scusa per le auto blu: «Ci rinuncerei, ma me la impongono», è il ritornello. L’attentato dello squilibrato contro il carabiniere di Palazzo Chigi lo scorso aprile ne ha interrotto lo sfoltimento. E provocato qualche segreto sospiro di sollievo fra qualche politico.

Ma non è solo l’auto lo status symbol del potere. C’è la fantozziana metratura dell’ufficio. Megagalattico quello proposto nove mesi fa al neo consigliere regionale lombardo 5 stelle Eugenio Casalino: «Erano 200 metri quadri, mezzo 23esimo piano del Pirellone. Solo perché ho la carica di segretario dell’ufficio di presidenza. Ho rinunciato a tre stanze su sette. Ma qui in regione Lombardia i grandi sprechi avvengono negli staff per gli assessori e nelle società partecipate e controllate: Lombardia Informatica, Infrastrutture Lombarde, Aler (case popolari) e Finlombarda».

Il deputato bresciano Mario Sberna (Scelta Civica) ogni anno fa un fioretto quaresimale: indossa ovunque sandali senza calze. Si presentò così anche in Parlamento, appena eletto. A Roma alloggia in un convento di suore (20 euro al giorno). Cinque figli, Sberna è ex presidente dell’Associazione famiglie numerose. Il deputato francescano trattiene dallo stipendio solo 2.500 euro e le spese per i suoi giorni romani, tutte documentate. Sul suo sito pubblica l’elenco dei versamenti alle associazioni cui va il resto del suo stipendio.

Come lui fanno tutti i 150 parlamentari 5 stelle. Che devolvono la differenza a un fondo per le piccole e medie imprese. Ma solo Paola Taverna si è presentata con le infradito in Senato d’estate.

Ministri Bray, Delrio e Bonino a piedi

E i ministri? Nel maggio 2013 Massimo Bray (Beni culturali), è stato fotografato sulla Circumvesuviana mentre si recava in visita privata a Pompei. Una passeggera lo ha riconosciuto e ha twittato la foto di lui in piedi, con le cuffiette nelle orecchie (ascoltava Asaf Avidan). Poi il treno si è guastato, e il ministro ha chiesto un passaggio a un passeggero per raggiungere Pompei.

Graziano Delrio (Affari regionali), nove figli, ha tenuto la poltrona di sindaco di Reggio Emilia, ma ha rinunciato agli 80 mila euro di stipendio. E alla scorta che il ruolo gli attribuiva automaticamente, contro il parere del ministero degli Interni. Al giuramento al Quirinale è arrivato a piedi, come Emma Bonino. A piedi e senza scorta si muovono anche il due volte premier Romano Prodi e il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S).

Notoriamente i sindaci di Firenze Matteo Renzi (neosegretario Pd) e di Roma Ignazio Marino vanno in bici. Ma le due ruote nella capitale non fanno notizia: le utilizzava già vent’anni fa il primo cittadino Francesco Rutelli, seppur motorizzato. Ora i motorini sono diventati «scooteroni»: ne usa uno la 5 stelle Roberta Lombardi.

La moda della bici  ha colpito (per poco) persino Daniela Santanchè: all’inizio della legislatura, complice la ventata di low profile grillino, la pitonessa prese ad andare alla Camera in bici. Durò poco: smise causa tacco 12.

Ben 57 mila agenti per le scorte

Ventata di austerity anche ai piani alti: il premier Enrico Letta si è presentato al Quirinale per ricevere l’incarico dal presidente Giorgio Napolitano con la Fiat Ulysse di sua moglie (auto aziendale da giornalista del Corriere della Sera), ha trascorso pochi giorni di vacanze estive nel giardino di casa a Pisa nella piscinetta gonfiabile, e a Capodanno ha preso un volo di linea per la Croazia.

Ma quanti sono i personaggi scortati, in Italia? Mezzo migliaio (dati del sindacato Sap, ottobre 2013), suddivisi in quattro livelli di protezione: 17 di primo livello (tre auto blindate con ben tre agenti per auto); 82 di secondo livello (due auto con tre agenti per auto); 312 di terzo livello con un’auto e due agenti; 102 con un’auto e un agente. Totale: 1900 agenti al giorno (57mila al mese) tra polizia, Carabinieri, Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale. Costo: 250 milioni di euro l’anno.

Nel 2012 sono state tagliate scorte di quarto livello a 70 parlamentari; nel 2013, invece, nessun taglio. Le auto blu sono 63.700, le grigie (auto di servizio non blindate e senza autista) 54.250, per un costo annuo di 2 miliardi di euro. A usufruire delle auto grigie sono, per esempio, i Prefetti. Quelli delle grandi città, in genere, ne hanno una assegnata “in esclusiva”. Quelli delle città medio-piccole, invece, ne condividono l’uso con gli altri dirigenti delle Prefetture. Dispongono di un’auto grigia, quasi sempre in esclusiva, anche i dirigenti e gli alti burocrati di ministeri ed enti (Csm, Authorities, Corte Costituzionale).

Tra tutti i personaggi (giornalisti, politici o ex politici) scortati, ce ne sono alcuni che più di altri fanno storcere il naso. Qualche esempio? Fonti vicine al Viminale confermano che sono sottoposti a protezione l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, sua moglie Sandra Lonardo, gli ex ministri Paolo Cirino Pomicino, Oliviero Diliberto e persino Claudio Scajola (che da ministro dell’Interno negò la scorta al giuslavorista Marco Biagi, poi ucciso dalle nuove Br). Ancora sotto scorta gli ex presidenti della Camera Fausto Bertinotti e Pierferdinando Casini, e del Senato Marcello Pera.

Nell’estate 2013 Gianfranco Fini, allora presidente della Camera, finì sui giornali per gli 80 mila euro che costò il soggiorno della sua (legittima) scorta in nove stanze di un hotel nel centro di Orbetello durante le vacanze di Fini e famiglia ad Ansedonia (Grosseto).

Hanno ancora la scorta l’ex presidente del Lazio Renata Polverini, ora deputata, l’ex ministro Elsa Fornero, l’ex pm Antonino Ingroia, l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, l’ex presidente della Democrazia cristiana Ciriaco De Mita. Tra i giornalisti sottoposti a tutela, figura Emilio Fede (condannato a 7 anni in primo grado per favoreggiamento della prostituzione).

Piccola nota: gli ex ministri non possono rinunciare alla scorta per i tre mesi successivi alla fine dell’incarico. Prima era un anno, poi un provvedimento dell’ex Guardasigilli Paola Severino ha stabilito fossero tre mesi; dopo, un comitato valuta se la personalità in questione ne ha ancora davvero bisogno.
Marianna Aprile e Mauro Suttora

Wednesday, April 25, 2012

Anche i ricchi perdono

IL CASO DI LETIZIA MORATTI A MILANO DIMOSTRA CHE PER BATTERE I MILIARDARI IN POLITICA NON E' NECESSARIO IL FINANZIAMENTO PUBBLICO

di Mauro Suttora

Oggi, 18 aprile 2012

Non è vero che i soldi fanno vincere, in politica. Lo dimostra la sconfitta di Letizia Moratti l’anno scorso contro Giuliano Pisapia. L’ex sindaco Pdl di Milano ha speso per la campagna elettorale oltre 12 milioni di euro, ben 11,6 dei quali regalati dal marito petroliere Gianmarco Moratti. Pisapia, eletto sindaco di centrosinistra con il 55 per cento dei voti, ha invece potuto contare su 1,7 milioni (di cui più di un milione raccolto con donazioni private minori di 50 mila euro).

Grazie a moltissimi microcontributi ha vinto anche il presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel 2008, battendo
i repubblicani finanziati con un miliardo di dollari dalle grandi aziende. La stessa cifra fu infatti raccolta dai democratici, con una raccolta capillare di fondi.

Insomma, in democrazia i miliardari possono essere battuti anche senza finanziamento pubblico. Contrariamente a quel che sostengono i nostri politici, citando il caso di Silvio Berlusconi.

Wednesday, May 25, 2011

Comunali 2011, primo turno

DISASTRO MORATTI, TRIONFO DE MAGISTRIS, BENE FASSINO a TORINO E GRILLO A BOLOGNA

di Mauro Suttora

Oggi, 16 maggio 2011

MILANO: scende il Pdl
Letizia Moratti, 61 anni, (sopra, nella foto con il suo avversario Giuliano Pisapia, 62, che non le stringe la mano dopo che lei lo ha accusato in tv di essere stato vicino ai terroristi), sindaco dal 2006 (con il 52%), questa volta non solo non raggiunge la maggioranza assoluta, ma viene superata da Pisapia. Ci sarà quindi un secondo turno il 29 maggio. La Lega avanza sulle comunali del 2006, ma crolla rispetto all'anno scorso: come fa il "partito del nord" a non raggiungere neanche il 10% nella sua capitale?

TORINO: «Grissino» ok
È l’unica grande città dove il voto del 14-15 maggio è andato bene per il Pd. L’ex segretario Piero «grissino» Fassino ha infatti superato il 50%, ed è già sindaco. Merito anche del predecessore Sergio Chiamparino, che dopo dieci anni non era più ricandidabile. Chiamparino comunque nel 2006 ebbe il 66% contro Rocco Buttiglione. Percentuale ineguagliata.

BOLOGNA: Grillo al 10%
Non ce l’ha fatta il candidato della sinistra Virginio Merola a farsi eleggere al primo turno, come Sergio Cofferati che nel 2004 ebbe il 56%, e Flavio Delbono che due anni fa superò il 60 prima di doversi dimettere per i favori all’amante. Il ballottaggio sarà con Manes Bernardini. Buon risultato per Beppe Grillo: il suo Massimo Bugani raggiunge il 10 per cento.

NAPOLI: Democratici ko
La maggiore sorpresa è arrivata dal trionfo di Luigi De Magistris, l’ex magistrato eurodeputato da due anni con Di Pietro: sarà lui a battersi al secondo turno con Gianni Lettieri del Pdl. Il candidato Pd, superato da De Magistris, paga i non brillanti risultati degli ex sindaci del centrosinistra Bassolino e Jervolino. Ma De Magistris andrà d’accordo con Di Pietro?

Parla Walter Sisti

INTERVISTA ALL'EX DIRIGENTE DELL'EXTRASINISTRA CHE AVREBBE DOVUTO ESSERE RAPITO DAGLI AUTONOMI

Volevano coprirlo di catrame e impiumarlo, come nel Far West

di Mauro Suttora

Oggi, 14 maggio 2011

Volevano incatramarlo e impiumarlo, come nel Far West. Perciò gli autonomi del centro sociale milanese di via Decembrio nel 1977 avevano progettato di sequestrare William Sisti, (foto sopra, con Mario Capanna nel ’73) oggi 59enne, allora dirigente del Movimento lavoratori per il socialismo. Che oggi ricorda così quell’episodio: «Il vicequestore Lucchese mi convocò in questura e mi disse che erano state arrestate due persone dell’area dell’autonomia armata, vicini al gruppo terroristico Prima linea. Avevano rubato un furgone con cui volevano rapirmi per farmi un processo politico».

E lei si impaurì?

«Caddi dalle nuvole. Alla sera quando tornavo a casa mi guardavo dietro per controllare se qualcuno mi seguiva. Ma anche nel clima di quegli anni sembrava una cosa strana. Probabilmente c’era stata una soffiata».

Estremisti di sinistra che volevano colpire non un fascista, ma un dirigente della sinistra extraparlamentare.

«Il nostro movimento era assolutamente contrario alla lotta armata. Le pistole nei cortei erano vietate. Invece dal gruppo di Potere operaio erano nati gli autonomi, che teorizzavano lo scontro armato e l’“attacco al cuore dello stato”. Come sempre, a sinistra si passava la maggior parte del tempo a litigare al proprio interno».

Seppe il nome di Pisapia?

«Assolutamente no. E non seguii il processo negli anni Ottanta, perché non ero parte lesa. Avevo lasciato la politica per il mio attuale lavoro di immobiliarista, dopo un periodo nel Psi nel quale Martelli aveva invitato molti di noi ex sessantottini».

Che effetto le fa rievocare quei tempi, dopo 35 anni?

«Se la Moratti vuole dimostrare che Pisapia non ha origini liberaldemocratiche,
non c’era bisogno di scomodare la contestazione studentesca. Alla quale partecipò buona parte dell’attuale classe dirigente italiana: politici, finanzieri, avvocati, medici, scienziati...»

Compreso lo stimato architetto Stefano Boeri, oggi leader Pd.

«Che era mio compagno nel movimento studentesco. Siamo ancora amici. Il nostro leader era Mario Capanna, ma con noi c’erano anche Gino Strada, Nando dalla Chiesa, Ferruccio de Bortoli, Dario Di Vico, Michele Cucuzza, Sergio Cusani, e tantissimi altri. Oggi sono tutti ottimi professionisti. In Germania l’ex sessantottino e adesso verde Joschka Fischer potrebbe addirittura diventare cancelliere dopo Angela Merkel».

Mauro Suttora

Politici estremisti

DOPO LE ACCUSE DELLA MORATTI A PISAPIA, ECCO GLI SCHELETRI NEGLI ARMADI DEGLI ULTRAS DEGLI ANNI DI PIOMBO

di Mauro Suttora

Oggi, 14 maggio 2011

Chi sono i «politici con passato estremista», come Silvio Berlusconi ha bollato Giuliano Pisapia, concorrente di Letizia Moratti alla carica di sindaco di Milano? Dipende da cosa si intende per «estremista». Tutti sanno che Pisapia fino a cinque anni fa era deputato di Rifondazione comunista. Quasi nessuno, invece, ricordava che fosse stato in carcere per ben quattro mesi e poi processato per il furto del furgone con cui nel 1977 gli autonomi volevano sequestrare William Sisti, dirigente della sinistra extraparlamentare.

Glielo ha rinfacciato la Moratti in un dibattito tv, e Pisapia l’ha querelata per diffamazione. Da quel processo, infatti, fu assolto. «E chiesi l’appello per essere completamente scagionato: non grazie a un’amnistia, ma con formula piena», precisa il politico-avvocato milanese.

Nell’Italia lacerata durante l’intero decennio dei ’70 dagli «anni di piombo», però, Pisapia non è l’unico politico famoso a essere stato estremista da giovane. A sinistra, ma anche a destra. Massimo D’Alema, per esempio, non ha mai avuto guai con la giustizia, eppure ricorda perfino con un certo orgoglio di avere lanciato una bottiglia molotov durante il ’68 a Pisa: frequentava la prestigiosa Normale, era del Pci e non un extraparlamentare, ma partecipò anche lui alle rivolte studentesche. Così come il pacatissimo ex ministro della Margherita Paolo Gentiloni.

E, per andare nel centrodestra, l’altrettanto moderato ministro degli Esteri Franco Frattini praticava la vendita militante del Manifesto, mentre il siciliano Gianfranco Micciché era di Lotta Continua. Fabrizio Cicchitto è sempre stato nel Psi, però si è vantato di «avere fatto a botte con i fascisti nel ’68. Prendendole». Quanto a Gaetano Pecorella, deputato Pdl, prima di difendere Berlusconi è stato l’avvocato di tutti gli extraparlamentari rossi a Milano. Ancora nell’87 sostenne in un’arringa che un pestaggio a colpi di chiave inglese poteva essere «la legittima applicazione di un principio costituzionale».

Con la sconfitta di Rifondazione comunista e Verdi tre anni fa sono usciti dal Parlamento quasi tutti i sessantottini. I loro avversari ex neofascisti, invece, hanno fatto carriera. A cominciare dal leader Gianfranco Fini, ferito da un candelotto al ginocchio durante gli scontri con la polizia. A Milano nessun «rosso» osava passare per piazza San Babila: lì il capo dei giovani missini era Ignazio La Russa, con cane lupo al guinzaglio.

L’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno finì in prigione nell’81 per avere aggredito con quattro camerati uno studente. Ce l’aveva sia con con i russi, sia con gli americani: per una molotov contro l’ambasciata sovietica fece addirittura otto mesi di carcere, mentre nell’89 lo arrestarono per avere bloccato l’auto del presidente George Bush padre. Ma alla fine è sempre stato assolto.

Cinque anni per «banda armata»

Il deputato Pdl Marcello De Angelis ha subìto una condanna definitiva a cinque anni per banda armata e associazione sovversiva: era nel gruppo terrorista di estrema destra Terza Posizione. Ne scontò tre (più sei mesi di carcere in Inghilterra, dov’era scappato), è uscito nell’89. Da poco è stato nominato direttore del quotidiano ex An Secolo d’Italia, strappato ai finiani.

C’è perfino un vicepresidente del Senato «pregiudicato»: lo stimatissimo Domenico Nania, pure lui ex Msi, fu condannato nel ’68 a sette mesi per lesioni volontarie personali durante scontri tra studenti di destra e di sinistra a Messina. Ma aveva solo 18 anni.

Era iscritto al Fronte della gioventù (i giovani missini guidati da Fini e poi da Alemanno) anche Niccolò Ghedini. L’attuale avvocato di Berlusconi venne interrogato in questura a Bologna dopo la strage del 1980 alla stazione, perché nella sua sezione padovana c’era un sospettato.

Insomma, molti dei dirigenti Pdl ex An e Msi hanno curriculum a dir poco turbolenti. Quindi, non si sa fino a che punto sia convenuto al premier e alla Moratti riesumare i peccati di gioventù degli avversari di sinistra, perché anche nel centrodestra potrebbe affiorare qualche imbarazzo.

E perfino il nonviolento Pannella...

Perfino i radicali gandhiani hanno dato scandalo, quando nell’83 fecero eleggere in Parlamento e liberare (dopo quattro anni di carcere preventivo) il professor Toni Negri, ideologo degli autonomi, condannato a 17 anni per insurrezione armata. Fuggito in Francia, tornò nel ‘97 per scontare la pena. Libero dal 2003.

Un altro caso si è verificato nel 2006: Marco Pannella fece eleggere deputato Sergio D’Elia, ex terrorista di Prima linea condannato a 25 anni (scontati la metà) per banda armata e concorso morale in omicidio. Due anni dopo il Pd non lo ha più voluto fra i nove eletti radicali ospitati nelle sue liste.

Lo stesso Pannella, comunque, ricorda: «All’inizio degli anni ’50 credo di aver slogato una spalla a Caradonna, capo degli universitari fascisti. Le ho date e le ho prese».
Mauro Suttora

Friday, July 27, 2001

G8 di Genova: parla Vittorio Agnoletto

IL CAPO DEI NOGLOBAL SPIEGA COS'E' SUCCESSO NEGLI SCONTRI CHE HANNO PROVOCATO LA MORTE DI CARLO GIULIANI

di Mauro Suttora

Oggi, 27 luglio 2001
                      
Vittorio Agnoletto è tornato a casa. Il capo dei contestatori di Genova ha lasciato il capoluogo ligure dopo il funerale di Carlo Giuliani, il 23enne morto durante gli scontri, ed è approdato a Cesano Maderno (Milano), nella sua Lombardia, per tenere un comizio alla festa di Rifondazione comunista della Brianza. Qui lo incontriamo.

Agnoletto, 43 anni, è diventato famoso nell’ultimo mese come portavoce del Genoa Social Forum (Gsf), la coalizione che ha organizzato le proteste contro il vertice dei G8, gli otto Grandi che governano gli Stati più industrializzati della Terra.

Adesso è nell’occhio del ciclone: accusato dalla destra di avere tollerato, se non addirittura fomentato, gli incidenti, e invece osannato a sinistra come l’artefice di un corteo che ha fatto scendere in piazza ben 250mila persone contro il governo di Silvio Berlusconi.

«Ma io sono diventato portavoce del Gsf quasi per caso», si schermisce lui, «soltanto perché a un certo punto dovevamo nominare una delegazione che incontrasse il ministro degli Interni e il capo della Polizia. Al Gsf aderiscono un migliaio di associazioni, di cui 400 straniere: erano stati fatti una decina di nomi, dovevamo ridurli, alla fine uno si alza proponendo il mio nome. E tutti si sono trovati d’accordo».

Non è un mistero che gli «antiglobalizzatori» siano diversissimi fra loro: si va dai comunisti ai cattolici, dalle Tute bianche dei centri sociali ai ragazzi degli oratori, dall’Arci a Pax Christi. 
«Sì, ma contrariamente a quello che succede quasi sempre in Italia, e cioè che basta essere in quattro per non trovarsi più d’accordo e cominciare a litigare, fin dall’inizio nel Social Forum si è creata un’atmosfera di collaborazione, in cui nessuno ha mai preteso di fare il primo della classe».

Anche dopo la battaglia di Genova? 
«Sì. Anche in questi ultimi giorni nessuna delle organizzazioni si è dissociata. Anzi, proprio oggi Pax Christi ha riconfermato la sua adesione. D’altra parte, fra noi c’è sempre stata molta chiarezza sul rifiuto della violenza».

E allora perché sono state spaccate vetrine, lanciate bottiglie molotov, bruciate auto, attaccati poliziotti? 
«Questo lo ha fatto chi non aderiva al Gsf. Come le cosiddette Tute nere del Black block. Noi abbiamo sempre detto che avremmo praticato la disubbidienza civile a mani nude, e così abbiamo fatto. Quei gruppi, invece, hanno attaccato sia noi che la polizia. I Cobas, per esempio, che si dovevano trovare in piazza Da Novi, quando sono arrivati lì hanno trovato le Tute nere. Allora, proprio per non mischiarsi, se ne sono andati verso piazza Tommaseo. Ma appena si sono mossi la polizia li ha caricati. Loro, non le Tute nere».

Però durante il blitz notturno nel vostro quartier generale sono state trovate bottiglie incendiarie, roncole, coltelli e armi improprie. 
«Su questo voglio fare chiarezza. Ci avevano dato due scuole, una di fronte all’altra. In una c’eravamo noi del Gsf, con l’ufficio stampa, l’ufficio legale, l’assistenza medica. L’altra era per le Ong, le Organizzazioni non governative aderenti al Gsf. Poi però, nei giorni precedenti al vertice, ha piovuto, cosicché abbiamo trasformato la seconda scuola in dormitorio per i manifestanti senza tenda che erano scappati dagli stadi».

Quindi lei non smentisce la polizia, sull’effettiva presenza di violenti nella scuola. 
«Non potevamo chiedere la carta d’identità a tutti quelli che entravano. Ma l’ultima notte sono stati i poliziotti a comportarsi in modo indegno, massacrando ragazzi che dormivano in sacco a pelo. Ai parlamentari che chiedevano di assistere alle perquisizioni mostrando i tesserini, è stato risposto “ficcateveli in quel posto”. Scene di tipo cileno».

Però alcune strade di Genova erano state devastate dalla guerriglia urbana. 
«Perché le forze dell’ordine non hanno bloccato i violenti? Abbiamo filmati in cui si vedono addirittura alcune Tute nere fermarsi tranquillamente a parlare con dei poliziotti. Avevamo noi stessi segnalato alla Questura l’arrivo di frange estremiste da Bologna, e ci avevano detto che era tutto sotto controllo».

Ma i vostri slogan non erano esattamente nonviolenti: anche voi gridavate “Poliziotti assassini!”. 
«Questo è successo dopo l’assassinio di Carlo Giuliani. Ma le nostre parole d’ordine erano ben altre».

E quali erano? 
«Il radicale dissenso contro le politiche internazionali dei Paesi più ricchi. Il G8, forte solo della propria potenza e arroganza, è il simbolo di un sistema di governo non democratico che privatizza gli utili, socializza le perdite e globalizza le ingiustizie».

Slogan a parte, in concreto cosa volete? 
«Per esempio, che il neoliberismo non costringa miliardi di persone a vivere con un dollaro al giorno. Che i farmaci per curare l’Aids siano venduti a prezzi accessibili anche nel Terzo mondo, e non sottoposti all’esosità di multinazionali che ne detengono i brevetti per vent’anni. O che gli Stati Uniti, produttori da soli del venti per cento dell’inquinamento mondiale, accettino gli accordi di Kyoto...»

Agnoletto è un fiume in piena. D’altra parte, è uno abituato a far politica da trent’anni, cioè da quando entrò al liceo Berchet di Milano, lo stesso dove studiava Gad Lerner. 
«Ma allora lui era un estremista di Lotta Continua, mentre io ero considerato un moderato perché stavo nel Pdup, il Partito di unità proletaria di Vittorio Foa».

Un’altra differenza con Lerner è che il futuro direttore del TgUno (oggi a La Sette, dove ha invitato Agnoletto a molti dibattiti) non studiava granché, mentre il futuro capo dei noglobal pigliava tutti otto e nove.

Secchione, Agnoletto proviene dalla solida borghesia milanese. Famiglia di medici e avvocati, fra i quali il padre del codice di procedura penale Giandomenico Pisapia, il cui figlio Giuliano (deputato di Rifondazione comunista) è suo cugino. Anche Agnoletto alle ultime elezioni era candidato nel partito di Fausto Bertinotti, ma non è stato eletto.

E adesso, anche se parla proprio da un palco di Rifondazione nella sua prima uscita pubblica dopo Genova, ci tiene a prendere un po’ le distanze: «Stasera sono qui, ma domani andrò a Loreto per un’assemblea di cattolici, e dopodomani sarò a Roma a incontrare i parlamentari Ds e i giornalisti della stampa estera».

Anche Agnoletto, peraltro, è religioso. Per anni è stato boy-scout, facendo pure una discreta carriera. Contemporaneamente stava in Democrazia proletaria, dove nel 1977 era già il responsabile dei giovani. E proprio il ‘77 è stato l’anno in cui ci furono in Italia le ultime morti in scontri con la polizia: lo studente Lorusso a Bologna, Giorgiana Masi a Roma. 
Quasi un quarto di secolo dopo, in una piazza d’Italia è tornato il sangue.

Agnoletto sente il peso di questa responsabilità, e non si limita a dare tutte le colpe alla polizia: «Di fronte al problema della violenza dobbiamo riflettere anche all’interno del nostro movimento. Cosa dovremo fare nei prossimi cortei, organizzare un nostro servizio d’ordine? Certo, l’autotutela contro i violenti ci vuole, ma così rischiamo di ripercorrere strade pericolose».

Sì, perché Agnoletto sa bene che nei «servizi d’ordine» di alcuni gruppi extraparlamentari le Brigate Rosse arruolarono terroristi a piene mani. 
Lui invece, anche fisicamente e con quella sua vocina, è l’esatto contrario di un certo «machismo da corteo» che si è esercitato a Genova, per esempio nella falange paramilitare delle Tute bianche con tanto di divise, elmi, scudi e maschere antigas.

Agnoletto invece, laureatosi medico, dopo il servizio civile con i tossicodipendenti nel 1987 ha fondato la Lila (Lega italiana lotta all’Aids), diventando anche consulente del governo (incarico toltogli dal ministro Roberto Maroni). 
Sentiremo parlare ancora di questo piccolo grande uomo dalla faccia triste e dalla voce acuta, che parla nervoso con gli occhi spiritati, e agita le mani come Bertinotti.
Mauro Suttora