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Wednesday, December 10, 2014

Grillo ne espelle due e ne nomina 5

di Mauro Suttora

Oggi, 3 dicembre 2014

Con Beppe Grillo non ci si annoia mai. Una mattina si sveglia e decide che avere espulso un terzo dei suoi senatori in un anno e mezzo non gli basta. Decreta che altri due deputati non avrebbero rispettato le regole del suo movimento sui soldi da restituire, e ricomincia con le purghe. Quelli pubblicano su Facebook le ricevute dei versamenti di metà del loro stipendio. Niente da fare.

La sarda Paola Pinna ha osato donare qualche migliaio di euro alla Caritas di Olbia dopo l'alluvione di un anno fa, invece di buttare i soldi in un fantomatico conto ministeriale per le piccole e medie imprese che non ha ancora erogato un centesimo. «Conflitto di interessi, voto di scambio!», tuonano sui siti del Movimento 5 stelle (M5s) gli "influencer", fedelissimi della società Casaleggio & Associati incaricatidi spargere il verbo. Come se la Caritas fosse la mafia, che ricambierà il favore ricevuto dalla “furba” Pinna.

L'altro reprobo è Massimo Artini, un toscano che appena un mese fa ha mancato per soli dodici voti (44 a 32) l'elezione a nuovo capogruppo dei deputati 5 stelle. Un pezzo grosso, quindi, con un largo seguito. Proprio come Luis Orellana, il senatore che prima della cacciata a marzo era il candidato presidente del Senato del movimento, e poi aveva perso di un soffio con Nicola Morra la guida del gruppo. Insomma, appena rischia di emergere un non fedelissimo a Grillo e a Gianroberto Casaleggio, loro inventano qualche scusa per farlo fuori.

I processi sono una farsa. Anzi, non ci sono proprio. Tre millenni dopo Salomone, i grillini non hanno ancora imparato che prima di giudicare bisogna almeno sentire entrambe le campane. Il diritto alla difesa è sconosciuto in Grillolandia. L'ex comico rovescia sul malcapitato di turno una valanga di accuse, e subito dopo chiede agli iscritti di votare immediatamente sì o no all’epurazione sul sito privato della Casaleggio & Associati. Senza preavviso. 

Nessun controllo esterno sulla regolarità del voto. Nessuna distinzione individuale fra gli imputati, da condannare in blocco come infoibati legati fra loro col fil di ferro. Nessun verdetto dell'assemblea dei parlamentari, come richiesto dal regolamento. Si vota solo fino alle 19, e peggio per chi lavora o non sta sempre appiccicato al telefonino. Giustizia-lampo. Il modello è l'ordalia Gesù/Barabba. Ma loro lo chiamano «giudizio della Rete». Inappellabile.

Stessa commedia il giorno dopo. Grillo decide di nominarsi cinque vice. Viola lo statuto del movimento, scritto da lui nel 2009, che all'articolo 4 vieta i dirigenti di partito: «Nessun organismo intermedio fra votanti ed eletti». L'unico non campano è il romano Alessandro Di Battista, ex collaboratore della società Casaleggio. Tutti deputati, nessun senatore.

Quota rosa per Carla Ruocco, bella e borghesissima signora di Posillipo con erre moscia. Gradimento della sua pagina Facebook (termometro della simpatia online): 36mila «mi piace», contro i 185mila della popolana ma popolare Paola Taverna. Gli altri: Luigi Di Maio, Roberto Fico (presidente della commissione Vigilanza di quella Rai che il programma 5 stelle voleva invece privatizzare) e Carlo Sibilia, avellinese complottista convinto che il club Bilderberg governi segretamente il mondo, ma dubbioso riguardo allo sbarco sulla Luna.

Commenta la senatrice marchigiana Serenella Fucksia, soprannominata «Sharon Stone a 5 stelle»: «Il direttorio fantasma diventa ufficiale, da movimento a partito. Passiamo dai successi alla ridicolata degli scontrini, alle espulsioni assurde, ai cambiamenti continui di verso. Le regole? Un po' cambiate, un po' ignorate. Dopo il risultato deludente alle europee e alle regionali il metodo appare fragile, lontano dalla democrazia diretta e di certo non modello esemplare di vera democrazia».

In rete questa volta gli attivisti si scatenano contro i dirigenti nominati dall'alto, non votati, da ratificare in blocco. I server privati della Casaleggio annunciano un sospetto 90% di sì. Ma davanti alla villa di Grillo a Marina di Bibbona (Livorno) i militanti protestano. Fra loro, perfino la compagna del neosindaco 5 stelle di Livorno. Con Grillo non ci si annoia mai. Però i suoi adepti non si divertono più.
Mauro Suttora

Wednesday, September 09, 2009

Michelle Pfeiffer in 'Chéri'

La diva in costume torna a sedurci

Nel 1989 incantò il mondo con Le relazioni pericolose (sei nomination agli Oscar). Oggi, con lo stesso regista, l’attrice 51enne fa la escort in un film tratto da un libro romantico di Colette

di Mauro Suttora

Los Angeles (Stati Uniti), 26 agosto 2009

Vent’anni sono tanti, anche per una donna bellissima. Eppure, guardate queste foto. A 51 anni, Michelle Pfeiffer appare seducente come nel 1989, quando trionfò con Le relazioni pericolose di Stephen Frears: sei nomination all’Oscar, tre statuette vinte.

Oggi il regista inglese, che tre anni fa ha di nuovo sbancato agli Oscar con The Queen (ritratto della regina Elisabetta II), rimette la diva americana in costume. Questa volta, però, invece della ingenua signora settecentesca fatta morire di crepacuore dalle perfide scommesse di John Malkovich e Glenn Close, Michelle è una prostituta di cent’anni fa.

Cortigiane potentissime

«Cortigiana, prego», precisa lei sorridendo ironica, «e nella belle époque a Parigi eravamo donne potenti, ricche, raffinate e di gran classe. Stavamo al centro della vita politica e sociale, intrattenevamo uomini di governo, artisti e perfino reali. Eravamo rinomate in tutto il mondo per la nostra avvenenza, arguzia e intelligenza vivace. In fondo siamo state le prime femministe: eravamo incredibilmente indipendenti, anche se dovevamo pagare un prezzo alto: rimanere inaccettabili nella “buona“ società».

Solo che lei, professionista dell’amore, a 50 anni si innamora sul serio, e di un ragazzo con la metà dei suoi anni: Chéry, figlio di una collega prostituta. La quale all’inizio la prega si svezzarlo, mentre poi la storia si dipana per anni.

Insomma, una «coguara», come in America chiamano le donne mature che vanno con i ragazzi. «Tutti gli altri giovani con cui ho avuto a che fare non vedono l’ora di confessarti i loro segreti più nascosti», ha rivelato Michelle a Good Morning, America, «mentre questo Chéry è solo un ragazzotto bellissimo, viziato, edonista e vuoto».

Ragazzi giocattolo

Coincidenza: il partner del prossimo film della Pfeiffer, Personal Effects, sarà proprio il più famoso «toy boy» (ragazzo giocattolo) del mondo: Ashton Kutcher, 30 anni, dal 2003 signor Demi Moore nonostante i sedici anni di differenza.

Nella realtà, Michelle è lontanissima non solo della figura della maliarda in cerca di toy boys, ma anche da qualsiasi gossip o glamour. La sua vita personale è il contrario di quella della irrequieta coetanea Sharon Stone: tranquillamente sposata con l’attore Peter Horton dall’81 all’88, e poi con il produttore tv miliardario David Kelley dal ‘93. «Mi è difficile immaginare d’innamorarmi di qualcuno che non sia mio marito, figurarsi di un quasi adolescente. Anche se, guardandomi attorno, vedo che succede», concede.

Nel ‘93 i due hanno adottato l’orfana Claudia, un anno dopo è nato John Henry. Se ne sono andati dall’inanità delle feste di Los Angeles, trasferendosi in una villa da otto milioni di dollari a sud di San Francisco, a Woodside. Oasi per celebrità che non amano la pubblicità, da Steve Jobs (Apple) a Larry Ellison (Oracle) ai cantanti Neil Young e Joan Baez, all’ex bimba 81enne Shirley Temple.

Insomma, come le ormai sessantenni Jessica Lange (fuggita in campagna col marito scrittore Sam Shepard) e Meryl Streep, la Pfeiffer non è carne da pettegolezzo: mai una paparazzata, mai un party, mai un gala a Hollywood o New York. Dopo il lavoro (quaranta film in un quarto di secolo, che hanno incassato in totale un miliardo e 300 milioni di dollari), solo mamma e casalinga felice.

Viso perfetto di donna

Qualche anno fa è stato condotto uno studio sulla perfezione del volto femminile. Gli scienziati hanno calcolato quali sono le misure e le proporzioni ideali: occhi, naso, bocca, mento. Ha vinto Michelle.
«È così bella che ci si potrebbe dimenticare di quant’è brava», ha detto George Clooney, suo coprotagonista in Un giorno per caso (‘96).

Nonostante popoli i sogni di tutti i maschi del pianeta, tuttavia, Michelle è un’attrice inibita. Perfino nella scena più bollente da lei girata, quella in cui fa l’amore con Al Pacino in Paura d’amare (1991), riesce a indossare il reggipetto. E a gridare è lui, non lei. Difficile trovare l’ombra di un suo capezzolo in qualsiasi foto o fotogramma in circolazione. E nessuna meraviglia che abbia rifiutato il copione di Basic Instinct, prima che finisse a Sharon Stone. (Pentitissima invece per i no a Thelma e Louise e soprattutto al Silenzio degli innocenti, che ha fruttato a Jodie Foster quell’Oscar da lei sfiorato tre volte ma mai afferrato).

Anche in Chéri, confessa, ha provato imbarazzo nel girare le scene di letto: «Riesco a superare il disagio solo con il senso dell’humour. Con il partner sullo schermo stringo un tacito accordo su quali parti del mio corpo voglio che lui nasconda, e viceversa: “Io copro questo, tu quello“. Comunque sono un po’ meno riservata di una volta. Peccato che lo stia diventando solo ora che le cose cominciano ad andarsene...»

Ha recitato con tutti

Scarsa audacia impensabile ai tempi di Scarface (1983), il film che la lanciò: un’orgia di droga, sangue, sesso e violenza. Da allora, la Pfeiffer ha girato con tutti i mostri sacri del cinema: Jack Nicholson (Streghe di Easwick e Wolf), Mel Gibson (Tequila Connection), Sean Connery (Casa Russia), Daniel Day-Lewis (Età dell’innocenza), Robert Redford (Qualcosa di personale), Bruce Willis (Storia di noi due), Harrison Ford (Verità nascoste), Sean Penn (Mi chiamo Sam), Robert de Niro (Stardust) e John Travolta (Hairspray).
Ma alla fine il grande pubblico (bambini e non) la ricorda soprattutto come Ladyhawke, o la Catwoman di Batman.

Mauro Suttora

Wednesday, March 22, 2006

Sharon Stone a Roma

AVE SHARON! SEI TU L’IMPERATRICE DI ROMA

Diciotto valigie, 40 vestiti e un baule di scarpe. Così la star è sbarcata nella Capitale per presentare “Basic Instinct 2”. Al suo fianco, uno staff tutto rosa e nessun fidanzato. Allora il nostro cronista ne ha approfittato: “Vieni a prender un drink da me?” E lei...

Oggi, 22 marzo 2006

«Sharon, sei proprio l’ultima diva...»
«Come sei gentile a dirmi così...»
Trinità dei Monti, venerdì, quattro del pomeriggio. L’attrice più bella del mondo scende lentamente la scalinata più bella del mondo. Anche il primo sole primaverile scende lentamente, verso la cupola di San Pietro. I turisti impazziscono. Avevo notato una limousine nera in attesa davanti all’uscita secondaria del Grand Hotel St.Regis. Sharon Stone aveva appena finito la conferenza stampa per presentare il film Basic Instinct 2, in sala dal 31 marzo. Mi ero messo ad aspettare, e improvvisamente un gruppetto di donne esce per infilarsi in fretta nell’auto. Non sono sicuro che in mezzo ci sia anche lei, ma le seguo in taxi. Via Bissolati, via Veneto, un dedalo di strade e svolte, infine su per via Sistina. Davanti all’hotel Hassler la macchina si ferma e il gruppetto esce. Sì, c’è anche Sharon, con la sorella muscolosa Kelly e due guardie del corpo italiane.

Si avviano verso gli scalini, i passanti non fanno in tempo a rendersi conto che è proprio l’attrice americana. Lei, con gli occhiali neri, è già avanti. Mi avvicino, faccio finta di appartenere al suo gruppo, la affianco. Abito da poco in un loft di via Margutta: la stessa stradina dove 53 anni fa il giornalista Gregory Peck nascose per una notte la principessa Audrey Hepburn nel film Vacanze Romane. Tento anch’io il colpaccio, chiedo a Sharon in inglese: «Come for a drink», vieni a bere un bicchiere. Lei mi risponde: «Sorry, we gotta go to Fendi», dobbiamo andare da Fendi.

In piazza di Spagna l’assembramento s’ingrossa, ma Sharon non s’infastidisce. Anzi, il bagno di folla sembra piacerle. Si fa immortalare assieme a un tizio vestito da centurione accanto alla Barcaccia del Bernini. Poi imbocca via Condotti, ma si rischia il soffocamento, tutti a fotografarla coi telefonini, e allora Sharon svolta in via Mario dei Fiori. Alla fine si rifugia per una pausa di tranquillità dentro alla gioielleria Martinelli, che spranga la porta. E anche i successivi 200 metri di shopping prima di arrivare a palazzo Fendi in largo Goldoni sono come l’assedio a una regina. «Ammazza quant’è bbella», commenta un fan che è rimasto ad aspettarla giù. Quando la folla viene premiata dopo mezz’ora con un’apparizione della biondissima divina sul balcone accanto all’amica Carla Fendi, l’entusiasmo è alle stelle.

È durata meno di 24 ore la puntata italiana di Sharon Stone. Anche il suo aereo privato, un Gulfstream IV proveniente da Londra, era rimasto impigliato nel blocco dei radar romani giovedì sera. L’atterraggio a Ciampino è avvenuto in ritardo, verso le dieci. Ad accoglierla solo il presidente della Warner Brothers italiana e l’addetta stampa. È stata una scena surreale, perchè dal jet sono scese soltanto donne: una decina di signore in nero, sembrava la scena di un film poliziesco. La sorella di Sharon, che per questo tour promozionale europeo incassa 40mila dollari in qualità di «assistente al guardaroba», e poi la sua migliore amica, la truccatrice, la segretaria personale, la pierre, una guardia del corpo, una parrucchiera che si occupa delle favolose extension. Dopo Israele, Londra e Roma, via verso Parigi, Madrid e Berlino. Infine la prima statunitense a New York, il 27 marzo.

La diva si porta dietro un bagaglio di 18 valigie griffate Vuitton con 25 abiti da giorno e 15 da sera. Un baule alto un metro contiene solo scarpe. Al St.Regis ha dormito nella suite Ambassador, con acqua distillata tiepida nella vasca jacuzzi. Non è difficile immaginare Sharon mentre fa il bagno, perchè è anche una scena clou del film, che arriva ben quattordici anni dopo il primo Basic Instinct con Michael Douglas. Questa volta il personaggio diabolico che interpreta, e che un po’ le assomiglia, fa uscire pazzo uno psicanalista inglese. Il quale ha come unica colpa quella di non essere andato subito a letto con lei. Non ci sono scene con accavallamento di gambe, quindi resta il mistero sulla presenza o no di mutandine. E nessuno dei ben duecento giornalisti alla conferenza stampa ha osato chiederle delucidazioni in merito.

Sharon Stone, a 48 anni, è ancora sexy come non mai. La sua bellezza matura intimidisce, la voce profonda seduce sia nel film (doppiata sensualmente da Cristiana Lionello, figlia di Oreste) sia nella realtà. La voce è un punto debole di molte attrici americane, che parlano con intonazione da Topolino. Lei invece scandisce maestosamente le parole, e dopo le domande aspetta parecchio prima di rispondere, ieratica come un papa, creando suspense e rispetto. Insomma, altro che Julia Roberts, Angelina Jolie o Charlize Theron, eterne ragazze: Sharon Stone è ormai più di una donna, è un’icona. «Da piccola sognavo star come Ava Gardner, Barbara Stanwick, Bette Davis», confessa. Ebbene, le ha raggiunte a quei livelli di mito, quando basta un gesto o un’occhiata per far ammutolire ogni uomo. Lo conferma lei stessa: «Ho problemi con quelli che mi fanno la corte, gli ci vuole del tempo prima di considerarmi normale».

Non che abbia fatto film memorabili, negli ultimi quattordici anni: alzi la mano chi se ne ricorda più di uno o due. Anche la vita privata è passabilmente disastrosa: liti furibonde col secondo marito Phil Bronstein, direttore del quotidiano di San Francisco, sposato nel ‘98 e divorziato nel 2004. Alla fine il giudice ha partorito un’incredibile sentenza di affido per il figlio adottato Roan, 5 anni: starà dodici mesi con un genitore, e poi dodici mesi con l’altro. Una seconda figlia l’ha adottata da sola pochi mesi fa, alla maniera della Jolie.

Sharon sembra fare di tutto anche per confermare la propria fama di mangiatrice di uomini affamata di sesso. Ne cambia uno ogni dozzina di settimane, la lista è ormai sterminata. Dopo l’avvocato Bernie Cahill, solo quest’inverno è stata avvistata con il produttore Gavin Polone, il comico Craig Ferguson e il giocatore di pallacanestro Rick Fox. Tutti più giovani di lei di una decina d’anni, ovviamente, come nei film che interpreta. Lei li domina, irresistibilmente capricciosa: un anno fa partì per i Caraibi portandosene appresso uno, ma lo licenziò dopo appena due tumultuosi giorni. I paparazzi immortalarono il tapino cacciato improvvisamente dalla villa con le valigie in mano. E il giorno dopo lei stava già con un altro.

L’aspetto più incredibile della vita di Sharon Stone è che fino a 34 anni non era nessuno: «C’è voluto il primo Basic Instinct per convincere anche me che sono una bella donna e una brava attrice», ci ha detto. Quasi vent’anni di gavetta, anche a Roma. È giusto, quindi, che ora si goda il successo, dopo l’aneurisma al cervello che l’ha risparmiata per miracolo. Così la sua magica giornata romana si è conclusa, dopo un’apparizione al Tg5 in cui ha rifiutato l’invito da parte di Cesara Buonamici ad accavallare le gambe, in un tripudio di folla alla prima serale in un cinema di piazza Esedra. Con lei sul tappeto hanno sfilato le sorelle Fendi al completo, e fra gli altri i gioiellieri Silvia e Giorgio Damiani, Renzo Rosso della Diesel e Michele Goldschmied della Ag Jeans. Poi, via di corsa all’aeroporto verso Parigi. Quanto al bicchierino in via Margutta col sottoscritto, sarà per la prossima volta. Tanto Sharon non invecchia mai.

Mauro Suttora

Wednesday, October 08, 2003

Sharon Stone: io la conosco bene

PARLA IL DIRETTORE CASTING CHE L'HA SCOPERTA                             

dal corrispondente a New York Mauro Suttora

Oggi, 8 ottobre 2003

Riecco la diva, a tre anni dal suo ultimo film e a cinque dall’ultimo successo, Sphere: Sharon Stone è tornata in tutti i cinema statunitensi con il film Cold Creek Manor. Nel quale lei e il marito (interpretato da Dennis Quaid) si trasferiscono in una casa di campagna che si rivela luogo di mistero, paura e orrori. 

Accavalla le gambe, non lo fa, le allarga, indossa le mutandine oppure no? Tutte domande da Basic Instinct, ma irrilevanti: perchè basta la presenza magnetica di questa magnifica 45enne per riempire comunque lo schermo. Così come è successo all'ultimo Festival di Sanremo, quando la sua apparizione in qualità di ospite di Pippo Baudo ha fatto subito impennare gli indici d'ascolto.

E anche se passerà alla storia per Basic Instinct del '92, bisogna precisare che quattro anni dopo Sharon ha conquistato anche i favori dei critici, vincendo il Golden Globe grazie a Casinò di Martin Scorsese (con Robert De Niro e Joe Pesci), e mancando l'Oscar per un soffio.

Negli ultimi anni è stata soprattutto la sua vita privata a fare notizia: il matrimonio con il giornalista di San Francisco Phil Bronstein nel '98, il divorzio due mesi fa, il figlio Roan adottato nel 2000, l'improvvisa emorragia cerebrale che due anni fa l'ha quasi uccisa. Infine, quest'estate, il flirt con Oliver Hudson, 26 anni, figlio di Goldie Hawn, ma che vista l'età potrebbe essere anche il suo. 

Insomma, il simbolo del sesso è tornata a gustare la vita, e non intende farsi mancare niente. Ha presentato la cerimonia degli Oscar lo scorso marzo, in autunno apparirà su tutti gli schermi tv americani con un serial, e prossimamente sarà la cattiva contro Halle Berry nel film Catwoman.

«Questa fantastica resurrezione di Sharon non mi stupisce: dal primo momento che la vidi nel mio ufficio capii subito che sarebbe diventata una star». 
Per parlare della nuova Stone abbiamo scelto un interlocutore d'eccezione: Riccardo Bertoni, 69 anni, uno dei maggiori direttori di casting di New York. Che conosce benissimo l'attrice, perchè fu propr io lui a lanciarla nel 1979. 

Bertoni, svizzero italiano, allievo del Centro sperimentale cinematografico di Roma nel '51 (compagno di stanza di Domenico Modugno, ebbe Anna Magnani come insegnante e Federico Fellini come direttore), negli anni Cinquanta fu anch'egli attore: recitò accanto a Hedi Lamarr, Ivonne Sanson, Silvana Pampanini e Marcello Mastroianni (era suo fratello in La ragazza della salina, 1956).

Emigrato negli Stati Uniti quarant'anni fa, Bertoni ha messo in piedi con Esther Navarro un un'agenzia di casting fra le più importanti degli Stati Uniti: ha lavorato per otto film di Woody Allen (quasi tutti i più famosi, da Zelig a Manhattan, da Io e Annie a Broadway Danny Rose), e ha anche recitato con il regista newyorkese, suo grande amico, in Criminali da strapazzo del 2000 (era il maggiordomo). 

Con Francis Ford Coppola ha girato Cotton Club e Il Padrino parte terza, e poi Nove settimane e mezzo, Attrazione fatale, La scelta di Sophie, Rollerball, Independence Day, Crocodile Dundee, The Bostonians, Tè con Mussolini e Callas forever con Franco Zeffirelli. Ultimo film: Amore infedele con Richard Gere. Il prossimo: Die Hard 4 con Bruce Willis.

Insomma, uno che se ne intende. E che ricorda bene quel pomeriggio di agosto del 1979, quando una ragazza 21enne irruppe piena di vita nel suo ufficio di Central Park South, in pattini a rotelle: «Conservo ancora la prima scheda segnaletica di Sharon», racconta Bertoni, «con le sue misure - 36/26/36 in inches, che tradotto in centimetri fa 91/66/91 - il colore degli occhi - verde, dei capelli - biondo, e le sue "specialties": precisò che sapeva pattinare a rotelle e sul ghiaccio, sciare, nuotare, andare a cavallo, guidare auto e motociclette - come vedemmo poi in Basic Instinct - oltre che ballare. 
Nata in Pennsylvania, da due anni lavorava a New York come modella per l'agenzia di Eileen Ford, ed era venuta da me vestita con vertiginosi hot pants e accompagnata dalla sua amica Mindy Alberman, la segretaria di Dino De Laurentis. Voleva fare l'attrice, e si era anche iscritta al sindacato degli attori cinematografici, la Screen Actors Guild».

Bertoni procura subito a  Sharon Stone la prima particina, in Stardust Memories di Woody Allen (1980): «Era la ragazza vestita di bianco, un po’ alla Jean Harlow, con un’azalea in testa, che in un vagone di treno in partenza pieno di gente anziana bacia il regista posando le labbra sul vetro di un finestrino». 

Una scena breve ma memorabile, e soprattutto il debutto in un film di serie A. Al quale però non segue niente alla stessa altezza: nell’81, sempre grazie a Bertoni, una parte da coprotagonista in Deadly Blessing del regista horror Wes Craven.
«Che la prese scegliendola fra trenta altre modelle», ricorda Bertoni, «andarono a girare in Texas dove tutti naturalmente si innamorarono di lei. Quindi la presentai al mio amico Zeffirelli per la parte principale di Amore senza fine, ma lui la trovò troppo paffutella e le preferì Brooke Shields. Fra l’altro, in quel film esordì Tom Cruise».

Che tipo era Sharon Stone vent’anni fa? 
«Fiera, indipendente, disordinatissima», ricorda Bertoni. «Abitava in un appartamentino dell’Upper East Side di Manhattan vicinissimo al mio, a un solo isolato di distanza. Una volta andai a casa sua e trovai praticamente l’apocalisse... Gli uomini che frequentavano la palestra di fronte erano tutti contenti, perchè ogni tanto riuscivano a intravedere dalle finestre quella bellissima ragazza. Poi però andò un po’ in crisi, si mise con un uomo, volle andare con lui in California, fece una serie tv e della pubblicità. Sì, sopravviveva girando spot e alcuni film orrendi, di serie B».

Infine, nel 1990, la svolta: Sharon accetta di posare nuda a 32 per la rivista Playboy. I produttori di Total Recall con Arnold Schwarzenegger la notano, e le offrono la p arte della compagna del protagonista. 
«Niente di trascendentale», commenta Bertoni, «ma il vento aveva ricominciato a soffiare in suo favore, e così due anni dopo eccola in Basic Instinct del regista Paul Verhoeven. Non tornò più a girare film a New York, tranne Sliver, così la persi di vista. Però ogni volta che arrivava in città le mandavo un mazzo con una dozzina di rose rosse al Mark Hotel, dove scendeva abitualmente. Ci sentivamo al telefono, finchè nel ‘99 in qualche modo si sdebitò con me: chiese a Sidney Lumet, regista di Gloria in cui recitava, di prendermi come direttore del casting».

Da allora i due non si sono più visti. «O meglio, io ho visto in tv e sui giornali l’evolversi della sua carriera e della sua vita privata», dice Bertoni, «anche se devo confessare che non mi è piaciuta molto alla notte degli Oscar: era troppo nervosa, quasi esagitata, fuori di testa, fuori di tutto. Ma io sono sempre segretamente innamorato di lei...»
Mauro Suttora

Sunday, March 04, 2001

Il ritorno delle ciccione

Net.tv, marzo 2001

di Mauro Suttora

Si chiama Sophie Dahl, ed è la nuova donna immagine del profumo Opium di Yves Saint Laurent. Americana, 23 anni, alta un metro e 80, taglia 48, incanta il mondo tutta nuda e burrosa, con la sua pelle bianco latte e gli occhi chiusi nell’estasi. La supera Barbara, 24 anni, taglia 52: di reggiseno porta la settima misura, e ha posato per il calendario 2001 di Elena Mirò, la linea di moda del gruppo Miroglio destinata alle taglie forti, che fa concorrenza a Max Mara e a Marina Rinaldi.

Poi c’è Ali Stuhlreyer, la grassa modella che è stata immortalata in copertina poche settimane fa da «Amica»: lo sciccoso settimanale ha dedicato un intero numero al «sovrappeso è bello», così come il supplemento femminile «D di Repubblica». Quanto a Kate Moss, un tempo magra da far paura, ultimamente ha mostrato fianchi insolitamente tondi sfilando in costume per Gucci.

Megan Gale, infine: sì, la più concupita dagli italiani è in realtà pure lei bella pienotta, con gambe muscolose (ammirabili mentre si arrampica sulla torre dell’ultimo spot Omnitel) e curve pronunciate, che a ogni sfilata fanno inorridire gli ultimi stilisti rimasti schiavi del mito dell’anoressica. Per non parlare di Gwyneth Paltrow, la secca attrice che nel suo ultimo film si fa ingrassare fino a 150 chili dal computer.

Insomma, grasso è di nuovo bello? E, comunque, sta tramontando l’era delle modelle magrissime, visto che di anoressia lle nostre adolescenti cominciano perfino a morire?
«Andiamoci piano», risponde Gabriella Galluccio Canevari, giornalista di Amica, «perché anche alle ultime sfilate di Milano, Parigi e New York la media delle modelle era, ancora e sempre, sulla misura grissino. È vera piuttosto un’altra cosa: che mentre un tempo la ciccia era completamente out, oggi rappresenta un’alternativa accettabile e presentabile».

E perfino simpatica: anche perché, diciamolo francamente, al di là dei modelli (e delle modelle) imposti dall’industria della moda e dai gusti sovente omosex (e quindi sottilmente ginofobi) degli stilisti, nella realtà di tutti i giorni il trionfo delle maggiorate non è mai cessato. Al cinema, per esempio, sono sempre loro a dettar legge. E non soltanto in Italia, con le sue più che paffute Valeria Marini e Sabrina Ferilli, o con le pettoralmente superdotate Maria Grazia Cucinotta, Manuela Arcuri e Anna Falchi, ma anche nella Francia della quasi omonima di Sophie Dahl, Béatrice Dalle, nell’Inghilterra di Elizabeth Hurley dai garretti sostanziosi, e negli Stati Uniti delle quadratissime Cameron Diaz e Sandra Bullock.

Ma prendiamo anche la più divina e conturbante, Sharon Stone: le avete mai guardato attentamente le gambe? Non assomigliano a quelle di un onesto centromediano di spinta? Nicole Kidman è in perenne lotta con la dieta. Quanto a Kate Winslet, prima e dopo «Titanic» è tutta un tripudio di rotolini.

A difendere lo stendardo del clangore di ossa sembra rimasta soltanto Julia Roberts: per il resto, se non si può dire che il muscolo più o meno flaccido faccia tendenza, certo ha conquistato tolleranza. E quindi, care donne, non angustiatevi più di tanto con le consuete diete primaverili: può darsi che la verità stia nel titolo dell’ultimo libro scritto da Richard Klein per Feltrinelli: «È tutto grasso che vola».