Showing posts with label antonio tajani. Show all posts
Showing posts with label antonio tajani. Show all posts

Friday, December 13, 2024

Pier Silvio Berlusconi non vende Forza Italia. E ti credo: mai 90 miseri milioni sono stati meglio investiti

di Mauro Suttora

Il valore commerciale del partito-azienda è ben più alto dei suoi debiti. Perché permette, con il suo 10%, di governare l'Italia

huffingtonpost.it, 13 dicembre 2024

"Non cediamo Forza Italia. Il nostro impegno familiare a sostegno del partito continua. Smentisco che qualcuno si sia fatto avanti per rilevare delle quote. Abbandonare FI sarebbe come svendere le idee di mio padre". Ma dov'era l'addetto stampa di Pier Silvio Berlusconi? Perché non lo ha placcato e portato via, quando il giornalista del Fatto Quotidiano Gianluca Roselli gli si è avvicinato?

Tutto era andato bene, fino a quel momento. La conferenza stampa nello studio 10 di Mediaset a Cologno Monzese (dove si registrano Verissimo della compagna di Berlusconi junior e Quarto Grado di Gianluigi Nuzzi) era filata liscia: macché quarto grado, giornalisti mansueti come sempre, clima natalizio. 

Il massimo del brivido è arrivato quando Pier Silvio ha ipotizzato lontanamente la fine di Striscia la Notizia, distrutta negli ascolti dai pacchi Rai di Stefano De Martino. Il pacco per l'ad Mediaset si è però materializzato quando, sceso dal palco e diretto come tutti verso il catering di lusso del ristorante bergamasco Da Vittorio, ha cortesemente risposto a qualche ulteriore domanda del Fatto.

Eppure Pier Silvio sa che Marco Travaglio era uno dei più testardi nemici di suo padre. Tanto che il 10 gennaio 2013 Berlusconi senior ci regalò la memorabile scena della pulizia della sedia dove si era accomodato il direttore del Fatto, prima di sedercisi lui. 

La domanda di Roselli per la verità è stata innocua: è vero che Letizia Moratti ha chiesto di rilevare il debito di 90 milioni che Forza Italia ha verso la famiglia Berlusconi? Sottinteso: comprandosela? A quel punto il junior è scivolato clamorosamente, ha confuso il partito politico con una squadra di calcio, e ha regalato a Travaglio il titolo: "Non vendiamo FI".

Le "quote", poi. Neanche fosse una società per azioni, frazionabile tra diversi proprietari. E comunque, scherziamo? Se pure così fosse, il valore commerciale di Forza Italia sarebbe ben più alto dei suoi debiti. Perché permette, con il suo 10%, di governare l'Italia grazie alla sua collocazione nella maggioranza di Giorgia Meloni. 

Mai 90 miseri milioni sono stati investiti così proficuamente, e la dimostrazione era arrivata proprio pochi minuti prima. Quando Pier Silvio ha così commentato il tentativo fallito del povero Matteo Salvini di prorogare lo sconto di 20 euro sul canone Rai: "Propaganda strampalata. Sarebbero 400 milioni sottratti alla fiscalità generale". Il padrone di Mediaset dà infatti per scontato che lo stato debba mantenere la Rai per non intaccare la torta pubblicitaria dei privati: o col canone, o colmando il deficit della tv statale.

Il surreale colloquio con Il Fatto è poi continuato, con Antonio Tajani magicamente trasformato in allenatore: "Il partito [la squadra] sta andando bene, Tajani fa un ottimo lavoro, FI è tornata sopra la Lega [in classifica] grazie a un modo di fare politica [di giocare a calcio] serio e non propagandistico".

Un'altra piccola chicca infine, quasi nascosta. Due paroline non dette nella conferenza stampa ufficiale, ma rivelate al Fatto: "Per ora non ho intenzione di impegnarmi in politica". Per ora. Finché il mister è bravo, finché i risultati arrivano, finché riusciremo a bloccare le tasse sugli extraprofitti della nostra banca Mediolanum. Finché la golden share del nostro 10% continuerà a rivelarsi estremamente fruttifera.

E poi, diciamocela: cedere la squadra proprio alla Moratti? Troppo odore di Inter in quel cognome. Quello sì, "sarebbe come svendere le idee di mio padre".

Friday, May 05, 2023

Il déjà-vu. Che peccato, non conosciamo più né i francesi né il francese

Se, come fino a pochi anni fa, ricominciassimo a studiare Molière e Camus, o ad ascoltare Brassens, forse litigheremmo meno. Brevi cenni a una fratellanza che è un peccato smarrire

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 5 maggio 2023

Il predecessore del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, il quale offeso cancella un incontro con la sua omologa francese, andò a Parigi per congratularsi con i teppisti in gilet giallo che mettevano a ferro e a fuoco i boulevards, in odio a Emmanuel Macron. Tanto sgarbo istituzionale non impedì però al presidente francese di incontrare l’ineffabile Luigi Di Maio il quale, dopo un miracolo e due o tre capriole, decise infine di indossare il gilet dell’apprendista statista (e, per scusarsi, si dichiarò ammiratore della “millenaria” democrazia francese. Forse si era confuso con Atene). 

Il problema però, al di là del cabaret politico, esiste e resiste: non pochi italiani detestano i francesi. Quanti italiani? Sicuramente sono aumentati più di qualche decennio fa. Perché? Una delle ragioni, la più semplice e banale, è che non li conosciamo più. 

Fino agli anni Ottanta metà delle cattedre di lingua straniera alle medie inferiori erano di francese (compresa quella di mia madre). Poi ha prevalso l’inglese, giustamente, cosicché oggi quasi nessun italiano under 50 parla francese. E quel che è peggio ignora la cultura della Francia, da Molière ad Albert Camus. Perfino in zone di frontiera come Ventimiglia solo il 10 per cento dei nostri studenti impara il francese.

Risultato: quelli che erano i nostri fratelli, assieme agli spagnoli, ora ci sembrano estranei. Nessuno pronuncia bene menu e déjà-vu, non parliamo di Champs-Élysées. I romani poi, soprattutto in Rai, dicono Courmayer per impedimento glottologico. Dalida, Sylvie Vartan e Françoise Hardy erano ogni settimana in tv, i nostri attori preferiti erano Alain Delon e BB. Ora qualcuno conosce un cantante francese?

È subentrato addirittura astio: ho visto la finale mondiale Francia-Croazia del 2018 in un albergo pugliese, quasi tutti stavano per i croati. Ho chiesto perché: mi risposero che era Africa-Croazia, troppi neri francesi.

I nostri antifascisti, da Sandro Pertini ai fratelli Rosselli, si rifugiavano in Francia. Più recentemente con discutibili motivazioni Parigi ha concesso asilo a ex terroristi. Ma comunque è lì che scappa chi ha problemi con la giustizia: dietro casa, quasi a casa. 

Un mese fa il Salone del libro francese ha onorato l’Italia, celebrandola come Paese ospite d’onore. In quella occasione Alessandro Baricco ha ricordato che per lui e i giovani torinesi era più facile, rapido e semplice andare in treno a Parigi che a Roma, se si voleva raggiungere una capitale europea. Adesso invece qualche esagitato protesta contro il Tav che dimezzerà le otto ore del Torino-Parigi, così come l’alta velocita ha fatto col Torino-Roma.

Pure io andavo ogni anno a Parigi e ogni estate in Costa Azzurra, come tanti sono cresciuto quasi bilingue, ora leggo Michel Houellebecq in originale. La controcultura, cioè la cultura moderna, è nata in Inghilterra con i Beatles e negli Stati Uniti con la contestazione studentesca. Ma tutti ricordano il Maggio ’68 di Parigi, non il ’64 di Berkeley. E gli esistenzialisti francesi degli anni Cinquanta, da Jean-Paul Sartre a Georges Brassens (padre di Fabrizio De André), alla distanza dimostrano più spessore culturale dei poeti beat Usa Allen Ginsberg o Jack Kerouak. 

Sì, lo so che i francesi usano la locuzione italiana “dolcefarniente” per definirci fra l’invidia e il fastidio, che le cose fatte male per loro sono “grossomodò”. La speranza è che grazie a Erasmus e ai voli low cost la conoscenza diretta riprenda e le cose si sistemino. Le Alpi non sono alte, e comunque Emmanuel Macron e Giorgia Meloni sono alti uguale.