Wednesday, January 21, 2015
Dati falsi sui dipendenti pubblici
LA TRUFFA DEL PARAGONE CON LA GRAN BRETAGNA
di Mauro Suttora
Oggi, 14 gennaio 2015
Perfino contarli è difficile. Quanti sono i dipendenti pubblici in Italia? E, soprattutto: sono troppi, pochi, giusti? Circolano dati fantasiosi, secondo cui noi ne avremmo «soltanto» 3,2 milioni, contro per esempio i 5,2 milioni della Gran Bretagna, Paese che ha più o meno lo stesso nostro numero di abitanti.
Peccato che il paragone sia campato in aria, per due motivi: i britannici sono un milione in meno, e i nostri un milione in più. Nel Nord Europa, infatti, il part-time è molto più diffuso che in Italia. E le stesse statistiche ufficiali di Londra avvertono che i loro lavoratori pubblici si riducono a 4,2 milioni in «full-time equivalent», cioè dividendo il totale delle ore lavorate per 36 (l’orario settimanale a tempo pieno). È evidente, infatti, che due dipendenti a 18 ore settimanali equivalgono a uno a tempo pieno.
Ma c’è un’altra grande disomogeneità fra i due dati. Nel Regno Unito sono giustamente considerate «pubbliche» intere categorie che noi invece, chissà perché, definiamo «private». Gli autisti dei bus, per esempio. Dipendono da società formalmente autonome (Transport for London, Atm a Milano, la romana Atac), ma sono lavoratori pubblici, poiché i deficit delle loro società sono colmati dalle tasse. E così postini, ferrovieri, spazzini, lavoratori dell’Anas e delle municipalizzate.
Perfino i 13 mila dipendenti Rai sono pubblici. Però, chissà perché, le nostre statistiche non li definiscono tali. In realtà, calcolando tutti questi lavoratori di aziende che dipendono finanziariamente da Stato ed enti locali, i dipendenti pubblici italiani salgono oltre i quattro milioni. Come in Gran Bretagna.
Wednesday, January 14, 2015
I traghetti sono sicuri?
DOPO LA TRAGEDIA DEL PATRASSO-ANCONA, ECCO I SEGRETI DELLA SICUREZZA
di Mauro Suttora
Oggi, 7 gennaio 2015
La prossima volta potremo prendere un traghetto o una nave da crociera tranquilli, o rischiamo di svegliarci alle quattro del mattino con la cabina invasa dal fumo e il pavimento arroventato da un incendio?
Gli scenari da incubo vissuti dai 450 passeggeri della Norman Atlantic, la nave Grecia-Ancona bruciata il 28 dicembre, ci insegnano molte cose. Le scialuppe di salvataggio, innanzitutto. «I passeggeri sono abituati a guardarle annoiate sui ponti, e magari a maledirle perché ostruiscono la vista», ci dice Paolo De Luca, comandante Tirrenia in pensione. «A volte i loro argani sembrano bloccati dall’ultima mano di pittura data per rinfrescare la nave, e le catene e gru che servono per calarle in mare paiono troppo grosse per funzionare».
Invece, è dalle quattro maxiscialuppe della Norman Atlantic che sarebbe dovuta arrivare la salvezza per tutti, anche per gli undici passeggeri morti e la dozzina di dispersi. Ciascuna ha una capacità di 150 persone, 600 in totale, quindi più che sufficienti per trasportare sia i passeggeri, sia i 44 membri dell’equipaggio.
Cos’è andato storto? Quasi tutto. Le istruzioni per le procedure d’emergenza sono state trasmesse dagli altoparlanti del traghetto alla partenza, in italiano, greco e inglese. «Ma, come sempre, nessuno le avrà ascoltate», dice de Luca. Si spiegava quali sono i punti di raccolta dei passeggeri, verso quali ponti dirigersi, dove prendere i giubbotti di salvataggio: «Quelli sono stati distribuiti bene, quasi tutti li indossavano».
All’inizio il comandante sperava di domare l’incendio, e quindi di evitare l’evacuazione. Quando però la situazione è apparsa irrecuperabile, due scialuppe su quattro erano inservibili: si trovavano sul lato colpito dall’incendio, si alzavano fiamme sulla fiancata, tutto era oscurato dal fumo, e il mare in forte tempesta aveva inclinato la nave.
«Avevamo paura che affondasse», raccontano i passeggeri. Delle due calate in acqua, una è stata riempita con appena 60 passeggeri e cinque marinai. Che avrebbero dovuto essere solo tre: di qui l’accusa di non avere rispettato la regola sacra del mare sulla precedenza ai passeggeri.
«Ma quando si parla di equipaggio, nelle navi moderne, chiariamo che la maggioranza assoluta non è composta da marinai», precisa il comandante De Luca. «Ormai, soprattutto nelle crociere, il personale preponderante è quello per i servizi, dalle cucine ai bar, dalle pulizie all’intrattenimento. Certo, anche loro vengono addestrati per le emergenze. Ma non è gente specializzata, come i naviganti di lungo corso che imbarcavamo una volta sui nostri traghetti. Soprattutto napoletani, con grande esperienza. Gente che magari aveva doppiato Capo Horn sui mercantili, e che poi aveva ripiegato sul Mediterraneo per stare vicino a casa».
Ora invece abbiamo immigrati poco pagati, che parlano male sia l’italiano sia l’inglese, e che nel pericolo vanno nel panico: pensano soprattutto a salvare la propria pelle. Un altro episodio spiacevole del disastro Norman Atlantic, silenziato per non scivolare nel razzismo, è stato quello dei passeggeri uomini che non hanno dato la precedenza a donne e bambini nell’imbarco sugli elicotteri: si trattava di iracheni e afghani, poco adusi alla cavalleria verso il genere femminile.
In ogni caso, poche ore dopo l’incendio circa 170 passeggeri erano riusciti a lasciare la nave sulle scialuppe. Ma il tragico è che proprio alcuni che avevano telefonato a casa col cellulare da una scialuppa ora risultano dispersi. In particolare il camionista italiano Carmine Balzano. La loro imbarcazione si è capovolta nel mare in tempesta? L’enorme guscio vuoto di una di esse è stato trovato su una spiaggia albanese.
L’aspetto più inquietante del disastro è che la Norman Atlantic era un traghetto modernissimo. Varato dai cantieri di Rovigo appena cinque anni fa, quindi si presume dotato delle più avanzate attrezzature antincendio: materiali ignifughi, portelloni tagliafuoco, sprinkler (le reti di tubi con docce che spruzzano acqua al minimo segnale di fumo e fuoco in ogni garage). L’ispezione di un ente di controllo greco un mese fa aveva registrato deficienze, ma non così gravi da bloccare la navigazione: soltanto un invito a sistemarle per l’Anek Lines, la società che gestiva il traghetto.
E qui entriamo in un altro aspetto sorprendente della vicenda: abbiamo scoperto che la nave, nella sua breve vita dal 2010 a oggi, era già passata di mano più volte, affittata ogni anno dall’armatore italiano a una diversa società di navigazione, e su rotte diverse: prima la Genova-Termini Imerese (Messina) fino alla chiusura della fabbrica Fiat siciliana, poi i collegamenti per la Sardegna, infine quelli Italia-Grecia.
Questi vorticosi passaggi di gestione possono aver influito sulla sicurezza? «Assolutamente no», risponde il comandante De Luca, «perché anche nei trasporti marittimi, come in quelli aerei, ha preso piede l’utilizzo del leasing, che offre maggiore flessibilità. Le compagnie trovano conveniente non caricarsi di oneri fissi acquistando navi e aerei che costano molto, e preferiscono affittarli. Ma i controlli restano uguali e rigorosi per tutti».
Certo, se poi la società impone alla nave carichi eccessivi anche in condizioni di mare difficile, come adombrato dal comandante del traghetto Patrasso-Ancona Argilio Giacomazzi, non c’è controllo che tenga. I clandestini a bordo non si sa se siano stati imbarcati di nascosto, oppure con la complicità di membi dell’equipaggio o di singoli camionisti. Ma non sappiamo ancora se l’incendio è nato nel garage, dove pare si nascondessero, o nella sala macchine: corto circuito, materiali pericolosi, stufette accese avventatamente per riscaldarsi nelle cabine dei camion? L’inchiesta sarà lunga.
Mauro Suttora
Wednesday, January 07, 2015
L'incubo del traghetto Grecia-Ancona
FUOCO, FUMO, MARE FORZA OTTO, SOCCORSI IMPOSSIBILI. POI IL BUIO, FREDDO, PAURA. INFINE LA SALVEZZA
Oggi, 29 dicembre 2014
di Mauro Suttora
Alla faccia della cavalleria. «Quando gli elicotteri dei soccorsi sono arrivati, i passeggeri si sono fatti prendere dal panico», racconta Christos Perlis, 32 anni, camionista greco che era sul traghetto Norman Atlantic. «Tutti si pestavano per salire. Io e un altro abbiamo cercato di imporre un po’ d’ordine. Prima i bambini, poi le donne, poi gli uomini. Ma alcuni uomini hanno cominciato a colpirci, volevano entrare per primi. Non hanno dato la precedenza, niente».
L’incubo è durato ben 37 ore. Soltanto 170, sui quasi 500 fra passeggeri ed equipaggio, sono stati salvati il primo giorno. L’incendio è divampato in piena notte, alle 4 e mezzo. Tutti dormivano in cabina. Molti si sono accorti del pericolo soltanto per il fumo che entrava sotto le porte. Ma il mare in tempesta ha impedito alle navi in soccorso di avvicinarsi. E gli elicotteri non riuscivano ad atterrare sul ponte per il fumo e il rollio. Così gli unici a riuscire a scappare sono stati quelli imbarcati nelle scialuppe.
Un giorno e una notte ad aspettare e sperare
Poi è calata la notte. Ed è lì che per molti dei 300 ancora imbarcati è iniziato il vero inferno: freddo, fumo, onde da far venire il vomito, spruzzi. E tanta paura.
«Io e mio marito siamo stati più di quattro ore in acqua. Ho tentato di salvarlo ma non ci sono riuscita, lui mi diceva “moriamo, stiamo morendo”», racconta Teodora Doulis, 56 anni, greca, moglie di Georghios, 67, una delle otto vittime (bilancio purtroppo provvisorio). I due si erano gettati in mare per raggiungere la scialuppa. Il marito potrebbe essere deceduto per ipotermia.
«L’ho visto morire. Eravamo sullo scivolo della nave, lui davanti, io dietro. È rimasto impigliato a un telo di plastica e io non riuscivo a scendere. Ci davano fretta e ci dicevano di scendere, ed eravamo bagnati perché raggiunti dai getti d’acqua utilizzati per spegnere le fiamme. Alla fine siamo scesi in acqua, tenuti a galla dai salvagenti. C’era una nave, ma troppo lontana per soccorrerci. Siamo rimasti così più di quattro ore, nuotavo, per fortuna non avevo gli stivali. A mio marito usciva sangue dal naso, forse perché aveva battuto la testa sulla nave».
«A un certo punto», continua disperata la donna, «è arrivato un soccorritore che ha tentato di tagliare il telo in plastica in cui era rimasto intrappolato mio marito. Ma quando al secondo tentativo c’è riuscito, lui è morto tra le sue braccia. Ho visto anche un’altra persona morta, il cadavere era accanto a mio marito, aveva addosso una ciambella di salvataggio ma si vedeva che era privo di vita».
L’incendio è partito da uno dei cento camion nel garage, e si è propagato alle 150 auto. Soltanto una quarantina di passeggeri erano italiani. Duecento i greci. Tutti gli altri, di ogni nazionalità.
Il traghetto era nuovo. Varato a fine 2009 dai cantieri Visentini di Rovigo, apparteneva alla società Visemar, stesso gruppo. Ma in questi pochi anni ha cambiato vorticosamente mari, nomi e affittuari: prima la rotta Genova-Termini Imerese (Messina) finché qui c’era la fabbrica Fiat, poi Siremar, Grandi navi veloci e Moby per la Sardegna con il nome Scintu, infine i collegamenti con la Grecia con caronte e, attualmente, la compagnia greca Anek.
Il comandante italiano Argilio Giacomazzi, 62 anni, di La Spezia, è stato l’ultimo a lasciare la nave, prima che venisse trainata dai rimorchiatori nel porto di Brindisi. Almeno non c’è stato un altro caso Schettino.
Mauro Suttora
Presidenziabili 2014
Oggi, 31 dicembre 2014
di Mauro Suttora
Chi sarà eletto presidente della Repubblica in febbraio, passati i 15 giorni previsti dalla Costituzione dopo le dimissioni quasi sicure di Giorgio Napolitano? ROMANO PRODI, 75 anni, dev’essere risarcito per i 101 traditori che gli votarono contro nel segreto dell’urna due anni fa. Però è un vecchio dc.
Se sarà donna, potrebbe essere EMMA BONINO, 66 anni. Apprezzatissima in Europa (fu commissaria Ue negli Anni 90, nominata da Berlusconi) e nel mondo (si batte contro la pena di morte e ha fatto nascere la Corte internazionale dell’Onu). È radicale, quindi né di destra né di sinistra. E papa Francesco ha fatto cadere il veto del Vaticano contro di lei.
Un altro bipartisan: WALTER VELTRONI, 59 anni. Il fondatore del Pd non è più parlamentare, è stato «rottamato» da Renzi. Ma tutti ne apprezzano il buon carattere, anche se lo scandalo sulla mafia a Roma lo ha danneggiato (Luca Odevaine, arrestato, era un collaboratore del Veltroni sindaco).
Fra le candidate donne sembra un po’ in ribasso Roberta Pinotti, ministro della Difesa. ANNA FINOCCHIARO, 59, senatrice Pd, resta invece a galla: affidabile, affascinante, posata, la ex magistrata siciliana ha un’unica macchia: quella foto all’Ikea in cui un agente della scorta la aiutava a trasportare pacchi.
È un personaggio mitico, inaffondabile. Direttore del quotidiano Il Tempo per 15 anni, GIANNI LETTA, 79, è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio in tutti i governi Berlusconi. Zio di Enrico, il suo carattere felpato lo ha fatto apprezzare anche a sinistra. Se fosse eletto sarebbe il trionfo del «patto del Nazareno»: l’alleanza fra Renzi e Berlusconi nonostante i loro partiti siano uno al governo e l’altro all’opposizione.
Sconosciuto al grande pubblico fino a due mesi fa, quando Renzi lo ha nominato ministro degli Esteri, il 60enne PAOLO GENTILONI andrebbe bene se il premier volesse un presidente che non gli faccia ombra. Passato dall’estrema sinistra (Manifesto) a quasi democristiano (Margherita), Gentiloni è amico degli Usa.
Fra i non politici di professione il più quotato sembra RENZO PIANO, 77. Il nostro architetto più famoso gode di fama mondiale e ha acquistato anche un po’ di esperienza istituzionale dopo la nomina a senatore a vita dell’agosto 2013. Un altro outsider di lusso è il senatore Nobel Carlo Rubbia, 80.
Usa: agenti contro neri
PERCHÈ LA POLIZIA DI NEW YORK CONTESTA IL SINDACO DE BLASIO?
Ai funerali degli agenti uccisi al culmine delle tensioni razziali, i colleghi hanno voltato le spalle al primo cittadino
Oggi, 31 dicembre 2014
di Mauro Suttora
È incredibile che 50 anni dopo il discorso «I have a dream» di Martin Luther King gli Stati Uniti siano ancora alle prese con violenze razziali. Che questo succeda proprio sotto la presidenza di Barack Obama, primo nero alla Casa Bianca. E che venga criticato il sindaco di New York Bill de Blasio, simbolo dell’integrazione: nipote di italiani sposato a una donna di colore.
Ai funerali di due poliziotti newyorkesi (uno di origine spagnola, l’altro cinese) uccisi da un giovane di colore, i loro colleghi hanno contestato il sindaco voltandogli la schiena mentre parlava. Lo accusano di parteggiare per i neri i quali, pur essendo soltanto il 6% degli statunitensi maschi, rappresentano il 40% dei due milioni di incarcerati.
La polizia di New York è un feudo irlandese, come l’attuale assessore e il precedente. Ma la seconda nazionalità più rappresentata fra gli agenti è l’italiana. Il che non ha impedito la protesta contro De Blasio.
Gli agenti Usa hanno il grilletto facile contro i giovani neri? Sì. Ma bisogna considerare che questi ultimi commettono la metà degli omicidi negli Usa. Anche se il 93% delle loro vittime sono pure loro di colore. Non esiste, quindi, una guerra razziale bianchi/neri.
I poliziotti americani sono più duri di quelli europei. Sparano appena qualcuno punta contro di loro un’arma. Il problema è nato perché in agosto hanno ucciso un 18enne afroamericano a Ferguson (Missouri), rapinatore ma disarmato, e non sono stati neppure processati: colpa dei giudici, semmai.
Tuesday, December 30, 2014
L'amante di Hollande su Rai1
Sorprese: l'amante del presidente francese recita in Il ritorno di Ulisse
HOLLANDE: IN TV LA SUA JULIE È ELENA DI TROIA
Vedremo la Gayet su Rai1 nell'ultima puntata. Intanto prosegue il duello con la sua ex Valérie
Oggi, 15 dicembre 2014
di Mauro Suttora
Volete vedere in tv l’amante del presidente francese François Hollande? Guardate la quarta e ultima puntata di Il ritorno di Ulisse, su Rai 1 domenica 21 dicembre. L’attrice Julie Gayet interpreta Elena di Troia, moglie di Menelao. Un ruolo secondario, ma stranamente passato sotto silenzio: è già apparsa nella seconda puntata, e non se n’è accorto nessuno.
Sono ancora insieme, lei è spesso all’Eliseo
La fantasiosa fiction italofrancese sul re di Itaca ha poco a che fare con la storia raccontata nell’Odissea: qui Menelao, diventato nemico di Ulisse, lo affronta nel duello finale, nonostante entrambi abbiano combattuto assieme dieci anni contro i troiani per recuperare Elena rapita da Paride.
Alessio Boni interpreta Ulisse, ma né lui né Caterina Murino (che fa sua moglie Penelope) incrociarono la Gayet sul set in Portogallo durante le riprese nella primavera 2012. Allora Julie non aveva ancora iniziato la relazione clandestina con Hollande: era solo una delle tante attrici francesi ingaggiate dalla coproduzione.
La storia Gayet-Hollande è venuta alla luce nel gennaio 2014 con la pubblicazione di foto del presidente che andava in scooter a passare la notte a casa di lei. Subito c’è stata la rottura di Hollande con la sua convivente all’Eliseo, Valérie Trierweiler, la quale si è vendicata pubblicando un libro velenoso contro di lui (nostra storia di copertina la settimana scorsa).
Sembrava che dalla vita del presidente fosse uscita anche la Gayet, invece tre settimane fa ecco un altro colpo di scena con foto rubate: i due mangiano tranquilli in un giardino dell’Eliseo. E pare che Julie dorma spesso con lui nel palazzo presidenziale.
Wednesday, December 17, 2014
Salvini non sfonda al Sud
Il guru del meridione risponde a Salvini
«La Lega Nord cerca voti sotto Roma? È come se il Ku Klux Klan volesse vincere fra i neri». Pino Aprile spiega perché il piano nordista non va. E sulla Germania dice...
di Mauro Suttora
Oggi, 19 dicembre 2014
Ogni anno, ormai, arriva un nuovo libro di Pino Aprile, già vicedirettore di Oggi e direttore di Gente : Terroni 'ndernescional . Dopo il grande successo di Terroni (2010, edizioni Piemme) il profeta del Meridione aveva proseguito con Giù al Sud, Mai più terroni e Il sud puzza. Totale: una mezza milionata di copie vendute.
Perché «'ndernescional», ora?
«Perché ho scoperto che lo stesso triste destino riservato al nostro Sud con l'unità d'Italia è stato riservato anche all'ex Germania Est con l'unità tedesca di 25 anni fa. Invece del riscatto economico magnificato dalla propaganda, i tedeschi dell'Est ora stanno, nella media, peggio di prima».
Pure lei contro Angela Merkel?
«La Germania e il Nord Europa riserveranno a noi Paesi europei del Mediterraneo lo stesso trattamento».
Attento Aprile, anche la Lega Nord ora è antieuropeista.
«Matteo Salvini non ha inventato nulla. Il piano della Lega, non più Nord perché vorrebbe sfondare anche al Sud, era chiaro già un quarto di secolo fa, con il regionalismo del professor Gianfranco Miglio».
E perché allora non funzionò?
«Perché la nascita di Forza Italia nel 1994 impedì il progetto di due partiti secessionisti, la Lega al Nord e un partito al Sud appoggiato dalla mafia».
Invece oggi?
«La speranza di Salvini è vana: la Lega non può raccattare molti voti al Sud. Sarebbe come se il Ku Klux Klan pretendesse di rappresentare i neri d'America».
Quindi, cosa succederà?
«Dobbiamo difendere il Mediterraneo, uno dei luoghi più comodi per la nostra specie, dalle mire del Nord Europa».
Mauro Suttora
Wednesday, December 10, 2014
Vergogne di stampa
Segreti dell'informazione: in un libro 200 anni di rapporti con i politici
CHE SVIOLINATE A TUTTI I POTENTI!
Foscolo e gli austriaci. Longanesi che schiaffeggia Toscanini. Montanelli sull'attenti dal duce. Comunisti nelle riviste fasciste. E anche oggi, troppe riverenze
di Mauro Suttora
Oggi, 3 dicembre 2014
Marzo 1815. Napoleone scappa dall’isola d’Elba e punta su Parigi. Titoli di prima pagina sul giornale Moniteur: «Il mostro è fuggito dall’esilio» (9 marzo); «Il tiranno è a Lione (13 marzo); «L’usurpatore è a 60 ore di marcia dalla capitale» (18 marzo); «Bonaparte avanza a tappe forzate» (19 marzo); «Napoleone arriverà domani» (20 marzo); «L’Imperatore è a Fontainebleau» (21 marzo); «Sua maestà l’Imperatore è arrivato alle Tuileries. Niente può superare la gioia universale» (22 marzo).
E niente può superare la vergogna di certi giornali che voltano gabbana e si offrono al potente di turno. Pier Luigi Vercesi li castiga nel libro Ne ammazza più la penna (Sellerio), tracciando una storia dei giornalisti che hanno fatto la storia d’Italia negli ultimi due secoli.
Con qualche sorpresa: per esempio Ugo Foscolo che, spinto dal bisogno, aveva accettato l’offerta di dirigere un giornale filoaustriaco. Fortunatamente il conte Federico Confalonieri lo dissuase. Oppure Leo Longanesi, brillante giornalista ma anche fascista al punto di schiaffeggiare Arturo Toscanini perché non eseguì Giovinezza, inno del regime.
Quanto al principe dei giornalisti italiani, Indro Montanelli, pure lui con qualche peccatuccio di gioventù. Per esempio, quando si mise sull’attenti davanti al Duce a palazzo Venezia con i colleghi di un nuovo giornale. Per non parlare dei tanti comunisti (Alicata, Pintor, Guttuso, Trombadori) che scrissero sul giornale razzista Primato.
E oggi, Vercesi?
«Il rapporto tra giornalismo e potere è cambiato. Le direzioni dei giornali non sono più un trampolino per la politica. Berlusconi, Renzi e Grillo arrivano direttamente al pubblico più sprovveduto con tv e Rete. Ma Grillo è già in declino».
Sicuro?
«Mi ricorda il senatore McCarthy nell’America degli Anni 50, quello della caccia alle streghe. Aveva trovato il modo di “manipolare” l’informazione, ma non durò. I giornalisti lo seppellirono».
Meglio i giornali di tv e Rete?
«Se si pensa di essere informati perché si seguono i social network si commette una terribile ingenuità. La Rete, da apparente luogo democratico per eccellenza, si sta trasformando in uno strumento pubblicitario e di marketing, anche politico, che, attraverso la semplificazione e gli slogan, può anche far credere che gli asini volano. Così l’Italia rischia di trasformarsi in un immenso bar sport. Con conseguenze che non sappiamo. Ma che possiamo immaginare».
Mauro Suttora
Una notte con una coguara
IL FENOMENO DELLE MILF ("MOTHER I'D LIKE TO FUCK") SI ALLARGA ANCHE IN ITALIA
di Mauro Suttora
Oggi, 3 dicembre 2014
Le due cougar ballano al Gattopardo di Milano, chiesa sconsacrata in zona Sempione. Sono le undici di un sabato sera di novembre. Quarantenni, si muovono con grazia felpata in mezzo alla pista, circondate da una folla prevalente di trentenni.
Non è difficile stabilire il contatto con tre occhiate. Mi avvicino sorridendo: «Posso offrirvi qualcosa?»
«Grazie volentieri, abbiamo proprio sete».
Più cordiali di così. Fendiamo la folla, andiamo al banco, ordiniamo. I convenevoli. Una ha lunghi capelli corvini lisci, giacchetta nera, jeans attillati. L’altra, bionda, è come lei impiegata in un ente pubblico.
Venite spesso?
«È la terza volta quest’anno, bella musica anche revival, vogliamo divertirci».
Cosa sottintende quel “divertirci” lo sanno tutti, ma nessuno lo dice. Torniamo in pista, mi svelo come giornalista. Claudia la mora è divertita e gentile, accetta di raccontare.
«Guarda, i locali sono pieni di donne quarantenni e anche cinquantenni. Soprattutto aperitivi, ma le happy hour si prolungano fino alle dieci, e poi oltre quando si aprono le danze. In tutti i sensi. Per flirtare abbiamo una scelta infinita. E non ci sono più barriere d’età. L’altro giorno mio figlio, secondo anno d’università, mi ha riferito una frase di un suo compagno: “Figa tua madre”. Finita lì, ovviamente, perché le milf, le madri da portare a letto, esistono solo nelle fantasie dei ragazzotti. O in quelle di qualche tardona svitata. Però è vero che a livello di abbordaggio i ventenni sono sempre più attratti dalle quarantenni, perfino da quelle vicine ai 50».
E poi?
«E poi niente, nel senso che chi ha voglia di divertirsi si diverte». Dove? «Qualche bacetto può scappare anche qui, dietro a una colonna. Oppure in auto. Ma quasi sempre ci si soddisfa parlando. Adoriamo essere corteggiate. Sono rare le mie amiche che si spingono oltre».
Sposate?
«No, quasi tutte separate o in via di. Ma non hanno voglia di cose serie, pesanti. Sai qual è il vero problema?»
Che s’innamorano i ragazzi.
«Esatto. Questi ti chiedono la mail, il telefono, ti invitano fuori, si fanno dei castelli in aria. Incredibile. E tu hai voglia a dirgli “Potrei essere tua madre”. Il più simpatico mi ha risposto: “Appunto, eccitante”».
E noi uomini over 40 e 50, tutti ammosciati?
«Ma no, ci siete, ci siete. Fastidiosissimi [ride]… Nel senso che dite di essere divorziati, e invece poi si scopre che avete tanto di famiglia. Non che sia un problema: per quelle che vogliono solo distrarsi, anzi, meglio così. Però pesantiiii… Non solo l’alito, è che quando cominciate a parlare dite cose noiose. Prevedibili. Sembrate gli acchiappatori di una volta. La fantasia ce l’hanno solo i giovani. La leggerezza».
Per esempio?
«Una mia amica ha ballato con un ragazzo fino alle quattro del mattino, poi questo l’ha portata a Malpensa e davanti a tabelloni delle partenze le ha detto: “Scegli tu”. Le ha comprato il biglietto e sono partiti per un weekend al mare. Così, senza un ricambio di vestiti. Neanche lo spazzolino».
Come nei film.
«Beh, il furbacchione l’ha portata al terminal due, quello dei voli low-cost. Però poi a Ibiza le ha comprato tutto il guardaroba».
Mauro Suttora
Labels:
cougar,
gattopardo,
ibiza,
malpensa,
mauro suttora,
milano,
milf
11 portaborse per un grillino
OGNI EURODEPUTATO PUO' SPENDERE FINO A 21 MILA EURO MENSILI PER I PORTABORSE. COSI' IL 5 STELLE IGNAZIO CORRAO LI DA' AGLI ATTIVISTI SICILIANI. MA ANCHE SALVINI, CESA E LA MUSSOLINI...
di Mauro Suttora
Oggi, 3 dicembre 2014
Undici portaborse. Tanti ne ha assunti, da solo, l’eurodeputato 5 stelle Ignazio Corrao. Li paga in tutto 21 mila euro al mese, cifra massima consentita dall’Europarlamento. Tre a Bruxelles e otto nella sua Sicilia. Ma il movimento di Beppe Grillo non prometteva di ridurre gli sprechi della politica?
I 16 colleghi grillini di Corrao rimangono nella media, tre-quattro collaboratori a testa. E quello del generoso Ignazio non è il record dell’affollamento: il suo corregionale berlusconiano Salvatore Cicu ha imbarcato ben tredici portaborse. Il piddino casertano Nicola Caputo, dieci. Ma della differenza con Pd e Pdl il Movimento 5 stelle aveva fatto una bandiera. Che ora non sventola più orgogliosa come prima.
L’assunzione dei portaborse, infatti, ha scatenato una bufera. Che rispetto al terremoto degli espulsi in Italia è minima, ma spiega la disaffezione di attivisti e votanti per Grillo: mezzo milione di voti persi su 650mila in Emilia al voto regionale del 23 novembre.
Agli eurodeputati 5 stelle la società Casaleggio & Associati aveva imposto 24 sconosciuti: più per controllarli che per assisterli, sembrava. Fra questi, vari riciclati: Cecilia Arvedi, ex assistente dell’Udc calabrese Gino Trematerra, Monia Benini, già segretaria provinciale dei Comunisti italiani a Ferrara, il portaborse di un’ex eurodeputata forzista e quello dell’ex europarlamentare dipietrista Pino Arlacchi.
Gli eurodeputati grillini si sono ribellati e in ottobre li hanno licenziati tutti, compreso il potente capo della comunicazione Claudio Messora. Ora però hanno dovuto riassumerne 17, accollandoseli singolarmente. Messora, per esempio, risulta a carico dell’eurodeputato bergamasco Marco Zanni.
Riciclati e fidanzate
La Arvedi è stata aiutata da Daniela Aiuto, abruzzese (è il caso di dirlo), la Benini è stata «salvata» dalla tarantina Rosa D’Amato. Quanto all’eurodeputato veronese Marco Zullo, ha assunto autonomamente Alessandro Corazza, capogruppo Idv in regione Friuli fino al 2013. Anche la ex fidanzata di un pezzo grosso dei 5 stelle è stata recuperata.
Gli attivisti del movimento sono imbestialiti. Anche perché gli stipendi dei deputati (5.200 euro netti mensili) e assistenti a Bruxelles sono il doppio di quelli di Roma. In Italia gli eletti grillini, in Parlamento e nelle regioni, si autoriducono i compensi a 2.700-3.200 al mese (rimborsi esclusi). E i portaborse stanno sui 1.200.
Certo, nessuno dei collaboratori di Corrao è suo parente. L’eurodeputato Lorenzo Cesa (Udc) ha invece assunto la figlia del collega di partito Rocco Buttiglione. Alessandra Mussolini ha imbarcato il fidanzato 19enne della propria primogenita.
Sulle orme del segretario leghista Matteo Salvini che dieci anni fa beneficiò il fratello di Umberto Bossi, mentre Francesco Speroni regalò uno stipendio al primogenito Riccardo (da non confondere con Renzo, il «trota»).
Però i grillini promettevano di ripulire la politica. Invece si sono ridotti a distribuire «redditi di cittadinanza» a propri attivisti disoccupati. In fondo, fa parte del loro programma.
Mauro Suttora
Grillo ne espelle due e ne nomina 5
di Mauro Suttora
Oggi, 3 dicembre 2014
Con Beppe Grillo non ci si annoia mai. Una mattina si sveglia e decide che avere espulso un terzo dei suoi senatori in un anno e mezzo non gli basta. Decreta che altri due deputati non avrebbero rispettato le regole del suo movimento sui soldi da restituire, e ricomincia con le purghe. Quelli pubblicano su Facebook le ricevute dei versamenti di metà del loro stipendio. Niente da fare.
La sarda Paola Pinna ha osato donare qualche migliaio di euro alla Caritas di Olbia dopo l'alluvione di un anno fa, invece di buttare i soldi in un fantomatico conto ministeriale per le piccole e medie imprese che non ha ancora erogato un centesimo. «Conflitto di interessi, voto di scambio!», tuonano sui siti del Movimento 5 stelle (M5s) gli "influencer", fedelissimi della società Casaleggio & Associati incaricatidi spargere il verbo. Come se la Caritas fosse la mafia, che ricambierà il favore ricevuto dalla “furba” Pinna.
L'altro reprobo è Massimo Artini, un toscano che appena un mese fa ha mancato per soli dodici voti (44 a 32) l'elezione a nuovo capogruppo dei deputati 5 stelle. Un pezzo grosso, quindi, con un largo seguito. Proprio come Luis Orellana, il senatore che prima della cacciata a marzo era il candidato presidente del Senato del movimento, e poi aveva perso di un soffio con Nicola Morra la guida del gruppo. Insomma, appena rischia di emergere un non fedelissimo a Grillo e a Gianroberto Casaleggio, loro inventano qualche scusa per farlo fuori.
I processi sono una farsa. Anzi, non ci sono proprio. Tre millenni dopo Salomone, i grillini non hanno ancora imparato che prima di giudicare bisogna almeno sentire entrambe le campane. Il diritto alla difesa è sconosciuto in Grillolandia. L'ex comico rovescia sul malcapitato di turno una valanga di accuse, e subito dopo chiede agli iscritti di votare immediatamente sì o no all’epurazione sul sito privato della Casaleggio & Associati. Senza preavviso.
Nessun controllo esterno sulla regolarità del voto. Nessuna distinzione individuale fra gli imputati, da condannare in blocco come infoibati legati fra loro col fil di ferro. Nessun verdetto dell'assemblea dei parlamentari, come richiesto dal regolamento. Si vota solo fino alle 19, e peggio per chi lavora o non sta sempre appiccicato al telefonino. Giustizia-lampo. Il modello è l'ordalia Gesù/Barabba. Ma loro lo chiamano «giudizio della Rete». Inappellabile.
Stessa commedia il giorno dopo. Grillo decide di nominarsi cinque vice. Viola lo statuto del movimento, scritto da lui nel 2009, che all'articolo 4 vieta i dirigenti di partito: «Nessun organismo intermedio fra votanti ed eletti». L'unico non campano è il romano Alessandro Di Battista, ex collaboratore della società Casaleggio. Tutti deputati, nessun senatore.
Quota rosa per Carla Ruocco, bella e borghesissima signora di Posillipo con erre moscia. Gradimento della sua pagina Facebook (termometro della simpatia online): 36mila «mi piace», contro i 185mila della popolana ma popolare Paola Taverna. Gli altri: Luigi Di Maio, Roberto Fico (presidente della commissione Vigilanza di quella Rai che il programma 5 stelle voleva invece privatizzare) e Carlo Sibilia, avellinese complottista convinto che il club Bilderberg governi segretamente il mondo, ma dubbioso riguardo allo sbarco sulla Luna.
Commenta la senatrice marchigiana Serenella Fucksia, soprannominata «Sharon Stone a 5 stelle»: «Il direttorio fantasma diventa ufficiale, da movimento a partito. Passiamo dai successi alla ridicolata degli scontrini, alle espulsioni assurde, ai cambiamenti continui di verso. Le regole? Un po' cambiate, un po' ignorate. Dopo il risultato deludente alle europee e alle regionali il metodo appare fragile, lontano dalla democrazia diretta e di certo non modello esemplare di vera democrazia».
In rete questa volta gli attivisti si scatenano contro i dirigenti nominati dall'alto, non votati, da ratificare in blocco. I server privati della Casaleggio annunciano un sospetto 90% di sì. Ma davanti alla villa di Grillo a Marina di Bibbona (Livorno) i militanti protestano. Fra loro, perfino la compagna del neosindaco 5 stelle di Livorno. Con Grillo non ci si annoia mai. Però i suoi adepti non si divertono più.
Mauro Suttora
Wednesday, November 26, 2014
Rottamate quel sindaco
ROMA, GENOVA, CARRARA: ORMAI RISCHIANO IL LINCIAGGIO. PERCHÈ SONO I POLITICI PIÙ RAGGIUNGIBILI DAI CITTADINI ESASPERATI
di Mauro Suttora
Oggi, 19 novembre 2014
Ormai rischiano il linciaggio. Il sindaco di Roma
Ignazio Marino se l’è vista brutta quando si è avventurato nella borgata di Tor
Sapienza a fronteggiare i cittadini scatenati contro i centri per gli
immigrati. Quello di Carrara Angelo Zubbani ha subìto un assalto in piena
regola nel proprio municipio dopo i disastri dell’alluvione. E quello di
Genova, il nobile di estrema sinistra Marco Doria, non osa più mostrarsi in
strada dopo gli insulti incassati dagli esasperati in mezzo al fango.
Sono loro i più esposti all’odio popolare che
monta contro la casta politica. I più raggiungibili, il bersaglio più facile e
concreto. Così, mentre fino a qualche anno fa la carica di sindaco era un buen
retiro per dirigenti di partito anche di livello nazionale (Francesco Rutelli,
Walter Veltroni e Gianni Alemanno a Roma, Massimo Cacciari a Venezia, Piero
Fassino a Torino), oggi la poltrona di primo cittadino è fra le più scomode.
Qualcuno poi ce ne mette di suo, per aggravare la
situazione. Il napoletano Luigi De Magistris si aggrappa ai cavilli del Tar per
sfuggire alla stessa legge Severino che ha fatto fuori Silvio Berlusconi dal
Senato: i condannati devono mollare la carica. Si sente vittima di complotti
(ma questo da sempre), avrà anche ragione, ma poteva aspettare la sentenza
d’appello accettando una sospensione temporanea.
Il leghista Massimo Bitonci ha
trionfato a primavera nella sua Padova: che bisogno aveva di esasperare gli
animi rifiutando di dare udienza al console marocchino del Triveneto? Cioè proprio
al rappresentante di uno dei Paesi arabi più tolleranti e pacifici?
E il giovane Massimo Zedda di Cagliari, volto
pulito diventato sindaco a soli 35 anni: non poteva stare più attento a non
intervenire nella nomina della nuova sovrintendente al teatro lirico, che ha
provocato una richiesta d’incriminazione per abuso d’ufficio?
I guai se li è tirati addosso anche Maurizio
Zoccarato, primo cittadino di Sanremo (Imperia). È stato visto prendere a calci
il cestino di un mendicante rumeno nella centrale via Matteotti all'ora dello
struscio: «Volevo solo farlo allontanare». Poi ha aggravato la situazione:
«Rumeno? No, era uno zingaro», come se le due cose fossero incompatibili.
Le traversie del sindaco a 5 stelle Federico
Pizzarotti derivano da un fax ricevuto nel suo ufficio vuoto di sabato
pomeriggio: avvertiva del pericolo di straripamento di un torrente che poi ha
provocato grandi danni. In più non è riuscito a far chiudere l’inceneritore
come promesso in campagna elettorale, e continua a fare la fronda al suo capo
Beppe Grillo.
Anche l’altro primo cittadino grillino Filippo
Nogarin di Livorno ha aperto innumerevoli fronti: litiga con spazzini, consorzi
di acqua e case popolari. Vuole ristrutturare il vecchio ospedale invece di
costruirne uno nuovo.
Nella vicina Pisa Marco Filippeschi è contestato
per avere tagliato di 400 euro i salari ai dipendenti comunali, che occupano il
suo ufficio. Potrebbe anche aver ragione, ma loro lo accusano di non avere
toccato gli altri costi della politica.
Il veneziano Giorgio Orsoni è stato arrestato a
giugno per lo scandalo Mose (dighe contro l’acqua alta): gli viene rifiutato il
patteggiamento, sarà l’unico a finire sotto processo.
Ad Avellino Paolo Foti è indagato per omicidio
plurimo colposo, omesso controllo e disastro ambientale per cinque operai morti
dell'ex fabbrica Isochimica, e i 232 che hanno subìto lesioni.
Leopoldo Di Girolamo di Terni è accusato di avere
incassato 3,6 milioni di euro per la radio privata del suo movimento politico
come contributo pubblico all’editoria.
Il potente Vincenzo De Luca a Salerno è invece
incriminato per il Crescent, mostro di cemento dell’architetto Ricardo Bofill
costruito sul Lungomare, che ostruisce la vista.
Franco Susino di Scicli (Ragusa) ha ricevuto un avviso
di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa: presunte
infiltrazioni in municipio di una cosca catanese.
A Manfredonia (Foggia) Angelo Riccardi ha subìto
un obbligo di dimora con l’accusa di avere cercato di comprare esami da un
professore dell’università di Pescara, per ottenere la laurea in Scienze
manageriali.
Potevano infine mancare gli odiati autovelox?
Pietro Caberletti di Bagnolo Po (Rovigo) è indagato per abuso d'ufficio
(aggiudicazione indebita e illeciti profitti) su appalto, installazione e
gestione dei rilevatori di velocità nel suo comune.
Mauro Suttora
RIQUADRO: LA GIUNGLA DEGLI STIPENDI
4.500 euro netti al mese (9.700 lordi): questo è lo stipendio del sindaco di Roma Ignazio Marino. Quello di Milano Giuliano Pisapia, invece, se l’è ridotto a 3.600 mensili. Poco, rispetto ai 5.800 del primo cittadino di Bari. O ai 4.100 di Luigi De Magistris a Napoli.
• Come mai queste differenze? La giungla degli stipendi deriva dalla facoltà concessa a ogni consiglio comunale di aumentare o diminuire le indennità del 30% rispetto a quelle fissate per legge, in base a parametri sfuggenti come numero degli abitanti, bilanci in attivo o percentuale delle entrate proprie sul totale.
• In teoria i sindaci delle città oltre il mezzo milione di abitanti dovrebbero guadagnare tutti poco più di 4.000 netti al mese, quelli oltre i 250 mila abitanti 3.500, sopra i centomila 3.000 euro e oltre i 50mila 2.700. Il minimo, per i paesi fino a 3 mila abitanti: mille euro al mese. Ma, nella realtà, c’è ampio margine per rimpinguarsi.
Wednesday, November 19, 2014
Eutanasia a Paradiso
Dopo la morte di Brittany: sta per aprire la prima clinica per la «dolce morte» nella Svizzera italiana
dal nostro inviato Mauro Suttora
settimanale Oggi, 12 novembre 2014
Benvenuti in Paradiso. Qui, in questo ricco sobborgo a sud di Lugano, 15 chilometri dal confine con l’Italia, sta per aprire la prima clinica per l’eutanasia in Svizzera italiana. Un palazzone moderno in via delle Scuole. Nessuna targa all’entrata, potrebbe essere un ufficio qualunque. La gestirà Liberty Life, associazione che rispettando la legge elvetica offre la «dolce morte».
Qui sarebbe venuta Brittany Maynard, la 29enne americana ammalata di cancro al cervello terminale, se fosse stata italiana. «Anche lei, per ottenere l’eutanasia il primo novembre, ha dovuto trasferirsi», spiega Mina Welby, paladina della dolce morte, «perché negli Stati Uniti lo si può fare solo in Oregon». In Europa è legale in Svizzera, Olanda, Svezia, e da qualche mese anche in Belgio.
Sono una cinquantina gli italiani che negli ultimi tre anni hanno scelto la Svizzera per morire. Due al mese. Un caso famoso nel 2011: Lucio Magri, fondatore del movimento comunista Il Manifesto. Finora bisognava andare nei centri Dignitas a Zurigo o a Berna (quelli di Losanna, Ginevra e Basilea non sono aperti agli stranieri). Fra qualche settimana, con l’apertura dell’ambulatorio di Paradiso, per gli italiani sarà più semplice ed economico.
Mina Welby è vedova di Piergiorgio, il famoso malato di distrofia progressiva che si fece morire nel 2006. Un mese fa ha camminato per venti ore attorno alla Camera dei deputati. Sollecita la discussione della proposta di legge dell’associazione Coscioni, con 60 mila firme, che introduce l’eutanasia. Niente da fare. In Italia sono favorevoli solo i radicali, Sel, qualche grillino e rari parlamentari del Pd come Luigi Manconi, anche lui firmatario di una proposta.
Eppure secondo i sondaggi sei italiani su dieci sono per l’eutanasia. «Che comunque è praticata di nascosto in tutti gli ospedali, come cessazione dell’accanimento terapeutico», dice Mina Welby. Lei è cattolica. Ma la Chiesa rifiutò i funerali a suo marito.
«Diceva Indro Montanelli: “Voglio essere io a decidere il come e il quando della mia morte”», spiega Emilio Coveri, presidente di Exit, l’associazione che indirizza i malati ai centri svizzeri: «Se la legge lo consentisse, aiuterei le persone a morire. Ma chi lo fa in Italia è imputabile di omicidio. Non possiamo neppure accompagnare al confine chi va in Svizzera».
Infatti gli articoli 579 e 580 del codice penale italiano puniscono sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio. «Eppure proponiamo una cosa paragonabile alla legalizzazione dell’aborto e del divorzio. Una conquista sociale».
Anche per Coveri, come per Mina Welby, c’è stata un’esperienza personale drammatica: «Ho deciso che mi sarei impegnato per l’eutanasia quando vidi mio padre morire dopo mesi di atroci sofferenze».
Ma come funziona, nei centri svizzeri? Basta la ricetta di un qualsiasi dottore per ottenere un flacone del micidiale Nap (Natrium Pentobarbital) che, bevuto con un sonnifero, provoca la morte indolore in pochi minuti. C’è però la distinzione fra «aiuto al suicidio», permesso in Svizzera, e l’eutanasia, proibita anche qui.
Perciò è lo stesso suicida che deve portare alla bocca con le proprie mani il bicchiere con il farmaco letale. Se lo fa un altro, è omicidio. Per dimostrare che la legge viene rispettata, tutte le fasi dell’operazione vengono filmate.
La procedura è rigorosa. All’inizio c’è l’incontro col medico per un colloquio preliminare, la presentazione della cartella clinica e la prescrizione della ricetta. La malattia incurabile dev’essere accertata da tre dottori, che verificano anche se il malato è in pieno possesso delle sue facoltà mentali.
I medici hanno l’obbligo di convincere gli aspiranti suicidi a recedere dal loro proposito. E nella maggioranza dei casi ci riescono. Dignitas non accetta casi di semplice depressione. La legge svizzera non lo proibisce, ma non si è mai trovato uno psichiatra che la certificasse come «malattia terminale».
Poi inizia la fase finale. Quasi sempre il malato è accompagnato da un familiare o un amico. Può scegliere come colonna sonora per il congedo fra varie canzoni. Le preferite: God only Knows (Solo il Signore sa) dei Beach Boys, How Can I Tell You di Cat Stevens e For My Lady dei Moody Blues. Può sembrare agghiacciante addentrarsi in particolari musicali. Invece le canzoni sono importanti per affrontare questi momenti tremendi. Welby scelse un brano di Bob Dylan.
Poi il malato lascia gli accompagnatori ed entra in una seconda stanza, dove alla presenza di un medico legale si procede. Gli si domanda ancora se è convinto della sua decisione. Si somministra un antiemetico per evitare il vomito.
Dopo mezz’ora, sempre che il suicida non abbia cambiato idea in extremis, gli viene portato il cocktail letale sciolto in acqua o succo di frutta. Per berlo può usare anche una cannuccia. Dopo pochi minuti si addormenta, all’anestesia subentra il coma, infine entro 20-30 minuti sopraggiunge l’arresto cardiaco o respiratorio.
Il costo è 3 mila euro, che aumentano fino a 7-8 mila se si arriva fino alle urne con le ceneri spedite a domicilio all’estero. In Svizzera sono pratici, niente dibattiti ideologici sul diritto alla vita e alla morte. Nel 2011 il cantone di Zurigo ha votato sull’eutanasia per gli stranieri. Ha votato soltanto il 30 per cento, e 80 su cento hanno confermato il sì. Ma più che altro qualcuno voleva far pagare una tassa ai «turisti del suicidio».
Mauro Suttora
dal nostro inviato Mauro Suttora
settimanale Oggi, 12 novembre 2014
Benvenuti in Paradiso. Qui, in questo ricco sobborgo a sud di Lugano, 15 chilometri dal confine con l’Italia, sta per aprire la prima clinica per l’eutanasia in Svizzera italiana. Un palazzone moderno in via delle Scuole. Nessuna targa all’entrata, potrebbe essere un ufficio qualunque. La gestirà Liberty Life, associazione che rispettando la legge elvetica offre la «dolce morte».
Qui sarebbe venuta Brittany Maynard, la 29enne americana ammalata di cancro al cervello terminale, se fosse stata italiana. «Anche lei, per ottenere l’eutanasia il primo novembre, ha dovuto trasferirsi», spiega Mina Welby, paladina della dolce morte, «perché negli Stati Uniti lo si può fare solo in Oregon». In Europa è legale in Svizzera, Olanda, Svezia, e da qualche mese anche in Belgio.
Sono una cinquantina gli italiani che negli ultimi tre anni hanno scelto la Svizzera per morire. Due al mese. Un caso famoso nel 2011: Lucio Magri, fondatore del movimento comunista Il Manifesto. Finora bisognava andare nei centri Dignitas a Zurigo o a Berna (quelli di Losanna, Ginevra e Basilea non sono aperti agli stranieri). Fra qualche settimana, con l’apertura dell’ambulatorio di Paradiso, per gli italiani sarà più semplice ed economico.
Mina Welby è vedova di Piergiorgio, il famoso malato di distrofia progressiva che si fece morire nel 2006. Un mese fa ha camminato per venti ore attorno alla Camera dei deputati. Sollecita la discussione della proposta di legge dell’associazione Coscioni, con 60 mila firme, che introduce l’eutanasia. Niente da fare. In Italia sono favorevoli solo i radicali, Sel, qualche grillino e rari parlamentari del Pd come Luigi Manconi, anche lui firmatario di una proposta.
Eppure secondo i sondaggi sei italiani su dieci sono per l’eutanasia. «Che comunque è praticata di nascosto in tutti gli ospedali, come cessazione dell’accanimento terapeutico», dice Mina Welby. Lei è cattolica. Ma la Chiesa rifiutò i funerali a suo marito.
«Diceva Indro Montanelli: “Voglio essere io a decidere il come e il quando della mia morte”», spiega Emilio Coveri, presidente di Exit, l’associazione che indirizza i malati ai centri svizzeri: «Se la legge lo consentisse, aiuterei le persone a morire. Ma chi lo fa in Italia è imputabile di omicidio. Non possiamo neppure accompagnare al confine chi va in Svizzera».
Infatti gli articoli 579 e 580 del codice penale italiano puniscono sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio. «Eppure proponiamo una cosa paragonabile alla legalizzazione dell’aborto e del divorzio. Una conquista sociale».
Anche per Coveri, come per Mina Welby, c’è stata un’esperienza personale drammatica: «Ho deciso che mi sarei impegnato per l’eutanasia quando vidi mio padre morire dopo mesi di atroci sofferenze».
Ma come funziona, nei centri svizzeri? Basta la ricetta di un qualsiasi dottore per ottenere un flacone del micidiale Nap (Natrium Pentobarbital) che, bevuto con un sonnifero, provoca la morte indolore in pochi minuti. C’è però la distinzione fra «aiuto al suicidio», permesso in Svizzera, e l’eutanasia, proibita anche qui.
Perciò è lo stesso suicida che deve portare alla bocca con le proprie mani il bicchiere con il farmaco letale. Se lo fa un altro, è omicidio. Per dimostrare che la legge viene rispettata, tutte le fasi dell’operazione vengono filmate.
La procedura è rigorosa. All’inizio c’è l’incontro col medico per un colloquio preliminare, la presentazione della cartella clinica e la prescrizione della ricetta. La malattia incurabile dev’essere accertata da tre dottori, che verificano anche se il malato è in pieno possesso delle sue facoltà mentali.
I medici hanno l’obbligo di convincere gli aspiranti suicidi a recedere dal loro proposito. E nella maggioranza dei casi ci riescono. Dignitas non accetta casi di semplice depressione. La legge svizzera non lo proibisce, ma non si è mai trovato uno psichiatra che la certificasse come «malattia terminale».
Poi inizia la fase finale. Quasi sempre il malato è accompagnato da un familiare o un amico. Può scegliere come colonna sonora per il congedo fra varie canzoni. Le preferite: God only Knows (Solo il Signore sa) dei Beach Boys, How Can I Tell You di Cat Stevens e For My Lady dei Moody Blues. Può sembrare agghiacciante addentrarsi in particolari musicali. Invece le canzoni sono importanti per affrontare questi momenti tremendi. Welby scelse un brano di Bob Dylan.
Poi il malato lascia gli accompagnatori ed entra in una seconda stanza, dove alla presenza di un medico legale si procede. Gli si domanda ancora se è convinto della sua decisione. Si somministra un antiemetico per evitare il vomito.
Dopo mezz’ora, sempre che il suicida non abbia cambiato idea in extremis, gli viene portato il cocktail letale sciolto in acqua o succo di frutta. Per berlo può usare anche una cannuccia. Dopo pochi minuti si addormenta, all’anestesia subentra il coma, infine entro 20-30 minuti sopraggiunge l’arresto cardiaco o respiratorio.
Il costo è 3 mila euro, che aumentano fino a 7-8 mila se si arriva fino alle urne con le ceneri spedite a domicilio all’estero. In Svizzera sono pratici, niente dibattiti ideologici sul diritto alla vita e alla morte. Nel 2011 il cantone di Zurigo ha votato sull’eutanasia per gli stranieri. Ha votato soltanto il 30 per cento, e 80 su cento hanno confermato il sì. Ma più che altro qualcuno voleva far pagare una tassa ai «turisti del suicidio».
Mauro Suttora
Labels:
associazione coscioni,
bob dylan,
brittany maynard,
dignitas,
emilio coveri,
eutanasia,
exit,
lucio magri,
lugano,
luigi manconi,
mauro suttora,
mina welby,
paradiso,
piergiorgio welby,
settimanale oggi,
svizzera
Wednesday, November 12, 2014
Chi sono gli anti-Renzi
I NEMICI? IN CASA
Le opposizioni fanno il loro mestiere. Ma le vere minacce per il premier arrivano dalle minoranze Pd e dai sindacalisti di sinistra Camusso e Landini. I "rottamati" ex comunisti potrebbero andarsene e fondare un nuovo partito
Oggi, 5 novembre 2014
di Mauro Suttora
«Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io». I problemi, per il premier Matteo Renzi, arrivano più dai suoi compagni del Partito democratico che dagli avversari. Di qualunque cosa si discuta, infatti - riforma del Senato, nuova legge elettorale, articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - le resistenze più forti, fastidiose e inaspettate giungono dall’interno del Pd.
Gianni Cuperlo, suo avversario alle primarie per la segreteria un anno fa (prese il 18% dei voti, contro il 67% di Renzi): «Il progetto di Renzi è vecchio, ma resto nel partito per rilanciare la sinistra», ha detto, preferendo andare alla manifestazione Cgil contro il governo del 25 ottobre, piuttosto che a quella contemporanea dei renziani all’ex stazione Leopolda di Firenze.
Anche Pippo Civati, forte del suo 14% alle primarie, è in odore di scissione: potrebbe confluire in un nuovo partito di sinistra con quel che resta di Sel (Sinistra, ecologia e libertà) di Nichi Vendola, gli ex grillini, la Fiom di Maurizio Landini e dissidenti Pd come l’ex giornalista Corradino Mineo o l’ex magistrato Felice Casson. Il suo prossimo campo di battaglia è il Jobs Act (riforma del lavoro): «È di destra. Voterò contro».
Punto debole: il senato
Alla Camera Renzi può permettersi che qualche dissidente non voti le numerose fiducie che il suo governo impone (strozzando i dibattiti) per stare nei tempi dei decreti legge: 60 giorni dalla loro emanazione. Ma al Senato la maggioranza Pd-Ncd-Udc-Scelta civica ha solo una ventina di senatori in più dell’opposizione, quindi i voti sono spesso sul filo del rasoio.
Ormai gli ex pesi massimi del Pd sono stati rottamati e umiliati in ogni modo da Renzi: da Massimo D’Alema a Pier Luigi Bersani, da Rosy Bindi a Walter Veltroni ed Enrico Letta. Normale, quindi, che non perdano occasione per criticarlo. Ma le loro correnti ormai si sono sfaldate: chi è passato dalla parte del segretario-premier è stato premiato (con la presidenza del Pd Matteo Orfini, con il ministero della Cultura Dario Franceschini). Quelli che resistono, come l’ex viceministro dell’Economia nel governo Letta, Stefano Fassina, si sentono sempre più stranieri in casa loro.
Forte del 40,8% ottenuto alle Europee di cinque mesi fa, e dei sondaggi che lo vedono sempre con una popolarità personale del 50-60%, Renzi avanza baldanzoso, noncurante delle critiche. Che però cominciano ad arrivargli da personaggi che finora lo avevano guardato con simpatia. Ferruccio de Bortoli a settembre lo accusò di inconcludenza. Da allora comunque il suo Corriere della Sera non si è accanito contro il governo, pur avendone il motivo: il raddoppio delle tasse sulle pensioni integrative previsto dalla legge di stabilità. L’altro grande quotidiano, Repubblica, continua a pubblicare ogni domenica le reprimende del fondatore Eugenio Scalfari.
Ma, in campo giornalistico, è soprattutto la tenaglia fra la sinistra del Fatto (Antonio Padellaro e Marco Travaglio) e la destra di Libero (Maurizio Belpietro) ad angustiare Renzi. Non passa giorno senza che questi due quotidiani lo accusino come minimo di golpismo e bancarotta.
Anche Il Giornale di Alessandro Sallusti non è tenero, ma deve tener conto della posizione del proprio editore. E la famiglia Berlusconi, dopo il famoso patto del Nazareno siglato a inizio anno fra Silvio e Renzi, è gentile con il premier. Conta su di lui per non arrivare a elezioni nel 2015, che vedrebbero il tracollo di Forza Italia (data al 15-17% nei sondaggi). Ma, soprattutto, c’è la simpatia personale di Berlusconi verso Renzi. «Peccato che sia di sinistra», ripete spesso il Cavaliere. Il quale tende a considerare il premier quasi un figlioccio, più affidabile dei vari traditori Fini e Alfano.
Così, sulla scia del capo anche i berlusconiani - in teoria all’opposizione - sono benevoli con Renzi. Alcuni addirittura entusiasti (Giuliano Ferrara e Denis Verdini, che tiene i contatti giornalieri col governo). Altri con scetticismo, come Vittorio Feltri e Daniela Santanchè. Irriducibili antirenziani rimangono solo il presidente dei deputati Renato Brunetta, Raffaele Fitto e Daniele Capezzone. Ma, in caso di difficoltà del governo con i numeri al Senato, i forzisti potrebbero arrivare in aiuto.
Insomma, alla fine gli unici veri oppositori di Renzi sono Susanna Camusso, segretaria della Cgil lanciata verso lo sciopero generale, Beppe Grillo, Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Ma è normale che facciano il loro lavoro. Più insidioso, per Renzi, è il fronte interno. Quello di un Pd che si sta sfaldando (iscritti crollati dai 500 mila di un anno fa ai 200 mila di oggi), di giornali del suo partito che chiudono (Unità, Europa), e di suoi parlamentari che non vedono l’ora di logorarlo sui singoli provvedimenti, come fece Vannino Chiti a luglio sulla riforma del Senato.
Per questo è possibile che a gennaio, finito il semestre europeo e con un presidente Giorgio Napolitano stanco per ragioni d’età, Renzi rompa gli indugi e convochi un voto anticipato primaverile. Con qualsiasi legge elettorale, sperando di replicare il 41% dello scorso maggio. E di piazzare in Parlamento dei veri amici.
Mauro Suttora
Thursday, October 16, 2014
Ora che vuole il M5s, e chi lo guida?
di Mauro Suttora
Oggi, 15 ottobre 2014
Il raduno del Movimento 5 stelle (M5s) al Circo Massimo di Roma ha confermato la leadership assoluta di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Ma ha anche fatto emergere, alle loro spalle, un triumvirato composto da Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Paola Taverna.
I grillini detestano parlare di «capi», ma in tutti i movimenti come i 5 stelle (niente tessere, quote d’iscrizione, congressi, sezioni) si formano gerarchie spontanee, senza voti formali. Ed è importante saperlo, perché il M5s continua a essere, secondo i sondaggi, il secondo partito italiano con il 20%.
L’altra novità del Circo Massimo è che i principali obiettivi del M5s ora sono due: reddito di cittadinanza e uscita dell’Italia dall’euro. Il primo è impossibile da realizzare, perché lo Stato non ha i 20 miliardi annui necessari per regalare 600 euro mensili a tutti i maggiorenni che non lavorano.
Il secondo accomuna il M5s agli altri partiti euroscettici di destra italiani (Lega Nord, Fratelli d’Italia) ed europei (i principali: Le Pen e l’inglese Ukip, di cui i grillini sono alleati all’Europarlamento). Ma anche il ritorno alla lira appare un obiettivo impossibile, perché non si possono fare referendum su materie economiche e trattati internazionali.
Grillo vuole raccogliere milioni di firme contro l’euro, che però avranno valore solo politico, e non giuridico. Il M5s rischia quindi di finire in un vicolo cieco di estremismo parolaio, che provocherà illusioni e delusioni in chi crede che la colpa della crisi sia l’euro.
Wednesday, October 15, 2014
Come si vive sotto l'Isis
VITA QUOTIDIANA A RAQQA, NUOVA CAPITALE DEL CALIFFATO
di Mauro Suttora
Oggi, 8 ottobre 2014
Fino a due anni fa Raqqa era una tranquilla città di 200mila
abitanti in mezzo al deserto siriano. Sulle rive dell'Eufrate crescevano le
palme, l'acqua irrigava i campi di cotone. Gran traffico di camion di
contrabbandieri fra Siria, Iraq e Turchia. Poi è arrivata la guerra civile
contro il dittatore Assad. E nel 2013 sono arrivati gli estremisti musulmani.
Prima quelli di Al Nusra, sezione siriana di Al Qaeda. Poi, ancora peggio: i
guerrieri santi dell'Isis (Stato islamico di Iraq e Siria). Che hanno
l'obiettivo di tornare indietro di 1.400 anni. Al Califfato fondato da
Maometto.
Raqqa fu capitale di quel Califfato per tredici anni, a
cavallo dell'800 dopo Cristo, quando da noi c'era Carlo Magno. Il califfo
Rashid la fece diventare più bella e più grande di Bagdad e Damasco. Poi piano
piano la sabbia la inghiottì. Oggi è ridiventata capitale del Califfato. Quello
dei tagliagole di ostaggi occidentali e degli sterminatori di cristiani e
curdi.
Da mezzo mese Raqqa viene bombardata da aerei americani,
sauditi e degli Emirati arabi. «Ma non fanno molti morti fra i civili», dicono
gli abitanti sui blog che sfuggono al controllo degli estremisti. «Le bombe,
diversamente da quelle di Assad, sono precise e colpiscono obiettivi militari e
dell'Isis. Però i jihadisti li hanno abbandonati per nascondersi fra noi. Le
loro famiglie le hanno già spedite via».
Di giorno, la vita continua. Una misteriosa donna
completamente velata tranne una fessura sugli occhi (è il niqab nero) ha messo
su internet un video di due minuti girato con telecamera nascosta. La si vede mentre
viene bloccata in strada da un'auto della polizia. Un uomo armato la ammonisce:
dovrebbe comportarsi meglio in pubblico. La ragione dell'avvertimento? Il suo
viso, seppure nascosto dal velo, si vede ancora troppo. Lei prontamente si
scusa per la troppa trasparenza, e l'uomo a sua volta replica: «Bisogna
prestare molta attenzione nel coprirsi. Dio ama le donne che sono coperte».
Non è un avvertimento bonario. Come in Arabia Saudita e in
Iran (i due feudi contrapposti di sunniti e sciiti che si stanno combattendo in
Medio Oriente), anche l'Isis ha introdotto nei territori occupati di Siria e
Iraq la sharia, la legge religiosa. A Raqqa la corte islamica che la
somministra si è installata nel centro sportivo. Ma i tagliagole hanno dovuto
importare dall'Egitto, per le preghiere e le prediche del venerdì, un imam
abbastanza estremista per loro: evidentemente nei laici Siria e Iraq non ne
hanno trovati.
«In qualsiasi momento una persona normale può essere presa e
giustiziata senza validi motivi», avverte Abu Ibrahim Raqqawi, abitante di
Raqqa. «L’Isis incassa le tasse dai cittadini e controlla che tutti paghino.
Chi evade le imposte viene ucciso nella piazza principale: l’esecuzione è
pubblica e si svolge il venerdì dopo la preghiera».
Poi i fanatici appendono i cadaveri ai crocifissi, oppure ne
tagliano le teste e le infilzano sulle inferriate del giardino pubblico in
centro. Allo «spettacolo» assistono famiglie con bambini.
I peccati più gravi commessi dalle donne (adulterio) sono
puniti con la lapidazione. Quelli veniali con la frusta. Le donne in pubblico
non possono fare quasi più nulla. Se sono sposate devono essere accompagnate
dal marito, e mostrare il certificato di matrimonio agli agenti. Oppure devono
farsi scortare dal padre, da un fratello, da un cugino. Guidare un'auto non se
ne parla, come in Arabia Saudita. Le femmine, piccole e grandi, non possono
neppure sedersi sulle altalene: provocazione che spingerebbe gli uomini a
molestarle.
I ristoranti che non separano uomini e donne, osano offrire
vino (anche solo ai clienti stranieri non musulmani), o ancora peggio
superalcolici, vengono bruciati e chiusi. Vietate le tv satellitari: con la
scusa di controllare se ci sono i poliziotti possono piombare nelle case
private a qualsiasi ora. Segregazione uomo/donna in tutti gli ambienti pubblici
e di lavoro. L'Isis ha installato molte telecamere per sorvegliare perfino i
marciapiedi.
Alcuni divieti sono grotteschi: niente elemosina ai
mendicanti durante il Ramadan, proibito pregare per la propria squadra del
cuore o indossare cravatte, usare cosmetici, bikini in spiaggia per le donne e
stare a torso nudo per gli uomini. A San Valentino, per ostacolare la festa
degli innamorati, i fiorai hanno dovuto tenere chiusi i negozi, le rose rosse
non potevano essere vendute neppure per strada, e così i peluches e i
cioccolatini. Nel mirino anche i commercianti che espongono manichini, proibiti
perché "provocano" bassi istinti. Niente trucco per le donne che
appaiono alla tv di Stato.
L'Isis ha emanato quattro decreti appositi per vietare
musica, sigarette, pipe (anche i narghilè al semplice vapore acqueo), e far
chiudere i negozi dieci minuti prima dell'inizio delle preghiere. I pochi
cristiani non fuggiti devono pagare una tassa per praticare, ma non in chiesa:
solo in privato. Anche le altre minoranze (alauiti, drusi) sono scappate.
«Non pochi si sono rifiutati di obbedire», dice Abu
al-Bara’a al-Furati, studente di 22 anni. «Ma la gente tutto sommato è contenta
perché l'Isis garantisce ordine pubblico, sicurezza, acqua, pane da quattro
forni diversi ed elettricità: prima dei bombardamenti non c'erano più di sei
ore di blackout giornaliero». I commercianti apprezzano che siano svanite le
stecche che dovevano pagare ai funzionari corrotti di Assad.
A Raqqa anni fa un originale aveva aperto un casinò.
Ovviamente i fondamentalisti lo hanno chiuso subito. I weekend andavano dal
venerdì al sabato, ora sono giovedì e venerdì per distinguersi da cristiani ed
ebrei. Gruppi di educazione islamica organizzano festival nelle moschee per
incoraggiare i giovani a unirsi alla causa. Ai ragazzi sono mostrati video di
decapitazioni per abituarli alla violenza, e avvertirli delle conseguenze se
resistono ai jihadisti.
Nel filmato si vedono uomini armati con fucili d'assalto e
kalashnikov andare ovunque in città. Anche una donna, che porta i bambini al
parco, è armata di fucile: pronta a difendere, come tutti gli altri, il loro
rigido e spaventoso regime. Centocinquanta donne francesi hanno scelto
spontaneamente di lasciare la patria per vivere nello Stato Islamico. Entrando
in un internet cafè si sente una di esse parlare con la famiglia: «Non voglio
tornare indietro, mamma, ve lo dico senza mezzi termini. Dovete farvene una
ragione, io non torno. Non c'è nulla di cui aver paura, sto bene qui. Tutto
quello che si vede in tv è falso. La tv esagera sempre».
I combattenti stranieri che infestano Raqqa, spesso più
crudeli e fanatici dei locali, vengono da Sud Africa, Olanda, Australia,
Cecenia, Inghilterra, Germania, Balcani, e anche dagli Stati Uniti. Dicono che
siano loro a tenere prigionieri gli ostaggi internazionali, fra i quali
potrebbero esserci le due ragazze italiane Greta Ramelli di Varese e Vanessa
Marzullo di Bergamo. Ma la voce più agghiacciante è che il boia che ha segato
la gola a tre ostaggi opererebbe in periferia, in un campo vicino a un
cimitero, non lontano dall’università Altihad, ateneo della città.
Mauro Suttora
Friday, October 03, 2014
Andiamo a vedere come fanno in Svizzera
di Mauro Suttora
3 ottobre 2014
numero speciale di Dissensi e Discordanze, direttore Mauro della Porta Raffo
articolo originale su Dissensi e Discordanze
3 ottobre 2014
numero speciale di Dissensi e Discordanze, direttore Mauro della Porta Raffo
articolo originale su Dissensi e Discordanze
Quando avevo quattro anni, i pedalò sul lago a Lugano.
E la parola Monteceneri scritta sulla grande radio a valvole di mio padre.
Quarant’anni dopo, Fox Town e Serfontana.
Questa è la Svizzera che ci fa sognare.
Noi lombardi che almeno una volta abbiamo votato Lega sperando che, senza la zavorra Roma+Sud, la Lombardia diventi un grande Canton Ticino.
Noi cinefili che ogni agosto ci siamo consolati delle mancate vacanze correndo una sera a Locarno per una magica proiezione in piazza.
Noi ecologisti che festeggiammo il no svizzero alle centrali atomiche nel referendum del 1990 (Vittorio Feltri, allora mio direttore all’Europeo, nuclearista disarmante: «Radioattività? Tanto di qualcosa bisogna morire»).
Noi anarchici sulle orme di Bakunin e Kropotkin, noi libertari in pellegrinaggio steineriano al monte Verità di Ascona.
Noi federalisti che ammiriamo l’autonomia dei cantoni (Glarus può decidere addirittura che non desidera immigrati slavi).
E perfino noi grillini (scettici), studenti di democrazia diretta negli unici due posti al mondo dove si vota in piazza alzando la mano: Glarona e Appenzello.
Poi, ovviamente, abbiamo anche letto Jean Ziegler, e sappiamo che le banche svizzere “lavano più bianco”.
Abbiamo passeggiato nelle città elvetiche dopo le sei del pomeriggio o al sabato, la domenica: c’è più vita in un cenotafio.
Ma l’amore per la Svizzera resta immenso.
Da trent’anni, una volta al mese, come giornalista propongo: “Andiamo a vedere come fanno lì”.
Così nel 1987 feci vincere un premio a Gianfranco Moroldo, fotografo di Oriana Fallaci, che riuscì a inquadrare un soldato svizzero appostato accanto a una mucca durante una nostra inchiesta dell'Europeo sull’esercito ‘di popolo’. [articolo sull'Europeo]
Poi, nel 1999, il beatle George Harrison che scelse Lugano per farsi curare il tumore.
Due anni fa un’altra occasione triste: visita alla clinica della dolce morte dove Lucio Magri si fece eutanasizzare.
Ogni volta che posso mi faccio invitare dalla mia amica Januaria Piromallo nella sua villa di Gstaad.
Lì, acquattati negli hotel, stanno tutti i miliardari greci che, se riportassero i loro patrimoni a casa, risolverebbero la crisi del loro Paese.
Durante l’ultimo viaggio tornando da Strasburgo, aprile 2014, una fantastica scoperta: l’ascolto guidato, alla radio Svizzera italiana, di una sinfonia di Mendelsohn.
Sono questi i piaceri della vita, oltre all’erba rasata a zero e i fiori perfetti nelle aiuole.
Mauro Suttora
Subscribe to:
Posts (Atom)