AFFARI DIMEZZATI, PACCHI TROPPO GENEROSI?
Oggi, 3 giugno 2009
«Da gennaio, quando abbiamo depositato un esposto alla magistratura su possibili irregolarità, le vincite medie ad Affari tuoi si sono quasi dimezzate».
Parla Massimiliano Dona, segretario dell'Unc (Unione nazionale consumatori). Cinque anni Striscia la Notizia accusò il quiz preserale di scegliere come concorrenti non persone comuni, ma gente già abituata alle telecamere. Lo scopo: rendere il programma più frizzante. Allora la Rai cominciò a invitarlo in studio per garantire la trasparenza del gioco.
In questi anni il programma è stato bersagliato spesso da polemiche: come avete reagito?
«Tenendo nella massima considerazione le accuse, anche quelle più recenti secondo cui il gioco era pilotato per fare in modo che i pacchi “danarosi” arrivassero fino alla fine, per tenere alti gli ascolti. Nonostante molte verifiche, non ho però trovato alcun riscontro concreto».
Che rapporti avete con la Rai e la società Endemol, produttrice del programma?
«Massima disponibilità, almeno fino a quando ho depositato l'esposto per alcune anomalie rilevate nell’attuale edizione». Comprensibile.
«Certo, ma non è da me che deve difendersi. Io ho solo tutelato gli utenti televisivi ed il soggetto pubblico che ne gestisce i soldi – cioè proprio la Rai – dalle condotte illecite di terzi. Credo che la Rai mi ringrazierà quando conterà i denari risparmiati grazie al mio intervento.
Che tipo di irregolarità avete rilevato?
«All’inizio di questa stagione le vincite si erano fatte esorbitanti. Almeno quattro giocatori avevano portato a casa il premio principale di 500 mila euro, e l’andamento di molte partite mi era sembrato sospetto. La mia attenzione poi è stata attirata da alcuni strani comportamenti dei concorrenti nella fase di preparazione dello studio televisivo, quella che precede la messa in onda».
Cioè?
«I pacchi vengono allestiti in una stanza segreta, e poi portati in sala da alcuni addetti: l’ordine con il quale entravano in studio, che non era quello numerico, poteva dare indicazioni sul valore del premio all’interno. Alcuni concorrenti lo avevano capito, e così bastava osservare quell’operazione per assicurarsi una bella vincita a danno della Rai».
E quindi?
«Ora aspettiamo che i magistrati accertino se i concorrenti hanno approfittato di una porta lasciata inavvertitamente socchiusa o, invece, siano stati invitati ad entrare dopo aver ricevuto la chiave. Comunque, da quando la nostra Unione ha chiesto ed ottenuto di modificare le procedure, le vincite si sono dimezzate».
Lei si è fatto intervistare su questo da Striscia la notizia, la trasmissione conocorrente di Affari tuoi. Non le sembra di cattivo gusto?
«No, perché i cittadini hanno il diritto di essere informati di come vengono usati i soldi pubblici. E ho richiesto a Striscia di non essere arruolato in una guerra di audience, alla quale l’Unc rimane estranea. Avrei fatto l’intervista anche alla Rai, se me l’avesse chiesto: in tal modo, peraltro, avrebbe manifestato solidarietà con chi le sta proteggendo il portafogli».
Reazioni dai telespettatori?
«Hanno saputo distinguere il nostro esposto dalle precedenti polemiche, che riguardavano più con una questione di ascolti. Ho ricevuto molti messaggi di solidarietà».
Come andrà a finire?
«Non vorrei che, come spesso accade, a rimetterci siano le persone oneste: i molti lavoratori seri della Rai, gli addetti ai lavori, gli autori, lo stesso presentatore - attualmente Max Giusti - che non hanno alcuna responsabilità. Per questo, mi rivolgo a chi sa perché chiarisca la situazione».
Pensa che la Rai la chiamerà ancora come garante?
«Credo di si. In fondo, cinque anni fa mi avevano chiamato per controllare. E io ho controllato».
Mauro Suttora
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Wednesday, June 10, 2009
Wednesday, April 15, 2009
Il cowboy di Castelliri
ANITO E LE SUE MUCCHE, SOLO CONTRO TUTTI
Castelliri (Frosinone), 15 aprile 2009
dal nostro inviato Mauro Suttora
E morto il vitellino appena nato. Mentre Anito De Gasperis era in ospedale, la mucca che lo ha partorito di notte nel bosco non è riuscita a riscaldarlo abbastanza. Il figlio di Anito ha chiamato il veterinario, sono corsi su, lo hanno avvolto in una coperta: troppo tardi, troppo freddo.
Anito è il mandriano di Castelliri (Frosinone) diventato famoso dopo le sue due apparizioni su Striscia la notizia: i tremila compaesani lo odiano perché le sue mucche invadono i loro terreni, rovinandoli. «L’anno scorso le tue uàcc mi song mangiat tutt il granone!», gli ha urlato in faccia una donna.
Anito, che si chiama così in omaggio alla focosa Anita moglie di Garibaldi, ha fatto onore al suo nome e non si è tirato indietro durante le risse televisive: «Parli con la faccia o con il c…?», ha apostrofato il sindaco omonimo Sandro De Gasperis («Parente? No, per carità»). Un altro paesano si è beccato un «’mbecill», un altro «’mbrugliunn», finché una donna lo ha minacciato agitandogli la mano a due centimetri dal viso: «Ca tong ‘na pizza, mannaggia!»
Spettacolari baruffe ciociare finite su Youtube e Facebook, aizzate da Capitan Ventosa: quel tizio di Striscia che va in giro a vendicare soprusi con lo sturacessi in testa. Alla fine però Anito, circondato da decine di paesani infuriati, viene spinto, cade, batte la testa, sviene e finisce all’ospedale di Sora.
Lo incontriamo quando torna a casa, pochi giorni dopo: nulla di grave. Intanto, però, il vitello è morto. A parte la tristezza per quegli occhioni sbarrati del cadavere in cortile, è un danno anche economico: «I vitelli me li pagano 2.500 euro se li porto al mattatoio, se invece li macello io valgono cinquemila», spiega. E attacca il sindaco: «Tutta colpa sua. Sono dieci anni che mi perseguita, aizza tutti contro di me. Ha fatto venire Striscia e non sa che mi ha fatto un favore, perché prima l’avevo chiamata io tre-quattro volte, ma non mi avevano risposto».
In questa Italia da Far West dove per risolvere le liti fra cowboys e agricoltori si va in tv, Anito ci espone le sue ragioni: «Castelliri ha 1.200 ettari di bosco comunale, in montagna. Qui è Lazio, ma fino al 1860 c’erano i Borboni, non il Papa. Da sempre gli abitanti possono pascolare e raccogliere legna e funghi nella foresta. Io mi limito a esercitare il diritto di pascolo pagando regolarmente la “fida” al Comune, e rispettando gli usi civici».
La accusano di spadroneggiare con il suo bestiame, di rovinare gli ulivi nei campi altrui.
Anito s’infervora: «Sono loro a occupare abusivamente ettari ed ettari di terre civiche, senza che nessuno si preoccupi di reintegrarle nel demanio collettivo! Venite, venite su e vi faccio vedere».
Ci inerpichiamo per i monti Simbruini sotto la pioggia, sulla jeep. Metà delle sue 80 mucche e 40 vitelli stanno in un avvallamento del bosco in una situazione penosa: il recinto è pieno di fango, dove affondano per metà le zampe degli animali.
Perché non le tiene riparate sotto un capannone? Basta questa domanda a dare la stura a un fiume in piena: «E quello che chiedo da sempre al sindaco, ma dice che per costruire ci vogliono trentamila metri quadri di terreno…» E poi via a forza di Pua (Piani urbanistici attuativi), contributi comunitari, diffide, regolamenti e verifiche demaniali.
In questi dieci anni Anito è diventato espertissimo di leggi, ci mostra documenti dell’800 e mappe con tutte le particelle del territorio di Castelliri. «Mi hanno denunciato ottanta volte per pascolo abusivo: mai condannato. Tre uomini incappucciati mi hanno aggredito: venti punti in testa. Pochi giorni fa il tribunale di Sora ha annullato una multa di 50 mila euro della guardia di finanza, e così ha sbloccato i contributi europei». Che sono ? «Sessantamila euro l’anno, 500 a capo. Però me ne hanno fatti spendere centomila in avvocati, ho solo debiti».
Saliamo ancora per la foresta, dall’altra parte c’è l’Abruzzo. Arriviamo a un altipiano dove stanno pascolando le altre mucche, ecco una staccionata di legno lungo la provinciale per Sora: «L’avevo fatta per proteggerle dalle auto, ma il sindaco me l’ha demolita a metà. Invece i proprietari di un mobilificio hanno potuto mettere questa cancellata di ferro».
Il terreno non è loro? «Le terre demaniali non si possono vendere né prendere per usucapione, sono di tutti. Si possono dare in concessione, ma solo ai residenti del comune».
Il figlio maggiore di Anito, Danilo, è tornato da Torino, dove si sta laureando in ingegneria meccanica, per aiutare suo fratello Sergio, 21 anni, che lavora alla Fiat di Cassino, a tenere le mucche mentre il padre era in ospedale. Ora le spinge giù verso il recinto, a fine giornata. «Tutte vacche marchigiane di razza: non fanno latte, ma la carne è pregiata».
Insomma, Anito, di quanti ettari ha bisogno? «Quattrocento». Un po’ tanti: un terzo del bosco demaniale di Castelliri. «Ma ogni mucca per pascolare ha bisogno di un ettaro di prato, oppure di quattro ettari di bosco». E non può dargli fieno? «No, perché la carne me la pagano cinque euro al chilo, e il fieno costa sei». Ma le mucche non rovinano il sottobosco, mangiando tutti i germogli? «No, quelle sono le capre. Le mucche sono ghiotte di erbacce e trifoglio, disboscano e fanno bene agli alberi».
Ci sono altri allevatori nella zona? «Sì, nei comuni vicini: Sora, Veroli. A Castelliri sono l’unico. Ma col sindaco di prima non avevo problemi».
Come nella canzone di Georges Brassens La cattiva reputazione, Anito in paese non ha amici. Non gli resta che sperare nel prossimo sindaco, che verrà eletto fra due mesi. Quello attuale deve lasciare, dopo dieci anni.
Intanto, per risolvere il caso del cowboy di Castelliri, a Frosinone si è riunito d’urgenza in prefettura il Comitato provinciale per la sicurezza. Presente l’intero gotha delle autorità: prefetto, viceprefetti, procuratore capo, questore, comandanti provinciali di carabinieri, guardia di finanza, forestale e guardie provinciali, direttore dell’Asl, responsabile del servizio veterinario…
La guerra di Anito contro tutti continua.
Mauro Suttora
Castelliri (Frosinone), 15 aprile 2009
dal nostro inviato Mauro Suttora
E morto il vitellino appena nato. Mentre Anito De Gasperis era in ospedale, la mucca che lo ha partorito di notte nel bosco non è riuscita a riscaldarlo abbastanza. Il figlio di Anito ha chiamato il veterinario, sono corsi su, lo hanno avvolto in una coperta: troppo tardi, troppo freddo.
Anito è il mandriano di Castelliri (Frosinone) diventato famoso dopo le sue due apparizioni su Striscia la notizia: i tremila compaesani lo odiano perché le sue mucche invadono i loro terreni, rovinandoli. «L’anno scorso le tue uàcc mi song mangiat tutt il granone!», gli ha urlato in faccia una donna.
Anito, che si chiama così in omaggio alla focosa Anita moglie di Garibaldi, ha fatto onore al suo nome e non si è tirato indietro durante le risse televisive: «Parli con la faccia o con il c…?», ha apostrofato il sindaco omonimo Sandro De Gasperis («Parente? No, per carità»). Un altro paesano si è beccato un «’mbecill», un altro «’mbrugliunn», finché una donna lo ha minacciato agitandogli la mano a due centimetri dal viso: «Ca tong ‘na pizza, mannaggia!»
Spettacolari baruffe ciociare finite su Youtube e Facebook, aizzate da Capitan Ventosa: quel tizio di Striscia che va in giro a vendicare soprusi con lo sturacessi in testa. Alla fine però Anito, circondato da decine di paesani infuriati, viene spinto, cade, batte la testa, sviene e finisce all’ospedale di Sora.
Lo incontriamo quando torna a casa, pochi giorni dopo: nulla di grave. Intanto, però, il vitello è morto. A parte la tristezza per quegli occhioni sbarrati del cadavere in cortile, è un danno anche economico: «I vitelli me li pagano 2.500 euro se li porto al mattatoio, se invece li macello io valgono cinquemila», spiega. E attacca il sindaco: «Tutta colpa sua. Sono dieci anni che mi perseguita, aizza tutti contro di me. Ha fatto venire Striscia e non sa che mi ha fatto un favore, perché prima l’avevo chiamata io tre-quattro volte, ma non mi avevano risposto».
In questa Italia da Far West dove per risolvere le liti fra cowboys e agricoltori si va in tv, Anito ci espone le sue ragioni: «Castelliri ha 1.200 ettari di bosco comunale, in montagna. Qui è Lazio, ma fino al 1860 c’erano i Borboni, non il Papa. Da sempre gli abitanti possono pascolare e raccogliere legna e funghi nella foresta. Io mi limito a esercitare il diritto di pascolo pagando regolarmente la “fida” al Comune, e rispettando gli usi civici».
La accusano di spadroneggiare con il suo bestiame, di rovinare gli ulivi nei campi altrui.
Anito s’infervora: «Sono loro a occupare abusivamente ettari ed ettari di terre civiche, senza che nessuno si preoccupi di reintegrarle nel demanio collettivo! Venite, venite su e vi faccio vedere».
Ci inerpichiamo per i monti Simbruini sotto la pioggia, sulla jeep. Metà delle sue 80 mucche e 40 vitelli stanno in un avvallamento del bosco in una situazione penosa: il recinto è pieno di fango, dove affondano per metà le zampe degli animali.
Perché non le tiene riparate sotto un capannone? Basta questa domanda a dare la stura a un fiume in piena: «E quello che chiedo da sempre al sindaco, ma dice che per costruire ci vogliono trentamila metri quadri di terreno…» E poi via a forza di Pua (Piani urbanistici attuativi), contributi comunitari, diffide, regolamenti e verifiche demaniali.
In questi dieci anni Anito è diventato espertissimo di leggi, ci mostra documenti dell’800 e mappe con tutte le particelle del territorio di Castelliri. «Mi hanno denunciato ottanta volte per pascolo abusivo: mai condannato. Tre uomini incappucciati mi hanno aggredito: venti punti in testa. Pochi giorni fa il tribunale di Sora ha annullato una multa di 50 mila euro della guardia di finanza, e così ha sbloccato i contributi europei». Che sono ? «Sessantamila euro l’anno, 500 a capo. Però me ne hanno fatti spendere centomila in avvocati, ho solo debiti».
Saliamo ancora per la foresta, dall’altra parte c’è l’Abruzzo. Arriviamo a un altipiano dove stanno pascolando le altre mucche, ecco una staccionata di legno lungo la provinciale per Sora: «L’avevo fatta per proteggerle dalle auto, ma il sindaco me l’ha demolita a metà. Invece i proprietari di un mobilificio hanno potuto mettere questa cancellata di ferro».
Il terreno non è loro? «Le terre demaniali non si possono vendere né prendere per usucapione, sono di tutti. Si possono dare in concessione, ma solo ai residenti del comune».
Il figlio maggiore di Anito, Danilo, è tornato da Torino, dove si sta laureando in ingegneria meccanica, per aiutare suo fratello Sergio, 21 anni, che lavora alla Fiat di Cassino, a tenere le mucche mentre il padre era in ospedale. Ora le spinge giù verso il recinto, a fine giornata. «Tutte vacche marchigiane di razza: non fanno latte, ma la carne è pregiata».
Insomma, Anito, di quanti ettari ha bisogno? «Quattrocento». Un po’ tanti: un terzo del bosco demaniale di Castelliri. «Ma ogni mucca per pascolare ha bisogno di un ettaro di prato, oppure di quattro ettari di bosco». E non può dargli fieno? «No, perché la carne me la pagano cinque euro al chilo, e il fieno costa sei». Ma le mucche non rovinano il sottobosco, mangiando tutti i germogli? «No, quelle sono le capre. Le mucche sono ghiotte di erbacce e trifoglio, disboscano e fanno bene agli alberi».
Ci sono altri allevatori nella zona? «Sì, nei comuni vicini: Sora, Veroli. A Castelliri sono l’unico. Ma col sindaco di prima non avevo problemi».
Come nella canzone di Georges Brassens La cattiva reputazione, Anito in paese non ha amici. Non gli resta che sperare nel prossimo sindaco, che verrà eletto fra due mesi. Quello attuale deve lasciare, dopo dieci anni.
Intanto, per risolvere il caso del cowboy di Castelliri, a Frosinone si è riunito d’urgenza in prefettura il Comitato provinciale per la sicurezza. Presente l’intero gotha delle autorità: prefetto, viceprefetti, procuratore capo, questore, comandanti provinciali di carabinieri, guardia di finanza, forestale e guardie provinciali, direttore dell’Asl, responsabile del servizio veterinario…
La guerra di Anito contro tutti continua.
Mauro Suttora
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