LE RIVELAZIONI DEL DIARIO DI CLARETTA
Insaziabile vitellone, il duce fu un boia solo per Ida Dalser, fatta morire in manicomio. Le sue amanti invece non le lasciò mai. Anzi, voleva mantenerle tutte
Oggi, 3 febbraio 2010
di Mauro Suttora
Povero Benito. Altro che boia, come appare in Vincere, il film di Marco Bellocchio con Vittoria Mezzogiorno. Lì Mussolini fa rinchiudere in manicomio la (presunta) prima moglie Ida Dalser, causandone la morte. Stesso destino per il figlio avuto dalla Dalser, Benitino.
Ma questo è l’unico caso in cui il dittatore si comportò male (anzi, da assassino) con una delle sue numerose amanti. Di quasi tutte le altre rimase amico anche dopo la fine della relazione. Lo dimostra il libro Mussolini segreto (Rizzoli), ovvero i diari della favorita Claretta Petacci, resi pubblici dopo settant’anni dall’Archivio di Stato.
Il tappeto “galeotto”
Bastava che le ex si presentassero imploranti a Palazzo Venezia, e per quasi tutte c’era una sinecura, una somma mensile, una consolazione. Magari in cambio di un rapporto consumato sui due piedi (anzi, sui due stivali, che il duce non si levava), o in ginocchio, o addirittura sul tappeto. Alla faccia della moglie Rachele e di Claretta, che era gelosissima.
Se poi c’erano in ballo figli illegittimi, Benito si trasformava addirittura in papà amorevole: alla madre arrivavano come alimenti ben più delle famose «mille lire al mese», cioè quelle che nell’omonima canzone del 1939 erano lo stipendio sognato dagli italiani. Insomma, più che playboy crudele, o inesausto vitellone romagnolo, il «duce che seduce» era una vittima delle donne che possedeva.
E loro non si facevano scrupolo nello «spolparlo». «Quella donna è una spugna, credo che spenda tutto dalla sarta. Esagera: le ho dato ventimila per tre mesi, e lei ne voleva mille in più. Che miseria. Quella scena mi ha disgustato».
Così Mussolini si lamenta con Claretta il 30 ottobre 1938. Ce l’ha con Romilda Ruspi, ex favorita che gli ha dato un figlio, con la quale tradisce Claretta.
Il 55enne Benito in quel periodo è completamente succube della Petacci, che allora ha meno della metà dei suoi anni: 26. L’amante più famosa nella storia d’Italia abita in famiglia a Roma proprio accanto a Villa Torlonia, sulla via Nomentana, dove il dittatore vive con la possessiva moglie e i figli più giovani.
Così Renzo De Felice, massimo storico del fascismo, descrive Mussolini: «Dopo la proclamazione dell’impero nel 1936 si rinchiuse in se stesso. Non aveva amici, non frequentava nessuno fuori dai rapporti d’ufficio, diffidava di tutto e si sentiva circondato da collaboratori fragili e insicuri».
Il problema è che il duce in quegli anni è costretto a telefonare almeno una dozzina di volte al giorno a Claretta. La quale lo sospetta - e a ragione - di incontrare altre amanti a Palazzo Venezia e perfino a Villa Torlonia.
Lì infatti, in una dépendance nel grande parco, alloggia assieme alla sorella (impiegata del principe Torlonia) la bellissima Romilda. Che è amante del duce fin dalla fine degli anni Venti, quando Benito si trasferisce nella villa da via Rasella. E nel 1929 ha avuto un figlio da lui, Massimo. Cosicché anche di sera, tornato a casa, gli tocca chiamare ogni mezz’ora Claretta per tranquillizzarla. Paradossalmente, la Petacci è più serena se Benito è nel suo ufficio di Palazzo Venezia, lontano dalla Ruspi.
Com’è noto, l’elenco delle conquiste femminile del dittatore è sterminato. «Quando abitavo in via Rasella ero un chiavatore», si vanta lui stesso il 12 maggio 1938 con Claretta, la quale annota diligentemente le sue parole sul diario.
“Tre donne per sera”
«Avevo quattordici donne, il pensiero di essere di una sola mi era inconcepibile. C’è stato un periodo che ne prendevo tre-quattro per sera, una dopo l’altra. Una volta alle otto la Rismondo, alle nove la Sarfatti, alle dieci la Magda [Magda Brard Borgo (1903-’98), pianista bretone], e poi all’una una brasilera terribile. Questo ti dà l’idea della mia sessualità».
Quand’era ancora socialista, a Milano, l’anarchica Leda Rafanelli (1880-1971) prima di cedere lo fece penare parecchio. Mussolini era già sposato con Rachele, e probabilmente anche con Ida Dalser (1880-1937).
La più bella fu Angela Cucciati, e il fatto che fosse sposata con il capetto fascista milanese Bruno Curti non rappresentò un ostacolo: da lei Benito ebbe una figlia, Elena, che nacque nel 1922.
“Cornelia Tanzi, frigida”
Mussolini mantenne la Cucciati e la figlia Elena dopo il naufragio del matrimonio della donna. La quale ogni tanto andava personalmente da Milano a Roma a ritirare l’«assegno di mantenimento». Gli incontri intimi col duce si esaurirono solo con l’apparire della stella di Claretta, verso il 1936. Ma la figlia Elena Curti era con Mussolini a Dongo nel 1945, quando venne arrestato. E Claretta era gelosa anche di lei.
Una delle amanti più singolari del duce fu Cornelia Tanzi. Scrittrice, gli inviava una lettera al giorno. Anche lei fu eclissata da Claretta, e si mise (fra gli altri) con il poeta romano Trilussa. Benito il 19 febbraio 1938 la descrive così alla Petacci: «Ha gambe lunghe, è esile, sottile, alta, bruna. Ma frigida, fredda fino all’inverosimile. Figurati che non ha mai sentito nulla neanche con me. Veniva lì, si spogliava, faceva cadere la camicia, si vedevano queste due gambe lunghe, si metteva lì e via, senza scomporsi. Sempre indifferente, si rivestiva e andava via. Tutto in meno di mezz’ora. Ti dico la verità: l’ultima volta per me è stata una cosa laboriosa e faticosa, perché non mi andava. Poi, non so, aveva un profumo quel giorno, un odorino disgustoso... Scusa, ma sai come sono sensibile a queste cose.
“L’avrei bastonata”
«No, non l’ho mai amata e sentivo di essere un miserabile, non dovevo farlo. Non so nemmeno io perché, sono un animale. Ho pensato: “Chissà se adesso che ha l’amico sarà meno frigida e mi riuscirà di farla scuotere“. Niente, è stata più fredda di sempre, più indifferente, ed io più di lei. Dopo ho provato disgusto. Avrei voluto bastonarla, l’avrei buttata per terra».
Ma questo duce volgare e animalesco si trasforma a volte in padre amorevole verso i propri figli segreti. Come con Duilio e Adua, che Mussolini dice di avere avuto da Alice De Fonseca Pallottelli. Lei il 16 luglio 1938 gli scrive che i bimbi sono ammalati, e lui le telefona. La Pallottelli gli dice: «Duilio ha avuto una forte dissenteria, credevo di perderlo. Ha vomitato tutta la notte. Vorrei portarlo al mare a Pesaro». Mussolini le chiede se ha bisogno di soldi. E lei: «No, per ora ce la faccio».
Mauro Suttora
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Wednesday, February 10, 2010
Tuesday, December 01, 2009
Le Monde: recensione di Philippe Ridet
Mussolini, les juifs et les femmes
LE MONDE
Rome, 1 décembre 2009
La question de l'antisémitisme de Benito Mussolini refait régulièrement surface en Italie. Concession in extremis à Hitler pour les nostalgiques du Duce ; conviction consubstantielle du fascisme pour les autres. Les premiers mettent aussi en avant les passions amoureuses de Mussolini pour des femmes juives qui ont développé son ambition : Margherita Sarfatti, qui mit une partie de sa fortune au service de son héros, et Angelica Balabanoff, son premier mentor politique.
Paru cette semaine en Italie, le livre Mussolini secret (Editions Rizzoli) met un terme définitif à la controverse. Le recueil des carnets de Clara Petacci, la dernière maîtresse du Duce, qui fut fusillée à ses côtés le 28 avril 1945, fait apparaître Mussolini obsédé par les juifs. Exemple, le 4 août 1938, Mussolini dit à sa maîtresse : "Moi j'étais raciste dès 1921. Je ne sais comment ils peuvent penser que j'imite Hitler, il n'était pas encore né. (...) Il faut donner un sens de la race aux Italiens pour qu'ils ne créent pas de métisses, qu'ils ne gâchent pas ce qu'il y a de beau en nous". Le 11 octobre de la même année, il se déchaîne contre "ces saloperies de juifs".
Mussolini réservait en général ses propos les plus violemment antisémites à ses proches, qui les ont ensuite révélés lorsque leurs journaux furent publiés. Dans les années 1920, il accusa des banquiers juifs, dont certains avaient pourtant en partie soutenu financièrement la "marche sur Rome" en 1922, "d'utiliser l'argent italien à des fins sionistes". Pourtant, dix ans plus tard, il soutenait encore qu'il "n'existe pas d'antisémitisme en Italie".
Passion réfléchie
Sa liaison avec Margherita Sarfatti, issue d'une famille juive très bourgeoise et intégrée de Venise, illustre cette ambiguïté. Comme le fit Ida Dalser, à qui le réalisateur Marco Bellochio consacre le film Vincere (sorti en France le 25 novembre), elle mettra sa fougue amoureuse et sa fortune au service du Duce. A cette différence près que sa passion fut réfléchie et servit aussi sa propre ambition, jusqu'à ce qu'elle se décide à l'exil après la publication des lois raciales en juillet 1938.
Pour Françoise Liffran, qui lui a consacré une riche et volumineuse biographie (Margherita Sarfatti, l'égérie du Duce, Seuil), "l'antisémitisme de Mussolini n'allait pas jusqu'au dégoût des personnes. Son attitude était ambivalente. Selon lui, on ne peut appartenir à deux nations à la fois. Ou bien on est sioniste, ou bien on est italien". Margherita Sarfatti obéira à cette injonction en se revendiquant catholique en 1929. "Nous ne devons pas nous distinguer", expliquait-elle.
Philippe Ridet (Rome. correspondent)
LE MONDE
Rome, 1 décembre 2009
La question de l'antisémitisme de Benito Mussolini refait régulièrement surface en Italie. Concession in extremis à Hitler pour les nostalgiques du Duce ; conviction consubstantielle du fascisme pour les autres. Les premiers mettent aussi en avant les passions amoureuses de Mussolini pour des femmes juives qui ont développé son ambition : Margherita Sarfatti, qui mit une partie de sa fortune au service de son héros, et Angelica Balabanoff, son premier mentor politique.
Paru cette semaine en Italie, le livre Mussolini secret (Editions Rizzoli) met un terme définitif à la controverse. Le recueil des carnets de Clara Petacci, la dernière maîtresse du Duce, qui fut fusillée à ses côtés le 28 avril 1945, fait apparaître Mussolini obsédé par les juifs. Exemple, le 4 août 1938, Mussolini dit à sa maîtresse : "Moi j'étais raciste dès 1921. Je ne sais comment ils peuvent penser que j'imite Hitler, il n'était pas encore né. (...) Il faut donner un sens de la race aux Italiens pour qu'ils ne créent pas de métisses, qu'ils ne gâchent pas ce qu'il y a de beau en nous". Le 11 octobre de la même année, il se déchaîne contre "ces saloperies de juifs".
Mussolini réservait en général ses propos les plus violemment antisémites à ses proches, qui les ont ensuite révélés lorsque leurs journaux furent publiés. Dans les années 1920, il accusa des banquiers juifs, dont certains avaient pourtant en partie soutenu financièrement la "marche sur Rome" en 1922, "d'utiliser l'argent italien à des fins sionistes". Pourtant, dix ans plus tard, il soutenait encore qu'il "n'existe pas d'antisémitisme en Italie".
Passion réfléchie
Sa liaison avec Margherita Sarfatti, issue d'une famille juive très bourgeoise et intégrée de Venise, illustre cette ambiguïté. Comme le fit Ida Dalser, à qui le réalisateur Marco Bellochio consacre le film Vincere (sorti en France le 25 novembre), elle mettra sa fougue amoureuse et sa fortune au service du Duce. A cette différence près que sa passion fut réfléchie et servit aussi sa propre ambition, jusqu'à ce qu'elle se décide à l'exil après la publication des lois raciales en juillet 1938.
Pour Françoise Liffran, qui lui a consacré une riche et volumineuse biographie (Margherita Sarfatti, l'égérie du Duce, Seuil), "l'antisémitisme de Mussolini n'allait pas jusqu'au dégoût des personnes. Son attitude était ambivalente. Selon lui, on ne peut appartenir à deux nations à la fois. Ou bien on est sioniste, ou bien on est italien". Margherita Sarfatti obéira à cette injonction en se revendiquant catholique en 1929. "Nous ne devons pas nous distinguer", expliquait-elle.
Philippe Ridet (Rome. correspondent)
Wednesday, May 20, 2009
Ida Dalser, «pazza» già nel 1918
Vittima di Mussolini? Sì, ma...
Pubblichiamo in esclusiva documenti che provano lo squilibrio mentale della donna prima che il duce andasse al potere
Oggi, 20 maggio 2009
«Ida Dalser è una squilibrata con carattere nevropatico. Non intende ragioni, avanza pretese inverosimili. Suo figlio ha un’infermità dipendente da sifilide organica ereditaria, e nonostante i suoi soli tre anni d’età non è un angioletto: compendia tutto lo squilibrio psichico della genitrice».
Così scrive nel settembre 1918 il prefetto di Napoli all’ufficio riservato del ministero degli Interni. Attenzione alla data: allora Benito Mussolini era solo un caporale e agitatore politico. Quindi il prefetto non aveva alcun interesse a distorcere la verità in suo favore, dipingendo come pazza la madre di suo figlio e asserita moglie.
In questi giorni l’Italia presenta al festival di Cannes il film Vincere di Marco Bellocchio, che racconta la triste vicenda della Dalser. La quale è stata sicuramente una vittima del futuro duce: come abbiamo scritto la scorsa settimana, Mussolini riconobbe il figlio ma poi la ripudiò, nel ‘26 la fece rinchiudere in manicomio, e lì la donna morì undici anni dopo. Stessa fine per il figlio, al quale il dittatore tolse il proprio cognome: crepato pure lui in ospedale psichiatrico.
«Tutto vero», commenta il professor Antonio Alosco, docente di storia contemporanea all’università di Napoli. «Però, da qui a far passare la Dalser come un’eroina, magari impulsiva e ossessiva ma sana di mente, come pretende il battage pubblicitario attorno al film, ce ne corre. Io sono antifascista, ma non diamo a Mussolini troppe colpe, oltre alle tantissime che già ha».
Nell’archivio della prefettura di Napoli il professor Alosco ha trovato i documenti che provano lo stato mentale della Dalser, già deteriorato nel ’18. Nella primavera di quell’anno, dopo la disfatta di Caporetto, la donna finisce come profuga, con molti suoi corregionali trentini, nel campo di Piedimonte d’Alife (Caserta). Si porta dietro il figlio Benito Albino. Mussolini ha da tempo rotto ogni rapporto con lei: si è sposato con Rachele e non le invia più gli alimenti per il figlio. Nel campo sfollati la Dalser percepisce un sussidio giornaliero decoroso: quattro lire e mezzo.
Il piccolo Benito (che Ida chiama Benittino), però, non sta bene: vede poco da un occhio, ha la gambetta destra paralizzata. Potrebbe essere curato a Piedimonte, ma la mamma coglie il pretesto per trasferirsi in albergo a Napoli. E pretende che le autorità lo paghino, o che premano su Mussolini affinché la mantenga.
Il 18 agosto ’18 Benito junior è visitato dal dottor Manlio Giordano. Pubblichiamo il suo referto a pag. XX. La diagnosi è tremenda: costituzione linfatica, probabile sifilide ereditaria.
Intanto, la Dalser continua la sua battaglia quasi giornaliera con questore e prefetto. Li tempesta di lettere chiedendo soldi, tanto che il prefetto si sfoga con il ministro degli Interni: «Il primo agosto le abbiamo corrisposto un sussidio straordinario di 150 lire, che però ha impiegato per pagare i debiti (…) Le pretese di lei crebbero giornalmente, manifestandosi in forma violenta (…) E’ eccitata ed eccitabile, non tralascia di imperversare quotidianamente con petulante insistenza per tutti gli uffici, portando in giro la sua creatura scostumata, impertinente, smaniosa di distruggere tutto quanto gli capiti fra mano, rivoluzionaria come la stessa madre lo chiama. La Dalser è scontenta di tutto e di tutti, e sente sempre il bisogno di prendersela con qualcuno. Quando giunse a Napoli imprecava contro il trattamento inumano a Caserta; ora è la volta dei funzionari di questo ufficio».
Nel novembre ’18 la Dalser minaccia il suicidio, mentre la polizia ne evidenzia la «cattiva condotta specie morale, essendosi data alla vita allegra riservatamente». Insomma, oltre che squilibrata e «disfattista» (così erano bollati i pacifisti), ragione per la quale il ministro dell’Interno raccomanda «di intensificare la vigilanza sul suo conto», la signora è accusata anche di fare la prostituta. Persecuzione o mania di persecuzione? In ogni caso, nel ’18 non era colpa di Mussolini.
Mauro Suttora
Pubblichiamo in esclusiva documenti che provano lo squilibrio mentale della donna prima che il duce andasse al potere
Oggi, 20 maggio 2009
«Ida Dalser è una squilibrata con carattere nevropatico. Non intende ragioni, avanza pretese inverosimili. Suo figlio ha un’infermità dipendente da sifilide organica ereditaria, e nonostante i suoi soli tre anni d’età non è un angioletto: compendia tutto lo squilibrio psichico della genitrice».
Così scrive nel settembre 1918 il prefetto di Napoli all’ufficio riservato del ministero degli Interni. Attenzione alla data: allora Benito Mussolini era solo un caporale e agitatore politico. Quindi il prefetto non aveva alcun interesse a distorcere la verità in suo favore, dipingendo come pazza la madre di suo figlio e asserita moglie.
In questi giorni l’Italia presenta al festival di Cannes il film Vincere di Marco Bellocchio, che racconta la triste vicenda della Dalser. La quale è stata sicuramente una vittima del futuro duce: come abbiamo scritto la scorsa settimana, Mussolini riconobbe il figlio ma poi la ripudiò, nel ‘26 la fece rinchiudere in manicomio, e lì la donna morì undici anni dopo. Stessa fine per il figlio, al quale il dittatore tolse il proprio cognome: crepato pure lui in ospedale psichiatrico.
«Tutto vero», commenta il professor Antonio Alosco, docente di storia contemporanea all’università di Napoli. «Però, da qui a far passare la Dalser come un’eroina, magari impulsiva e ossessiva ma sana di mente, come pretende il battage pubblicitario attorno al film, ce ne corre. Io sono antifascista, ma non diamo a Mussolini troppe colpe, oltre alle tantissime che già ha».
Nell’archivio della prefettura di Napoli il professor Alosco ha trovato i documenti che provano lo stato mentale della Dalser, già deteriorato nel ’18. Nella primavera di quell’anno, dopo la disfatta di Caporetto, la donna finisce come profuga, con molti suoi corregionali trentini, nel campo di Piedimonte d’Alife (Caserta). Si porta dietro il figlio Benito Albino. Mussolini ha da tempo rotto ogni rapporto con lei: si è sposato con Rachele e non le invia più gli alimenti per il figlio. Nel campo sfollati la Dalser percepisce un sussidio giornaliero decoroso: quattro lire e mezzo.
Il piccolo Benito (che Ida chiama Benittino), però, non sta bene: vede poco da un occhio, ha la gambetta destra paralizzata. Potrebbe essere curato a Piedimonte, ma la mamma coglie il pretesto per trasferirsi in albergo a Napoli. E pretende che le autorità lo paghino, o che premano su Mussolini affinché la mantenga.
Il 18 agosto ’18 Benito junior è visitato dal dottor Manlio Giordano. Pubblichiamo il suo referto a pag. XX. La diagnosi è tremenda: costituzione linfatica, probabile sifilide ereditaria.
Intanto, la Dalser continua la sua battaglia quasi giornaliera con questore e prefetto. Li tempesta di lettere chiedendo soldi, tanto che il prefetto si sfoga con il ministro degli Interni: «Il primo agosto le abbiamo corrisposto un sussidio straordinario di 150 lire, che però ha impiegato per pagare i debiti (…) Le pretese di lei crebbero giornalmente, manifestandosi in forma violenta (…) E’ eccitata ed eccitabile, non tralascia di imperversare quotidianamente con petulante insistenza per tutti gli uffici, portando in giro la sua creatura scostumata, impertinente, smaniosa di distruggere tutto quanto gli capiti fra mano, rivoluzionaria come la stessa madre lo chiama. La Dalser è scontenta di tutto e di tutti, e sente sempre il bisogno di prendersela con qualcuno. Quando giunse a Napoli imprecava contro il trattamento inumano a Caserta; ora è la volta dei funzionari di questo ufficio».
Nel novembre ’18 la Dalser minaccia il suicidio, mentre la polizia ne evidenzia la «cattiva condotta specie morale, essendosi data alla vita allegra riservatamente». Insomma, oltre che squilibrata e «disfattista» (così erano bollati i pacifisti), ragione per la quale il ministro dell’Interno raccomanda «di intensificare la vigilanza sul suo conto», la signora è accusata anche di fare la prostituta. Persecuzione o mania di persecuzione? In ogni caso, nel ’18 non era colpa di Mussolini.
Mauro Suttora
Thursday, May 14, 2009
Giovanna Mezzogiorno e Mussolini
"Porto a Cannes tutta me stessa"
UNA STAR ALLA PROVA
Interpreta Ida Dalser, che fu prima amata e poi annichilita da Benito Mussolini. «Quella parte mi spaventava. Adesso mi inorgoglisce», dice. E punta alla Palma
di Mauro Suttora
6 maggio 2009
«Per interpretare Ida Dalser ho dovuto farmi assistere personalmente da un coach di recitazione: è un personaggio difficile, intenso, pieno di fisicità. Quindi c' è voluta una preparazione teatrale. Troppo spesso il cinema dimentica il corpo. Mentre questo è un film forte, senza understatement ». Insomma, Vincere di Marco Bellocchio non è uno dei soliti film «carini» italiani. È un pugno nello stomaco. Perfino per Giovanna Mezzogiorno, una delle più brave attrici italiane, portarlo a termine è stata una sfida.
La vicenda è quella drammatica della prima, presunta moglie di Benito Mussolini: la Dalser, bella ragazza di buona famiglia, figlia del sindaco di Sopramonte (Trento). Personalità assai intraprendente, a 20 anni va a Parigi per studiare Medicina estetica, poi apre un suo salone di bellezza «alla francese» a Milano: raro esempio, per l' epoca, di donna imprenditrice. Qui s' innamora di Mussolini. «Ed è l' inizio di una passione travolgente», racconta la Mezzogiorno.
DONNE E POTERE
Nel 1913 il futuro dittatore (interpretato da Filippo Timi) ha 30 anni, tre meno di lei. Dirige l'Avanti, quotidiano del partito socialista, ed è un rivoluzionario di estrema sinistra, antimonarchico e anticlericale. In realtà, i due si erano già fuggevolmente incrociati a Trento, e lei ne era rimasta folgorata.
«Già allora Mussolini era un uomo mangiato vivo dall' ambizione», dice la Mezzogiorno. «E non sono poche le donne attratte dal potere, anche se allora lui non era nessuno». Ida si affida al suo eroe. Che nel giro di pochi mesi da pacifista diventa interventista, vuole che l' Italia faccia guerra all' Austria (Paese di cui la Dalser ha la cittadinanza, essendo trentina). Quindi viene cacciato dai socialisti e fonda un giornale, il Popolo d' Italia.
«Per finanziarlo Ida vende tutto: la casa, il salone di bellezza, i gioielli». Intanto però Mussolini sta già con la futura moglie Rachele Guidi (interpretata da Michela Cescon), dalla quale nel 1910 ha avuto la figlia Edda. Non importa: l'agitatore è debordante anche nella vita privata, e pare che nel settembre ' 14 sposi la Dalser con matrimonio religioso (del quale però non esistono prove).
L' unica cosa certa è che l' 11 novembre 1915, a guerra iniziata, Ida dà alla luce un bambino. Al quale viene dato un nome che parla da solo: Benito Albino Mussolini. E il duce lo riconosce, anche se anni dopo falsificherà i dati anagrafici. Un mese dopo, nel dicembre 1915, Rachele l' ha vinta: si fa sposare con rito civile all' ospedale di Treviglio (Bergamo) dove Benito è ricoverato per una ferita di guerra. Così, il Duce non ne vuole più sapere della Dalser: lei riuscirà a rivederlo solo in ospedale, immobilizzato e accudito da Rachele. Si scaglia contro la rivale urlando che è lei la vera moglie. Ma la allontanano a forza.
Il resto della vita della Dalser è un calvario. «Aveva un carattere troppo forte per rassegnarsi», dice la Mezzogiorno, «ed è stata la sua grande personalità a impaurire Mussolini, che ha preferito la quiete del matrimonio con Rachele. La Dalser non si accontenta di soldi in cambio del silenzio, come le altre amanti del Duce: grida sempre la sua verità e scrive a tutte le autorità, dal Papa in giù».
L' ARRESTO E L'OBLIO
Sorvegliata, non si arrende. Ma nel 1926 Mussolini la separa dal figlio (che non rivedrà più), la fa arrestare e rinchiudere nel manicomio di Pergine Valsugana. Poi viene trasferita in quello di San Clemente (Venezia). Qui un direttore sanitario onesto non può diagnosticarle alcun disturbo. Eppure viene torturata e finisce semiparalizzata. Muore nel dicembre ' 37, a 57 anni, per emorragia cerebrale.
Quanto al figlio, Mussolini nel ' 32 gli fa togliere il cognome con decreto reale. Dopo averlo messo in collegio lo spedisce in Cina nella Marina militare. E pure lui viene internato in manicomio, dove muore a 26 anni, nel ' 42. «Per marasma», recita la diagnosi.
«Una storia tremenda», dice la Mezzogiorno. «Già la scena del provino fu lunga e difficile. Era quella dell' interrogatorio della Dalser col giudice. Mi sono affidata a Bellocchio perché mi dicesse cosa voleva vedere nel personaggio. La Dalser era contraddittoria: femminista ma sottomessa, innamorata ma ossessiva».
Bellocchio, maestro del cinema, a 70 anni non ha bisogno di riconoscimenti, ma Vincere è l'unico film italiano in concorso a Cannes: sarà proiettato il 19 maggio. Nello stesso giorno uscirà in Italia. «Sono lusingata di rappresentare l' Italia», dice Giovanna, «dopo essere stata a Cannes l'anno scorso con Palermo Shooting di Wenders». E la prossima prova non sarà meno controversa: La prima linea , sui brigatisti degli Anni 70.
Mauro Suttora
RIQUADRO
Le donne del Duce
Mussolini ha avuto una quantità incredibile di amanti. Le più importanti sono state Margherita Sarfatti e Claretta Petacci. La Sarfatti (1880-1961), ricca ebrea veneziana, giornalista socialista, incontra Benito nel 1912. La relazione va avanti anche dopo il matrimonio di lui. Fascista, va via dall' Italia nel '38, con le leggi razziali. Rientrerà a Como nel '47.
La Petacci (1912-'45), romana, è l'amante dal '36 fino alla morte di entrambi, fucilati nell'aprile '45 e appesi a testa in giù a piazzale Loreto. Fra le altre, Romilda Ruspi Mingardi, negli Anni 20-30, e la marchesa Giulia Brambilla Carminati.
UNA STAR ALLA PROVA
Interpreta Ida Dalser, che fu prima amata e poi annichilita da Benito Mussolini. «Quella parte mi spaventava. Adesso mi inorgoglisce», dice. E punta alla Palma
di Mauro Suttora
6 maggio 2009
«Per interpretare Ida Dalser ho dovuto farmi assistere personalmente da un coach di recitazione: è un personaggio difficile, intenso, pieno di fisicità. Quindi c' è voluta una preparazione teatrale. Troppo spesso il cinema dimentica il corpo. Mentre questo è un film forte, senza understatement ». Insomma, Vincere di Marco Bellocchio non è uno dei soliti film «carini» italiani. È un pugno nello stomaco. Perfino per Giovanna Mezzogiorno, una delle più brave attrici italiane, portarlo a termine è stata una sfida.
La vicenda è quella drammatica della prima, presunta moglie di Benito Mussolini: la Dalser, bella ragazza di buona famiglia, figlia del sindaco di Sopramonte (Trento). Personalità assai intraprendente, a 20 anni va a Parigi per studiare Medicina estetica, poi apre un suo salone di bellezza «alla francese» a Milano: raro esempio, per l' epoca, di donna imprenditrice. Qui s' innamora di Mussolini. «Ed è l' inizio di una passione travolgente», racconta la Mezzogiorno.
DONNE E POTERE
Nel 1913 il futuro dittatore (interpretato da Filippo Timi) ha 30 anni, tre meno di lei. Dirige l'Avanti, quotidiano del partito socialista, ed è un rivoluzionario di estrema sinistra, antimonarchico e anticlericale. In realtà, i due si erano già fuggevolmente incrociati a Trento, e lei ne era rimasta folgorata.
«Già allora Mussolini era un uomo mangiato vivo dall' ambizione», dice la Mezzogiorno. «E non sono poche le donne attratte dal potere, anche se allora lui non era nessuno». Ida si affida al suo eroe. Che nel giro di pochi mesi da pacifista diventa interventista, vuole che l' Italia faccia guerra all' Austria (Paese di cui la Dalser ha la cittadinanza, essendo trentina). Quindi viene cacciato dai socialisti e fonda un giornale, il Popolo d' Italia.
«Per finanziarlo Ida vende tutto: la casa, il salone di bellezza, i gioielli». Intanto però Mussolini sta già con la futura moglie Rachele Guidi (interpretata da Michela Cescon), dalla quale nel 1910 ha avuto la figlia Edda. Non importa: l'agitatore è debordante anche nella vita privata, e pare che nel settembre ' 14 sposi la Dalser con matrimonio religioso (del quale però non esistono prove).
L' unica cosa certa è che l' 11 novembre 1915, a guerra iniziata, Ida dà alla luce un bambino. Al quale viene dato un nome che parla da solo: Benito Albino Mussolini. E il duce lo riconosce, anche se anni dopo falsificherà i dati anagrafici. Un mese dopo, nel dicembre 1915, Rachele l' ha vinta: si fa sposare con rito civile all' ospedale di Treviglio (Bergamo) dove Benito è ricoverato per una ferita di guerra. Così, il Duce non ne vuole più sapere della Dalser: lei riuscirà a rivederlo solo in ospedale, immobilizzato e accudito da Rachele. Si scaglia contro la rivale urlando che è lei la vera moglie. Ma la allontanano a forza.
Il resto della vita della Dalser è un calvario. «Aveva un carattere troppo forte per rassegnarsi», dice la Mezzogiorno, «ed è stata la sua grande personalità a impaurire Mussolini, che ha preferito la quiete del matrimonio con Rachele. La Dalser non si accontenta di soldi in cambio del silenzio, come le altre amanti del Duce: grida sempre la sua verità e scrive a tutte le autorità, dal Papa in giù».
L' ARRESTO E L'OBLIO
Sorvegliata, non si arrende. Ma nel 1926 Mussolini la separa dal figlio (che non rivedrà più), la fa arrestare e rinchiudere nel manicomio di Pergine Valsugana. Poi viene trasferita in quello di San Clemente (Venezia). Qui un direttore sanitario onesto non può diagnosticarle alcun disturbo. Eppure viene torturata e finisce semiparalizzata. Muore nel dicembre ' 37, a 57 anni, per emorragia cerebrale.
Quanto al figlio, Mussolini nel ' 32 gli fa togliere il cognome con decreto reale. Dopo averlo messo in collegio lo spedisce in Cina nella Marina militare. E pure lui viene internato in manicomio, dove muore a 26 anni, nel ' 42. «Per marasma», recita la diagnosi.
«Una storia tremenda», dice la Mezzogiorno. «Già la scena del provino fu lunga e difficile. Era quella dell' interrogatorio della Dalser col giudice. Mi sono affidata a Bellocchio perché mi dicesse cosa voleva vedere nel personaggio. La Dalser era contraddittoria: femminista ma sottomessa, innamorata ma ossessiva».
Bellocchio, maestro del cinema, a 70 anni non ha bisogno di riconoscimenti, ma Vincere è l'unico film italiano in concorso a Cannes: sarà proiettato il 19 maggio. Nello stesso giorno uscirà in Italia. «Sono lusingata di rappresentare l' Italia», dice Giovanna, «dopo essere stata a Cannes l'anno scorso con Palermo Shooting di Wenders». E la prossima prova non sarà meno controversa: La prima linea , sui brigatisti degli Anni 70.
Mauro Suttora
RIQUADRO
Le donne del Duce
Mussolini ha avuto una quantità incredibile di amanti. Le più importanti sono state Margherita Sarfatti e Claretta Petacci. La Sarfatti (1880-1961), ricca ebrea veneziana, giornalista socialista, incontra Benito nel 1912. La relazione va avanti anche dopo il matrimonio di lui. Fascista, va via dall' Italia nel '38, con le leggi razziali. Rientrerà a Como nel '47.
La Petacci (1912-'45), romana, è l'amante dal '36 fino alla morte di entrambi, fucilati nell'aprile '45 e appesi a testa in giù a piazzale Loreto. Fra le altre, Romilda Ruspi Mingardi, negli Anni 20-30, e la marchesa Giulia Brambilla Carminati.
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