Monday, April 26, 2010

Il nipote di Hitler

Il Dna svela l'ultimo discendente di Hitler

MISTERI DELLA STORIA: ECCO I PARENTI DEL FUHRER

Gli eredi (loro malgrado) del dittatore nazista oggi vivono sotto altri nomi, in America e Austria. Un giornalista-investigatore ne ha trovato uno. Grazie a un'ala di pollo fritto

di Mauro Suttora

Oggi, 14 aprile 2010

Siamo in una placida zona collinare della Bassa Austria, vicino alla Repubblica Ceca, a cento chilometri da Vienna. Ogni angolo del paesaggio da cartolina invita alla tranquillità contadina. Niente fa pensare che da questi boschi di pini sia iniziata la vicenda sterminatrice di Adolf Hitler. Eppure la sua famiglia viene proprio da qui. A Zwettl nacquero il padre Alois Hitler, il nonno Georg Hiedler (nel 1792) e il bisnonno Martin Hüttler. I cognomi cambiavano perché duecento anni fa le anagrafi non esistevano, e le grafie dei preti che annotavano i battesimi erano labili.

VINCOLI DI SANGUE
Nella regione del Waldviertel vivono ancora molte persone legate a Hitler da vincoli di sangue. Cugini e bisnipoti di vario grado ignari del proprio albero genealogico, dall'esistenza assolutamente regolare, lontana da ogni eccesso politico. Nessuno qui porta più il cognome originario del dittatore tedesco, divenuto impronunciabile dopo la Seconda guerra mondiale. Si chiamano Hüttler, Hiedler, Hietler. Così non possono essere associati al peggiore criminale della storia. Il giornalista belga Jean-Paul Mulders, 41 anni, è però venuto a disturbare questa quiete bucolica. È l'autore del libro Alla ricerca del figlio di Hitler, pubblicato in Germania nel 2009. In realtà Hitler non ha mai avuto figli. Ma discendenti indiretti, sì. Che con i miracoli del Dna oggi si possono individuare facilmente.

DISCENDENTI ACCERTATI
Mulders ha condotto una ricerca approfondita, durata anni ed eseguita in due continenti. Alla fine è riuscito a stabilire con esattezza la parentela fra i bisnipoti accertati del fratellastro di Hitler che vivono negli Stati Uniti sotto il cognome di Stuart-Hudson, e un parente austriaco: Andreas Hüttler. Mulders ha ricostruito l'elenco di 39 discendenti accertati del dittatore grazie ai registri parrocchiali. Ma per ottenere la prova scientifica del legame di qualche Hiedler o Hüttler attuale con l'Adolf originale, ha dovuto attraversare l'oceano Atlantico. Impossibile, infatti, ottenere frammenti di Dna dal corpo bruciato di Hitler, o da quello di sua sorella morta nel 1960.

L' unica via era quella di rintracciare il ramo di Alois Hitler junior, nato sei anni prima di Adolf e morto nel 1956, il cui figlio William Patrick era emigrato in America. Lì, vicino a New York (a Long Island) vivono i nipoti di Hitler: Alexander, Louis e Brian. Si nascondono dietro al cognome (falso, secondo Mulders) di Stuart Hudson. Il primo è uno psicologo 61enne in pensione a East Northport. Gli altri due fanno i giardinieri e dividono una casa di legno a East Patchogue. L'ultimo, Howard, era un poliziotto di New York morto in servizio vent' anni fa.

LE FOTO DEL LICEO
Le uniche loro foto sono quelle degli annuari del liceo. Non frequentano nessuno, non rispondono al telefono, non aprono la porta a estranei. Nessuno conosce il loro segreto. «Hanno addirittura deciso di non far figli per estinguere la stirpe degli Hitler», dice Mulders, «ma hanno promesso di pubblicare un libro prima di morire». Con soggetti simili, recuperare una traccia di Dna è stato difficilissimo. Il giornalista belga ha fatto loro la posta sette giorni su sette, allarmando i vicini. Ha pedinato infine Alexander fino a un drive-in di un fast food, dove senza scendere dalla sua auto il misantropo ha ordinato ali di pollo fritte. L'Hitler statunitense non sapeva di essere seguito, e si è pulito le mani e la bocca unte in un fazzoletto di carta che ha buttato in un cestino. A quel punto Mulders è balzato sul prezioso reperto con guanti di gomma, pinze e un sacchetto di plastica. Grazie al resto di saliva delle labbra nel grasso di pollo si è ottenuto il codice genetico degli Hitler.

CACCIA AL TESORO
A questo punto inizia la seconda parte dell' avvincente caccia al tesoro. In Bassa Austria Mulders ha individuato un Hytler già nel 1457. Il cromosoma passa di generazione in generazione per via paterna. Ma qui non c'è stato bisogno di sotterfugi. Andreas Hüttler, contadino 55enne, ha accettato di buon grado di sottoporsi al test del Dna propostogli dal giornalista belga. Corporatura robusta, aspetto vitale, Hüttler ha anche deciso di candidarsi alle elezioni comunali del suo paese, Gross Gerungs, nelle fila del Partito popolare austriaco.

FATTORIA SOTTO LA NEVE
Il test ha confermato il collegamento con il Dna raccolto a New York. Questo significa che lui e Adolf Hitler sono parenti. Da allora, però, il malcapitato Andreas si è decisamente pentito per la frana di pubblicità che gli è piombata addosso. Quando andiamo a trovarlo a casa sua, una grande fattoria nella frazione di Oberkirchen, nevica. Ci apre appena la porta, ma non vuole farci entrare. Il suo volto è tirato, come se mentre parla lo stomaco fosse preso da spasmi. Tiene gli occhi quasi sempre abbassati, ma dalla bocca gli escono parole decise: «Per me tutta questa storia rappresenta un trauma, il pensiero non mi abbandona mai. E mi sento troppo debole per affrontarla».

Poi basta. Non vuole più parlare. Dietro di lui compare all'improvviso la moglie, la porta si richiude gentilmente, ma fermamente. Non ci resta che rispettare la sua privacy. In tutta evidenza Hüttler non c'entra nulla con le imprese nefaste del proprozio Adolf. Nel triangolo Oberkirchen-Gross Gerungs-Zwettl, tuttavia, la parola «nazismo» è ancora un tabù assoluto. Nessuno vuole parlare del recente passato. Adolf non nacque qui solo perché suo padre Alois si era trasferito a Braunau per fare il doganiere alla frontiera Austria-Germania. Si sospetta, fra l'altro, che sua nonna avesse avuto Alois non dal marito Hiedler, ma da un ricco ebreo presso cui si trovava a servizio. Ma questa è un' altra storia.

Mauro Suttora

BOX 1: "Qui da noi quel nome resta un tabù"

Sorpreso, il sindaco di Gross Gerungs (Austria) Maximilian Igelsboeck non sapeva nulla dell' imbarazzante parentela del proprio concittadino Andreas Hüttler: «Non conoscevo questa storia, faremo chiarezza parlandone con lui. Lo conosco da decenni, è sempre stato un uomo onesto, per bene, dedito alla famiglia, al lavoro nei campi che ama, e al bene della comunità. L'ho voluto io in lista per il consiglio comunale, è stato capo dei vigili del fuoco volontari. Ora però vive nella paura di essere additato assieme a tutta la sua famiglia come parente di Hitler».

E allora perché ha accettato di sottoporsi al test del Dna?

«Chi lo sa, sorprende anche me. Forse non immaginava una parentela col dittatore, oppure voleva fugare ogni sospetto. Ma così si è cacciato in un guaio tanto serio da minare la sua salute. A volte le azioni ritenute più insignificanti producono effetti che superano qualsiasi immaginazione. Il caso di Andreas potrebbe essere un esempio da manuale».

In Italia la nipote di Mussolini non solo è deputata del partito di Berlusconi al governo, ma rivendica la storia del nonno.

«Senza offesa, ciò non mi stupisce, data la vostra situazione politica attuale. Per noi invece il nazismo rappresenta una vergogna, un tabù. Il Partito popolare è estraneo a tendenze di destra, e la nostra zona non vuole essere ricordata come area originaria degli Hitler».


BOX 2: Un parente da parte di madre

Pochi giorni fa, con grande clamore, il quotidiano inglese Sun ha rivelato l'identità di un altro discendente di Adolf Hitler. Si tratta di Gerhard Koppensteiner, e anche lui come Andreas Hüttler vive in una fattoria sperduta dell' Austria del nord. Ha 45 anni e non è per nulla fiero della parentela. Pensa soltanto a badare alle sue mucche: «Questo legame di sangue ha ossessionato la mia famiglia e tutte le nostre vite», ha detto Koppensteiner, il cui nonno era primo cugino di Hitler. «Sono cresciuto sapendo che ero legato a lui. Come si impara a convivere con questo?», ha dichiarato ai giornalisti del Sun che sono riusciti a rintracciarlo. L'agricoltore, che ha un figlio e una figlia, ha aggiunto: «Non voglio farli vivere all'ombra di quest uomo. Noi in casa di questa faccenda non parliamo mai».

Il padre di Gerhard, chiamato dagli amici Adolf, aveva sei anni quando Hitler è morto nel suo bunker di Berlino nel 1945. «Questa maledizione lo ha seguito in tutta la sua vita», ribadisce il figlio. L'allevatore e la sua famiglia sono tra i parenti più stretti del Führer, visto che Hitler non aveva figli. Il loro legame deriva dalla madre di Hitler, Klara Pölzl, che fu sia cugina che seconda moglie di Alois Hitler e morì nel 1907 a soli 46 anni. Sua sorella sposò un Koppensteiner. Da lì viene il cognome, che quindi non risulta nell' albero genealogico che abbiamo pubblicato nella pagina precedente.


BOX 3: C'è anche un prete fra i figli dei gerarchi nazisti

Il destino più curioso è quello di Martin Adolf Bormann junior, nato nel 1930, che è passato dalle ginocchia del suo padrino di battesimo Adolf Hitler all' inginocchiatoio della Chiesa cattolica di cui è diventato prete. E pensare che suo padre, braccio destro di Hitler, nel 1938 aveva escluso i sacerdoti dal partito nazista. Lui invece ha lasciato (da sinistra) la Chiesa, e nel 1971 si è sposato con un' ex suora. Ma che fine hanno fatto gli altri figli dei gerarchi con la svastica?
Wolf Rüdiger Hess (1937-2001) era nazista pure lui, convinto che la morte del padre nel carcere berlinese di Spandau nell'87 a 91 anni fosse opera degli inglesi.
Edda Goering, nata nel 1938, fu chiamata così in onore di Edda Ciano. Fotomodella spavalda, non ha rinnegato il passato. Anzi, ha cercato di riavere gli 800 quadri rubati in Europa dal padre.
Impunita pure Gudrun Burwitz Himmler, nata nel '29, figlia del capo delle SS. Ha fondato una rete di protezione per nazi, Stille Hilfe.

Wednesday, April 21, 2010

Fallaci: parla Rossella

COME ORGANIZZARE UNA FICTION SULLA GRANDE SCRITTRICE?

Oggi, 21 aprile 2010

«Farei interpretare la Fallaci da Maria Rosaria Omaggio. È incredibile come la voce profonda e roca con cui legge le sue pagine assomigli a quella di Oriana».

Carlo Rossella commenta il progetto di fiction Rai sulla grande scrittrice morta quattro anni fa. Presidente di Medusa film, giornalista e autore tv (Capri), lui l’ha conosciuta bene. Come raccontare la sua vita?

«Con flashback sulle tante e diverse fasi della sua incredibile esistenza, collegati dalla voce narrante della Omaggio. La prima volta che la incontrai, per esempio, nel ’73, fu a colazione da Sabatini a Firenze. Io ero con Pertini, allora presidente della Camera e non ancora della Repubblica, lei col suo uomo Panagulis. C’era stata una manifestazione per i profughi greci, fuggiti dalla dittatura dei colonnelli. E Oriana raccontava a Pertini di quando lei quattordicenne era staffetta partigiana contro i fascisti. Il padre fu catturato e torturato dai nazisti, e lei ci fece uno stupendo discorso ricordando la sua famiglia, lo zio Bruno giornalista, e come crebbe in quell’ambiente fra i libri, respirando i valori che l’avrebbero accompagnata per tutta la vita: cultura, democrazia, libertà».

Negli anni ’60 e ’70 la Fallaci fu un idolo della sinistra, con le sue cronache di guerra dal Vietnam e la Lettera a un bambino mai nato (il proprio). Dopo l’11 settembre 2001, invece, fu assai apprezzata a destra e disprezzata a sinistra.

«In realtà è sempre stata coerente con le proprie idee di anarchica e socialista libertaria. Detestava fascismo e comunismo perché amava la libertà dell’individuo. E ha capito che dopo la strage delle Due Torri il nazismo moderno è incarnato dai terroristi islamici. Ma già vent’anni prima, intervistando Khomeini, definì fascisti gli ayatollah dell’Iran. Lo ricordo perché ero a Teheran. I dirigenti iraniani volevano linciare ogni giornalista italiano dopo quella sua intervista. E noi a rispondere: “Ma l’ha scritta lei, che c’entriamo!”»

Qual era la caratteristica principale della Fallaci?

«La tenacia. Per questo, nel ruolo di lei giovane vedrei un’attrice volitiva. Come la francese Marion Cotillard, che è stata un’egregia Edith Piaf, oppure le italiane Giovanna Mezzogiorno, Laura Chiatti, Cortellesi... O Penelope Cruz, ma non ha il fisico giusto. La Fallaci era una tremenda rompicoglioni. Basta leggere il memorabile articolo che scrisse sull’Europeo sulla sua mancata intervista a Marilyn Monroe, dopo averla inseguita per mari e monti. Anche qui, un ricordo personale. Beirut, estate 1982. Ero lì da settimane per Panorama, a coprire la guerra in Libano. Arriva la Fallaci all’hotel Alexandra, nella parte cristiana di Beirut Est, dove proprio quel giorno un’esplosione aveva mandato in frantumi tutte le finestre. Io avevo ripulito la mia stanza, mentre lei strepitava alla reception perché la sua era ancora piena di vetri. Allora le offro la mia. Poi andiamo a cena con altri giornalisti italiani, Bernardo Valli e Sandro Viola di Repubblica, e lei scopre che conosco Bechir Gemayel, il capo cristiano appena nominato presidente del Libano. “Voglio intervistarlo”, mi ordina subito. Non le passa neanche per la testa che, se fosse stato possibile, lo avrei fatto io per il mio giornale. Vado comunque su a Broumana, al quartier generale falangista, e riesco a parlare con Bechir. Magari, data la fama internazionale di Oriana, avrebbe acconsentito a farsi intervistare da lei. E Gemayel, in effetti, non mi dice di no. “Però”, aggiunge, “ricordo l’intervista della Fallaci a Kissinger. È riuscita a demolirlo. Allora tu sarai la garanzia che non farà lo stesso con me”. Sorride, e mette mano alla pistola. Torno a Beirut. La Fallaci mi aspetta al bar dell’hotel davanti a un doppio Marie Brizard. Naturalmente le dico che l’intervista è impossibile. Lei comincia a urlare, mandandomi a quel paese e dicendomi di tutto».

Rapporti rotti?

«Neanche per sogno. Ero abituato. Oriana litigava sempre: nei ristoranti con i camerieri, sugli aerei con le hostess, con il presidente dell’Enel per spostare i tralicci troppo vicini alla sua casa toscana...»

E in Libano come finì la questione?

«Imprecando e telefonando a destra e a manca, Oriana cercò di intervistare Arafat. Niente da fare. Allora cambiò obiettivo: Sharon, incolpato della strage di Sabra e Chatila avvenuta pochi giorni prima. E ci riuscì, sdraiandosi letteralmente per strada davanti alla sua auto. Immaginate la scena: lei, signora ultracinquantenne e star internazionale, che blocca l’auto con scorta di Sharon. Il generale israeliano per ripartire dovette darle appuntamento il giorno dopo nel suo ufficio».

Così nacque l’ultima Intervista con la storia pubblicata sull’Europeo. Il cui fotografo, il fedelissimo Gianfranco Moroldo, si vantava di essere stato l’unico uomo capace di schiaffeggiarla.

«Sì, in Vietnam. Stavano salendo su un elicottero americano, e lei per questo cercò di portarlo davanti alla corte marziale. Ma lo rispettava. E qui si apre un altro grande capitolo della vita della Fallaci: gli amori. Che sono stati essenzialmente tre: il capo della France Presse a Saigon, con una storia alla Graham Greene; Alekos Panagulis morto nel ’76 e celebrato nel bestseller Un Uomo dell’80; e infine il misterioso parà protagonista un po’ proustiano di Insciallah dieci anni dopo. Ma il vero e unico compagno di letto di Oriana è stato il successo. Lei adorava il successo. Anche se diceva di lavorare al servizio dei lettori, per fare da mediatrice fra noi e i fatti, in realtà voleva essere la più grande scrittrice del mondo».

Dopo il ’90 altri undici anni di silenzio, fino all’esplosione di La Rabbia e l’Orgoglio.

«Sì, lo scrisse di getto dopo l’11 settembre. E fu un altro capolavoro. Senza dimenticare quelli che riassumono altri due capitoli importanti della sua vita: Se il sole muore, sulle imprese degli astronauti di Cape Kennedy lanciati alla conquista della Luna, e I sette peccati di Hollywood, con le interviste ai grandi attori. Rimase amica della Bergman e della Loren. Quest’ultima cercò inutilmente di convincerla a trasformare qualcuno dei suoi libri in un film. Un’altra amica che la visitava spesso nei lunghi anni della malattia a New York è Isabella Rossellini: gli autori della fiction dovrebbero sentirla».

Lei l’ha ancora frequentata e intervistata da direttore di Panorama otto anni fa. Era sempre intrattabile?

«Perfezionista fino all’ossessione. Controllava tutto, fino alle virgole delle didascalie. Mi spediva a comprarle le sigarette di notte a Manhattan. Era passata dalle Lark alle Nat Sherman, e finché il negozio di queste ultime era vicino a casa sua, all’altezza dell’hotel St. Regis, potevo andarci a piedi. Poi si spostò più giù sulla Quinta Avenue, e mi toccava prendere il taxi».

Insomma, ha sempre trattato anche lei da galoppino, oltre a ad avere insultato mezza Italia: dai politici ai direttori dei suoi giornali, fino agli amministratori delegati della propria casa editrice, la Rizzoli, che dovevano precipitarsi a New York per calmarla.

«La verità è che la Fallaci è stata una delle grandi italiane del secolo scorso. Speravo che la nominassero senatrice a vita. Lei ci avrebbe tenuto, credeva nella repubblica. Chi la interpreterà dovrà leggere parecchio, per introiettare il personaggio. Dovrà essere un’attrice colta. Perché Oriana l’abbiamo conosciuta in tanti. E se la fiction viene male mi arrabbio».

Mauro Suttora

Friday, April 09, 2010

Lugano, 15 aprile 2010

Libreria Melisa
Via Vegezzi, 4 Lugano (Svizzera)

GIOVEDI 15 aprile 2010 alle ore 18

Mauro Suttora giornalista/scrittore
parla del libro che ha curato:

"Mussolini segreto", i diari di Claretta Petacci 1932-38 (ed. Rizzoli, 2009)

introduce il giornalista Dedo Tanzi

Thursday, April 08, 2010

Rutelli andrà con Berlusconi?

Dopo il flop della sua Api potrebbe finire in braccio al premier

di Mauro Suttora

Libero, 8 aprile 2010

«Ah Berlusco’... Perché ce l’hai co’ mme? Io sto a lavora’ pe’ te! Ricordati deji amici! Di chi t’ha voluto bene!» Così Francesco Rutelli implorava Silvio Berlusconi nove anni fa, nell’indimenticabile satira di Corrado Guzzanti all’Ottavo Nano. L’avversario del Cavaliere alle politiche 2001, mandato allo sbaraglio in elezioni già perse, sembrava intento più a ingraziarselo che a combatterlo.

Oggi quella che sembrava soltanto una fantasia comica sta per diventare realtà: Rutelli finirà con Berlusconi. La sua Api (Alleanza per l’Italia), fondata pochi mesi fa, ha infatti ottenuto risultati deludenti al voto del 28 marzo. È riuscita a presentarsi in sole quattro regioni, raccattando il due per cento in Calabria e nelle Marche, il tre in Campania e il quattro in Basilicata, grazie a qualche capataz locale.
È vero, ha trionfato a San Nicola da Crisse (Vibo Valentia) con il 42%, e a Marcianise (Caserta) con il 23. Ma forse di queste percentuali c’è più da preoccuparsi che da rallegrarsi. In tutto il nord Api continua a voler dire solo Associazione piccole imprese. E nel resto d’Italia è una catena di pompe di benzina.

Così fra poco Rutelli compirà l’ottavo giro di valzer della sua carriera politica. Ricapitoliamo. Per quasi vent’anni radicale. Poi è cominciato il pellegrinaggio: verdi, Centocittà (movimento sindaci), Asinello con Prodi e Di Pietro, Margherita, Pd. Infine l’Api: doveva essere la grande scissione a destra del Pd, e invece quasi nessuno dei suoi lo ha seguito. Gentiloni, Realacci, Zanda e Giachetti sono rimasti con gli ex comunisti; Carra, Lusetti e la Binetti si sono rifugiati nell’Udc.

Ora mancano tre anni al prossimo contatto con la realtà (le elezioni), momento sempre più spiacevole per il bel Francesco. Quindi c’è tutto il tempo per «riposizionarsi» senza dare troppo nell’occhio. In fondo, se l’ex capo di uno schieramento passa dalla parte opposta, sarebbe come se Bush diventasse democratico, o Berlusconi socialista. Uno scandalo. Ma per Rutelli nulla è impossibile.

Ha già cominciato Francesco Carducci Artenisio, 47 anni, fedelissimo del Piacione quand’era sindaco di Roma: si è fatto eleggere consigliere regionale del Lazio nel listino personale di Renata Polverini. La quale potrebbe nominarlo assessore alla Cultura, così come Rutelli quand’era ministro dei Beni culturali lo fece amministratore delegato della società Cinecittà Holding (gran posto di potere nel superassistito cinema italiano).

Entro la fine dell’anno Pierferdinando Casini dovrebbe sciogliere la sua Udc e far nascere un non meglio precisato Pdn (Partito della nazione). Tramontato il sogno centrista di un rapido tramonto di Berlusconi, è svanito anche l’asse Casini-Fini-Montezemolo su cui Rutelli puntava. Non gli resta che accomodarsi nella «nuova» formazione centrista, contrattando buone posizioni per se e i pezzi di classe politica in cerca di ricollocazione che si porta appresso.

A quel punto, se Berlusconi com’è del tutto probabile nel 2011 sarà ancora saldamente al potere, attraverso Carducci le doti rabdomantiche di Rutelli potrebbero spingersi fino al Pdl. Come? L’ex compagno di lotte di Emma Bonino si farà portare fra le braccia del Cavaliere da colei che l’ha sconfitta: la Polverini. Per lo meno questo è il disegno della neogovernatrice del Lazio, secondo un articolo pubblicato ieri dal quotidiano Italia Oggi. Fantascienza? Figuriamoci: l’anno prossimo l’Italia festeggia i 150 anni. Ma il trasformismo dei suoi politici, dal «connubio» di Cavour a Depretis, ha più o meno la stessa età.

Wednesday, April 07, 2010

Terremoto, un anno dopo

BILANCIO: 40 MILA SENZATETTO SISTEMATI, 27 MILA RIENTRATI A CASA

L’Aquila, 2 aprile

di Mauro Suttora

Sono pochi o tanti i 7.300 abruzzesi che a un anno dal terremoto sono ancora costretti a stare in albergo? Tanti, se si paragona questa cifra ai terremoti precedenti. Soprattutto al Friuli, dove nel 1977, dodici mesi dopo il sisma quasi tutti i terremotati avevano un tetto, definitivo o provvisorio.

Ma in Abruzzo è differente. Per la prima volta è stata distrutta un’intera grande città, L’Aquila, che ha 80 mila abitanti e 20 mila studenti. In Friuli, Irpinia e Umbria furono colpite zone estese, ma non densamente popolate. E accanto a paesi di mille o cinquemila abitanti è facile ricostruirsi una casa o installare un prefabbricato. Impossibile invece riparare in tempi brevi L’Aquila con i suoi 170 ettari di centro storico.

«Che almeno ci concedano l’accesso alle nostre vecchie case, se non sono lesionate gravemente», urlano gli aquilani. Come nel resto d’Italia, se sono di sinistra danno la colpa a Silvio Berlusconi per quel che non ha fatto. Se sono di destra, invece, lo lodano per quel che ha fatto.

C.A.S.E, Map e roulottes

E cioè: 13.400 sistemati nelle Case, che non vuol dire solo «case», ma anche «Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili» (i burocrati non temono il ridicolo delle loro sigle). Poi ci sono i Map (Moduli abitativi provvisori), ovvero le casette di legno donate dalla Croce Rossa e installate dalla protezione civile di Trento, dove stanno in 4.300. E infine altri 15 mila ospiti di parenti e amici, in case o roulotte. Totale, compresi gli alberghi: quarantamila.
Un anno fa furono in 67 mila a rimanere senza un tetto. La differenza (27 mila), sono i fortunati che hanno potuto rientrare nelle proprie case, perché i danni sono stati lievi e riparabili.

«In tenda, ma al paese»

«Ma non è solo il problema di chi ha un tetto o di chi non ce l’ha: io, con la buona stagione, preferirei tornarmene in tenda al paese mio, accanto alla mia vecchia casa, piuttosto che stare in albergo sulla costa, a ottanta chilometri da dove lavoravo e avevo famiglia e amici, e a morire di noia», ci dice Settimio Antonelli, giardiniere di San Gregorio (L’Aquila). «Certo, qui è tutto pagato, vitto e alloggio, stiamo benissimo, fin troppo. Ma per quanto tempo?».

Il problema di Settimio è quello di altre decine di migliaia di abruzzesi: oltre alla casa, hanno perso anche il lavoro. Perché chi ha voglia di farsi potare il giardino della villa o di piantar fiori, oggi in Abruzzo? E come fanno a riaprire i negozi e i ristoranti dell’Aquila, nella zona rossa dove non si può neppure entrare?

Con l’arrivo della primavera sono fiorite le manifestazioni: prima quella «delle chiavi», con gli abitanti che volevano accedere alle proprie case; poi quella «delle carriole», per sollecitare almeno a sgomberare le macerie.
Nessuno s’illuda: tutti, dal sindaco di sinistra al presidente della regione di destra, non osano dirlo, ma sanno che prima di rivedere il centro dell’Aquila ci vorranno cinque anni. E nel frattempo, prefabbricati.

Coppito, cuore pulsante

Come quelli di Coppito, che da frazione della città si è trasformata nel suo cuore pulsante. Oppure Bazzano, dall’altra parte dell’Aquila, accanto a Onna. Qui una delle palazzine di tre piani con 28 appartamenti ciascuna inaugurate a novembre da Berlusconi con la fanfara è stata finanziata con due milioni e mezzo raccolti dal Corriere della Sera.

Gli italiani sono stati generosi con gli abruzzesi. Come mostriamo nella tabella qui sotto, sono stati 69 i milioni di euro raccolti dai privati. Solo una goccia, di fronte ai cinque miliardi che- si stima - costerà l’intera ricostruzione. Ma gocce preziose, perché raccolte una ad una con gli sms e i vaglia di ciascuno di noi.
Su questi fondi vigila l’ex presidente del Senato Franco Marini con un comitato di garanti. I tre milioni di Porta a Porta sono serviti a ricostruire l’asilo del paese martire di Onna.

Chiese e ambulatori

Una cinquantina di milioni sono stati affidati alla Protezione civile. Paganica avrà un ambulatorio/consultorio, a Pagliare di Sassa verrà costruito un centro per disabili, e nove milioni si ripristinerà la mensa di Celestino (dove i poveri mangiano gratis), la chiesa e il convento dei cappuccini.
Intanto molti ospiti degli alberghi sulla costa fanno i pendolari: ogni giorno in treno su e giù da Pescara all’Aquila. Per non morire di nuovo.
Mauro Suttora

Carlo Vallauri: "Mussolini segreto"

dal sito www.scenaillustrata.com:

CLARETTA PETACCI – MUSSOLINI SEGRETO (RIZZOLI, MILANO, 2009)

PAGINE INQUIETANTI SULLA VITA QUOTIDIANA DI MUSSOLINI dai DIARI 1932-1938
giovedì 25 marzo 2010
di Carlo Vallauri

AUTORE DEL LIBRO : a cura di Mauro Suttora

La pubblicazione del diario di Claretta (DIARI 1932-1938) offre al lettore pagine inquietanti sulla vita quotidiana del capo del governo italiano negli anni decisivi nei quali Mussolini modifica sostanzialmente le sue linee di politica estera, con l’aggressione all’Etiopia e l’alleanza con Hitler, che porteranno alla disastrosa guerra.

Come premessa gli eventuali dubbi sull’autenticità del “diario” vengono fugati dall’iniziale richiamo all’opinione di autorevoli studiosi degli Archivi di Stato, anche se appare sorprendente la sistematicità dell’intero scritto – giorno per giorno, per tanti anni – con la riproduzione “esatta” delle parole pronunciate dal “duce”. Ma presupposta come valida la “verità” del documento, su di esso esprimiamo alcune osservazioni.

Risulta allora che per tutti quegli anni, quasi quotidiani erano gli incontri e le conversazioni telefoniche (ora dopo ora) tra il grande capo e l’umile e devota innamorata che utilizza scaltramente quel rapporto per chiedere (ed ottenere) favori per il padre ed il fratello e contemporaneamente “sistemare” il marito (ufficiale di aeronautica), dal quale si separa. Con la giovinetta il maturo ma sempre aitante leader carismatico tiene a mantenere un incessante rapporto sessuale, di pieno appagamento, stando ai commenti immediati sull’esito di ogni “incontro” a palazzo Venezia o nel capanno della spiaggia di Castelporziano, messo a disposizione da Casa Reale.

Durante queste lunghe “sedute”, Mussolini parla soprattutto dei rapporti che egli ancora ha con altre due sue amanti che si trascina appresso (sin dentro Villa Torlonia) da anni ma che paiono a lui indispensabili più per ragioni psicologiche che di affetto, anche se una delle due signore asserisce che i suoi due figli sono la conseguenza di precedenti relazioni con il dittatore. Sono queste le pagine più noiose per la loro ripetitività ma anche specchio di una mentalità piuttosto ristretta rispetto alla rilevanza e grandiosità degli impegni governativi cui Mussolini avrebbe dovuto attendere.

Più interessanti appaiono le considerazioni man mano espresse sugli eventi politici in corso. Sotto questo aspetto è ancora più grave – rispetto a quanto già emerso in passato – la superficialità dei giudizi espressi su americani, inglesi e francesi, giudicati su stereotipi negativi, in base a considerazioni vacue, specchio di una incredibile ignoranza e disattenzione su situazioni reali da parte di uno dei “grandi” d’Europa in quella fase storica. Altrettanto affrettate e “leggere” le correlative opinioni sulla situazione interna italiana, ignorando – almeno sembra- il gran capo i dati concreti del paese rispetto alle esaltazioni continue del “bene” che, a suo avviso, il regime sembrava fare all’Italia tutta.

Di maggior rilievo umano sono le notizie desumibili sulle piccole vicende della vita a casa Mussolini, i rapporti con la moglie (la cui figura esce, a nostro avviso, come rafforzata nella sua personalità rispetto alle malefatte del marito), l’irrequietezza della figlia Edda, il disagio matrimoniale del figlio Bruno, vittima innocente delle scelte del padre, la compostezza del figlio Vittorio – peraltro già emersa in altri libri (da Zangrandi come di cineasti) – il metodico sistema di controllo e vigilanza attorno al capo del governo, che pure – a quanto si legge nel diario – circolava talvolta tra le persone comuni senza particolari scorte, a Roma e in Romagna. Nota “piccante” – la maggiore sorpresa del libro – la narrazione dell’incontro sulla spiaggia tra il Primo Ministro e la principessa Maria Josè ed i relativi commenti.

Veniamo ad altri oggetti di conversazione tra i due amanti: opinioni e valutazioni di film, spettacoli teatrali, come giudizi di Mussolini nei confronti della borghesia salottiera di Roma e il disprezzo che egli manifesta verso gli anti-fascisti che proprio in quell’epoca (1936-37) davano al fascismo lezioni di resistenza nelle carceri, al confino sino alla sconfitta inflitta in terra di Spagna dalle Brigate Internazionali ai legionari inviati dal governo di Roma in aiuto del gen. Franco.

Colpiscono altresì le affermazioni generiche sui problemi più gravi di quell’epoca, a cominciare dalla preparazione militare, ed è ciò che, a nostro avviso, emerge come il fattore più distruttivo della personalità del capo, per la sua assoluta trascuratezza – per tanti anni – nel corso delle sue vivaci giornate, rispetto alla vera situazione del paese. Sembra quasi impossibile constatare come vi fosse una totale disattenzione verso le preoccupazioni quotidiane della maggioranza degli italiani, quasi vivessero tutti nel regno di Bengodi.

Nessun libro scritto sul fenomeno storico del fascismo getta una luce tanto negativa sulla mente di quell’uomo, pure esaltato da Churchill e da Freud. Ai “nostalgici” tuttora esistenti dovrebbe essere resa obbligatoria la lettura di questo libro per liberarli dall’inganno perpetrato allora ad una intera generazione e di cui non pochi italiani sono ancora “prigionieri”.

Potremmo continuare su altre pagine rivelatrici di una mente incapace di comprendere ad es. il dramma degli ebrei quando ne vengono minate le esistenze, oltre alla conferma della risibile infatuazione per Hitler, conferma (dopo la precedente fase d’antipatia) della fragilità dei convincimenti di un uomo a cui sono state attribuite virtù quasi divine, ma a cui poteva soggiacere una povera illusa come Claretta, a sua volta finita vittima del suo stesso idolo. Ne escono meglio i figli di Mussolini, con la “normalità” delle loro vite, travolte dalla tragedia comune a tutti gli italiani.

recensione su www.scenaillustrata.com

Wednesday, March 31, 2010

Radicali, geniali perdenti

LE MOSCHE COCCHIERE DELLA SINISTRA

di Mauro Suttora

Libero, 31 marzo 2010

Negli stessi minuti in cui Emma Bonino ha perso per 77 mila voti la sfida laziale con Renata Polverini, una sua omonima trionfava: Emma Marrone, vincitrice di ‘Amici’ su Canale 5. Così ora sono tre le Emme nazionali: non va dimenticata la Marcegaglia di Confindustria.

Ma proprio in quei momenti dopo mezzanotte nei quali è apparso chiaro che i postfascisti ciociari e i reazionari reatini restituivano la transnazionale Emma B. al suo ambiente naturale (Bruxelles, New York, Davos, L’Aia), i radicali si erano già rialzati dal k.o.: riuniti nella loro sede nazionale dietro al Pantheon, ascoltavano Marco Pannella il quale, immune da depressioni e autocritiche, descriveva fino alle tre di notte le «iniziative di lotta che ci impegneranno da domattina».

È questa la terapia che i pannelliani adottano dopo ogni sconfitta: far finta di niente, e ricominciare immediatamente a macinare politica «contro il regime». Hanno fatto così l’anno scorso, quando per la prima volta dopo trent’anni sono stati eliminati dall’Europarlamento (colpa della tagliola veltroberlusconiana al 4%): il giorno dopo stavano già pianificando l’attuale voto regionale. È successo nel 2006, quando la rediviva Rosa nel pugno con i socialisti abortì in un pugno di mosche. L’allora segretario radicale Daniele Capezzone ripartì come un razzo a criticare il suo non ancora capo Berlusconi e, per par condicio, i propri (in teoria) allora alleati Prodi e Fassino. E fu così anche nel 2005, quando dopo la sconfitta del referendum sulla fecondazione assistita concepirono, appunto, la Rosa nel pugno.

È da sessant’anni che Pannella perde. All’inizio degli anni ’50 esordì già in minoranza nel Pli di Malagodi. Con Eugenio Scalfari se ne andò e fondò il partito radicale. Subito batoste: zero eletti al comune di Roma nel ’56, e due anni dopo alle politiche l’1,4%, ma con il Pri. In pratica, votarono per loro solo i lettori dei due settimanali «laici»: Il Mondo e L’Espresso. Non domi, i radicali da allora hanno sempre preteso di dettare la linea politica a tutti (Pci, Psi, Pri, Pli, Psdi) dall’alto del nulla del proprio consenso popolare. «Mosche cocchiere»: così, citando la favola di Fedro, Togliatti liquidava gli intellettuali che volevano comandare, o almeno consigliare e ammonire i capi, senza però sporcarsi le mani con il «sangue e merda» (© Rino Formica) della politica reale, dei voti conquistati porta a porta nelle periferie (anche a Frosinone), del contatto con le miserie della gente e i suoi vizi. Perché il vizio di tutti gli idealisti illuminati d’Italia, da Pisacane al partito d’Azione a Ugo La Malfa, è sempre stato quello che gli scienziati della politica definiscono «minoritarismo».

Ancor oggi, i radicali sono onestamente convinti di aver ragione pur essendo una microminoranza. Vendola è riuscito a strappare il 10% per il suo partitino in Puglia, sull’onda della vittoria personale? I radicali in Lazio si sono fermati al solito tre per cento, nonostante il traino della Bonino.

Nel ’99 Emma & Marco agguantarono il loro unico successo: otto per cento alle europee con punte del 18% in varie città del nord, secondo partito dopo Forza Italia. Allora stavano a destra, liberali e liberisti. Poi però non si accordarono con Berlusconi, e ripiombarono alle percentuali abituali. Chiunque, al loro posto, si sarebbe ritirato da un pezzo. Loro invece, geniali e coriacei, ora vogliono insegnare al povero Bersani come guidare il Pd. Perché solo i radicali sono il sale della democrazia, i partigiani della legalità. Non per nulla stanno dietro al Pantheon, casa di «tutti gli dei».

Mauro Suttora

Thursday, March 25, 2010

Regionali 2010

ELEZIONI: SCEGLIAMO I GOVERNATORI FINO AL 2015

La sfida cruciale è quella tra Bonino e Polverini nel Lazio. Ma i candidati curiosi sono tanti: patron di Formula Uno, igieniste dentali, celebri campioni mondiali...

di Mauro Suttora

Oggi 31/03/2010

Tutti gli occhi puntati sul Lazio: è questa la sfida decisiva delle regionali. Perché nella prima Regione d'Italia, la Lombardia, i sondaggi danno Roberto Formigoni sicuro vincitore. Mentre a Roma la gara fra Emma Bonino e Renata Polverini sarà al fotofinish. Scontate le vittorie del centrosinistra nelle Regioni rosse (Emilia, Toscana, Marche, Umbria) e del centrodestra in Veneto, sarà importante vedere chi ce la farà in Piemonte , Liguria , Campania. La Puglia è l'unica regione in cui la supremazia di Pd e Pdl sarà minacciata da un terzo incomodo. Non perché Adriana Poli Bortone (ex An, oggi Udc) possa arrivare prima, ma perché i suoi voti sottratti all'uno o all'altro schieramento determineranno il vincitore.

Anche in Calabria l'imprenditore antimafia Filippo Callipo, sostenuto da Italia dei Valori e dai Radicali, potrebbe essere una sorpresa. Nelle tre Regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Liguria) sarà importante vedere anche chi sarà il primo partito fra Pdl e Lega. Quest'ultima avrà due governatori, se Roberto Cota dovesse prevalere su Mercedes Bresso in Piemonte. Negli ultimi giorni di campagna elettorale il grande sforzo dei partiti è stato quello di convincere i propri elettori ad andare a votare, piuttosto che cercare di far cambiare idea a qualche avversario.

ASTENSIONI DECISIVE
La partita, infatti, verrà decisa dal grado di astensione che colpirà l'uno o l'altro campo. Nei consigli regionali non ci sono personalità di grande spicco. Lo stipendio tuttavia è ottimo: più di 10 mila euro al mese netti, considerando tutti i benefit. E senza la necessità di trasferirsi a Roma, cosa che comporta maggiori spese per i parlamentari. Per questo, nei piani intermedi della «casta» politica, la poltrona di consigliere regionale è ambita. Soprattutto quando non bisogna farsi propaganda per la preferenza. È questo il caso dei fortunati inseriti nel «listino» dei candidati governatori, eletti automaticamente in caso di vittoria.

Per loro la vera campagna elettorale c' è stata al momento della definizione delle liste. E gli avversari erano gli altri aspiranti del proprio partito al posto garantito. Alla fine ce l'ha fatta chi è nelle grazie del capo. Così in Lombardia è candidata (o meglio: già eletta) Nicole Minetti, 25enne ex ballerina e igienista dentale di Silvio Berlusconi. Il premier l'ha apprezzata come assistente del dentista che l'ha curato dopo l'aggressione subita in piazza del Duomo lo scorso dicembre.

Polemiche ha suscitato, nel campo avverso, l'imposizione da parte di Antonio Di Pietro di Maruska Piredda, 32 anni, ex hostess Alitalia anche lei nota più per la sua bellezza che per l'esperienza politica. La Piredda è stata paracadutata sia in Liguria, sia in Lombardia. Il 28 e 29 marzo non si vota solo per le Regioni. In ben 463 Comuni si elegge il sindaco. Venezia, Mantova, Lecco, Lodi, Macerata, Chieti, Andria, Matera e Vibo Valentia sono i nove capoluoghi che vanno alle urne.

Si voterà anche a Faenza (Ravenna), città di 58 mila abitanti dove scende in campo Giancarlo Minardi, 62 anni, fondatore della scuderia che per vent'anni ha gareggiato in Formula Uno, prima di lasciare il campo alla Toro Rosso che sta conseguendo buone prestazioni. Minardi sarà candidato del Pdl in una roccaforte «rossa», dove i l centrosinistra sbaraglia abitualmente gli avversari con i due terzi dei voti. Mission impossible? «I sondaggi non mi danno ancora per vinto», risponde l'imprenditore, faentino doc. E spera: «Il fatto di essere un indipendente dovrebbe garantirmi i consensi in più necessari per vincere»

Altri candidati vip affollano le liste. Vittorio Agnoletto, candidato governatore della Federa zione del la si n ist ra (Rifondazione più Comunisti italiani) in Lombardia, presenta Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia e il comico Paolo Rossi. L'astrofisica Margherita Hack (ultimo libro: Libera scienza in libero stato) corre a Roma per la stessa formazione.

FISIOTERAPISTI E GEOMETRI
Il figlio di Umberto Bossi è candidato per la Lega a Brescia, mentre quello di Antonio Gava (e nipote di Silvio) ci prova a Napoli col Pdl. In Lombardia Berlusconi schiera il fisioterapista del Milan Giorgio Puricelli, 44 anni, e il proprio geometra Francesco Magnano, 59. Il centrosinistra lombardo di Filippo Penati risponde con un grande del ciclismo: Gianni Bugno, campione del mondo nel ' 92 e ' 93. Comunque vada, il premier Berlusconi il 30 marzo tirerà un sospiro di sollievo: per tre anni, fino al 2013, non sono più previste elezioni generali importanti. Potrà governare in pace, a meno di scivoloni o catastrofi.

Mauro Suttora

Monday, March 22, 2010

L'allarme dei ricattati

"La BUROCRAZIA È TANGENTE LEGALIZZATA"

di Mauro Suttora

Peggio di Tangentopoli? Secondo alcuni, oggi in Italia c'è più corruzione che nel 1992. Anche perché prima i politici agivano soprattutto per finanziare i propri partiti e correnti, mentre ora il sospetto è che molti rubino per sé (nella foto sotto, i carabinieri hanno immortalato il dirigente dell'ospedale Cardarelli di Napoli mentre incassa la bustarella ). «La corruzione sta facendo marcire il Paese», avverte Paolo Galassi, presidente dei piccoli-medi imprenditori di Confapi, «o si cambia musica, o andiamo tutti a fondo». La cosa più preoccupante è che ormai le imprese straniere scappano dall'Italia. Non investono più qui: troppe tangenti, oltre che troppa burocrazia, troppe tasse, troppa lentezza, e mezzo Paese (da Roma in giù) che sembra in ostaggio della mafia.

«La burocrazia messa in piedi dagli amministratori è una forma di tangente legalizzata imposta alle imprese. Se si moltiplicano le consulenze obbligatorie, commissioni e controcommissioni per valutare progetti e fare collaudi, si creano solo impedimenti inutili per far lavorare gli amici. E nessun magistrato può contestare nulla, tutto sembra regolare». Galassi è drastico: «Spesso i politici hanno un solo obiettivo: perpetuare il sistema inefficiente e corrotto per gestire il consenso».

episodi di corruzione negli ultimi due mesi, con la data:

SAVONA (3.2) SOLDI NEGLI SLIP
La figlia di un costruttore sorpresa mentre porta a Montecarlo 270mila euro negli slip. L'accusa è per una tangente da 50 mila euro a Stefano Parodi, Pdl, presidente del consiglio provinciale di Savona.

GENOVA (21.1) MENSE SCUOLE E OSPEDALI
Sette fra dirigenti Asl e politici locali accusati di aver pilotato appalti per mense: 22 milioni di euro nelle scuole di Genova e 14 per ospedali di Genova. Reati: corruzione, turbativa d'asta, fatture false.

MADDALENA (OLBIA) (13.2) PROTEZIONE CIVILE
Quattro arrestati e 27 indagati per corruzione sui 910 milioni di appalti al G8 della Maddalena, ai Mondiali di nuoto Roma, e per il 150° dell'unità d'Italia. Costi gonfiati del 50% alla Protezione civile.

MILANO (13.2) TANGENTE EDILIZIA
Milko Pennisi (Pdl), presidente Commissione urbanistica Comune Milano, arrestato in flagrante
mentre prende da un costruttore 5mila euro nascosti in un pacchetto sigarette.

VERCELLI (12.2) DISCARICA NELL'EX CAVA
Renzo Masoero (Pdl), presidente della provincia di Vercelli, avrebbe preteso una mazzetta di 10mila euro da un imprenditore per appalti di un'ex cava ora discarica a Livorno Ferraris (Vc).

PAVIA (13.1) MILIONI A MONTECARLO
Rosanna Gariboldi (Pdl), assessore provinciale di Pavia e moglie del deputato Pdl Giancarlo Abelli, patteggia due anni di carcere e fa rientrare 1,2 milioni dal suo conto a Montecarlo.

VARESE (19.2) FISCO CORROTTO
Arrestato in flagrante Massimiliano D'Errico, 41 anni, capo Ufficio antifrode dell'Agenzia delle Entrate, mentre prendeva 15mila euro richiesti a un imprenditore per "aggiustare" un controllo.

PESCARA (19.2) CLINICHE
Incriminato Ottaviano Del Turco (Pd), ex presidente Regione Abruzzo, per presunte tangenti di 15 milioni di euro pagate da Vincenzo Angelini, re delle cliniche.

NAPOLI (20.2) OSPEDALE CARDARELLI
Arrestato in flagrante Giuseppe Mongirulli, 58 anni, funzionario dell'ospedale Cardarelli, mentre intasca bustarella da 14 mila euro da imprenditore per installare impianti audio-video

MILANO (dicembre 2009) SPOT TV
Pier Gianni Prosperini (Pdl), assessore della regione Lombardia per Sicurezza e Turismo, in carcere per 230 mila euro su conto svizzero Ubs, pagati da Raimondo Lagostena, imprenditore tv.

REGGIO EMILIA (24.2) FORMAGGIO PARMIGIANO
Indagato Antonio Baldassarre, ex presidente Corte Costituzionale e Rai, per concorso in millantato credito. Un ex assessore di Reggio Emilia avrebbe assicurato il suo interessamento per fermare verifiche fiscali a grossisti di formaggio grana.

TREZZANO (MI) 23.2 'NDRANGHETA BIPARTISAN
In cella Tiziano Butturini, ex sindaco Pd di Trezzano (Milano) e il consigliere Pdl Michele Iannuzzi. Il costruttore Alfredo Iorio, sospeso dall'attività per collusione con una cosca, avrebbe pagato tangenti.

ROMA (28.12.09) STIPENDIO MENSILE
Arrestato in flagrante Giuseppe M., 59 anni, responsabile del centro clinico La Mongolfiera, mentre incassa i 900 euro mensili pretesi da una cooperativa convenzionata con la Asl.

ANCONA (26.1) IN BIGLIETTI DA 500
Al geometra capo di Camerano (Ancona) 19 mila euro per una lottizzazione, in biglietti da 500. Pagò un suo Suv con biglietti dello stesso taglio.

BARI (8.1) POLTRONE IKEA
Giovanni Micunco, comandante dei Vigili del fuoco, finito ai domiciliari per concussione, truffa e falso. Venti poltrone Ikea, cene e traslochi gratis e altri favori in cambio di certificati antincendio.

SAVONA (20.12.09) BUSTARELLA IN TASCA
Franco Causo, 57 anni, ispettore Asl e assessore di Cairo Montenotte (Savona), arrestato con in tasca la busta per ispezioni compiacenti a uno stabilimento industriale.

ENNA (1.1.10) MARITARE LA FIGLIA
Filippo Faraci, capo dell'Ufficio tecnico della provincia, vittima di una registrazione in cui spiegherebbe che per pagare il matrimonio della figlia ha dovuto chiedere una tangente.

NAPOLI (10.2.10) FINANZIERI NEI GUAI
Due ufficiali della Guardia di Finanza di Pozzuoli (Na): 30mila euro in contanti, ma anche in buoni benzina, per accomodare le loro indagini.

SASSARI (10.2) 1.500 EURO A PATENTE
I quiz del test si potevano conoscere prima dell'esame, in cambio di 1.500 euro. Così si sono patentati in 150, grazie a funzionari della Motorizzazione. Due autoscuole e 40 indagati.

ROMA (24.2) IVA SUI TELEFONI
Maxitruffa da due miliardi di euro di false fatturazioni. Coinvolte le società Fastweb e Sparkle Telecom con i manager Silvio Scaglia, Stefano Parisi e Riccardo Ruggiero. Il senatore Pdl Nicola Di Girolamo, eletto nella circoscrizione estero, è sospettato di essere un referente della 'ndrangheta.

NUMERI:
2.154: denunce per abuso d'ufficio, corruzione e concussione nel 2009
+229%: aumento sul 2008
69: milioni di euro persi dallo Stato in un anno (stima Corte dei conti)

Dacci oggi la nostra tangente quotidiana

UN PAESE DI LADRI? DALLE ALPI ALLA SICILIA, LE INCHIESTE DEGLI ULTIMI DUE MESI

Dalla vicenda della Protezione civile a quella della maxitruffa sull' Iva: ogni giorno un nuovo scandalo. Come mai? «Colpa della crisi», dicono gli esperti

di Mauro Suttora

Oggi, 10 marzo 2010

La più spettacolare è stata la figlia del costruttore genovese 75enne Pietro Pesce: stava portando a Montecarlo 270 mila euro nascosti negli slip. Fermata alla frontiera, multata per 100 mila euro. Non doma, ha depositato il resto su un conto intestato a una società delle isole Vergini. Sul quale transitavano milioni di euro. E il 3 febbraio la procura ha ipotizzato che al presidente del consiglio provinciale d i Savona, Stefano Parodi (Pdl), che nega, ne siano finiti 50 mila. Il 13 febbraio Milko Pennisi (Pdl), presidente della Commissione urbanistica al Comune di Milano, si è fatto beccare in flagrante mentre incassava 5 mila euro (seconda rata di una mazzetta da 10 mila) dal costruttore bresciano Mario Basso: dieci banconote da 500 infilate in un pacchetto di sigarette.

15 MILA EURO A VARESE

Nei giorni seguenti, notizie di truffe di ogni tipo: dal megascandalo della Protezione civile (appalti sospetti per 910 milioni sui «Grandi eventi») ai 15 mila euro intascati a Varese da Massimiliano D'Errico, capo Ufficio antifrode dell'Agenzia delle Entrate; dai 2 miliardi di Iva che sarebbero stati evasi da Fastweb e Telecom Sparkle, con il coinvolgimento del senatore Nicola Di Girolamo (Pdl), ai mafiosi della ndrangheta calabrese che in perfet to stile bipartisan, secondo i magistrati, pagavano sia l'ex sindaco di sinistra, sia un consigliere comunale di destra a Trezzano sul Naviglio, nell'hinterland milanese.

Dacci oggi la nostra tangente quotidiana. Nella cartina dell'altra pagina abbiamo raccolto un elenco (solo parziale) degli episodi di corruzione che sarebbero stati scoperti negli ultimi due mesi. Fatta salva la presunzione di innocenza, ogni giorno una notizia di reato, un'inchiesta aperta, una chiusa (quella in Abruzzo contro l'ex governatore Pd Ottaviano Del Turco), una sentenza definitiva (il patteggiamento di Rosanna Arnaboldi di Pavia, che ha restituito un milione e 200 mila euro), un'intercettazione. Sospetti perfino sul voto via sms per il Festival di Sanremo. Impressionante. Che cosa succede? Siamo diventati un Paese di mascalzoni? O non abbiamo mai smesso di esserlo?

«In questo mondo di ladri...», cantava Antonello Venditti, poco tempo prima di Tangentopoli. Oggi l'inchiesta Mani Pulite è appena diventata maggiorenne, Bettino Craxi è morto, l'ex magistrato Antonio Di Pietro guida il secondo partito dell'opposizione. Ma questi 18 anni non sembrano essere passati. «Le denunce per corruzione, concussione e abuso d'ufficio sono aumentate del 229 per cento nel 2009», ha appena tuonato il presidente della Corte dei Conti. Sono state 2.154: sei al giorno, compresi sabati e domeniche. E hanno provocato un danno allo Stato per 68 milioni.

VESCOVI CONTRO I CORROTTI

Se ne sono accort i anche i vescovi italiani, che hanno scritto un durissimo documento contro le «classi dirigenti inadeguate» e corrotte, soprattutto al Sud. Perfino il premier Silvio Berlusconi, sempre aggressivo contro i magistrati, sembra essersi reso conto del pro blema, e sta preparando una nuova legge anti-corruzione. Salvo, pochi giorni dopo, lanciarsi di nuovo in critiche contro le intercettazioni telefoniche.

MENO SOLDI, PIÙ DENUNCE

«Ma senza le intercettazioni molte di queste inchieste non sarebbero andate avanti», avvertono i giudici. Spiegano da Berlino gli esperti di Transparency International , che nell'ultima classifica sui Paesi più corrotti del mondo ha messo l'Italia al 63° posto, dietro al Botswana : «L'impennata delle denunce non significa di per sé che la corruzione sia aumentata. Chi soggiace alle richieste di pizzo non sempre denuncia. Perché finché i soldi girano, molti imprenditori possono trovare conveniente "ungere" le ruote per aggiudicarsi un appalto. Ma in tempi di crisi, nessuno vuole più essere preso per la gola. I margini di guadagno si assottigliano per tutti. Così politici e i pubblici ufficiali corrotti non possono continuare a pretendere come prima».

Insomma, sarebbe la mancanza di soldi a spingere, se non all'onestà, almeno a una parziale bonifica. L'insofferenza aumenta, e i taglieggiati si ribellano. Anche Mani Pulite, a pensarci bene, arrivò nel 1992, dopo la crisi economica della prima guerra del Golfo. Per la verità, dopo l' arresto di Pennisi a Milano la Proc u ra sperava che altri imprenditori si facessero avanti denunciando i tangentari, in un sistema che si presume diffuso. Ma finora non ci sono state altre «trappole» per cogliere in flagrante politici e funzionari. Lo scandalo della Protezione civile, semmai, dimostra che i modi di incassare favori si sono diversificati. Troppo rischioso farsi accreditare grosse cifre, anche su conti esteri che prima o poi vengono scoperti (anche se, confidando nella lentezza delle indagini, si può contare sulla prescrizione). E troppo semplice ricorrere ai conti di mogli, cognati, figli, parenti e amici.

Emerge quindi la tangente del Terzo millennio: quella in natura. Tanti piccoli favori «spezzettati»: dall' assunzione del figlio alla consulenza da 100 mila euro; dalla ristrutturazione edilizia della casa in campagna alle prostitute in hotel e alle «massaggiatrici» nei centri sportivi. Fino ai classici orologi da 10 mila euro e alle auto di lusso da 70 mila. Un « sistema gelatinoso», come lo hanno definito gli investigatori, difficilissimo da individuare se non attraverso le intercettazioni.

ALLARME: MAFIA AL NORD

Ma l'aspetto più preoccupante delle nuove corruzioni del 2010 è il grosso peso della 'ndrangheta. Che ormai, come si è visto, riesce a eleggere parlamentari e a controllare interi Comuni pagando politici e dirigenti sia a destra, sia a sinistra. «La palma va a Nord», ammoniva lo scrittore Leonardo Sciascia trent' anni fa: la mafia ricicla e investe in tutta Italia.

"GUADAGNO DUE MILIONI E MEZZO"
Angelo Balducci, 62 anni, vice di Bertolaso per i Grandi eventi. In carcere ha detto: «Guadagno due milioni e mezzo all' anno, perché dovrei rubare?».

FATTURE RICICLATE PER ANNI E ANNI
Nicola Di Girolamo, 49 anni, senatore Pdl eletto all' estero (circoscrizione Europa): si è dimesso per il coinvolgimento nell' inchiesta sulla maxitruffa Fastweb-Telecom Sparkle.

5.000 EURO CON SIGARETTE
Milko Pennisi, 46 anni, arrestato: ha preso la «stecca» in un pacchetto di sigarette.

NDRANGHETA BIPARTISAN
Tiziano Butturini, 53, ex sindaco Pd di Trezzano (Mi): la ' ndrangheta avrebbe pagato anche il Pdl.

LO "SCERIFFO" NEI GUAI
Piergianni Prosperini, 63, assessore Regione Lombardia: appalti in cambio di spot tv?

IL SENATORE CON IL BOSS
Il senatore Di Girolamo (a destra) posa col boss della ' ndrangheta Franco Pugliese, 53, arrestato a Isola Capo Rizzuto e ritenuto vicino alla cosca Arena, in una foto pubblicata da L' Espresso . Pugliese avrebbe raccolto voti per Di Girolamo fra gli emigrati calabresi. Per la truffa Fastweb è stato arrestato Silvio Scaglia. Indagato anche l' ex presidente di Telecom Sparkle, Riccardo Ruggiero.

Mauro Suttora

Monday, March 15, 2010

recensione Eco di Bergamo

CLARETTA PETACCI: "MUSSOLINI SEGRETO"
a cura di Mauro Suttora

1 febbraio 2010

Tre i livelli di lettura di 'Claretta Petacci. Mussolini segreto' (Rizzoli, pagg. 533, euro 21) a cura di Mauro Suttora, giornalista del Gruppo Rizzoli Corriere della Sera.
Il volume rappresenta solo una parte dei diari dell'amante del Duce, quelli scritti dal 1932 al 1938 e ora liberati dal segreto di Stato. Ebbene, possono intrigare sia per la vicenda privata (quasi in 'diretta', con i suoi risvolti anche da vaudeville), sia per il contesto storico delle cronache quotidiane che svelano un Mussolini decisamente razzista e antisemita, sia per il dubbio lanciato nella prefazione da Ferdinando Petacci, nipote dell'amante del Duce, che vive da tempo in Arizona.

Quando aveva tre anni e mezzo Ferdinando viaggiò nelle stesse automobili che il 27 aprile del 1945 portarono suo padre e il capo del fascismo con Claretta incontro alla morte. Da allora si è sempre chiesto: perché lo Stato italiano ha fatto scendere il silenzio sugli scritti di sua zia? Claretta Petacci era solo un'amante, oppure una spia degli inglesi? O, addirittura, insieme al fratello Marcello, "collaborarono con Mussolini per arrivare a una pace separata con l'Inghilterra"? La merce di scambio sarebbe stato il carteggio tra il Duce e Winston Churchill, "molto compromettente per il premier britannico"...

Dal primo livello di lettura si coglie un Mussolini involontariamente caricaturale: un amante che ogni ora è costretto da una Claretta gelosissima a testimoniare il suo amore per telefono, mentre è un uomo profondamente infedele che pensa soprattutto ad apparire forte, virile (ma frigna che gli stivaloni, indossati per avere un aspetto più 'macho', lo fanno soffrire molto) e terrorizzato dall'età che avanza. Recrimina contro la moglie Rachele e indulge con alcune vanterie erotiche: sostiene che Maria Josè di Savoia, moglie del principe Umberto, avrebbe tentato di sedurlo...

Quanto al contesto storico, emergono responsabilità precise. Se riguardo all'omicidio di Matteotti si lamenta solo per i dolori dell'ulcera provocati dalle reazioni dell'opposizione a questo efferato delitto, ecco altre 'perle' del Mussolini-pensiero: "Hitler è un sentimentalone. Questo Papa (ndr Pio XI, Papa Ratti che difende gli ebrei) è nefasto, l'entusiasmo degli italiani è un'apparenza, li conosco bene".
E ancora "Porci ebrei, popolo destinato a essere trucidato completamente": Mussolini pronuncia questa frase, pesante come un macigno, il LunedÏ dell'Angelo 1938, nel suo studio a palazzo Venezia di fronte a Claretta.
Il 4 agosto 1938 - venti giorni prima è uscito il 'Manifesto della razza' - mentre i due amanti sono in barca, così Mussolini si vanta: "Io ero razzista dal '21. Non so come possano pensare che imito Hitler, non era ancora nato. Mi fanno ridere. Bisogna dare il senso della razza agli italiani, che non creino dei meticci, che non guastino ciò che c'è di bello in noi"...

Ines Turani

Wednesday, March 03, 2010

Scandalo Protezione civile

TROPPI EVENTI PER GUIDO BERTOLASO

Il vice del sottosegretario e altri tre in carcere, 23 indagati. L’accusa: gonfiavano le cifre dei lavori, favorivano gli amici, incassavano favori di ogni tipo (anche a luci rosse).
Così quello quello che era considerato un modello di efficienza è finito nel fango. Perché si è accollato compiti non suoi, con appalti controllati da «birbantelli»

di Mauro Suttora

Oggi, 19 febbraio 2010

Maledetta Pratica di Mare. Questo deve avere pensato Guido Bertolaso, sottosegretario alla Protezione civile, di fronte alle 20.267 pagine dell’inchiesta che sta scuotendo la politica italiana. E che ha danneggiato anche la sua finora ottima immagine, a causa dell’avviso di garanzia ricevuto.

Fu infatti dopo avere perfettamente organizzato il vertice Nato di Pratica di Mare nel 2002 che Bertolaso conquistò la completa fiducia di Silvio Berlusconi. Il quale, da allora, ha affidato alla Protezione civile una quantità enorme di compiti: costruzione di alberghi per riunioni G8, edificazione di piscine e stadi per campionati di nuoto e ciclismo, smaltimento spazzatura, gestione aree archeologiche, distribuzione di indennizzi, restauro monumenti, anniversari storici...

Tutto senza gare d’appalto, a trattativa privata. Per velocizzare la burocrazia risultava comodo, e probabilente giustificato, invocare l’«emergenza» e saltare molti vincoli. Ma i cosiddetti «Grandi eventi», con appalti miliardari e scarsi controlli (anzi, sul G8 della Maddalena era stato apposto addirittura il «segreto militare»), hanno attirato gli appetiti di qualche «birbantello», come ora li chiama il premier Berlusconi.

Indagini dei carabinieri

In carcere sono finiti in quattro: il vice di Bertolaso per i Grandi eventi Angelo Balducci, il dirigente della Protezione civile Mauro Della Giovampaola, il costruttore romano Diego Anemone e il provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis. Le indagini dei carabinieri, durate due anni con pedinamenti, foto e intercettazioni, sono partite da Firenze. E toscano è il politico indagato (per concorso in corruzione) più importante: Denis Verdini, coordinatore nazionale del Popolo delle libertà.

L’inchiesta è passata prima a Roma per competenza territoriale, e ora a Perugia per il coinvolgimento di un magistrato romano: Achille Toro, procuratore aggiunto, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, con il figlio commercialista Camillo, riguardo agli appalti dei Mondiali di nuoto 2009 a Roma. Toro si è dimesso dalla magistratura.

«Asservimento totale»

Secondo il gip Rosario Lupo, che ha convalidato gli arresti chiesti dalla procura di Firenze, il sistema funzionava così: «Balducci e De Santis, pubblici ufficiali incaricati della gestione dei “grandi eventi“ insieme a Mauro Della Giovampaola, hanno asservito la loro funzione (alquanto delicata, dati gli enormi poteri e i rilevantissimi importi di denaro) in modo totale e incondizionato agli interessi dell’imprenditore Diego Anemone (e non solo: fra gli altri, i costruttori Francesco De Vito Piscicelli e Riccardo Fusi). Tale asservimento veniva retribuito con vari benefit, anche di grande rilevanza patrimoniale: utilità indirizzate ai tre pubblici ufficiali, e a loro parenti e amici. In particolare, Anemone si metteva a disposizione per risolvere ogni esigenza, anche la più banale».

In cambio la società di Anemone, pur dichiarando solo 27 dipendenti, si è aggiudicata per trattativa privata la fetta più grossa dei lavori da 300 milioni per il G8 nell’isola della Maddalena (Olbia-Tempio), magicamente lievitati a 370 milioni nel giro di pochi mesi.

Naturalmente ci vogliono prove per dimostrare che esiste un sistema di corruzione, ma alcune intercettazioni sono inquietanti. Scrivono gli inquirenti: «Le disponibilità di Anemone a soddisfare qualsivoglia esigenza di De Santis e di Della Giovampaola si è spinta fino al punto di procurare ai medesimi, per il tramite del fedele collaboratore Simone Rossetti (gestore del Salaria Sport Village di Roma), più prostitute con le quali i pubblici ufficiali si sono intrattenuti, a spese del gruppo medesimo».

«Robetta da tangenziale»

Il 18 ottobre 2008 Anemone chiede a Della Giovampaola in quale albergo di Venezia mandare le escort. Lui risponde Gritti Palace, ma precisa che vuole ragazze selezionate: «Siccome è roba a sei, quasi sette stelle, dev’essere tutto equivalente... Perchè non è che arrivino due stelline del cazzo, anche perchè se no non le fanno entrare... lì ci sono tutti i marmi... i dipinti...». Il «premio» alla fine costerà ad Anemone 4000 euro, ma i beneficiari si lamenteranno perchè le ragazze non erano all’altezza: «‘Na robetta da tangenziale...»

Il sistema è definito «gelatinoso» non dagli investigatori ma dagli stessi protagonisti, in una delle tante loro telefonate: «Il mio ragionamento è questo... Loro stanno immersi in un liquido gelatinoso che è al limite dello scandalo». Altre definizioni senza mezzi termini degli intercettati: «Cricca di banditi», «Task force unita e compatta», «Squadra collaudatissima», «Combriccola». E i suoi componenti: «Bulldozer», «Veri banditi», «Gente che ruba tutto il rubabile», «Persone da carcerare».

Secondo il gip, sono almeno cinque gli appalti pilotati da Balducci e «combriccola» della Protezione civile: «Stadio del tennis del Foro Italico e museo dello sport di Tor Vergata (Mondiali di nuoto); aeroporto di Perugia (Celebrazioni 150 anni Unità d’Italia); Palazzo della conferenza e area delegati e residenza Arsenale (G8 all’isola della Maddalena)».

Il prezzo della corruzione sarebbero ristrutturazioni di case, auto di lusso, assunzioni di domestici e figli, favori sessuali a domicilio.
Scrive il gip: «Angelo Balducci: utilizzo di due utenze cellulari; personale di servizio nella proprietà di Montepulciano; uso di autovettura Bmw serie 5; messa a disposizione di Rosanna Thau (moglie di Balducci) di una Fiat 500; fornitura di mobili (un divano e due poltrone) per Montepulciano...»

«Bmw da 71mila euro»

Continua l’elenco: «Esecuzione di lavori di manutenzione e riparazione nelle case di Roma e Montepulciano; assunzione di Filippo Balducci (figlio di Angelo); messa a disposizione di Filippo Balducci di auto Bmw da 71mila euro; lavori di ristrutturazione per l’appartamento di Filippo Balducci a Roma con fornitura di arredo in legno e tessuti; viaggi in aerei privati; numerosi soggiorni su sua richiesta all’hotel Pellicano di Porto Santo Stefano...»
E così via, per altre 20mila pagine che descrivono una certa Roma contemporanea. Così simile a quella di duemila anni fa: basso impero.

Mauro Suttora

Monday, March 01, 2010

Radicali e popolo viola

GARANTISTI O GIUSTIZIALISTI?

di Mauro Suttora

Libero, 28 febbraio 2010

Che c’entrano Emma Bonino e Marco Pannella con il «popolo viola»? Che ci facevano ieri i radicali in piazza a Roma assieme ai cascami dell’ultrasinistra, ai residuati comunisti, alle tricoteuses che da quindici anni sognano la ghigliottina per Silvio Berlusconi?

Davvero la politica impone inversioni a U così spregiudicate? La Bonino si sente veramente così a corto di voti, per l’elezione in Lazio fra un mese, da dover corteggiare una frangia di piazza che è sempre stata, da quando i radicali esistono, agli antipodi del loro garantismo?

Si può dire che il partito radicale sia nato, come ragione sociale, assieme alla tutela dei diritti degli inquisiti. Sono passati 41 anni dal gennaio 1969, quando organizzarono la loro prima polemica “controinaugurazione” dell’anno giudiziario di fronte al “Palazzaccio” di giustizia di Roma. Invitarono magistrati e avvocati, ma soprattutto semplici cittadini danneggiati dalla giustizia. Segretario radicale era allora l’avvocato Mauro Mellini (poi deputato per dieci anni), che assieme al collega Giuseppe Ramadori, anch’egli dirigente del partito, fondò il gruppo “Rivolta giudiziaria”. Precursori: la corrente “Magistratura democratica” non era ancora nata.

Pannella faceva controinformazione sul caso di Aldo Braibanti, un intellettuale condannato a nove anni per plagio ed emarginato perché anarchico e omosessuale. Fu subito incriminato per diffamazione dei giudici. Ne nacque un caso nazionale: con il capo radicale solidarizzarono Pier Paolo Pasolini ed Elsa Morante. Alla fine il reato di plagio venne cancellato dal codice penale.

Dagli anni ’70 la magistratura è stata costantemente nel mirino dei radicali e dei loro referendum contro reati d’opinione, legge Reale, ergastolo, codici e tribunali militari. Walter Chiari e Lelio Luttazzi, incarcerati per droga nel 1970, furono difesi da Pannella, che nel ’75 effettuò la sua prima fumata di spinello in pubblico. Una lotta andata avanti fino ad oggi: alle prossime elezioni il leader radicale non si può presentare perché ha perso i diritti politici passivi (farsi eleggere alle amministrative) a causa della condanna per «cessione di droga» subita con la deputata Rita Bernardini.

Ma tutte le battaglie per i diritti civili (divorzio, aborto, obiezione di coscienza al servizio militare) possono essere considerate affermazioni della libertà individuale contro l’intromissione di stato, leggi, carabinieri, manette e giudici nella vita privata dei cittadini. Finché negli anni ’80 arrivò la campagna per Enzo Tortora, eletto eurodeputato nell’84, e quella conseguente per la «giustizia giusta», con il referendum vittorioso per la responsabilità civile dei giudici.

Il garantismo di Pannella non è mai stato peloso. Ha rasentato l’autolesionismo quando ha difeso i diritti dei parlamentari inquisiti in Tangentopoli, e perfino del boss calabrese Piromalli. E gli ha fatto definire «prostituzionale» la Corte costituzionale, oltre che «cupola della mafia partitocratica».

Viene tristezza quindi adesso nel vedere il libertario Pannella assieme a Paolo Flores D’Arcais (che come direttore della rivista Psi Mondo Operaio prendeva soldi da Craxi), ai giustizialisti e agli altri «amici di Spatuzza», il mafioso che sputazza accuse non provate contro Berlusconi. Perché i radicali sono sempre stati girondini, mai girotondini. Rivoluzionari sì, ma di centro: contro gli opposti estremismi giacobini e vandeani.

Mauro Suttora

Precisazione della signora Rossana Luttazzi, moglie di Lelio:

Gentile Signor Mauro Suttora,
mi è stato segnalato oggi sul Suo blog un articolo sui "radicali".
Ad un certo punto Lei scrive: ".....e Lelio Luttazzi incarcerati per droga".

Vede, quando si trattano argomenti tanto delicati, bisognerebbe fare uno sforzo in più, e documentarsi, rimanere nel vago non aiuta nessuno. Nel 1970 mio marito fu arrestato con un'accusa infondata di detenzione e spaccio di droga. Fu un errore giudiziario! Lo sanno tutti! Forse una delle prime vittime " illustri" del grande orecchio delle intercettazioni.. come ha ben scritto Susanna Tamaro sul "Corriere della Sera" di venerdì 26 febbraio 2010.

Chi legge "incarcerati per droga" e basta, secondo Lei, che cosa deve pensare?? E allora non è meglio chiarire un po' di più se proprio si vuol fare il nome di mio marito?

La pregherei di chiarire nel Suo blog "il concetto".

Nel ringraziarLa Le porgo cordiali saluti
Rossana Luttazzi

Se Lei vuole, può ricopiare questa mia rettifica e inserirLa nel Suo blog.


Mia risposta inviata alla signora Luttazzi:

Gentile signora,
lei completamente ha ragione. Ovviamente suo marito era perfettamente innocente, e così come per Enzo Tortora, che ho citato poco dopo come altro beneficiario del benemerito garantismo di Pannella, non ho neanche sentito il bisogno di precisarlo.
Ho sbagliato? Può darsi, ma non volevo appesantire l'articolo aggiungendo l'avverbio "ingiustamente".

Io personalmente sono antiproibizionista, non dovrebbe proprio esserci reato (come per altre droghe tipo alcol o tabacco). Ma capisco che dia fastidio a suo marito essere tirato in ballo ancora 40 anni dopo per un "reato" mai commesso!

Me lo saluti molto, quando ero piccolo ascoltavo sempre Hit Parade a pranzo, e ho avuto il piacere di rivederlo in teatro con Fiorello.

Mi scusi per il disturbo, aggiungerò questa sua lettera al mio blog, per quel che può servire. Proprio leggendo l'articolo della Tamaro mi era tornata in mente la sua vicenda

Cordiali saluti

Friday, February 26, 2010

Farmville taroccato

Punteggi "drogati" nei campi di Facebook. Distrutto l'orto del contadino virtuale

di Mauro Suttora

Libero, 25 febbraio 2010

Confesso: sono un drogato. E confesso ancora: sono un ladro. Da tre mesi ho sviluppato una dipendenza da Farmville. È il videogioco più popolare del mondo, 80 dei 400 milioni di utenti di Facebook ci passano almeno un’oretta al mese. I tossicodipendenti come me (siamo un milione e mezzo in Italia, 30 milioni nel mondo) ci vanno una volta al giorno, per seminare i propri campi virtuali, zapparli, raccogliere ogni tipo di frutta e verdura, e accumulare punti. Io fino a ieri ne avevo 170 mila, ed ero al 44° livello.

Ieri mattina, il dramma. Apro il computer e scopro che due dei miei «vicini di campo», mio cognato (il Lucignolo che mi ha iniziato al gioco) e l’industriale Livio, mi hanno improvvisamente sorpassato. Impossibile, perché non si può espandere più di tanto la fattoria virtuale, e il rendimento dei campi – come nella realtà – è quel che è. La coltura più redditizia, fra le 70 offerte, è quella del melone: i semi si comprano con 205 monete a campo, e dopo quattro giorni rendono 528 monete.

Chiamo mio cognato, che mi svela il segreto: «Vai sulla mia homepage e clicca sui link che ho inserito». Eseguo, e magicamente riesco a completare collezioni di farfalle e piume che mi danno un sacco di punti. Non c’ero mai riuscito, prima.

Insomma: si può rubare anche sui giochi di Facebook. Così ho superato Gabriella, la chirurga plastica di Roma che da mesi mi sovrastava dall’alto dei suoi 200 mila punti, e ho distanziato John, che nella vita vera fa manutenzione lavatrici a Bergamo.

Non che sia proprio un criminale. Diciamo che pratico l’elusione invece dell’evasione fiscale. La mia «tangente» è un link conosciuto da pochi, ma semipubblico, visto che circola fra molti giocatori. Impossibile capire chi ha «forzato» il sistema: un italiano? Un hacker californiano? Un genietto cinese di quelli che il governo di Pechino alleva in un’apposita università per mandare in tilt l’intero Occidente?

Passata l’euforia per la scorciatoia che mi ha fatto accumulare in mezz’ora più soldi e punti di quelli che avevo faticosamente guadagnato in un intero mese, mi è però venuta la depressione. Che gusto c’è a vincere barando? Anche perché su Farmville, come negli altri giochi di Facebook che in questi mesi hanno superato in popolarità ogni videogioco della storia, da Pacman a Tetris, non si vince nulla. Non esiste un traguardo, non esistono premi finali. Si può giocare in eterno, in teoria. «Farmville è una metafora della vita», ha commentato Rita, una mia colta collega che ho iniziato al gioco e che ama usare parole difficili.

Quindi fare il «birbantello», come direbbe Berlusconi, non mi ha reso felice. Anch’io mi sono associato al ruba-ruba nazionale, ma ho scoperto che è un passatempo privo di senso. Certo, con il link proibito ho accumulato tanta benzina per il mio trattore e per la trebbiatrice, così ogni giorno ci metterò cinque minuti invece di quindici per seminare e raccogliere. Ma vuoi mettere la soddisfazione di fertilizzare i campi dai vicini, modo lecito per aumentare i punti? Ogni volta che sullo schermo appare la scritta «Gabriella ti ringrazia per averla fertilizzata», con la sua attraente foto, mi sembra quasi di essere stato massaggiato da una escort. Perché, insomma, questi videogiochi sono un termometro della nostra solitudine. Per questo non ho installato internet a casa. Almeno nei week-end, mi disintossico. Non gioco a Farmville. E non rubo.

Mauro Suttora

Wednesday, February 24, 2010

intervista a Mastella

ORA CHIAMATEMI SAN CLEMENTE MARTIRE

«Finalmente perfino Di Pietro riconosce che certi magistrati hanno esagerato», dice l’ex ministro. «Però mia moglie resta in esilio, e io sono ancora perseguitato»

di Mauro Suttora

Oggi, febbraio 2010

Dopo la sua «svolta di Salerno», ora ad Antonio Di Pietro toccherà riabilitare anche l’ex amico Clemente Mastella?
Il capo dell’Italia dei Valori al congresso del proprio partito ha ammesso che il giustizialismo non paga, e che certi toni usati contro i politici inquisiti sono eccessivi. In particolare, Di Pietro ha dato via libera a Enzo De Luca, sindaco di Salerno e candidato Pd alla presidenza della Campania nelle prossime regionali del 28 marzo.
De Luca è incriminato in due processi per truffa, associazione a delinquere, concussione e falso. Cionostante, l’eroe di Mani Pulite riconosce che ha amministrato bene Salerno, e che ha le carte in regola per succedere ad Antonio Bassolino se batte il candidato Pdl Stefano Caldoro.

L’improvviso cambiamento ha scontentato molti nel partito, che l’anno scorso ha preso l’8 per cento alle europee (riquadro nella pagina seguente). In particolare Luigi De Magistris, l’ex magistrato che con le sue accuse contribuì a far dimettere nel 2008 Clemente Mastella da ministro della Giustizia, e di conseguenza a far cadere il governo Prodi, e a far tornare Silvio Berlusconi al potere.

Chi allora, meglio di Mastella, può commentare il clamorosodietrofront dipietrista?
«Non c’è peggior moralista di chi fa la morale agli altri, ma poi deve spiegare la provenienza di qualche scheletro nel proprio armadio», dice l’ex ministro. «Io sono stato distrutto politicamente dalle inchieste di De Magistris, che ora si rivelano senza fondamento. Nel frattempo, però, ho perso il posto da ministro, e un intero partito, l’Udeur. Mia moglie è da mesi costretta all’esilio: non può metter piede non solo nella nostra casa di Ceppaloni, ma in tutta la Campania. Tutta la mia famiglia è stata messa alla gogna...»

Beh, i suoi figli con i loro comportamenti estroversi hanno facilitato il compito dei vostri avversari politici.
«L’unico accenno a mio figlio nell’inchiesta riguarda un’auto che lui avrebbe avuto da un concessionario, e che invece ha pagato dandone in cambio un’altra. Andate a vedere che ha fatto il figlio di Di Pietro».

Mogli e amanti

Ma sua moglie doveva proprio darsi alla politica?
«Embè, e le mogli di Togliatti, di Fassino, di Bassolino? Meglio le mogli delle amanti, come si usa adesso? Almeno il cognome si sa, se la gente non la vuole non la vota».

E quando andò con suo figlio in elicottero al Gran premio di Monza?
«Era un elicottero privato, dell’Aci, che mi invitò e diede un passaggio pure a un altro ministro, Rutelli. Il giorno dopo avevo un impegno a Brescia, a Milano ci sarei comunque dovuto andare. È stata l’unica volta che mio figlio ha viaggiato con me, e non ha tolto il posto a nessuno».

Le accuse penali contro di lei riguardano decine di assunzioni all’Agenzia dell’Ambiente campana.
«Ho segnalato dei poveri cristi che avevano bisogno di lavorare. Per contratti di soli tre mesi. E alla fine, sa quanti erano direttamente riferibili a me e a mia moglie? Tre».

Le raccomandazioni sono un cancro italiano.
«Ma rispetto a un bisogno, c’è il dovere di farle. Se hanno i requisiti, se non scavalcano chi ha più diritto... Ma, anche qui: quante raccomandazioni hanno fatto gli altri, e anche l’Italia dei Valori?»

Lei ripete sempre: guardate gli altri.
«E certo. Sono stato l’unico preso di mira, guarda caso dopo che sono diventato ministro della Giustizia. Perché solo io devo passare sotto le forche caudine?»

Forse perché è di Benevento...
«Buona battuta, ma la verità è proprio questa: sono come Calimero, piccolo e nero. Capo di un partito piccolo, ex dc, meridionale. E senza grandi giornali dietro».

Come il suo ex «fratello gemello» del Ccd, Casini?
«Per amor di Dio, lasciamo stare».

Beh, non faccia troppo la vittima: è sempre eurodeputato.
«Sso bene che nella vita e nella politica ci sono alti e bassi. L’anno scorso, quando il Pdl mi ha candidato, nessuno pensava che ce l’avrei fatta. Invece ho preso 115 mila preferenze».

Sua moglie non può entrare in Campania, ma definirla «esiliata» non è eccessivo? In fondo abitate nella vostra seconda casa a Roma. E anche quella ha fatto notizia: ottenuta a basso prezzo da un ente.
«È proprio ciò che sta capitando a mia moglie quello che mi fa impazzire di rabbia. Se la prendono con lei per attaccare me. Accusata di tentata corruzione per avere fatto nominare due primari. Uno non lo conosceva, l’altro era della Margherita. E l’appartamento di Roma l’ho avuto con un mutuo dopo trent’anni che ci abitavamo».

Come Casini?
«Per carità, lasciamo stare. Come tutti, compresi ex ministri Pd».

Molti esponenti del suo partito sono andati con Di Pietro.
«È questa la cosa più incredibile. In Campania i due terzi degli Idv sono ex Udeur. E sarebbero questi i “nuovi“? Che contorsionisti, che acrobazie».

Ora che fa a Bruxelles?
«Mi occupo di tonno, di coralli. E imparo il francese»

Mauro Suttora

L'UDEUR SI PRESENTA NELLE REGIONI DEL SUD

Colpito, ma non affondato. Quel che resta dell’Udeur, il partito di Mastella, si presenta con proprie liste, alleato del Popolo della libertà, nelle quattro regioni del Sud che vanno al voto il 28 marzo: Campania (dove i sondaggi lo accreditano del 5 per cento), Puglia (1,5%), Calabria (3%) e Basilicata.
La signora Mastella, che non può entrare in Campania, medita di fare comizi con un suo «avatar» a tre dimensioni: «Da cinquanta metri la differenza non si nota».
Intanto il Campanile, il giornale dell’Udeur che usufruisce di un finanziamento statale di un milione e 300 mila euro annui come testata di partito, è stato appena acquistato dagli editori di un altro minuscolo quotidiano nato tre mesi fa, Il clandestino, fino a pochi giorni fa diretto da Pierluigi Diaco. Nella proprietà figura Luigi Crespi, l’ex sondaggista di Berlusconi incarcerato per bancarotta quattro anni fa.
Fino al 2008 l’Udeur aveva 14 deputati e tre senatori, determinanti per la risicata maggioranza del governo Prodi di centrosinistra.

QUANTI EX MASTELLIANI CON DI PIETRO

Beppe Grillo, gli europarlamentari De Magistris e Sonia Alfano, i giornalisti simpatizzanti Marco Travaglio e Paolo Flores D’Arcais sono furibondi: nell’Italia dei Valori, il partito di Antonio Di Pietro, abbondano i dirigenti ex mastelliani. Soprattutto al Sud: l’ex dc di lungo corso e sottosegretario Pino Pisicchio e il consigliere regionale campano Giuseppe Maisto (appena approdati nel nuovo partito di Francesco Rutelli), i senatori Nello Di Nardo e Stefano Pedica, il deputato Mimmo Porfidia e il calabro-genovese Salvatore Cosma.
In realtà Clemente e Tonino, in nome della comune origine sannita, si sono sempre intesi. Eccoli (foto accanto) felici pochi anni fa al festival di Telese (Benevento), che l’Udeur di Mastella organizzava, invitando spesso Di Pietro.
«Nel ‘94 lo conobbi perché mi avevano accusato di essermi fregato 82 milioni di vestiti», ricorda Mastella, «e io gli dissi: “Ecché me li sono portati via co’ llu cammiòn?“ Negli anni ‘90 avevamo rapporti tramite suo cognato Gabriele Cimadoro, deputato Ccd e oggi Idv».

ORA MASTELLA È COLLEGA DI DE MAGISTRIS

«No, non l’ho mai incrociato. Se gli parlerei? Non credo abbia voglia di farlo, né vedo perché dovrei farlo io», dice Clemente Mastella.
Scherzi del destino: dall’anno scorso sono eurodeputati sia lui, sia Luigi De Magistris, 42 anni (qui accanto), suo grande accusatore quand’era magistrato a Catanzaro, e Mastella ministro della Giustizia. Il conflitto fra i due fu epocale, finì di fronte al Csm. E intere procure (Catanzaro contro Salerno) si fecero guerra l’una con l’altra.

Friday, February 19, 2010

La Bonino fa ingelosire Pannella

MARCO SI SENTE TRASCURATO, LA DELFINA È SEMPRE IN TV

di Mauro Suttora

Libero, 19 febbraio 2010

Non sarà che Marco Pannella è geloso di Emma Bonino? Perché il capo radicale tuona contro la censura, lamenta che non lo fanno parlare in tv, minaccia di chiedere asilo politico all’estero. Dati alla mano, ha ragione: le sue ultime apparizioni risalgono a quasi un anno fa, quando disse «Hai la faccia come il c…» a Dario Franceschini durante Ballarò, e per rimediare un invito ad Anno Zero dovette fare uno sciopero della sete. Poi nient’altro, tranne un picco d’ascolto la settimana scorsa con la «iena» Lucci che lo provocava: «Fatti visitare l’ano, che ne ha viste di cotte e di crude». Pronta la risposta del tremendo ottantenne: «Fattelo esaminare tu, frocione».

Però la Bonino non è colpita dallo stesso ostracismo Rai-Mediaset. Difficile che lo sia, essendo la massima protagonista della sfida più importante del voto del 28 marzo: quella sul filo del rasoio con Renata Polverini per la regione Lazio. Quindi tanti inviti per lei, nessuno per Marco. Pannella ne soffre. La coppia più longeva della politica italiana (lottano assieme da 35 anni) rischia di incrinarsi causa jalousie? Emma, per non peggiorare le cose, ha rifiutato una comparsata da Porta a porta offertale a titolo di briciola risarcitoria dal detestato Vespa.

Ma è fatale: nelle prossime settimane tutti i riflettori punteranno su lei, e superMarco resterà in ombra. Anche perché, incredibilmente, Pannella alle regionali non si può candidare. È stato condannato per «cessione di droga»: pena accessoria, la perdita dell’elettorato passivo. Le famose «disubbidienze civili», quando con l’ora 87enne Stanzani e la deputata Rita Bernardini distribuiva spinelli in piazza Navona.

Intanto, con il fido Beltrandi è riuscito a piazzare il siluro del regolamento pre-elettorale Rai nella commissione di Vigilanza. La sinistra strepita, perché il deputato radicale se l’è fatto votare dal centrodestra. Mentre la Bonino deve mediare: da candidata Pd, non può litigare sempre con tutti (il passatempo preferito di Marco).

Eppure, la coppia sembra inossidabile. Ci aveva provato Berlusconi a farla scoppiare dieci anni fa, bollando la Bonino come «protesi di Pannella». Emma era reduce dall’exploit del ’99: otto per cento alle europee, dodici per cento al Nord con punte del 18 in molte città, da Monza a Treviso, secondo partito dopo Forza Italia. Mettere il nome «Bonino» sulla lista radicale, invece del «Pannella» condannato al 2-3 per cento perenne, aveva provocato il miracolo. Propiziato anche da una valanga di spot con l’immagine efficiente e moderna della commissaria Ue.

Ma l’insulto berlusconiano ha sortito l’effetto opposto: appiccicare ancor più Emma a Marco. Una lealtà autodistruttiva ma ammirevole, quella della Bonino «governativa» al vecchiaccio incorreggibilemte anarchico. Perché tutti, per spiccare il volo, hanno prima o poi abbandonato il libertario logorroico: da Rutelli a Capezzone, da Quagliariello al ministro Elio Vito. Lei no, fedelissima nei decenni come quella coriacea cuneese che è. Non si è mai sentita appesantire le ali dalla zavorra pannelliana.

Così Emma svolazza disinvolta da Davos a Frosinone, da Soros a Esterino Montino, e accumula poltrone: ministra con Prodi, ora vicepresidente del Senato. Rendendo un po’ duro per Pannella l’atteggiarsi a «partigiano anti-regime», mentre alla Bonino lo stesso regime offre le massime cariche. Matteotti non fece una gran carriera sotto Mussolini…

Non esiste spiegazione politica alla coppia Emma-Marco. Forse un buon psicanalista. Ma naturalmente Pannella ha sbattuto la sua telegenica nuova coda di cavallo bianca in faccia anche a Fagioli, l’ex guru di Bertinotti del quale si era invaghito un anno fa. Lo spettacolo continua. Faville e scintille garantite, come sempre fra i radicali.

Wednesday, February 17, 2010

C'è chi nega l'eccidio in foiba

IL GIORNO DELLA MEMORIA PER I PROFUGHI

Fuggirono in 350 mila dall'Istria dopo la guerra. Ora un libro riaccende le polemiche

di Mauro Suttora

Oggi, 10 febbraio 2010

Se Joze Pirjevec, storico dell’università di Capodistria (Slovenia), avesse pubblicato il suo libro in Austria, avrebbe rischiato il carcere. Com’è capitato a David Irving, il professore inglese condannato a tre anni nel 2006 per avere negato l’Olocausto degli ebrei.

Il 10 febbraio di ogni anno, da un lustro, l’Italia celebra per legge il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe e dei 350 mila esuli giuliano-dalmati. Quanti furono i connazionali «infoibati», cioé gettati vivi e legati da fil di ferro nelle grotte carsiche vicino a Trieste dai partigiani comunisti jugoslavi? Neanche il numero si sa: da cinque a diecimila. Perché è stato impossibile recuperare e contare tutte le salme.

Quest’anno le polemiche sono rinfocolate dal libro Foibe. Una storia d’Italia (Einaudi). Nel quale Pirjevec nega che l’eccidio delle foibe possa essere definito «genocidio». A suo avviso non ci fu un massacro premeditato, ma solo sporadici episodi, peraltro giustificati dall’odio anti-italiano attizzato dai fascisti negli anni precedenti. Il perfetto «negazionista», insomma.

«Non auspico censure»

Chissà cosa succederebbe se qualcuno osasse scrivere un simile libro contro gli ebrei. «Non auspico certo censure, né tanto meno il carcere per reati d’opinione», commenta con Oggi Brunello Vandano, 90 anni, uno fra gli ultimi testimoni diretti di quell’epoca. «Però io a Fiume negli anni ‘30 ci sono cresciuto e, contrariamente a quel che sostiene il libro, non ho assistito da parte italiana a crudeltà tali contro sloveni e croati da giustificare le vendette del dopoguerra. Anzi, quella città, a parte pochi fanatici fascisti, era un modello di convivenza interetnica. Oltre a italiani e slavi c’erano ebrei, ungheresi, tedeschi e nessun odio razziale. Fu un modello di cosmopolitismo».

Su quell’epoca felice Vandano ha appena pubblicato un bel romanzo, Ti chiedo ancora 900 miglia (Bompiani).
«Nel ‘45 i massacri avvennero in ogni direzione», dice Vandano, «non solo contro gli italiani. Nel libro descrivo l’eccidio di Bleiburg, in cui i titini uccisero decine di migliaia di profughi slavi in fuga, molti dei quali civili. Le donne stuprate in massa prima di essere finite. I comunisti ammazzarono anche partigiani cetnici serbi e domobranci sloveni, colpevoli solo di non stare con Tito».

Un inferno, insomma, dal quale scapparono tutti gli italiani. Intere città (Fiume, Pola, Zara) si svuotarono quasi completamente. Una perfetta pulizia etnica, come poi negli anni ‘90.

«Giusto castigo popolare»

L’esule Ennio Milanese ha raccolto nel libro Il ricordo più lungo (Accadueo) un articolo contro i profughi scampati alle foibe scritto su L’Unità del 30 novembre ‘46 da Piero Montagnani, poi senatore Pci: «Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre città. [Alcuni di loro] sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava. Gli altri sono incalzati dal fantasma di un terrorismo che non esiste».

Monday, February 15, 2010

'Mussolini segreto': un libro da leggere

di Clementina Gily, docente di Estetica all'Università di Napoli

4 febbraio 2010

Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - Via Monte di Dio - Napoli

Antonio Alosco, Clementina Gily, Antonio Sarubbi
presentano il libro curato da Mauro Suttora:
Claretta Petacci, Mussolini segreto (Rizzoli)

coordina Nico Pirozzi

Testo dell'intervento:

Questo diario è un documento storico, i personaggi sono tutti noti, le storie anche – nei risvolti quotidiani, nei commenti personali, nulla c’è di eccezionalmente diverso da quella storia letta nei libri. Colpa forse anche del lavoro di ritaglio fatto da chi, per molti anni, ha tenuto gelosamente riposti questi diari, resistendo alle richieste che ne faceva la famiglia Petacci, i genitori e la sorella Myriam, cioè i sopravvissuti alla vicenda. Perché non sopravvissero dei Petacci né Marcello, il fratello, 35 anni, né Claretta, 33, alla tragedia finale di Mussolini, 63 –
sull’età c’è da tornare – e, sappiamo dalle parole dell’allora piccolissimo Ferdinando, figlio di Marcello, non sopravvisse nemmeno la mente del fratellino più grande.

Ferdinando, la cui vita è stata così duramente segnata da quegli eventi, ipotizza che tanta difficoltà nel concedere i manoscritti di Claretta indichi che i fratelli dovessero essere”spie o tramite tra Churchill e Mussolini”: se no, perché tanta decisione nell’esecuzione e tanta prudenza nel tutelare gli scritti? Potevano rendere difficili i rapporti internazionali dell’Italia, nel clima teso della guerra fredda. Ipotesi che nel libro non trova conferma né smentita: sarà perché tutto quel che poteva confermare è stato soppresso, o perché forse una spia non avrebbe trascritto nel diario anche cose pericolose – non è dato sapere.

Il libro perciò è un diario, che conviene commentare come tale. È una scrittura interessante, e val la pena di mettere quanto possibile tra parentesi la politica: allora come ora, avvelenerebbe il discorso, porterebbe ad affermazioni fuori luogo. Mentre il diario è particolare ed inaspettato: non è esattamente un libro che si legge di un fiato, perché ovviamente ripete sempre un po’ gli stessi temi ed atteggiamenti – nonostante Mauro Suttora abbia agito sul testo limando le ripetizioni più frequenti, come si fa quando si passa dai testi di una scrittura privata alla stampa.

Il diario insiste per forza su fatti personali, che anche per i personaggi storici sono sempre gli stessi. Le mogli, i figli, le amanti, la gelosia, i discorsi da innamorati, le telefonate a ripetizione: più o meno, ci sono in ogni pagina. E quando il racconto è giornaliero e minuzioso - “verbalizza”, dice Suttora per indicare la scrittura di Claretta – ci si affida all’eterno ritorno della storia.

Eppure, è un libro di piacevole lettura. Certo, c’è il gusto del gossip, del privato un po’ spiato, vero luogo cult del contemporaneo: e nella discrezione, nel palpito, ha il pregio di ricordare a chi ha qualche decennio di troppo, come fosse affascinante, finché rimaneva pieno di curiosità e di garbo, i protagonisti si nascondevano – non questa esibizione di oggi, volgare anche quando non sia puro commercio. Sono personaggi che palpitano per i pettegolezzi e le spiate continue, persino il prepotente Duce conserva remore e pudori, mostra una umanità ricca e spesso rispettosa delle regole comuni – non si può fare quel che ad altri non è concesso, quindi almeno l’apparenza...

Ma, soprattutto, quel che rende il libro molto interessante è che Claretta scrive bene, ricerca la forma migliore tra i pronomi personali ed il racconto in terza persona, il resoconto dei dialoghi e la prosa, introduce percorsi ad effetto tra le affettuosità da innamorati; trascrive con una puntigliosità che fa pensare Claretta sentisse profondamente il proprio ruolo di testimone della storia.

Ed ecco che conviene riflettere sulle età degli amanti, trent’anni di differenza lasciano pensare ad un tranello del potere verso la ragazzina – i primi contatti precedono di molto il rapporto amoroso. Ma è la ragazzina, vicina di casa, che si fa trovare dovunque, che manda bigliettini intraprendenti – forse anche pensando alle raccomandazioni, cha fa, anche se sia lui che lei protestano la loro onestà, è una protesta relativa, non assoluta, si capisce da quel che dicono – ed è lui che nicchia, che pensa ad una infatuazione di ragazza. Claretta ha probabilmente già a scuola appreso a guardare al Duce, che ha coltivato da subito il mito; lui giornalista e futurista, spinto dalla povertà e dal bisogno di potere, da una vita di pericoli e di difficoltà, ha ben compreso l’importanza dei rituali politici. È la lezione di tutte le monarchie e di tutte le leadership, anche democratiche.

Ne ha fatto l’apoteosi moderna, ma così ha trasformato le forze negative in positive; non ha rispetto della libertà del cittadino, ma il credere nel culto del migliore e della forza, lo spinge ad essere tale, a superare gli altri in cultura e prontezza. Non stringe trame e mafie: cerca di possedere quelle doti che vanta nel popolo italiano, che dice sagace e di azione eccellente, contro i commercianti inglesi, i corrotti francesi, i troppo teorici tedeschi (racconta che se un tedesco vedesse una porta con su scritto 'Paradiso' e un’altra 'Conferenza sul Paradiso', non avrebbe dubbi a scegliere la seconda).

Queste doti ritiene di averle al massimo, coltiva una enorme fiducia in sé, nella propria forza e bellezza, vuole
elevarsi al di sopra di tutti – è il merito che si attribuisce anche grazie alle donne. Nei loro confronti l’apoteosi dell’uomo dà luogo ad un vero e proprio harem (prima di stancarmi ho segnato Sarfatti, Pallottelli, Dalser, Ceccato, Brambilla Carminati, e l’onnipresente Ruspi, ospitata in Villa Torlonia… non mancano ritrattini spinti di Maria José col suo principe un po’…): è la sofferenza costante di Claretta, quando dopo la ragazzina viene la donna, che d’istinto sa tra tante chi è il pericolo; lamenta di tutte, non della moglie – che pure era destinataria di molte circospezioni, da parte del Duce, che ancora ha rabbia per un tradimento di Donna Rachele. Quanta più improntitudine c’è oggi! L’apoteosi del sesso conserva un minimo rispetto, pur scatenando la guerra delle donne.

Il Mussolini segreto ha momenti di difficoltà, di pessimismo persino, di desiderio di conferma, di ricordi della gioventù: ma soprattutto compare colto e capace; sa che la sua lettura dei giornali e della storia vale più degli altri, e la tiene allenata: sta spesso a leggere, con Claretta, parla di politica e di musica, ha gusti alti se non d’elite, si occupa di cinema, in cui gode il sostegno del figlio Vittorio. Di Hitler critica l’egocentrismo, l’esaltazione del sé, lui sa stare al suo posto, sa i suoi limiti.

Nel Diario di Claretta compare un uomo, discutibile come tutti, ma un uomo intelligente ed autocritico, che conosce il pericolo e la storia, si tormenta e si misura – sembrerebbe una strategia più che una qualità, la prepotenza, di chi sa che gli uomini, soggiogati, consentono le imprese - meglio che se liberi. Ovviamente, un liberale fa scelta diversa: ma non è violenza, è ideologia. Tutto da discutere – io ho scritto una monografia su
Ugo Spirito e conosco il corporativismo come teoria – pertanto, vi esimo dai miei giudizi, visto che sono già stati espressi.

Concludiamo: è un libro da leggere. Soprattutto, è un libro che fa pensare con nostalgia a quanto l’oggi sia più modesto e più banale. Non possiamo leggere ancora diari: ma poi di chi? Chi li va scrivendo mai? Forse Ghedini, o Bonaiuti… ma cosa saprebbero imitare di questo stile? Il suo valore non è nella retorica, è nel cuore fresco, che anche nella verbalizzazione risulta sincero, e mostra chiare doti d’intelligenza e sensibilità. Potrebbero le chiacchieratissime ragazze d’oggi, che tanto sgomitano per una comparsata commercialissima, essere capaci di questo stile, che, si arguisce dai pochissimi sic di Suttora, dimostra che la ragazza che si era fermata al ginnasio, evidentemente curava la sua scrittura con lo stesso amore del suo cuore?

http://www.giornalewolf.it/public/W%20Gily%20Memoria%20Viva%20Claretta.pdf"

Wednesday, February 10, 2010

Mussolini: che ci faceva alle donne?

LE RIVELAZIONI DEL DIARIO DI CLARETTA

Insaziabile vitellone, il duce fu un boia solo per Ida Dalser, fatta morire in manicomio. Le sue amanti invece non le lasciò mai. Anzi, voleva mantenerle tutte

Oggi, 3 febbraio 2010

di Mauro Suttora

Povero Benito. Altro che boia, come appare in Vincere, il film di Marco Bellocchio con Vittoria Mezzogiorno. Lì Mussolini fa rinchiudere in manicomio la (presunta) prima moglie Ida Dalser, causandone la morte. Stesso destino per il figlio avuto dalla Dalser, Benitino.
Ma questo è l’unico caso in cui il dittatore si comportò male (anzi, da assassino) con una delle sue numerose amanti. Di quasi tutte le altre rimase amico anche dopo la fine della relazione. Lo dimostra il libro Mussolini segreto (Rizzoli), ovvero i diari della favorita Claretta Petacci, resi pubblici dopo settant’anni dall’Archivio di Stato.

Il tappeto “galeotto”

Bastava che le ex si presentassero imploranti a Palazzo Venezia, e per quasi tutte c’era una sinecura, una somma mensile, una consolazione. Magari in cambio di un rapporto consumato sui due piedi (anzi, sui due stivali, che il duce non si levava), o in ginocchio, o addirittura sul tappeto. Alla faccia della moglie Rachele e di Claretta, che era gelosissima.

Se poi c’erano in ballo figli illegittimi, Benito si trasformava addirittura in papà amorevole: alla madre arrivavano come alimenti ben più delle famose «mille lire al mese», cioè quelle che nell’omonima canzone del 1939 erano lo stipendio sognato dagli italiani. Insomma, più che playboy crudele, o inesausto vitellone romagnolo, il «duce che seduce» era una vittima delle donne che possedeva.

E loro non si facevano scrupolo nello «spolparlo». «Quella donna è una spugna, credo che spenda tutto dalla sarta. Esagera: le ho dato ventimila per tre mesi, e lei ne voleva mille in più. Che miseria. Quella scena mi ha disgustato».
Così Mussolini si lamenta con Claretta il 30 ottobre 1938. Ce l’ha con Romilda Ruspi, ex favorita che gli ha dato un figlio, con la quale tradisce Claretta.

Il 55enne Benito in quel periodo è completamente succube della Petacci, che allora ha meno della metà dei suoi anni: 26. L’amante più famosa nella storia d’Italia abita in famiglia a Roma proprio accanto a Villa Torlonia, sulla via Nomentana, dove il dittatore vive con la possessiva moglie e i figli più giovani.
Così Renzo De Felice, massimo storico del fascismo, descrive Mussolini: «Dopo la proclamazione dell’impero nel 1936 si rinchiuse in se stesso. Non aveva amici, non frequentava nessuno fuori dai rapporti d’ufficio, diffidava di tutto e si sentiva circondato da collaboratori fragili e insicuri».

Il problema è che il duce in quegli anni è costretto a telefonare almeno una dozzina di volte al giorno a Claretta. La quale lo sospetta - e a ragione - di incontrare altre amanti a Palazzo Venezia e perfino a Villa Torlonia.
Lì infatti, in una dépendance nel grande parco, alloggia assieme alla sorella (impiegata del principe Torlonia) la bellissima Romilda. Che è amante del duce fin dalla fine degli anni Venti, quando Benito si trasferisce nella villa da via Rasella. E nel 1929 ha avuto un figlio da lui, Massimo. Cosicché anche di sera, tornato a casa, gli tocca chiamare ogni mezz’ora Claretta per tranquillizzarla. Paradossalmente, la Petacci è più serena se Benito è nel suo ufficio di Palazzo Venezia, lontano dalla Ruspi.

Com’è noto, l’elenco delle conquiste femminile del dittatore è sterminato. «Quando abitavo in via Rasella ero un chiavatore», si vanta lui stesso il 12 maggio 1938 con Claretta, la quale annota diligentemente le sue parole sul diario.

“Tre donne per sera”

«Avevo quattordici donne, il pensiero di essere di una sola mi era inconcepibile. C’è stato un periodo che ne prendevo tre-quattro per sera, una dopo l’altra. Una volta alle otto la Rismondo, alle nove la Sarfatti, alle dieci la Magda [Magda Brard Borgo (1903-’98), pianista bretone], e poi all’una una brasilera terribile. Questo ti dà l’idea della mia sessualità».

Quand’era ancora socialista, a Milano, l’anarchica Leda Rafanelli (1880-1971) prima di cedere lo fece penare parecchio. Mussolini era già sposato con Rachele, e probabilmente anche con Ida Dalser (1880-1937).
La più bella fu Angela Cucciati, e il fatto che fosse sposata con il capetto fascista milanese Bruno Curti non rappresentò un ostacolo: da lei Benito ebbe una figlia, Elena, che nacque nel 1922.

“Cornelia Tanzi, frigida”

Mussolini mantenne la Cucciati e la figlia Elena dopo il naufragio del matrimonio della donna. La quale ogni tanto andava personalmente da Milano a Roma a ritirare l’«assegno di mantenimento». Gli incontri intimi col duce si esaurirono solo con l’apparire della stella di Claretta, verso il 1936. Ma la figlia Elena Curti era con Mussolini a Dongo nel 1945, quando venne arrestato. E Claretta era gelosa anche di lei.

Una delle amanti più singolari del duce fu Cornelia Tanzi. Scrittrice, gli inviava una lettera al giorno. Anche lei fu eclissata da Claretta, e si mise (fra gli altri) con il poeta romano Trilussa. Benito il 19 febbraio 1938 la descrive così alla Petacci: «Ha gambe lunghe, è esile, sottile, alta, bruna. Ma frigida, fredda fino all’inverosimile. Figurati che non ha mai sentito nulla neanche con me. Veniva lì, si spogliava, faceva cadere la camicia, si vedevano queste due gambe lunghe, si metteva lì e via, senza scomporsi. Sempre indifferente, si rivestiva e andava via. Tutto in meno di mezz’ora. Ti dico la verità: l’ultima volta per me è stata una cosa laboriosa e faticosa, perché non mi andava. Poi, non so, aveva un profumo quel giorno, un odorino disgustoso... Scusa, ma sai come sono sensibile a queste cose.

“L’avrei bastonata”

«No, non l’ho mai amata e sentivo di essere un miserabile, non dovevo farlo. Non so nemmeno io perché, sono un animale. Ho pensato: “Chissà se adesso che ha l’amico sarà meno frigida e mi riuscirà di farla scuotere“. Niente, è stata più fredda di sempre, più indifferente, ed io più di lei. Dopo ho provato disgusto. Avrei voluto bastonarla, l’avrei buttata per terra».

Ma questo duce volgare e animalesco si trasforma a volte in padre amorevole verso i propri figli segreti. Come con Duilio e Adua, che Mussolini dice di avere avuto da Alice De Fonseca Pallottelli. Lei il 16 luglio 1938 gli scrive che i bimbi sono ammalati, e lui le telefona. La Pallottelli gli dice: «Duilio ha avuto una forte dissenteria, credevo di perderlo. Ha vomitato tutta la notte. Vorrei portarlo al mare a Pesaro». Mussolini le chiede se ha bisogno di soldi. E lei: «No, per ora ce la faccio».
Mauro Suttora