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Wednesday, November 19, 2014

Eutanasia a Paradiso


Dopo la morte di Brittany: sta per aprire la prima clinica per la «dolce morte» nella Svizzera italiana

dal nostro inviato Mauro Suttora

settimanale Oggi, 12 novembre 2014

Benvenuti in Paradiso. Qui, in questo ricco sobborgo a sud di Lugano, 15 chilometri dal confine con l’Italia, sta per aprire la prima clinica per l’eutanasia in Svizzera italiana. Un palazzone moderno in via delle Scuole. Nessuna targa all’entrata, potrebbe essere un ufficio qualunque. La gestirà Liberty Life, associazione che rispettando la legge elvetica offre la «dolce morte».

Qui sarebbe venuta Brittany Maynard, la 29enne americana ammalata di cancro al cervello terminale, se fosse stata italiana. «Anche lei, per ottenere l’eutanasia il primo novembre, ha dovuto trasferirsi», spiega Mina Welby, paladina della dolce morte, «perché negli Stati Uniti lo si può fare solo in Oregon». In Europa è legale in Svizzera, Olanda, Svezia, e da qualche mese anche in Belgio.

Sono una cinquantina gli italiani che negli ultimi tre anni hanno scelto la Svizzera per morire. Due al mese. Un caso famoso nel 2011: Lucio Magri, fondatore del movimento comunista Il Manifesto. Finora bisognava andare nei centri Dignitas a Zurigo o a Berna (quelli di Losanna, Ginevra e Basilea non sono aperti agli stranieri). Fra qualche settimana, con l’apertura dell’ambulatorio di Paradiso, per gli italiani sarà più semplice ed economico.

Mina Welby è vedova di Piergiorgio, il famoso malato di distrofia progressiva che si fece morire nel 2006. Un mese fa ha camminato per venti ore attorno alla Camera dei deputati. Sollecita la discussione della proposta di legge dell’associazione Coscioni, con 60 mila firme, che introduce l’eutanasia. Niente da fare. In Italia sono favorevoli solo i radicali, Sel, qualche grillino e rari parlamentari del Pd come Luigi Manconi, anche lui firmatario di una proposta.
Eppure secondo i sondaggi sei italiani su dieci sono per l’eutanasia. «Che comunque è praticata di nascosto in tutti gli ospedali, come cessazione dell’accanimento terapeutico», dice Mina Welby. Lei è cattolica. Ma la Chiesa rifiutò i funerali a suo marito.

«Diceva Indro Montanelli: “Voglio essere io a decidere il come e il quando della mia morte”», spiega Emilio Coveri, presidente di Exit, l’associazione che indirizza i malati ai centri svizzeri: «Se la legge lo consentisse, aiuterei le persone a morire. Ma chi lo fa in Italia è imputabile di omicidio. Non possiamo neppure accompagnare al confine chi va in Svizzera».
Infatti gli articoli 579 e 580 del codice penale italiano puniscono sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio. «Eppure proponiamo una cosa paragonabile alla legalizzazione dell’aborto e del divorzio. Una conquista sociale».

Anche per Coveri, come per Mina Welby, c’è stata un’esperienza personale drammatica: «Ho deciso che mi sarei impegnato per l’eutanasia quando vidi mio padre morire dopo mesi di atroci sofferenze».

Ma come funziona, nei centri svizzeri? Basta la ricetta di un qualsiasi dottore per ottenere un flacone del micidiale Nap (Natrium Pentobarbital) che, bevuto con un sonnifero, provoca la morte indolore in pochi minuti. C’è però la distinzione fra «aiuto al suicidio», permesso in Svizzera, e l’eutanasia, proibita anche qui.
Perciò è lo stesso suicida che deve portare alla bocca con le proprie mani il bicchiere con il farmaco letale. Se lo fa un altro, è omicidio. Per dimostrare che la legge viene rispettata, tutte le fasi dell’operazione vengono filmate.

La procedura è rigorosa. All’inizio c’è l’incontro col medico per un colloquio preliminare, la presentazione della cartella clinica e la prescrizione della ricetta. La malattia incurabile dev’essere accertata da tre dottori, che verificano anche se il malato è in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

I medici hanno l’obbligo di convincere gli aspiranti suicidi a recedere dal loro proposito. E nella maggioranza dei casi ci riescono. Dignitas non accetta casi di semplice depressione. La legge svizzera non lo proibisce, ma non si è mai trovato uno psichiatra che la certificasse come «malattia terminale».

Poi inizia la fase finale. Quasi sempre il malato è accompagnato da un familiare o un amico. Può scegliere come colonna sonora per il congedo fra varie canzoni. Le preferite: God only Knows (Solo il Signore sa) dei Beach Boys, How Can I Tell You di Cat Stevens e For My Lady dei Moody Blues. Può sembrare agghiacciante addentrarsi in particolari musicali. Invece le canzoni sono importanti per affrontare questi momenti tremendi. Welby scelse un brano di Bob Dylan.

Poi il malato lascia gli accompagnatori ed entra in una seconda stanza, dove alla presenza di un medico legale si procede. Gli si domanda ancora se è convinto della sua decisione. Si somministra un antiemetico per evitare il vomito.
Dopo mezz’ora, sempre che il suicida non abbia cambiato idea in extremis, gli viene portato il cocktail letale sciolto in acqua o succo di frutta. Per berlo può usare anche una cannuccia. Dopo pochi minuti si addormenta, all’anestesia subentra il coma, infine entro 20-30 minuti sopraggiunge l’arresto cardiaco o respiratorio.

Il costo è 3 mila euro, che aumentano fino a 7-8 mila se si arriva fino alle urne con le ceneri spedite a domicilio all’estero. In Svizzera sono pratici, niente dibattiti ideologici sul diritto alla vita e alla morte. Nel 2011 il cantone di Zurigo ha votato sull’eutanasia per gli stranieri. Ha votato soltanto il 30 per cento, e 80 su cento hanno confermato il sì. Ma più che altro qualcuno voleva far pagare una tassa ai «turisti del suicidio».
Mauro Suttora

Wednesday, December 14, 2011

Svizzera: la casa dei suicidi

DOPO IL CASO DI LUCIO MAGRI: VIAGGIO A ZURIGO, DOVE SI PUO' MORIRE CON DIGNITAS

Oggi - dal nostro inviato Mauro Suttora

Pfäffikon (Svizzera), 1 dicembre 2011

«Non si nota. Non ci fa impressione. Lì dietro c’era già il cimitero, e avere davanti la “casa blu” è come stare di fronte a una clinica. Sono molto discreti».
Parola di Theo Widmer, allenatore della squadra di calcio di Pfäffikon che si allena in uno dei ben cinque campi di fronte alla «clinica del suicidio». Dignitas, l’associazione per «l’aiuto alla morte» («Sterbehilfe»), è arrivata qui nel 2009 dopo essere stata cacciata in dieci anni da due sedi, sempre nei dintorni di Zurigo. Ai vicini dava fastidio il lugubre andirivieni di bare. Così l’avvocato Ludwig Minelli, fondatore di Dignitas, questa volta ha scelto una zona industriale fuori mano, fra la fabbrica Maschinenbau e i boschi di pini.

Qui vengono gli stranieri

Questo è l’unico posto in Svizzera, oltre a Exit International di Berna, ad accogliere anche stranieri. L’ospedale pubblico di Losanna e Exit di Ginevra assistono solo i suicidi svizzeri romandi. È venuto qui Lucio Magri, il politico di sinistra che l’ha fatta finita la scorsa settimana? «Non so nulla, e comunque sono dati che non forniamo», risponde un anziano signore sospettoso da dietro il cancello. Non apre.

«Magri si è affidato a un medico privato a Bellinzona», ci dice Emilio Coveri, presidente di Exit Italia. Sì, perché oltreconfine basta la ricetta di un qualsiasi dottore per ottenere un flacone del micidiale Nap (Natrium Pentobarbital) che, bevuto con un sonnifero, provoca la morte indolore in pochi minuti.

Forse la verità non si saprà mai, perché gli articoli 579 e 580 del codice penale italiano puniscono sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio. Nel caso di Magri, pare che ad assisterlo in Svizzera sia stata la compagna di lotte politiche Rossana Rossanda (87 anni, residente da 30 a Parigi). «Noi non possiamo neppure accompagnare al confine chi va in Svizzera», dice Coveri, «anche se forniamo tutte le informazioni».

C’è poi la distinzione fra «aiuto al suicidio», permesso in Svizzera, e l’eutanasia («dolce morte»), proibita anche lì. Perciò è lo stesso suicida che deve portare alla bocca con le proprie mani il bicchiere con il farmaco letale. Se lo fa chiunque altro, è omicidio. Per dimostrare che la legge viene rispettata, tutte le fasi dell’operazione vengono filmate.

I cento suicidi all’anno effettuati in questo prefabbricato di lamiera blu (2-3 alla settimana, il 60% dalla Germania, 19 italiani nel 2011) seguono una procedura rigorosa. All’inizio c’è l’incontro col medico per un colloquio preliminare, la presentazione della cartella clinica e la prescrizione della ricetta. La malattia incurabile dev’essere accertata da tre medici, che verificano anche se il malato è in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Obbligo di far cambiare idea

I dottori hanno il preciso obbligo di convincere gli aspiranti suicidi a recedere dal loro proposito. E pare che nella maggioranza dei casi ce la facciano: «In dodici anni abbiamo aiutato a vivere 30 mila persone, e a morire solo 1.200», assicura Minelli.

Dignitas ufficialmente non accetta casi di depressione anche gravissima come quello di Magri. In teoria la legge svizzera non lo proibisce, ma non si è mai trovato alcuno psichiatra che la certificasse come «malattia terminale».

Poi inizia la fase finale. Quasi sempre il malato è accompagnato da un familiare o un amico. Può scegliere come colonna sonora per il congedo fra varie canzoni. Le preferite: God only Knows (Solo il Signore sa) dei Beach Boys, How Can I Tell You di Cat Stevens e For My Lady dei Moody Blues (quest’ultima probabilmente per le coppie).

Bob Dylan per Welby

Può sembrare grottesco e perfino agghiacciante addentrarsi in particolari musicali. Invece le canzoni sono importanti per affrontare questi momenti tremendi. Piergiorgio Welby nel 2006 scelse un brano di Bob Dylan.

Poi il malato lascia gli accompagnatori ed entra in una seconda stanza, dove alla presenza di un medico legale si procede. Gli si domanda ancora se è convinto della sua decisione. Si somministra un antiemetico per evitare il vomito. Dopo mezz’ora, sempre che il suicida non abbia cambiato idea in extremis, gli viene portato il cocktail letale sciolto in acqua o succo di frutta. Per berlo può usare anche una cannuccia. Dopo pochi minuti si addormenta, all’anestesia subentra il coma, infine entro 20-30 minuti sopraggiunge l’arresto cardiaco o respiratorio.

«Siamo coinvolti anche noi, oltre alla procura e alla polizia», dice il segretario comunale di Pfäffikon, Hanspeter Thoma, «perché il medico che stabilisce il decesso lo comunica all’anagrafe per il certificato di morte».

Le salme vengono trasportate con veicoli neutri: niente carri funebri, per non dare nell’occhio. E i vicini sembrano apprezzare: «Al massimo vediamo qualcuno che entra in sedia a rotelle», ci dice il proprietario del chiosco di cevapcici (spiedini slavi) proprio di fronte alla casa blu.

Max Sommerhalder, che ha uno studio pubblicitario a due portoni di distanza su Barzloostrasse, conferma: «Se non avessi letto sui giornali di quest’attività, non me ne sarei accorto: al massimo un po’ di auto targate Germania o Olanda parcheggiate lì davanti».

Discrezione, praticità. Anche di fronte alle accuse contro Minelli di arricchirsi con la morte altrui: il costo è di 3 mila euro, che aumentano fino a 7-8 mila se si arriva fino alle urne con le ceneri spedite a domicilio all’estero. L’anno scorso è stato assolto dall’accusa di avere gettato in un lago 67 urne. Ma un mese fa ha dovuto ingoiare l’epiteto di «mostro» pubblicato da un giornale: non era un insulto, perché è stato scritto in senso ironico.

Svizzeri indifferenti e pratici

Come sempre, gli svizzeri badano al sodo. Nessun dibattito ideologico su astratti diritti alla vita e alla morte. Lo scorso maggio il cantone di Zurigo ha votato sulla possibilità per gli stranieri di venire a farla finita da Dignitas. Ha votato soltanto il 30 per cento, e 80 su cento hanno confermato il sì. Ma più che altro qualcuno voleva far pagare una tassa ai «turisti del suicidio».
Così la Svizzera, che ai suoi tossici fornisce l’eroina per drogarsi in un ambulatorio, dà a tutti gli europei la libertà di ammazzarsi.
Mauro Suttora