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Wednesday, January 14, 2015

I traghetti sono sicuri?

DOPO LA TRAGEDIA DEL PATRASSO-ANCONA, ECCO I SEGRETI DELLA SICUREZZA

di Mauro Suttora

Oggi, 7 gennaio 2015

La prossima volta potremo prendere un traghetto o una nave da crociera tranquilli, o rischiamo di svegliarci alle quattro del mattino con la cabina invasa dal fumo e il pavimento arroventato da un incendio?

Gli scenari da incubo vissuti dai 450 passeggeri della Norman Atlantic, la nave Grecia-Ancona bruciata il 28 dicembre, ci insegnano molte cose. Le scialuppe di salvataggio, innanzitutto. «I passeggeri sono abituati a guardarle annoiate sui ponti, e magari a maledirle perché ostruiscono la vista», ci dice Paolo De Luca, comandante Tirrenia in pensione. «A volte i loro argani sembrano bloccati dall’ultima mano di pittura data per rinfrescare la nave, e le catene e gru che servono per calarle in mare paiono troppo grosse per funzionare».

Invece, è dalle quattro maxiscialuppe della Norman Atlantic che sarebbe dovuta arrivare la salvezza per tutti, anche per gli undici passeggeri morti e la dozzina di dispersi. Ciascuna ha una capacità di 150 persone, 600 in totale, quindi più che sufficienti per trasportare sia i passeggeri, sia i 44 membri dell’equipaggio. 

Cos’è andato storto? Quasi tutto. Le istruzioni per le procedure d’emergenza sono state trasmesse dagli altoparlanti del traghetto alla partenza, in italiano, greco e inglese. «Ma, come sempre, nessuno le avrà ascoltate», dice de Luca. Si spiegava quali sono i punti di raccolta dei passeggeri, verso quali ponti dirigersi, dove prendere i giubbotti di salvataggio: «Quelli sono stati distribuiti bene, quasi tutti li indossavano».

All’inizio il comandante sperava di domare l’incendio, e quindi di evitare l’evacuazione. Quando però la situazione è apparsa irrecuperabile, due scialuppe su quattro erano inservibili: si trovavano sul lato colpito dall’incendio, si alzavano fiamme sulla fiancata, tutto era oscurato dal fumo, e il mare in forte tempesta aveva inclinato la nave. 

«Avevamo paura che affondasse», raccontano i passeggeri. Delle due calate in acqua, una è stata riempita con appena 60 passeggeri e cinque marinai. Che avrebbero dovuto essere solo tre: di qui l’accusa di non avere rispettato la regola sacra del mare sulla precedenza ai passeggeri.

«Ma quando si parla di equipaggio, nelle navi moderne, chiariamo che la maggioranza assoluta non è composta da marinai», precisa il comandante De Luca. «Ormai, soprattutto nelle crociere, il personale preponderante è quello per i servizi, dalle cucine ai bar, dalle pulizie all’intrattenimento. Certo, anche loro vengono addestrati per le emergenze. Ma non è gente specializzata, come i naviganti di lungo corso che imbarcavamo una volta sui nostri traghetti. Soprattutto napoletani, con grande esperienza. Gente che magari aveva doppiato Capo Horn sui mercantili, e che poi aveva ripiegato sul Mediterraneo per stare vicino a casa».

Ora invece abbiamo immigrati poco pagati, che parlano male sia l’italiano sia l’inglese, e che nel pericolo vanno nel panico: pensano soprattutto a salvare la propria pelle. Un altro episodio spiacevole del disastro Norman Atlantic, silenziato per non scivolare nel razzismo, è stato quello dei passeggeri uomini che non hanno dato la precedenza a donne e bambini nell’imbarco sugli elicotteri: si trattava di iracheni e afghani, poco adusi alla cavalleria verso il genere femminile.
     
In ogni caso, poche ore dopo l’incendio circa 170 passeggeri erano riusciti a lasciare la nave sulle scialuppe. Ma il tragico è che proprio alcuni che avevano telefonato a casa col cellulare da una scialuppa ora risultano dispersi. In particolare il camionista italiano Carmine Balzano. La loro imbarcazione si è capovolta nel mare in tempesta? L’enorme guscio vuoto di una di esse è stato trovato su una spiaggia albanese.

L’aspetto più inquietante del disastro è che la Norman Atlantic era un traghetto modernissimo. Varato dai cantieri di Rovigo appena cinque anni fa, quindi si presume dotato delle più avanzate attrezzature antincendio: materiali ignifughi, portelloni tagliafuoco, sprinkler (le reti di tubi con docce che spruzzano acqua al minimo segnale di fumo e fuoco in ogni garage). L’ispezione di un ente di controllo greco un mese fa aveva registrato deficienze, ma non così gravi da bloccare la navigazione: soltanto un invito a sistemarle per l’Anek Lines, la società che gestiva il traghetto.

E qui entriamo in un altro aspetto sorprendente della vicenda: abbiamo scoperto che la nave, nella sua breve vita dal 2010 a oggi, era già passata di mano più volte, affittata ogni anno dall’armatore italiano a una diversa società di navigazione, e su rotte diverse: prima la Genova-Termini Imerese (Messina) fino alla chiusura della fabbrica Fiat siciliana, poi i collegamenti per la Sardegna, infine quelli Italia-Grecia.

Questi vorticosi passaggi di gestione possono aver influito sulla sicurezza? «Assolutamente no», risponde il comandante De Luca, «perché anche nei trasporti marittimi, come in quelli aerei, ha preso piede l’utilizzo del leasing, che offre maggiore flessibilità. Le compagnie trovano conveniente non caricarsi di oneri fissi acquistando navi e aerei che costano molto, e preferiscono affittarli. Ma i controlli restano uguali e rigorosi per tutti».

Certo, se poi la società impone alla nave carichi eccessivi anche in condizioni di mare difficile, come adombrato dal comandante del traghetto Patrasso-Ancona Argilio Giacomazzi, non c’è controllo che tenga. I clandestini a bordo non si sa se siano stati imbarcati di nascosto, oppure con la complicità di membi dell’equipaggio o di singoli camionisti. Ma non sappiamo ancora se l’incendio è nato nel garage, dove pare si nascondessero, o nella sala macchine: corto circuito, materiali pericolosi, stufette accese avventatamente per riscaldarsi nelle cabine dei camion? L’inchiesta sarà lunga.
Mauro Suttora