Quest'anno tutti al mare (in attesa di votare...)
VACANZE AVVELENATE: I POLITICI NON SMETTONO DI DIRSELE E DARSELE
Non era mai successo: in pieno agosto governo e opposizione lottano ancora. Ma è soprattutto dentro la maggioranza che la guerra infuria. Così i potenti si rovinano le ferie. Ecco come
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Non era mai successo. Quest' anno la politica non va in vacanza. I politici, in teoria, sì: Gianfranco Fini ad Ansedonia (Grosseto), il presidente Giorgio Napolitano a Stromboli, Pier Luigi Bersani in Ogliastra (Sardegna), Massimo D'Alema a Gallipoli in Puglia dove come sempre troverà l'autoctono Rocco Buttiglione.
Ma, contrariamente agli anni scorsi, i problemi politici rimangono bollenti quanto il sole d' agosto. E continuano a occupare i titoli principali di giornali e telegiornali: «Tregua fra Berlusconi e Fini o rottura?». E in caso di rottura: «Il governo cade?» E se cade: «Un altro governo o elezioni?». E in caso di elezioni: «A novembre o a marzo?»
FERRAGOSTO IN CARCERE
Ormai siamo a Ferragosto. A fine mese, con i festival dei partiti e il meeting di Cl a Rimini, riprende la stagione politica. L'8 settembre riapre la Camera. Ma questa volta l'estate non placa le polemiche. Mai, nel recente passato, le fibrillazioni del Palazzo erano riuscite a fare notizia in modo così ossessivo. Viene registrato ogni sospiro di Italo Bocchino da Panarea, ogni vaticinio di Umberto Bossi dalla Valcamonica, ogni auspicio di Benedetto Della Vedova dalla contigua Valtellina. Il simbolo di questa frenesia senza soste è Silvio Berlusconi. Che rinuncia addirittura alle ferie, e a Villa Certosa (Porto Rotondo) preferisce Tor Crescenza (periferia di Roma). «Sempre di stracchino si tratta...», scherza qualcuno.
L'unico altro politico che rimane nella capitale, perché odia le vacanze, è Marco Pannella: passa come sempre il Ferragosto visitando i carcerati a Regina Coeli. Dovranno invece visitare il premier (non a Regina Coeli come auspicherebbe Antonio Di Pietro dal suo trattore a Montenero di Bisaccia, Molise) gli sfortunati collaboratori più stretti: Sandro Bondi e Denis Verdini pendolari dalla Versilia, Ignazio La Russa dalla Sicilia, Fabrizio Cicchitto pure lui ad Ansedonia, vicino di villa di Fini e Giuliano Amato.
Ma perché tutto questo tourbillon ? «Piaccia o no», risponde Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, «alla maggioranza degli italiani sembra ancora piacere Berlusconi. La realtà è questa. Dunque, niente elezioni anticipate né altri governi». E allora, come se ne esce? «In un solo modo: con un accordo di legislatura fra tutte le componenti del centrodestra: Pdl, Lega, Futuro e Libertà di Fini». Possibile? «Obbligato».
Dissente il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari: «Le lingue dei politici sono biforcute per definizione, ma mai come ora il gioco degli inganni è stato lo strumento principe per la conquista del potere. Berlusconi è il figlio imbarbarito dell' antipolitica, del qualunquismo e dell' anarchismo. Inutile sperare di trasformarlo in un leader liberal-democratico».
INNAMORATO RESPINTO
Paradossalmente, concorda con Scalfari dalla sponda opposta di destra Vittorio Feltri, direttore del Giornale . Anche lui ritiene impossibile un accordo Berlusconi-Fini, perché quest' ultimo dopo l' espulsione dal Pdl «è come un innamorato folle respinto dalla fidanzata: si vendica uccidendola, poi si spara». Elezioni anticipate, allora? «Sarebbe la soluzione più corretta. Ma non è sicuro che Napolitano la adotti. Nulla gli vieta di tentare la formazione di un nuovo esecutivo con dentro tutti: Pd, Idv, finiani, Udc. Al Senato non avrebbero la maggioranza, perché Pdl e Lega conservano un senatore in più. Ma volete che i ribaltonisti non riescano a comprarsi un tizio qualunque per trenta denari?».
Intanto i ministri Alfano, Calderoli, Tremonti e Fitto preparano un accordo Berlusconi-Fini su quattro punti: giustizia, federalismo, fisco e Sud. «Un'intesa può essere raggiunta facilmente», sostiene De Bortoli, «tranne che sulla giustizia. Quello è uno scoglio difficilmente superabile. La saggezza suggerirebbe di accantonare le leggi ad personam e mettere al primo posto le esigenze dei cittadini».
Come la velocizzazione della giustizia civile: riforma auspicata anche da Adolfo Urso, viceministro finiano rimasto nel governo assieme ad Andrea Ronchi, e che per questo ha votato diversamente dai 43 fuoriusciti sulla mozione Caliendo. Ma ai berlusconiani stanno molto più a cuore la nuova legge Alfano (di livello costituzionale, dopo la bocciatura della Corte) per l'immunità delle alte cariche dello Stato, e quella sul processo «breve». «È proprio qui il nocciolo del problema: Fini spera che prima o poi le grane giudiziarie eliminino Berlusconi», dice Feltri.
«Sarà Bossi a decidere la partita», prevede Scalfari, «è lui a tenere in pugno il manico del bastone. La giustizia non gli interessa: per la Lega quella è solo merce di scambio, l'ha già ceduta a Berlusconi. I leghisti vogliono invece carta bianca sul federalismo e su fisco e Sud, che ne sono due sfaccettature. Sul federalismo Bossi non accetta condizionamenti».
In effetti, è da 23 anni - da quando entrarono per la prima volta in Parlamento - che i leghisti si battono per il federalismo. E ora che è in dirittura d'arrivo, se non lo ottengono o se lo vedono annacquato, tornerebbero a minacciare la secessione. Ma è difficile che i finiani, in buona parte provenienti dal Sud, accettino il federalismo, che inevitabilmente penalizzerà le loro regioni.
Quindi elezioni anticipate? I leghisti non le temono, i sondaggi dicono che farebbero il pieno al Nord. Anche a spese del Pdl. Quanto al Pd, è quello messo peggio, quindi farà di tutto per evitare il voto. Intanto, prosegue il martellamento dei giornali di Berlusconi contro Fini. «Cacciamo gli affaristi!», è lo slogan con cui il presidente della Camera ha aperto la campagna di iscrizioni per il suo nuovo partito, Futuro e libertà. Ma i berlusconiani gli rinfacciano la casa di Montecarlo lasciata ad An da una ricca ereditiera, e finita chissà come al fratello della compagna di Fini dopo un'apparente svendita a una società caraibica. L'estate è calda.
Mauro Suttora
Wednesday, August 18, 2010
Craxi, pagami gli alimenti!
LA TELENOVELA DI DUE DIVORZIATI FAMOSI
Laura D'Este, ex moglie del fratello di Bettino, accusa: «Antonio mi ha ridotta a farmi sfamare dalla Caritas. Mentre lui...»
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Lo dicono le statistiche: in tutto il mondo luglio e agosto sono i mesi più difficili per le ex mogli che ricevono gli alimenti dall'ex coniuge. Sarà per le spese da affrontare per mandare la nuova famiglia in vacanza, sarà per l'Irpef pagata in giugno, sarà per il rallentamento delle entrate in estate... Fatto sta che in questi mesi si impennano le denunce per i ritardi o i mancati pagamenti dell'assegno di mantenimento. Non fanno eccezione i nomi famosi.
«Sono disperata: ho chiesto alla Caritas che mi mandino qualche pacco di alimenti per poter mangiare. Non mi rimangono neanche i soldi per fare la spesa»: questa è la drammatica confessione che fa a Oggi la signora Laura D'Este, 70 anni. La quale non ha ancora ricevuto, dall'inizio di luglio, i 7.150 euro semestrali dovuti dall'ex marito Antonio Craxi.
SPOSATI NEL 1965
Non è la prima volta che il fratello dell'ex premier Bettino, noto soprattutto per la sua devozione al guru indiano Sai Baba, viene accusato dall'ex moglie (sposata nel 1965 dopo tre anni di fidanzamento) di ritardi nell'onorare gli impegni verso la ex moglie. Nel '95 la signora D'Este si rivolse proprio a noi per denunciare che il mensile di un milione e mezzo di lire veniva versato in ritardo. Ma che, soprattutto, non bastava a permetterle di vivere decorosamente, visto che doveva pagare più di un milione d'affitto per l'appartamento milanese in cui vive, in via Castelbarco.
Quindici anni dopo, ci risiamo. Nel frattempo, con le rivalutazioni per l'inflazione, il mensile è passato a 1.190 euro. «Che sarebbe anche una cifra accettabile», ci dice la signora D'Este, «se, come al solito, non ne dovessi pagare 770 per affitto e spese condominiali. E, con i prezzi di Milano, anche se mi trasferissi in una casa più piccola non potrei risparmiare granché».
Quel che fa imbestialire la signora è che, mentre lei è costretta in queste ristrettezze, il suo ex condurrebbe una vita più che agiata. Dice: «Antonio è proprietario di un'azienda agricola di dieci ettari a Magenta, in provincia di Milano: il club Modus Vivendi, con piscina, sauna, maneggio e una clinica di scienze ayurvediche. Mi ha sempre detto che non ha soldi, ma a me risulta che abbia anche uno yacht a Nizza e una villa vicino a Deauville in Normandia, non so se intestati a lui o alla sua nuova moglie francese».
Disgrazia nella disgrazia, alla signora D'Este la scorsa settimana si è incrinata una vertebra alzando un vaso sul balcone di casa: «I dottori mi dicono che devo mettermi un corsetto di ferro. Ma costa 600 euro, e io non me lo posso permettere. Così come anche molte medicine».
Dopo il sollecito e il precetto, la signora ha sporto querela-denuncia contro l'ex marito, col quale non parla da due anni.
«Ha detto a mio figlio, che è ormai grande, di mantenermi lui», accusa l'ex signora Craxi. «Ma mio figlio ha la sua famiglia a cui badare, non posso certo gravare su di lui. E ormai sono sola, non ho più parenti a cui rivolgermi».
FAMIGLIA BENE DI UDINE
La signora D'Este proviene da una famiglia benestante di Udine: padre medico, nonno magistrato. «Nel '62 studiavo lingue all'università Bocconi di Milano, ho conosciuto Antonio Craxi lì. È riuscito a laurearsi con il minimo dei voti. Allora non aveva il becco di un quattrino: veniva a prendermi con l'auto del padre, e poi si faceva pagare la benzina da me».
Quando avete divorziato?
«Nel 1975, ma eravamo separati già da sei anni. I dissapori cominciarono subito dopo il matrimonio. Litigavamo sempre più spesso, cominciò a mancarmi di rispetto. Avrei potuto tornare in Friuli dai miei con i bimbi piccoli e insegnare, ma lui me lo proibì: "No, i miei figli devono stare a Milano, altrimenti te li faccio portare via". Ho rinunciato perfino a risposarmi».
E lui si è risposato?
«Ha avuto quattro figli dalla sua nuova compagna francese, Sylvie. E il confronto fra loro e la vita che ha imposto ai nostri figli è penoso. Quando s' invaghì di Sai Baba andava parecchie volte all' anno in India. Solamente il costo dei suoi biglietti aerei sarebbe bastato a noi tre per vivere un anno intero».
Signora, non converrebbe dopo così tanti anni farsi liquidare dal suo ex con una somma una tantum e magari una casa di proprietà che le tolga almeno il pensiero dell'affitto?
«Lo avevo proposto ad Antonio quando l'ente che possiede questo palazzo vendette gli appartamenti, proponendoli innanzitutto agli affittuari. Lui ci pensò, sembrava fosse disposto ad acquistarlo e a lasciarmelo in usufrutto, ma poi non se ne fece nulla».
Molti ex trovano difficile pagare una grossa somma ogni sei mesi. Non vi converrebbe accordarvi per versamenti mensili o bimestrali, per non accumulare crediti troppo alti?
«L'importante è che paghi. Basterebbe che vendesse uno solo dei suoi cavalli. E io vado avanti cinque anni».
Mauro Suttora
Laura D'Este, ex moglie del fratello di Bettino, accusa: «Antonio mi ha ridotta a farmi sfamare dalla Caritas. Mentre lui...»
di Mauro Suttora
Oggi, 18 agosto 2010
Lo dicono le statistiche: in tutto il mondo luglio e agosto sono i mesi più difficili per le ex mogli che ricevono gli alimenti dall'ex coniuge. Sarà per le spese da affrontare per mandare la nuova famiglia in vacanza, sarà per l'Irpef pagata in giugno, sarà per il rallentamento delle entrate in estate... Fatto sta che in questi mesi si impennano le denunce per i ritardi o i mancati pagamenti dell'assegno di mantenimento. Non fanno eccezione i nomi famosi.
«Sono disperata: ho chiesto alla Caritas che mi mandino qualche pacco di alimenti per poter mangiare. Non mi rimangono neanche i soldi per fare la spesa»: questa è la drammatica confessione che fa a Oggi la signora Laura D'Este, 70 anni. La quale non ha ancora ricevuto, dall'inizio di luglio, i 7.150 euro semestrali dovuti dall'ex marito Antonio Craxi.
SPOSATI NEL 1965
Non è la prima volta che il fratello dell'ex premier Bettino, noto soprattutto per la sua devozione al guru indiano Sai Baba, viene accusato dall'ex moglie (sposata nel 1965 dopo tre anni di fidanzamento) di ritardi nell'onorare gli impegni verso la ex moglie. Nel '95 la signora D'Este si rivolse proprio a noi per denunciare che il mensile di un milione e mezzo di lire veniva versato in ritardo. Ma che, soprattutto, non bastava a permetterle di vivere decorosamente, visto che doveva pagare più di un milione d'affitto per l'appartamento milanese in cui vive, in via Castelbarco.
Quindici anni dopo, ci risiamo. Nel frattempo, con le rivalutazioni per l'inflazione, il mensile è passato a 1.190 euro. «Che sarebbe anche una cifra accettabile», ci dice la signora D'Este, «se, come al solito, non ne dovessi pagare 770 per affitto e spese condominiali. E, con i prezzi di Milano, anche se mi trasferissi in una casa più piccola non potrei risparmiare granché».
Quel che fa imbestialire la signora è che, mentre lei è costretta in queste ristrettezze, il suo ex condurrebbe una vita più che agiata. Dice: «Antonio è proprietario di un'azienda agricola di dieci ettari a Magenta, in provincia di Milano: il club Modus Vivendi, con piscina, sauna, maneggio e una clinica di scienze ayurvediche. Mi ha sempre detto che non ha soldi, ma a me risulta che abbia anche uno yacht a Nizza e una villa vicino a Deauville in Normandia, non so se intestati a lui o alla sua nuova moglie francese».
Disgrazia nella disgrazia, alla signora D'Este la scorsa settimana si è incrinata una vertebra alzando un vaso sul balcone di casa: «I dottori mi dicono che devo mettermi un corsetto di ferro. Ma costa 600 euro, e io non me lo posso permettere. Così come anche molte medicine».
Dopo il sollecito e il precetto, la signora ha sporto querela-denuncia contro l'ex marito, col quale non parla da due anni.
«Ha detto a mio figlio, che è ormai grande, di mantenermi lui», accusa l'ex signora Craxi. «Ma mio figlio ha la sua famiglia a cui badare, non posso certo gravare su di lui. E ormai sono sola, non ho più parenti a cui rivolgermi».
FAMIGLIA BENE DI UDINE
La signora D'Este proviene da una famiglia benestante di Udine: padre medico, nonno magistrato. «Nel '62 studiavo lingue all'università Bocconi di Milano, ho conosciuto Antonio Craxi lì. È riuscito a laurearsi con il minimo dei voti. Allora non aveva il becco di un quattrino: veniva a prendermi con l'auto del padre, e poi si faceva pagare la benzina da me».
Quando avete divorziato?
«Nel 1975, ma eravamo separati già da sei anni. I dissapori cominciarono subito dopo il matrimonio. Litigavamo sempre più spesso, cominciò a mancarmi di rispetto. Avrei potuto tornare in Friuli dai miei con i bimbi piccoli e insegnare, ma lui me lo proibì: "No, i miei figli devono stare a Milano, altrimenti te li faccio portare via". Ho rinunciato perfino a risposarmi».
E lui si è risposato?
«Ha avuto quattro figli dalla sua nuova compagna francese, Sylvie. E il confronto fra loro e la vita che ha imposto ai nostri figli è penoso. Quando s' invaghì di Sai Baba andava parecchie volte all' anno in India. Solamente il costo dei suoi biglietti aerei sarebbe bastato a noi tre per vivere un anno intero».
Signora, non converrebbe dopo così tanti anni farsi liquidare dal suo ex con una somma una tantum e magari una casa di proprietà che le tolga almeno il pensiero dell'affitto?
«Lo avevo proposto ad Antonio quando l'ente che possiede questo palazzo vendette gli appartamenti, proponendoli innanzitutto agli affittuari. Lui ci pensò, sembrava fosse disposto ad acquistarlo e a lasciarmelo in usufrutto, ma poi non se ne fece nulla».
Molti ex trovano difficile pagare una grossa somma ogni sei mesi. Non vi converrebbe accordarvi per versamenti mensili o bimestrali, per non accumulare crediti troppo alti?
«L'importante è che paghi. Basterebbe che vendesse uno solo dei suoi cavalli. E io vado avanti cinque anni».
Mauro Suttora
Wednesday, August 11, 2010
parla Lele Mora
ERO IO L'IMPERATORE DELL'HOLLYWOOD
Oggi, 4 agosto 2010
Lele Mora, l’imperatore dell’Hollywood era lei.
«Per dieci anni, alla domenica sera, stavo seduto nel privé su una poltrona a forma di trono».
Perché?
«Un po’ per scherzo, un po’ perché venendo dalla campagna la cosa mi piaceva. Ma la vera ragione era un’altra».
Quale?
«Ricevo 500 mail al giorno di giovani che vogliono entrare nel mondo dello spettacolo. Impossibile trovare il tempo di incontrarli tutti».
E allora?
«Venivano loro lì. Così non c’era bisogno del richiamo di nomi famosi per riempire il locale. Bastavo io».
Le serate con coca di cui parlano Belen e la Ribas.
«Mai vista, la cocaina. Io sono assolutamente contro la droga. Neanche fumo e bevo».
Ha fatto tre mesi di carcere per cocaina nel 1989.
«Completamente prosciolto. Fu terribile».
Mai vista, allora, la coca?
«Vedo chi la vende e chi la prende, come tutti. Ti fermano addirittura per dartela, qui sotto in viale Monza come in corso Como».
Dilaga.
«È la piaga di questi anni. Ormai la prendono tutti, anche gli operai al sabato».
E quindi?
«Se chiudono l’Hollywood, dovrebbero chiudere tutti i locali del mondo».
Battaglia persa?
«Mai darsi per vinti. Io aiuto don Mazzi».
Erano complici anche vigili e poliziotti.
«Ci sono sempre gli insospettabili».
Tanto vale legalizzare.
«Non saprei prendere posizione, non sono un politico».
Almeno non ci guadagnano i mafiosi.
«È come per l’alcol».
Cioé?
«Vogliono chiudere le discoteche alle due. Ma i ragazzi bevono lo stesso, nei baracchini».
E attorno a lei?
«Ho allontanato dalla mia agenzia personaggi come la Ribas, la Lodo, la Fabiani».
Perché?
«Non c’era più feeling».
Diplomatico.
«Io ai miei ragazzi ho fatto solo del bene. Ma non tutti sono riconoscenti».
Corona?
«Ai figli si perdona sempre. Anche a quelli più ribelli».
Lo hanno beccato per la terza volta senza patente.
«Non è quello che vuol far credere di essere».
E cos’è, allora?
«Buono, furbo. E malato di denaro».
Siete accusati di Iva evasa su 17 milioni.
«Lui non so. Io per fatture di poche centinaia di migliaia».
Come vanno gli affari?
«Non tanto bene».
Dopo Vallettopoli del 2007?
«Ero crollato da 50 a uno. Trent’anni di lavoro distrutti».
L’hanno abbandonata in tanti?
«No. Molti li ho lasciati io. Ora curo 80 artisti».
Gli addii più dolorosi?
«Simona Ventura e Valter Nudo. Lei dopo 14 anni. Lui mi ha tradito tre volte».
In che senso?
«Se n’è andato, non ha combinato niente, è tornato, l’ho ripreso in agenzia, l’ho rilanciato, mi ha mollato di nuovo».
Chi le è stato fedele?
«Tanti: la Ferilli, Ornella Muti, De Sica, D’Eusanio, Yespica. E poi Casalegno, Caldonazzo, Platinette, Remo Girone...»
Ora come va l’agenzia?
«Ci stiamo riprendendo, ma che fatica».
Questo suo ufficio brilla sempre.
«Lavoro come un matto. L’altra sera ho inaugurato un casinò ad Abbazia, in Croazia. Dodici ore d’auto. Ieri a Verona e poi a Bari».
Stanno finendo gli anni Zero. Lei, con Briatore, è stato il simbolo del decennio.
«Ho creato e lanciato tanti sconosciuti. A Belen ho dato il permesso di soggiorno, era clandestina. E poi la Falchi...»
Metà dei personaggi tv erano suoi.
«Anche tre quarti».
Si pente di qualcosa?
«Ho gonfiato anche “fenomeni” che non sanno fare niente. Senza talento e cultura».
Lei invece colleziona lauree ad honorem, le vedo appese lì dietro.
«Due in Scienza della comunicazione. Un'altra me la stanno per dare a Perugia. E poi la mia».
In?
«Economia e commercio, a Bologna».
Era uno degli uomini più potenti d’Italia.
«I veri potenti sono altri: politici, industriali, banchieri».
Lei no?
«Ho solo lavorato tanto, cominciando da Patty Pravo e Loredana Berté negli anni ‘70».
Un drogato di lavoro.
«Ecco. Questa è la mia unica droga. Vivo per lavorare, invece di lavorare per vivere».
Si vede che le piace.
«Sì, ma ho trascurato la famiglia».
Se l’è portata dietro: sua figlia lavora con lei.
«Anche mio figlio e mio genero».
Quindi non si è mai sentito importante? Neppure sul trono?
«Una volta la mia faccia non la conosceva nessuno. Ora che è nota, non posso fare più nulla».
Cioé?
«Appena faccio pipì fuori dal vasino mi segnalano».
L’hanno segnalata con Berlusconi fra le guglie del Duomo, due settimane fa.
«Sono andato per il concerto di Aznavour. Mi ha invitato un mio amico imprenditore di Roma, anche perché costava duemila euro a biglietto».
Che fa, prende le distanze?
«Assolutamente no. Amo Berlusconi come imprenditore, politico e uomo di parola».
Vota Pdl?
«Politicamente sono mussoliniano, perché lo erano i miei genitori».
Quindi ha votato Storace.
«No. Mussoliniano, non fascista».
L’hanno vista a un comizio Pdl.
«Ho aiutato la campagna di due amici: Podestà per la provincia di Milano, e Giorgio Pozzi a Como».
Insomma, è di destra.
«Ma solo personalmente. Sul lavoro niente politica».
Bipartisan.
«Sì. Infatti la Ferilli è di sinistra».
Oggi è il 2 agosto. Vacanze?
«Detesto il sole. Per questo sono bianco come un latticino»
Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
Lele Mora, l’imperatore dell’Hollywood era lei.
«Per dieci anni, alla domenica sera, stavo seduto nel privé su una poltrona a forma di trono».
Perché?
«Un po’ per scherzo, un po’ perché venendo dalla campagna la cosa mi piaceva. Ma la vera ragione era un’altra».
Quale?
«Ricevo 500 mail al giorno di giovani che vogliono entrare nel mondo dello spettacolo. Impossibile trovare il tempo di incontrarli tutti».
E allora?
«Venivano loro lì. Così non c’era bisogno del richiamo di nomi famosi per riempire il locale. Bastavo io».
Le serate con coca di cui parlano Belen e la Ribas.
«Mai vista, la cocaina. Io sono assolutamente contro la droga. Neanche fumo e bevo».
Ha fatto tre mesi di carcere per cocaina nel 1989.
«Completamente prosciolto. Fu terribile».
Mai vista, allora, la coca?
«Vedo chi la vende e chi la prende, come tutti. Ti fermano addirittura per dartela, qui sotto in viale Monza come in corso Como».
Dilaga.
«È la piaga di questi anni. Ormai la prendono tutti, anche gli operai al sabato».
E quindi?
«Se chiudono l’Hollywood, dovrebbero chiudere tutti i locali del mondo».
Battaglia persa?
«Mai darsi per vinti. Io aiuto don Mazzi».
Erano complici anche vigili e poliziotti.
«Ci sono sempre gli insospettabili».
Tanto vale legalizzare.
«Non saprei prendere posizione, non sono un politico».
Almeno non ci guadagnano i mafiosi.
«È come per l’alcol».
Cioé?
«Vogliono chiudere le discoteche alle due. Ma i ragazzi bevono lo stesso, nei baracchini».
E attorno a lei?
«Ho allontanato dalla mia agenzia personaggi come la Ribas, la Lodo, la Fabiani».
Perché?
«Non c’era più feeling».
Diplomatico.
«Io ai miei ragazzi ho fatto solo del bene. Ma non tutti sono riconoscenti».
Corona?
«Ai figli si perdona sempre. Anche a quelli più ribelli».
Lo hanno beccato per la terza volta senza patente.
«Non è quello che vuol far credere di essere».
E cos’è, allora?
«Buono, furbo. E malato di denaro».
Siete accusati di Iva evasa su 17 milioni.
«Lui non so. Io per fatture di poche centinaia di migliaia».
Come vanno gli affari?
«Non tanto bene».
Dopo Vallettopoli del 2007?
«Ero crollato da 50 a uno. Trent’anni di lavoro distrutti».
L’hanno abbandonata in tanti?
«No. Molti li ho lasciati io. Ora curo 80 artisti».
Gli addii più dolorosi?
«Simona Ventura e Valter Nudo. Lei dopo 14 anni. Lui mi ha tradito tre volte».
In che senso?
«Se n’è andato, non ha combinato niente, è tornato, l’ho ripreso in agenzia, l’ho rilanciato, mi ha mollato di nuovo».
Chi le è stato fedele?
«Tanti: la Ferilli, Ornella Muti, De Sica, D’Eusanio, Yespica. E poi Casalegno, Caldonazzo, Platinette, Remo Girone...»
Ora come va l’agenzia?
«Ci stiamo riprendendo, ma che fatica».
Questo suo ufficio brilla sempre.
«Lavoro come un matto. L’altra sera ho inaugurato un casinò ad Abbazia, in Croazia. Dodici ore d’auto. Ieri a Verona e poi a Bari».
Stanno finendo gli anni Zero. Lei, con Briatore, è stato il simbolo del decennio.
«Ho creato e lanciato tanti sconosciuti. A Belen ho dato il permesso di soggiorno, era clandestina. E poi la Falchi...»
Metà dei personaggi tv erano suoi.
«Anche tre quarti».
Si pente di qualcosa?
«Ho gonfiato anche “fenomeni” che non sanno fare niente. Senza talento e cultura».
Lei invece colleziona lauree ad honorem, le vedo appese lì dietro.
«Due in Scienza della comunicazione. Un'altra me la stanno per dare a Perugia. E poi la mia».
In?
«Economia e commercio, a Bologna».
Era uno degli uomini più potenti d’Italia.
«I veri potenti sono altri: politici, industriali, banchieri».
Lei no?
«Ho solo lavorato tanto, cominciando da Patty Pravo e Loredana Berté negli anni ‘70».
Un drogato di lavoro.
«Ecco. Questa è la mia unica droga. Vivo per lavorare, invece di lavorare per vivere».
Si vede che le piace.
«Sì, ma ho trascurato la famiglia».
Se l’è portata dietro: sua figlia lavora con lei.
«Anche mio figlio e mio genero».
Quindi non si è mai sentito importante? Neppure sul trono?
«Una volta la mia faccia non la conosceva nessuno. Ora che è nota, non posso fare più nulla».
Cioé?
«Appena faccio pipì fuori dal vasino mi segnalano».
L’hanno segnalata con Berlusconi fra le guglie del Duomo, due settimane fa.
«Sono andato per il concerto di Aznavour. Mi ha invitato un mio amico imprenditore di Roma, anche perché costava duemila euro a biglietto».
Che fa, prende le distanze?
«Assolutamente no. Amo Berlusconi come imprenditore, politico e uomo di parola».
Vota Pdl?
«Politicamente sono mussoliniano, perché lo erano i miei genitori».
Quindi ha votato Storace.
«No. Mussoliniano, non fascista».
L’hanno vista a un comizio Pdl.
«Ho aiutato la campagna di due amici: Podestà per la provincia di Milano, e Giorgio Pozzi a Como».
Insomma, è di destra.
«Ma solo personalmente. Sul lavoro niente politica».
Bipartisan.
«Sì. Infatti la Ferilli è di sinistra».
Oggi è il 2 agosto. Vacanze?
«Detesto il sole. Per questo sono bianco come un latticino»
Mauro Suttora
Cocaina a Milano
DOPO IL SEQUESTRO DELL'HOLLYWOOD, VIAGGIO NELLE NOTTI BIANCHE DELLE DISCOTECHE
Oggi, 4 agosto 2010
di Mauro Suttora
È qui la coca? Mezzanotte, venerdì sera, Milano, parco Sempione. Nel ristorante della discoteca Old Fashion intime coppie e allegre tavolate stanno finendo la cena. Fra un po’ si sposteranno nel dehors sotto il bel palazzo in mattoni rossi della Triennale. Sta per cominciare la musica, o almeno quel ritmo di rumori ossessivi che l’ha sostituita nelle discoteche.
È il primo week-end di agosto, ma ci sono ancora giovani eleganti in giro per Milano. Gli argomenti di conversazione sono due: dove si va in vacanza, e l’Hollywood. Il locale più alla moda della città, appena chiuso per droga. Che ha fatto notizia non per la droga, ovviamente: quella scorre a fiumi e nei fiumi finisce, secondo le analisi delle acque del Po. Gira nei locali notturni dai tempi dello scandalo al Number One, via Turati, primi anni ’70. E non solo: «Diecimila dosi consumate ogni giorno a Milano, 15 mila nei fine settimana, anche da manager», calcola meticolosa la Asl.
Ora però per la prima volta un magistrato svela una verità più imbarazzante: spacciatori (di coca a 50 euro per sniffata) e protettori (di escort a 300 euro per notte) erano protetti da capi di vigili, poliziotti e dirigenti comunali. Quelli che danno le licenze, e le possono togliere in due minuti con qualsiasi scusa (lo storico Nepentha chiuso perché c’era troppa gente).
Come a Chicago sotto Al Capone, ormai in mezza Lombardia comandano i mafiosi: notizia di un mese fa. La ’ndrangheta non solo fa i miliardi con la droga, ma compra direttamente le discoteche e le usa per nasconderci le pistole dei suoi killer. Il tutto a pochi centimetri dai nasi e dai seni della gente più invidiata d’Italia: le donne più belle (Belen Rodriguez, Elisabetta Canalis, Fernanda Lessa), gli uomini più ricchi (industriali, politici, figli di papà), i calciatori più famosi.
Nella penombra attorno all’Old Fashion, e al vicino Just Cavalli, si aggirano arabi e sudamericani. Non spacciano: chiedono cinque euro a ogni auto che parcheggia. Entriamo. L’anno scorso l’Old Fashion, aperto anche d’estate perché provvisto di giardino, aveva aggiunto Hollywood al proprio nome, per indicare un gemellaggio con il più famoso locale solo invernale. Ora la scritta è convenientemente sparita. Sono rimasti gorilla e buttafuori, facce orrende ma necessarie anche per - in teoria - proteggere la «bella gente» proprio da spacciatori e altri malintenzionati. A meno che - come ha scoperto il pm Frank Di Maio - anche loro non facciano parte del «giro», coordinati da poliziotti fuori servizio in vena di arrotondare, offrendo ai clienti ogni piacevole illegalità e impunità.
Nessuna traccia di traffici strani nei bagni dell’Old Fashion. E ci mancherebbe, proprio in queste notti. Anzi, energumeni occhiuti controllano il viavai attorno ai bagni. Stessa scena, più o meno, negli altri sette locali che abbiamo visitato, fino alle quattro del mattino: Just Cavalli e Bar Bianco al parco Sempione, Crazy Jungle in via Cavriana, e all’Idroscalo il Jardin au bord du lac, Papaya, Borgo Karma e Solaire. Quest’ultimo, con una bella terrazza, riaperto e ripulito dopo la passata gestione delle cosche calabresi.
Migliaia di giovani arrivano in auto ogni venerdì e sabato sera, come in tutta Italia. Un’industria da centinaia di milioni di euro. All’Idroscalo servizi d’ordine numerosi ed efficienti chiudono un occhio ed entrambe le narici di fronte a qualche nuvola di fumo dolciastro proveniente da gruppi di ragazzi che spinellano. All’Idroscalo i «privé» (zona riservata per vip, poltrone solo a chi compra bottiglie di champagne da cento euro) sono una simpatica imitazione di quelli di corso Como. Ma ogni disco che si rispetti deve averlo, il privé, per sembrare esclusiva anche se frequentata da proletari, e mai nessun premier ci farà un salto come invece capitò all’Hollywood tre anni fa.
Nell’immenso parcheggio del Papaya, locale popolare per diciottenni dove si entra gratis senza consumazione obbligatoria da 15 euro (negli altri locali mai una ricevuta fiscale, ma questo è un altro discorso, o forse lo stesso), trovo infine un piccolo spacciatore. Gli chiedo cocaina. Ha solo hashish. Droga leggera. Sembra di tornare al liceo, trent’anni fa. È arabo, vuole 50 euro. Trattiamo, compro a trenta.
Niente di più libero e facile: è la farsa del proibizionismo. Che infatti sia a sinistra (Michele Serra) sia a destra (Sergio Romano) è in questi giorni definito inutile. Viene in mente Robert De Niro in C’era una volta in America. Ricordate? Quando il presidente Roosevelt legalizzò i liquori, lui e i suoi amici mafiosi si ritrovarono senza lavoro. E ora vogliamo creare disoccupazione, con la crisi che c’è?...
Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
di Mauro Suttora
È qui la coca? Mezzanotte, venerdì sera, Milano, parco Sempione. Nel ristorante della discoteca Old Fashion intime coppie e allegre tavolate stanno finendo la cena. Fra un po’ si sposteranno nel dehors sotto il bel palazzo in mattoni rossi della Triennale. Sta per cominciare la musica, o almeno quel ritmo di rumori ossessivi che l’ha sostituita nelle discoteche.
È il primo week-end di agosto, ma ci sono ancora giovani eleganti in giro per Milano. Gli argomenti di conversazione sono due: dove si va in vacanza, e l’Hollywood. Il locale più alla moda della città, appena chiuso per droga. Che ha fatto notizia non per la droga, ovviamente: quella scorre a fiumi e nei fiumi finisce, secondo le analisi delle acque del Po. Gira nei locali notturni dai tempi dello scandalo al Number One, via Turati, primi anni ’70. E non solo: «Diecimila dosi consumate ogni giorno a Milano, 15 mila nei fine settimana, anche da manager», calcola meticolosa la Asl.
Ora però per la prima volta un magistrato svela una verità più imbarazzante: spacciatori (di coca a 50 euro per sniffata) e protettori (di escort a 300 euro per notte) erano protetti da capi di vigili, poliziotti e dirigenti comunali. Quelli che danno le licenze, e le possono togliere in due minuti con qualsiasi scusa (lo storico Nepentha chiuso perché c’era troppa gente).
Come a Chicago sotto Al Capone, ormai in mezza Lombardia comandano i mafiosi: notizia di un mese fa. La ’ndrangheta non solo fa i miliardi con la droga, ma compra direttamente le discoteche e le usa per nasconderci le pistole dei suoi killer. Il tutto a pochi centimetri dai nasi e dai seni della gente più invidiata d’Italia: le donne più belle (Belen Rodriguez, Elisabetta Canalis, Fernanda Lessa), gli uomini più ricchi (industriali, politici, figli di papà), i calciatori più famosi.
Nella penombra attorno all’Old Fashion, e al vicino Just Cavalli, si aggirano arabi e sudamericani. Non spacciano: chiedono cinque euro a ogni auto che parcheggia. Entriamo. L’anno scorso l’Old Fashion, aperto anche d’estate perché provvisto di giardino, aveva aggiunto Hollywood al proprio nome, per indicare un gemellaggio con il più famoso locale solo invernale. Ora la scritta è convenientemente sparita. Sono rimasti gorilla e buttafuori, facce orrende ma necessarie anche per - in teoria - proteggere la «bella gente» proprio da spacciatori e altri malintenzionati. A meno che - come ha scoperto il pm Frank Di Maio - anche loro non facciano parte del «giro», coordinati da poliziotti fuori servizio in vena di arrotondare, offrendo ai clienti ogni piacevole illegalità e impunità.
Nessuna traccia di traffici strani nei bagni dell’Old Fashion. E ci mancherebbe, proprio in queste notti. Anzi, energumeni occhiuti controllano il viavai attorno ai bagni. Stessa scena, più o meno, negli altri sette locali che abbiamo visitato, fino alle quattro del mattino: Just Cavalli e Bar Bianco al parco Sempione, Crazy Jungle in via Cavriana, e all’Idroscalo il Jardin au bord du lac, Papaya, Borgo Karma e Solaire. Quest’ultimo, con una bella terrazza, riaperto e ripulito dopo la passata gestione delle cosche calabresi.
Migliaia di giovani arrivano in auto ogni venerdì e sabato sera, come in tutta Italia. Un’industria da centinaia di milioni di euro. All’Idroscalo servizi d’ordine numerosi ed efficienti chiudono un occhio ed entrambe le narici di fronte a qualche nuvola di fumo dolciastro proveniente da gruppi di ragazzi che spinellano. All’Idroscalo i «privé» (zona riservata per vip, poltrone solo a chi compra bottiglie di champagne da cento euro) sono una simpatica imitazione di quelli di corso Como. Ma ogni disco che si rispetti deve averlo, il privé, per sembrare esclusiva anche se frequentata da proletari, e mai nessun premier ci farà un salto come invece capitò all’Hollywood tre anni fa.
Nell’immenso parcheggio del Papaya, locale popolare per diciottenni dove si entra gratis senza consumazione obbligatoria da 15 euro (negli altri locali mai una ricevuta fiscale, ma questo è un altro discorso, o forse lo stesso), trovo infine un piccolo spacciatore. Gli chiedo cocaina. Ha solo hashish. Droga leggera. Sembra di tornare al liceo, trent’anni fa. È arabo, vuole 50 euro. Trattiamo, compro a trenta.
Niente di più libero e facile: è la farsa del proibizionismo. Che infatti sia a sinistra (Michele Serra) sia a destra (Sergio Romano) è in questi giorni definito inutile. Viene in mente Robert De Niro in C’era una volta in America. Ricordate? Quando il presidente Roosevelt legalizzò i liquori, lui e i suoi amici mafiosi si ritrovarono senza lavoro. E ora vogliamo creare disoccupazione, con la crisi che c’è?...
Mauro Suttora
Wednesday, August 04, 2010
Gemelli Mussolini
GRAZIE ALL' INSEMINAZIONE ARTIFICIALE, SI ALLARGA LA DINASTIA DEL DITTATORE
I due trisnipoti del duce, Marzio e Carlo, sono nati con le tecniche del professor Antinori. E la bisnonna era Edda Ciano, figlia di Benito. Che sulla procreazione assistita, già allora diceva...
di Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
Siamo ormai arrivati alla quinta generazione di Mussolini. Ma avere fra le mani il Dna di Benito fa sempre un po' impressione. È quel che è capitato al professor Severino Antinori, il medico italiano famoso per le tecniche di fecondazione artificiale, che ha favorito la nascita di Marzio e Carlo Ciano, trisnipoti del duce. Eccoli qui felici e pasciuti, a otto mesi dalla nascita (il 21 novembre 2009 nella clinica romana Quisisana), in braccio al papà Pier Francesco Ciano.
Ciano ha deciso di chiamare uno dei due gemelli con il nome di suo padre Marzio, morto a soli 37 anni, e terzogenito della coppia composta da Edda e Galeazzo, ex ministro degli Esteri, una delle figure più controverse del regime fascista.
«I bambini sono nati all' ottavo mese», dice Ciano, «e alla nascita pesavano 2,7 chili e 2,3. Mia moglie Alessandra e io ringraziamo il ginecologo Severino Antinori. Edda e Galeazzo Ciano ebbero tre figli, ma solo mio padre ebbe degli eredi: me e mio fratello Lorenzo. Lorenzo non ha figli, mentre io e mia moglie ora abbiamo dato alla luce questi bei gemelli, che porteranno avanti la dinastia».
FIGURA CONTROVERSA
La dinastia Ciano, nel bene e nel male, ha fatto l'Italia del Novecento. A cominciare dall'ammiraglio Costanzo Ciano, nato a Livorno nel 1876 e autore della «beffa di Buccari»: con i suoi Mas (Motoscafi antisommergibile) assieme a Gabriele D'Annunzio riuscì a penetrare nel porto della flotta austriaca. Il che, dopo Caporetto, risollevò il morale delle truppe italiane. Sotto il fascismo fu ministro e presidente (di quel che restava) della Camera dei deputati.
Suo figlio Galeazzo, spavaldo e brillante, sposò nel 1930 Edda Mussolini, primogenita del dittatore, il quale nel '36 lo volle ministro degli Esteri. Filoinglese come i gerarchi più intelligenti del regime (Italo Balbo, Dino Grandi), Ciano cercò di tenere l'Italia fuori dalla guerra di Hitler. E per nove mesi ci riuscì. Ma nel giugno '40 Mussolini, visto il crollo della Francia, la attaccò.
Ciano divenne ambasciatore in Vaticano, dove ebbe stretti rapporti con il futuro papa Paolo VI, allora numero due della Segreteria di Stato. Il 25 luglio '43, durante l'ultimo drammatico Gran Consiglio, Galeazzo Ciano tradì Mussolini, votandone la richiesta di dimissioni che fece cadere il regime. Per questo pagò con la vita nel gennaio successivo: venne fucilato a Verona, nonostante la moglie Edda implorasse la grazia presso il padre.
Una vicenda da tragedia greca, che vide spendersi e spegnersi Edda, figlia prediletta del Duce, donna anticonformista, spregiudicata e moderna. «Ho sottomesso l'Italia, non riuscirò mai a sottomettere mia figlia», disse di lei Mussolini.
Dopo la guerra Edda girò il mondo, sempre irrequieta, pur badando ai tre figli: Fabrizio, Raimonda (detta Dindina) e Marzio. Marzio, nonno dei gemellini, si sposò con Gloria Lucchesi, ma tre anni dopo la nascita di Pier Francesco si separò. Morì nel '74, ventun anni prima di sua madre Edda.
A causa della distanza fra la nascita di Edda Mussolini e quella di suo fratello Romano, venuto alla luce 17 anni dopo, negli stessi mesi del '62 in cui Romano ha avuto da Anna Maria Scicolone (sorella di Sophia Loren) la figlia Alessandra (oggi deputata Pdl), è nato anche Pier Francesco Ciano, che appartiene però alla generazione seguente.
Ma cos'avrebbe detto Benito della procreazione assistita con la quale sono venuti alla luce questi suoi trisnipotini? Può sembrare una curiosità balzana. Eppure la risposta, incredibilmente, c'è.
Il 28 novembre 1939, Mussolini disse queste parole alla sua amante Claretta Petacci, che le trascrisse nel proprio diario (desecretato da poco dall'Archivio di Stato, e pubblicato da Rizzoli nel 2009 in Mussolini segreto): «Cara, hai veduto l'incubazione meccanica? Cioè il toro monta una bestia finta, raccolgono il liquido, e con quello rendono incinte altre bestie. Il toro è un bel po' stupido, non si accorge. [...] Guarda le foto. A me fa un certo effetto, anche a te vedo. Sì, è brutto, la natura va rispettata anche per le bestie. pensa che hanno fatto lo stesso anche con delle donne. Per esempio, una non poteva avere figli col marito. Si faceva iniettare lo sperma di uno qualunque e rimaneva incinta. Uno in America fece la prova di dieci o quindici sperma prima di iniettarli alla moglie. Nauseante».
Ma Mussolini si riferiva alla fecondazione assistita «eterologa». Questi gemellini Ciano, invece, sono nati regolarmente fra marito e moglie.
Mauro Suttora
I due trisnipoti del duce, Marzio e Carlo, sono nati con le tecniche del professor Antinori. E la bisnonna era Edda Ciano, figlia di Benito. Che sulla procreazione assistita, già allora diceva...
di Mauro Suttora
Oggi, 4 agosto 2010
Siamo ormai arrivati alla quinta generazione di Mussolini. Ma avere fra le mani il Dna di Benito fa sempre un po' impressione. È quel che è capitato al professor Severino Antinori, il medico italiano famoso per le tecniche di fecondazione artificiale, che ha favorito la nascita di Marzio e Carlo Ciano, trisnipoti del duce. Eccoli qui felici e pasciuti, a otto mesi dalla nascita (il 21 novembre 2009 nella clinica romana Quisisana), in braccio al papà Pier Francesco Ciano.
Ciano ha deciso di chiamare uno dei due gemelli con il nome di suo padre Marzio, morto a soli 37 anni, e terzogenito della coppia composta da Edda e Galeazzo, ex ministro degli Esteri, una delle figure più controverse del regime fascista.
«I bambini sono nati all' ottavo mese», dice Ciano, «e alla nascita pesavano 2,7 chili e 2,3. Mia moglie Alessandra e io ringraziamo il ginecologo Severino Antinori. Edda e Galeazzo Ciano ebbero tre figli, ma solo mio padre ebbe degli eredi: me e mio fratello Lorenzo. Lorenzo non ha figli, mentre io e mia moglie ora abbiamo dato alla luce questi bei gemelli, che porteranno avanti la dinastia».
FIGURA CONTROVERSA
La dinastia Ciano, nel bene e nel male, ha fatto l'Italia del Novecento. A cominciare dall'ammiraglio Costanzo Ciano, nato a Livorno nel 1876 e autore della «beffa di Buccari»: con i suoi Mas (Motoscafi antisommergibile) assieme a Gabriele D'Annunzio riuscì a penetrare nel porto della flotta austriaca. Il che, dopo Caporetto, risollevò il morale delle truppe italiane. Sotto il fascismo fu ministro e presidente (di quel che restava) della Camera dei deputati.
Suo figlio Galeazzo, spavaldo e brillante, sposò nel 1930 Edda Mussolini, primogenita del dittatore, il quale nel '36 lo volle ministro degli Esteri. Filoinglese come i gerarchi più intelligenti del regime (Italo Balbo, Dino Grandi), Ciano cercò di tenere l'Italia fuori dalla guerra di Hitler. E per nove mesi ci riuscì. Ma nel giugno '40 Mussolini, visto il crollo della Francia, la attaccò.
Ciano divenne ambasciatore in Vaticano, dove ebbe stretti rapporti con il futuro papa Paolo VI, allora numero due della Segreteria di Stato. Il 25 luglio '43, durante l'ultimo drammatico Gran Consiglio, Galeazzo Ciano tradì Mussolini, votandone la richiesta di dimissioni che fece cadere il regime. Per questo pagò con la vita nel gennaio successivo: venne fucilato a Verona, nonostante la moglie Edda implorasse la grazia presso il padre.
Una vicenda da tragedia greca, che vide spendersi e spegnersi Edda, figlia prediletta del Duce, donna anticonformista, spregiudicata e moderna. «Ho sottomesso l'Italia, non riuscirò mai a sottomettere mia figlia», disse di lei Mussolini.
Dopo la guerra Edda girò il mondo, sempre irrequieta, pur badando ai tre figli: Fabrizio, Raimonda (detta Dindina) e Marzio. Marzio, nonno dei gemellini, si sposò con Gloria Lucchesi, ma tre anni dopo la nascita di Pier Francesco si separò. Morì nel '74, ventun anni prima di sua madre Edda.
A causa della distanza fra la nascita di Edda Mussolini e quella di suo fratello Romano, venuto alla luce 17 anni dopo, negli stessi mesi del '62 in cui Romano ha avuto da Anna Maria Scicolone (sorella di Sophia Loren) la figlia Alessandra (oggi deputata Pdl), è nato anche Pier Francesco Ciano, che appartiene però alla generazione seguente.
Ma cos'avrebbe detto Benito della procreazione assistita con la quale sono venuti alla luce questi suoi trisnipotini? Può sembrare una curiosità balzana. Eppure la risposta, incredibilmente, c'è.
Il 28 novembre 1939, Mussolini disse queste parole alla sua amante Claretta Petacci, che le trascrisse nel proprio diario (desecretato da poco dall'Archivio di Stato, e pubblicato da Rizzoli nel 2009 in Mussolini segreto): «Cara, hai veduto l'incubazione meccanica? Cioè il toro monta una bestia finta, raccolgono il liquido, e con quello rendono incinte altre bestie. Il toro è un bel po' stupido, non si accorge. [...] Guarda le foto. A me fa un certo effetto, anche a te vedo. Sì, è brutto, la natura va rispettata anche per le bestie. pensa che hanno fatto lo stesso anche con delle donne. Per esempio, una non poteva avere figli col marito. Si faceva iniettare lo sperma di uno qualunque e rimaneva incinta. Uno in America fece la prova di dieci o quindici sperma prima di iniettarli alla moglie. Nauseante».
Ma Mussolini si riferiva alla fecondazione assistita «eterologa». Questi gemellini Ciano, invece, sono nati regolarmente fra marito e moglie.
Mauro Suttora
Wednesday, July 21, 2010
Rizzoli & Isles, nuovo serial Usa
Angie Harmon interpreta una detective dal nome famoso
New York, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora - Oggi
Che coincidenza. Lunedì 12 luglio ha debuttato negli Stati Uniti (canale Tnt) un nuovo serial tv: Rizzoli & Isles. Sulle orme di Starsky & Hutch, il titolo richiama i cognomi delle due protagoniste: la detective italoamericana Jane Rizzoli e la medico legale Maura Isles, che indagano a Boston..
Il giorno dopo, martedì 13, in Italia Canale 5 ha cominciato a trasmettere in prima serata le tredici puntate di Women’s Murder Club, altro serial definito «un misto di Csi, Sex and the City e Grey’s Anatomy».
In comune, i due serial hanno la protagonista: Angie Harmon, 37 anni, texana con sangue cherokee, greco e irlandese. È una delle donne più belle degli Stati Uniti, a metà strada fra l’energetica Sandra Bullock e l’indimenticata Florinda Bolkan.
È lei l’affascinante Jane Rizzoli, che si chiama così per scelta di Tess Gerritsen, l’autrice dei libri (tradotti in Italia da Longanesi) da cui è tratta la serie. La coprotagonista Sasha Alexander ha anche lei un legame con l’Italia: tre anni fa ha sposato Edoardo Ponti, figlio di Sophia Loren.
Libri sofisticati
«Rizzoli» è un nome ben noto negli Stati Uniti. La Rizzoli Usa pubblica libri sofisticati d’arte e di moda in inglese, e la libreria Rizzoli sulla 57esima Strada di New York, con le sue boiseries, è una delle più eleganti di tutto il continente. Lì è stata girata una puntata di Sex and the City, e lì si incontrano per caso Robert De Niro e Meryl Streep nella prima scena del film Innamorarsi (1984).
Un mondo intellettuale lontano da quello della dinamica Angie Harmon, che ha sposato l’ex giocatore di football Jason Seehorn da cui ha avuto tre figlie. I loro nomi sono Fede, 6 anni, Grazia, 5, e Speranza, 1. Speriamo che non ne nasca un’altra, perché rischierebbe di chiamarsi Carità. La Harmon, lei stessa figlia di un’indossatrice degli anni ‘70, prima di recitare in Baywatch e Law & Order è stata una top model negli anni ‘90, fra le preferite di Giorgio Armani, Calvin Klein e Donna Karan. Ha conquistato le copertine di Elle, Cosmopolitan ed Esquire, e nel 2008 ha fatto sensazione fra i puritani d’America perché è apparsa «nuda» sul mensile Allure.
Idee politiche di destra
Veramente non è che si (intra)vedesse granché, anche perché Angie, come molti texani, ha idee politiche di destra. Non sono molti gli attori di Hollywood che votano repubblicano, cosicché l’ex presidente George Bush junior le fece pronunciare un discorso alla convention del 2004.
Alle ultime elezioni la Harmon ha appoggiato John McCain contro Barack Obama, e ha già promesso il voto alla conservatrice Sarah Palin per il 2012. Insomma, una vera «dura»...
Mauro Suttora
New York, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora - Oggi
Che coincidenza. Lunedì 12 luglio ha debuttato negli Stati Uniti (canale Tnt) un nuovo serial tv: Rizzoli & Isles. Sulle orme di Starsky & Hutch, il titolo richiama i cognomi delle due protagoniste: la detective italoamericana Jane Rizzoli e la medico legale Maura Isles, che indagano a Boston..
Il giorno dopo, martedì 13, in Italia Canale 5 ha cominciato a trasmettere in prima serata le tredici puntate di Women’s Murder Club, altro serial definito «un misto di Csi, Sex and the City e Grey’s Anatomy».
In comune, i due serial hanno la protagonista: Angie Harmon, 37 anni, texana con sangue cherokee, greco e irlandese. È una delle donne più belle degli Stati Uniti, a metà strada fra l’energetica Sandra Bullock e l’indimenticata Florinda Bolkan.
È lei l’affascinante Jane Rizzoli, che si chiama così per scelta di Tess Gerritsen, l’autrice dei libri (tradotti in Italia da Longanesi) da cui è tratta la serie. La coprotagonista Sasha Alexander ha anche lei un legame con l’Italia: tre anni fa ha sposato Edoardo Ponti, figlio di Sophia Loren.
Libri sofisticati
«Rizzoli» è un nome ben noto negli Stati Uniti. La Rizzoli Usa pubblica libri sofisticati d’arte e di moda in inglese, e la libreria Rizzoli sulla 57esima Strada di New York, con le sue boiseries, è una delle più eleganti di tutto il continente. Lì è stata girata una puntata di Sex and the City, e lì si incontrano per caso Robert De Niro e Meryl Streep nella prima scena del film Innamorarsi (1984).
Un mondo intellettuale lontano da quello della dinamica Angie Harmon, che ha sposato l’ex giocatore di football Jason Seehorn da cui ha avuto tre figlie. I loro nomi sono Fede, 6 anni, Grazia, 5, e Speranza, 1. Speriamo che non ne nasca un’altra, perché rischierebbe di chiamarsi Carità. La Harmon, lei stessa figlia di un’indossatrice degli anni ‘70, prima di recitare in Baywatch e Law & Order è stata una top model negli anni ‘90, fra le preferite di Giorgio Armani, Calvin Klein e Donna Karan. Ha conquistato le copertine di Elle, Cosmopolitan ed Esquire, e nel 2008 ha fatto sensazione fra i puritani d’America perché è apparsa «nuda» sul mensile Allure.
Idee politiche di destra
Veramente non è che si (intra)vedesse granché, anche perché Angie, come molti texani, ha idee politiche di destra. Non sono molti gli attori di Hollywood che votano repubblicano, cosicché l’ex presidente George Bush junior le fece pronunciare un discorso alla convention del 2004.
Alle ultime elezioni la Harmon ha appoggiato John McCain contro Barack Obama, e ha già promesso il voto alla conservatrice Sarah Palin per il 2012. Insomma, una vera «dura»...
Mauro Suttora
Monday, July 19, 2010
Cappato, Marra e Bruti Liberati
LO STRANO SALVATAGGIO DELLA LISTA FORMIGONI
di Mauro Suttora
18 luglio 2010
Dove ha fallito la P3, sta riuscendo un altissimo magistrato di sinistra? Il presidente della corte d’Appello di Milano Alfonso Marra, nonostante le pressioni del faccendiere avellinese Pasquale Lombardi ora in carcere con i sodali Carboni e Martino, non fu capace di far riammettere la lista di Roberto Formigoni alle regionali di marzo. Anche per questa totale inefficienza la «nuova P2» è stata liquidata da Berlusconi come composta da «quattro pensionati sfigati».
A risolvere il pasticcio fu poi Piermaria Piacentini, presidente del Tar lombardo indagato nell’inchiesta sulla «cricca» Balducci-Anemone. Quanto a Marra, «Fofò» per gli amici, la sua carriera è finita ad appena cinque mesi dalla prestigiosa nomina milanese: il Csm ha avviato il procedimento disciplinare, mentre l’Anm parla addirittura di espulsione.
Il dirigente radicale Marco Cappato, persa la battaglia contro Formigoni in sede di ricorso elettorale, non si è dato però per vinto: ha presentato denuncia penale per quella che definisce «la falsificazione delle firme sui moduli della lista Formigoni: duemila su 3.500 erano pre-datate rispetto alla lista dei candidati».
L’allora procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, tuttavia, ha chiesto l’archiviazione anche di questo procedimento. «Dobbiamo capirne le motivazioni», dice Cappato, «perché la sua richiesta non è stata ancora accolta. Basterebbe un rapido controllo delle firme per rendersi conto delle irregolarità. A questo punto, mi auguro che anche in Lombardia, come in Piemonte, sia fatta luce sull’illegalità del voto».
Nel frattempo, Bruti Liberati è stato nominato procuratore capo a Milano. E l’elezione al Csm in maggio, contrariamente a quella di Marra a febbraio, è stata ad ampia maggioranza. Hanno sostenuto Bruti Liberati anche i consiglieri di centrodestra, compreso il «laico» Michele Saponara (ex sottosegretario di Forza Italia) e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, del quale oggi il Pd chiede le dimissioni per aver partecipato a cene della «nuova loggia P3», anche se non risulta indagato.
Una nomina trasversale, insomma, per il 65enne magistrato marchigiano, colonna della corrente di sinistra Magistratura Democratica e già segretario dell’Anm. Che secondo alcuni ha rappresentato una specie di «spartizione» nel palazzo di Giustizia milanese: Marra per il centrodestra, Bruti Liberati per il centrosinistra.
Non è un mistero infatti che anche a febbraio la nomina di Marra provocò grosse polemiche, e gli schieramenti si divisero. Gli votò contro Giuseppe Maria Berruti, fratello del deputato Pdl Massimo, mentre da sinistra gli giunsero i consensi di Celestina Tinelli (Pd) e perfino del vicepresidente Nicola Mancino. Il candidato naturale era Renato Rordorf, ma adesso dalle telefonate della P3 caldeggianti il nome di Marra emerge che si riteneva impossibile che entrambe le cariche finissero in mano alla sinistra. Paradossalmente, però, Bruti Liberati sul caso Formigoni si è dimostrato finora più «utile» di Marra.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
18 luglio 2010
Dove ha fallito la P3, sta riuscendo un altissimo magistrato di sinistra? Il presidente della corte d’Appello di Milano Alfonso Marra, nonostante le pressioni del faccendiere avellinese Pasquale Lombardi ora in carcere con i sodali Carboni e Martino, non fu capace di far riammettere la lista di Roberto Formigoni alle regionali di marzo. Anche per questa totale inefficienza la «nuova P2» è stata liquidata da Berlusconi come composta da «quattro pensionati sfigati».
A risolvere il pasticcio fu poi Piermaria Piacentini, presidente del Tar lombardo indagato nell’inchiesta sulla «cricca» Balducci-Anemone. Quanto a Marra, «Fofò» per gli amici, la sua carriera è finita ad appena cinque mesi dalla prestigiosa nomina milanese: il Csm ha avviato il procedimento disciplinare, mentre l’Anm parla addirittura di espulsione.
Il dirigente radicale Marco Cappato, persa la battaglia contro Formigoni in sede di ricorso elettorale, non si è dato però per vinto: ha presentato denuncia penale per quella che definisce «la falsificazione delle firme sui moduli della lista Formigoni: duemila su 3.500 erano pre-datate rispetto alla lista dei candidati».
L’allora procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, tuttavia, ha chiesto l’archiviazione anche di questo procedimento. «Dobbiamo capirne le motivazioni», dice Cappato, «perché la sua richiesta non è stata ancora accolta. Basterebbe un rapido controllo delle firme per rendersi conto delle irregolarità. A questo punto, mi auguro che anche in Lombardia, come in Piemonte, sia fatta luce sull’illegalità del voto».
Nel frattempo, Bruti Liberati è stato nominato procuratore capo a Milano. E l’elezione al Csm in maggio, contrariamente a quella di Marra a febbraio, è stata ad ampia maggioranza. Hanno sostenuto Bruti Liberati anche i consiglieri di centrodestra, compreso il «laico» Michele Saponara (ex sottosegretario di Forza Italia) e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, del quale oggi il Pd chiede le dimissioni per aver partecipato a cene della «nuova loggia P3», anche se non risulta indagato.
Una nomina trasversale, insomma, per il 65enne magistrato marchigiano, colonna della corrente di sinistra Magistratura Democratica e già segretario dell’Anm. Che secondo alcuni ha rappresentato una specie di «spartizione» nel palazzo di Giustizia milanese: Marra per il centrodestra, Bruti Liberati per il centrosinistra.
Non è un mistero infatti che anche a febbraio la nomina di Marra provocò grosse polemiche, e gli schieramenti si divisero. Gli votò contro Giuseppe Maria Berruti, fratello del deputato Pdl Massimo, mentre da sinistra gli giunsero i consensi di Celestina Tinelli (Pd) e perfino del vicepresidente Nicola Mancino. Il candidato naturale era Renato Rordorf, ma adesso dalle telefonate della P3 caldeggianti il nome di Marra emerge che si riteneva impossibile che entrambe le cariche finissero in mano alla sinistra. Paradossalmente, però, Bruti Liberati sul caso Formigoni si è dimostrato finora più «utile» di Marra.
Mauro Suttora
Wednesday, July 14, 2010
Molise, torna negli Abruzzi
PROPOSTA: RIDURRE SPRECHI E BUROCRATI
Le due regioni sono separate dal 1963, ma ora c'è chi vuole fare marcia indietro. Perché con il federalismo non si può essere piccoli
Campobasso, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora
Buone notizie, una volta tanto, sul fronte sprechi: un comitato chiede l’abolizione di un ente inutile invece della sua «salvezza».
A Campobasso è nato il gruppo «Majella madre», dal nome del monte che sia abruzzesi sia molisani considerano il proprio simbolo, più del Gran Sasso che sta troppo a nord.
Propone la cancellazione della regione Molise (appena 320 mila abitanti, come un quartiere di Roma o Milano) e la riunificazione con l’Abruzzo, da cui si separò nel 1963. Tanto più che la seconda provincia molisana, Isernia, nata nel ’70, dovrebbe essere abolita, avendo solo 88 mila abitanti.
Peggiore buco sanitario
Il promotore è Sergio Sammartino, docente di filosofia e giornalista (Il Tempo, Avanti). Proprio lui, figlio di quel senatore Remo Sammartino che, in Parlamento per trent’anni, fu uno dei padri dell’autonomia. «Ma poi, visti i risultati, si era pentito», dice Sammartino: «Il Molise è inefficiente, ha il peggior buco sanitario pro-capite in Italia dopo Lazio e Campania. Per questo dovrà aumentare l’Irpef regionale. Produce trenta euro ogni cento spesi: una politica fallimentare, basata sull’assistenzialismo pubblico. Eppure i suoi dirigenti sono capaci di spendere 150 mila euro in due giorni per la “Festa della regione”… Non c’è niente da festeggiare. Con il federalismo, il Molise dovrà accorparsi a un’altra regione. Non siamo autosufficienti. Si è parlato di Puglia o Campania. Ma vogliamo diventare ancor più “meridionali”, o preferiamo tornare a dov’eravamo prima del ’63, ed essere più “settentrionali”? Da allora l’Abruzzo si è sviluppato, oggi è ricco il doppio di noi».
Il presidente del comitato è Enzo Delli Quadri, già manager Alfa, Ansaldo, e direttore centrale dell’Enea. Gli «unionisti» stanno guadagnando consensi, in entrambe le regioni ed entrambi gli schieramenti: dal consigliere regionale molisano Michele Petraroia (Pd), a quello abruzzese Giuseppe Tagliente (Pdl).
Se ne parla nella famiglia di Alessandra Mastronardi, la giovane attrice de I Cesaroni, il cui padre Luigi di Agnone (Isernia) è favorevole. Un altro molisano famoso (genitori di Salcito, Campobasso), l’attore e produttore Massimo Ciavarro, taglia corto: «Sono favorevole a tutto ciò che diminuisce spese e tasse».
Romagna con l’Emilia
«Come mai una regione come la Romagna, poco più grande ma ben più ricca del Molise, non ha mai pensato di separarsi dall’Emilia? E perché la Basilicata ha sette senatori e noi due, cioè la metà in proporzione agli abitanti?», ragiona Sammartino.
Il suo interlocutore, ormai, è diventato il molisano più famoso: Antonio Di Pietro. La sua Italia dei Valori ha preso il 28% in regione nell’ultimo voto, le europee dell’anno scorso.
«Pochi anni fa, a un incontro di abruzzesi a Roma, Di Pietro disse che non capiva perché il Molise fosse separato dall’Abruzzo. Ma ora pare che voglia candidarsi a presidente del Molise nelle imminenti regionali del 2011. Speriamo che allarghi le sue ambizioni, e punti alla guida del nuovo, grande Abruzzi-Molise».
Mauro Suttora
Le due regioni sono separate dal 1963, ma ora c'è chi vuole fare marcia indietro. Perché con il federalismo non si può essere piccoli
Campobasso, 7 luglio 2010
di Mauro Suttora
Buone notizie, una volta tanto, sul fronte sprechi: un comitato chiede l’abolizione di un ente inutile invece della sua «salvezza».
A Campobasso è nato il gruppo «Majella madre», dal nome del monte che sia abruzzesi sia molisani considerano il proprio simbolo, più del Gran Sasso che sta troppo a nord.
Propone la cancellazione della regione Molise (appena 320 mila abitanti, come un quartiere di Roma o Milano) e la riunificazione con l’Abruzzo, da cui si separò nel 1963. Tanto più che la seconda provincia molisana, Isernia, nata nel ’70, dovrebbe essere abolita, avendo solo 88 mila abitanti.
Peggiore buco sanitario
Il promotore è Sergio Sammartino, docente di filosofia e giornalista (Il Tempo, Avanti). Proprio lui, figlio di quel senatore Remo Sammartino che, in Parlamento per trent’anni, fu uno dei padri dell’autonomia. «Ma poi, visti i risultati, si era pentito», dice Sammartino: «Il Molise è inefficiente, ha il peggior buco sanitario pro-capite in Italia dopo Lazio e Campania. Per questo dovrà aumentare l’Irpef regionale. Produce trenta euro ogni cento spesi: una politica fallimentare, basata sull’assistenzialismo pubblico. Eppure i suoi dirigenti sono capaci di spendere 150 mila euro in due giorni per la “Festa della regione”… Non c’è niente da festeggiare. Con il federalismo, il Molise dovrà accorparsi a un’altra regione. Non siamo autosufficienti. Si è parlato di Puglia o Campania. Ma vogliamo diventare ancor più “meridionali”, o preferiamo tornare a dov’eravamo prima del ’63, ed essere più “settentrionali”? Da allora l’Abruzzo si è sviluppato, oggi è ricco il doppio di noi».
Il presidente del comitato è Enzo Delli Quadri, già manager Alfa, Ansaldo, e direttore centrale dell’Enea. Gli «unionisti» stanno guadagnando consensi, in entrambe le regioni ed entrambi gli schieramenti: dal consigliere regionale molisano Michele Petraroia (Pd), a quello abruzzese Giuseppe Tagliente (Pdl).
Se ne parla nella famiglia di Alessandra Mastronardi, la giovane attrice de I Cesaroni, il cui padre Luigi di Agnone (Isernia) è favorevole. Un altro molisano famoso (genitori di Salcito, Campobasso), l’attore e produttore Massimo Ciavarro, taglia corto: «Sono favorevole a tutto ciò che diminuisce spese e tasse».
Romagna con l’Emilia
«Come mai una regione come la Romagna, poco più grande ma ben più ricca del Molise, non ha mai pensato di separarsi dall’Emilia? E perché la Basilicata ha sette senatori e noi due, cioè la metà in proporzione agli abitanti?», ragiona Sammartino.
Il suo interlocutore, ormai, è diventato il molisano più famoso: Antonio Di Pietro. La sua Italia dei Valori ha preso il 28% in regione nell’ultimo voto, le europee dell’anno scorso.
«Pochi anni fa, a un incontro di abruzzesi a Roma, Di Pietro disse che non capiva perché il Molise fosse separato dall’Abruzzo. Ma ora pare che voglia candidarsi a presidente del Molise nelle imminenti regionali del 2011. Speriamo che allarghi le sue ambizioni, e punti alla guida del nuovo, grande Abruzzi-Molise».
Mauro Suttora
Monday, July 12, 2010
Pannella & Bordin
"L'ho trovato bene. Un po' invecchiato. Gli occhi sono piu' profondamente segnati. Passa gran parte delle ore notturne circondato da collaboratori e amici. La signora Goebbels, che è un'assidua di queste riunioni e che se ne sente molto onorata, mi descriveva la cosa, non riuscendo a nascondere un vago senso di noia per la monotonia delle riunioni. Parla quasi sempre lui. E - si ha un bell'essere il Fuehrer - si finisce sempre col ripetere le stesse cose e con l'annoiare gli ascoltatori"
Galeazzo Ciano, Diario, 23 maggio 1939
Galeazzo Ciano, Diario, 23 maggio 1939
Wednesday, July 07, 2010
Castiglioncello (Livorno), 20 luglio
Martedì 20 luglio presentazione di 'Mussolini segreto' a Castiglioncello (Livorno)
Incontri al Castello: Castiglioncello festeggia trent'anni
Gli Incontri al Castello, organizzati dal Comune di Rosignano M.mo, alla Limonaia, nel parco del castello Pasquini di Castiglioncello, con giornalisti e scrittori che presentano i loro libri, compie trent’anni. Un compleanno importante che Alessandro Franchi, Sindaco del comune di Rosignano M.mo e Gloria De Antoni curatrice della rassegna da tre anni, intendono festeggiare al meglio con ospiti prestigiosi e interessanti. “In un’epoca in cui anche il più piccolo comune della provincia italiana organizza incontri con gli autori, scoprendo che lo scrittore attira il pubblico e che ci sono appassionati di letteratura- dichiara il Sindaco- è nostro punto di forza ricordare che il comune di Rosignano è stato lungimirante scegliendo, trent’anni fa, di organizzare incontri con scrittori. Appuntamenti che con il tempo si sono fatti sempre più importanti e attesi dal pubblico.”
“Per festeggiare degnamente la rassegna - ricorda la curatrice Gloria De Antoni - abbiamo deciso di accontentare ogni richiesta del pubblico e cercando di rappresentare tutti i generi della letteratura a 360 gradi, dall’epistolario, al diario, dal saggio al romanzo nelle sue differenti accezioni: il romanzo d’indagine, quello classico e quello “estivo”, insomma non avremo come sempre un unico tema, ma un filo conduttore che è quello del genere letterario.”
La rassegna si apre domenica 11 luglio alle ore 18 con Marcello Sorgi, giornalista già direttore del tg1 e della Stampa, di cui oggi è editorialista e inviato, che racconta nel suo ultimo libro “Le amanti del vulcano” la carismatica vicenda di amore e tradimento tra il regista Roberto Rossellini e le attrici Anna Magnani e Ingrid Bergman.
Martedì 13 luglio arriverà a Castiglioncello Don Andrea Gallo con “Così in terra, come in cielo” edito da Mondadori, il lucido racconto del più famoso prete da marciapiede italiano.
Giovedì 15 luglio l’incontro sarà con Lorenzo Pavolini nella cinquina dei finalisti al premio Strega per “Accanto alla tigre”, un viaggio nella storia della famiglia Pavolini e insieme in quella collettiva del Paese. Protagonista Alessandro Pavolini, figura centrale del fascismo, nonno di cui Lorenzo scopre la verità solo nei libri di storia.
Il giorno successivo (venerdì 16 luglio) è la volta di Alice Di Stefano figlia della scrittrice Cesarina Vighy, recentemente scomparsa, che ricorderà la madre e i suoi libri da “L’ultima estate” a “Scendo. Buon proseguimento”.
Martedì 20 luglio il giornalista e scrittore Mauro Suttora presenterà il volume di Claretta Petacci “Mussolini segreto. Diari 1932 – 1938” edito da Rizzoli, di cui è curatore.
Mauro Suttora, giornalista del gruppo RCS (Rizzoli Corriere della Sera), collabora con «Newsweek» e con il «New York Observer». A settant’anni dalla loro stesura e dopo una serie di vicissitudini travagliate che ne hanno in passato ostacolato la pubblicazione, i diari di Claretta Petacci raggiungono il pubblico italiano. E rivelano ben più di quanto ci si potrebbe aspettare dalla donna nota a molti solo come l’ultima e più famosa amante di Mussolini.
Giovedì 22 luglio l’appuntamento sarà con il magistrato Antimafia e scrittore Gianrico Carofiglio. Carofiglio che con i primi quattro romanzi ha superato il traguardo del milione di copie vendute, converserà e parlerà al pubblico dei suoi romanzi d’indagine da “Le perfezioni provvisorie” a “Non esiste saggezza” entrambi editi da Sellerio.
Sabato 24 luglio Anna Testa e Giuliana Lojodice presenteranno «Buonasera Aroldo, buonasera Giuliana. Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, vita, carriera e scene da un matrimonio», edito da Baldini Castoldi Dalai.
Venerdì 30 luglio Enrico Vaime, testimone e protagonista dello spettacolo italiano, della rivista, del varietà, della commedia, della radio e della televisione, presenta la terza parte della sua autobiografia:“Anche a costo di mentire” edito da Aliberti.
Sabato 31 luglio torna a Castiglioncello Camilla Baresani con il suo ultimo romanzo “Un’estate fa” edito da Bompiani.
Gli incontri si fermano per una settimana per lasciare spazio al premio della comunicazione per riprendere Martedì 10 agosto con il professore-giallista Sergio Vanni e il suo “Un delitto educato”, quindi mercoledì 18 agosto Alessandra Levantesi, giornalista e critica della stampa presenterà il libro scritto con il compianto Tullio Kezich dal titolo “Una dinastia italiana. L’arcipelago Cecchi – D’Amico tra cultura, politica e società” edizioni Garzanti.
Venerdì 20 agosto torna un affezionato ospite di Castiglioncello Gillo Dorfles, per presentare il volume a lui dedicato “Divenire di Gillo Dorfles”. Il 12 aprile lo scrittore, filosofo e critico d’arte Gillo Dorfles ha compiuto 100 anni. Per festeggiare lo speciale compleanno del teorico dell’estetica, del gusto e delle mode, è uscito questo libro curato da Massimo Carboni, che è un omaggio per ricostruire a mosaico un percorso scientifico, culturale e creativo che include in prima persona l’intellettuale e l’artista che lo ha intrapreso, il suo stile di lavoro e il suo calibro etico.
Gli incontri alla Limonaia si terranno alle ore 18 e sono a ingresso gratuito.
07/07/2010
Incontri al Castello: Castiglioncello festeggia trent'anni
Gli Incontri al Castello, organizzati dal Comune di Rosignano M.mo, alla Limonaia, nel parco del castello Pasquini di Castiglioncello, con giornalisti e scrittori che presentano i loro libri, compie trent’anni. Un compleanno importante che Alessandro Franchi, Sindaco del comune di Rosignano M.mo e Gloria De Antoni curatrice della rassegna da tre anni, intendono festeggiare al meglio con ospiti prestigiosi e interessanti. “In un’epoca in cui anche il più piccolo comune della provincia italiana organizza incontri con gli autori, scoprendo che lo scrittore attira il pubblico e che ci sono appassionati di letteratura- dichiara il Sindaco- è nostro punto di forza ricordare che il comune di Rosignano è stato lungimirante scegliendo, trent’anni fa, di organizzare incontri con scrittori. Appuntamenti che con il tempo si sono fatti sempre più importanti e attesi dal pubblico.”
“Per festeggiare degnamente la rassegna - ricorda la curatrice Gloria De Antoni - abbiamo deciso di accontentare ogni richiesta del pubblico e cercando di rappresentare tutti i generi della letteratura a 360 gradi, dall’epistolario, al diario, dal saggio al romanzo nelle sue differenti accezioni: il romanzo d’indagine, quello classico e quello “estivo”, insomma non avremo come sempre un unico tema, ma un filo conduttore che è quello del genere letterario.”
La rassegna si apre domenica 11 luglio alle ore 18 con Marcello Sorgi, giornalista già direttore del tg1 e della Stampa, di cui oggi è editorialista e inviato, che racconta nel suo ultimo libro “Le amanti del vulcano” la carismatica vicenda di amore e tradimento tra il regista Roberto Rossellini e le attrici Anna Magnani e Ingrid Bergman.
Martedì 13 luglio arriverà a Castiglioncello Don Andrea Gallo con “Così in terra, come in cielo” edito da Mondadori, il lucido racconto del più famoso prete da marciapiede italiano.
Giovedì 15 luglio l’incontro sarà con Lorenzo Pavolini nella cinquina dei finalisti al premio Strega per “Accanto alla tigre”, un viaggio nella storia della famiglia Pavolini e insieme in quella collettiva del Paese. Protagonista Alessandro Pavolini, figura centrale del fascismo, nonno di cui Lorenzo scopre la verità solo nei libri di storia.
Il giorno successivo (venerdì 16 luglio) è la volta di Alice Di Stefano figlia della scrittrice Cesarina Vighy, recentemente scomparsa, che ricorderà la madre e i suoi libri da “L’ultima estate” a “Scendo. Buon proseguimento”.
Martedì 20 luglio il giornalista e scrittore Mauro Suttora presenterà il volume di Claretta Petacci “Mussolini segreto. Diari 1932 – 1938” edito da Rizzoli, di cui è curatore.
Mauro Suttora, giornalista del gruppo RCS (Rizzoli Corriere della Sera), collabora con «Newsweek» e con il «New York Observer». A settant’anni dalla loro stesura e dopo una serie di vicissitudini travagliate che ne hanno in passato ostacolato la pubblicazione, i diari di Claretta Petacci raggiungono il pubblico italiano. E rivelano ben più di quanto ci si potrebbe aspettare dalla donna nota a molti solo come l’ultima e più famosa amante di Mussolini.
Giovedì 22 luglio l’appuntamento sarà con il magistrato Antimafia e scrittore Gianrico Carofiglio. Carofiglio che con i primi quattro romanzi ha superato il traguardo del milione di copie vendute, converserà e parlerà al pubblico dei suoi romanzi d’indagine da “Le perfezioni provvisorie” a “Non esiste saggezza” entrambi editi da Sellerio.
Sabato 24 luglio Anna Testa e Giuliana Lojodice presenteranno «Buonasera Aroldo, buonasera Giuliana. Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, vita, carriera e scene da un matrimonio», edito da Baldini Castoldi Dalai.
Venerdì 30 luglio Enrico Vaime, testimone e protagonista dello spettacolo italiano, della rivista, del varietà, della commedia, della radio e della televisione, presenta la terza parte della sua autobiografia:“Anche a costo di mentire” edito da Aliberti.
Sabato 31 luglio torna a Castiglioncello Camilla Baresani con il suo ultimo romanzo “Un’estate fa” edito da Bompiani.
Gli incontri si fermano per una settimana per lasciare spazio al premio della comunicazione per riprendere Martedì 10 agosto con il professore-giallista Sergio Vanni e il suo “Un delitto educato”, quindi mercoledì 18 agosto Alessandra Levantesi, giornalista e critica della stampa presenterà il libro scritto con il compianto Tullio Kezich dal titolo “Una dinastia italiana. L’arcipelago Cecchi – D’Amico tra cultura, politica e società” edizioni Garzanti.
Venerdì 20 agosto torna un affezionato ospite di Castiglioncello Gillo Dorfles, per presentare il volume a lui dedicato “Divenire di Gillo Dorfles”. Il 12 aprile lo scrittore, filosofo e critico d’arte Gillo Dorfles ha compiuto 100 anni. Per festeggiare lo speciale compleanno del teorico dell’estetica, del gusto e delle mode, è uscito questo libro curato da Massimo Carboni, che è un omaggio per ricostruire a mosaico un percorso scientifico, culturale e creativo che include in prima persona l’intellettuale e l’artista che lo ha intrapreso, il suo stile di lavoro e il suo calibro etico.
Gli incontri alla Limonaia si terranno alle ore 18 e sono a ingresso gratuito.
07/07/2010
Monday, July 05, 2010
Elogio dell'individualismo
"La sovranità del nostro io individuale, idea nata nel Rinascimento fiorentino, rappresenta forse il dono più grande dell'Italia alla civiltà mondiale"
Salman Rushdie, 10 luglio 2010, discorso alla Milanesiana (Milano)
Salman Rushdie, 10 luglio 2010, discorso alla Milanesiana (Milano)
Thursday, June 24, 2010
Wednesday, June 23, 2010
Pensioni d'oro ai parlamentari
DONNE AL LAVORO FINO A 65 ANNI, MA GLI ONOREVOLI INCASSANO LA PENSIONE A 50
A LORO BASTANO 30 MESI DI CONTRIBUTI, INVECE DI 35 ANNI
Alcuni prendono 3 mila euro al mese dopo un giorno solo di presenza. Altri hanno avuto l'assegno a 42 anni. Per senatori e deputati è sempre festa. Camera e Senato ci costano 2,5 miliardi l'anno, di cui 219 milioni per le pensioni degli ex onorevoli
di Mauro Suttora
Oggi, 16 giugno 2010
Non ce la fanno. I nostri governanti ci stanno infliggendo tagli per 25 miliardi di euro. Avevano promesso di sacrificarsi un po' anche loro: diminuire il numero dei parlamentari, abolire le province, abbassarsi il superstipendio da 15 mila netti al mese. Niente. Le province rimangono tutte in piedi. I parlamentari restano 950, per un costo di due miliardi e mezzo annui. E sugli stipendi, mentre gli altri dipendenti pubblici che guadagnano oltre 90 mila euro subiscono un prelievo del cinque per cento, e quelli oltre i 150 mila del dieci per cento, loro non hanno ancora deciso nulla.
Il governo non interviene per rispettare la divisione dei poteri: l'esecutivo non può interferire con il legislativo (Parlamento). Dovrebbero essere quindi le Camere stesse ad autoridursi gli stipendi. Buonanotte.
C'è però un aspetto un po' vergognoso in questa manovra: le pensioni. Improvvisamente, le donne del settore pubblico devono lavorare cinque anni in più: smetteranno a 65 anni, e non a 60. Ma in questo campo il confronto con i parlamentari è imbarazzante. Gli ex deputati e senatori, infatti, incassano pensioni da nababbo che vanno da un minimo di 3 mila fino a quasi 10 mila euro lordi al mese. E godono di enormi privilegi: possono riscuoterle con appena due anni e mezzo di «lavoro» (contro i 35 di noi comuni mortali) e a 50 anni di età, se deputati eletti prima del '96, o senatori da prima del 2001. Per gli altri l'età sale a 60 (con almeno due legislature) e a 65 (con una sola legislatura).
203 MILIONI DI BUCO ANNUO
Sono oltre 2.200 gli ex parlamentari a cui lo Stato versa la pensione, più oltre mille assegni di reversibilità ai coniugi dei defunti. Ogni anno costano 219 milioni di euro, a fronte di entrate previdenziali per appena 15,6 milioni. Lo «sbilancio» è notevole: la trattenuta che gli onorevoli in carica devono versare è infatti di appena mille euro al mese. Con questi conti, qualsiasi ente previdenziale sarebbe già fallito. Ma il buco dei parlamentari è ripianato dallo Stato.
Il caso forse più eclatante è quello di Toni Negri, ex capo di Potere operaio condannato a 17 anni per reati di terrorismo. Nel 1983 i radicali lo fecero eleggere deputato per protesta contro i suoi quattro anni di carcere preventivo. Dopo nove sedute, temendo di finire di nuovo in cella, Negri fuggì in Francia. Dal '93, quando ha compiuto 60 anni, riscuote la pensione «minima», che oggi è di 3.108 euro.
Ma almeno Negri ha dovuto aspettare fino a 60 anni. Giuseppe Gambale , invece, è il baby-parlamentare-pensionato più giovane d'Italia. Con quattro legislature alle spalle e vent'anni di contributi versati, Gambale (ex Rete, oggi Pd) ha lasciato Montecitorio nel 2006 a soli 42 anni, riscuotendo un vitalizio di 8.455 euro al mese. Ai quali ha aggiunto 4 mila euro come assessore comunale a Napoli fino al 2008.
Prima del 1997, bastava essere in carica anche un giorno solo per maturare la pensione, versando cinque anni di contributi volontari. Questo record spetta ai radicali Angelo Pezzana, Piero Craveri, Luca Boneschi e René Andreani, andati in Parlamento soltanto per annunciare la rinuncia all'incarico, ma ai quali vanno egualmente i 3 mila euro mensili. Un'altra radicale, Cicciolina , maturerà la pensione l'anno prossimo, quando compirà 60 anni. Irene Pivetti deve invece aspettare il 2013: a 50 anni, i suoi nove a Montecitorio le frutteranno 6.203 euro mensili. Dal 2000 incassa il vitalizio (ridotto per reversibilità) la vedova di un uomo che non mise mai piede al Senato: Arturo Guatelli infatti subentrò a camere sciolte al senatore Morlino (morto per infarto).
VOLCIC E PAOLO PRODI
Fra i nomi celebri con vitalizio di 3.108 euro ci sono il regista Pasquale Squitieri (senatore An dal '94 al '96), il giornalista tv Demetrio Volcic (senatore Pds dal '97 al 2001) e Paolo Prodi, fratello di Romano, senatore della Rete nel '94 per soli cinque mesi, subentrato al magistrato Carlo Palermo.
A quota 6.200 euro mensili stanno Mauro Fabris (Udeur) e Franco Giordano (ex segretario di Rifondazione comunista) entrambi 50enni nel 2008 quando non furono rieletti; Oliviero Diliberto (segretario Comunisti italiani) e Stefano Boco (Verdi), 52, Gloria Buffo (Sd) 54, Marco Fumagalli (Sd), Maurizio Ronconi (Udc) e Dario Rivolta (FI), 55 anni, nonché i 57enni Salvatore Buglio (Rosa nel pugno), Tana de Zulueta (Verdi), Mauro del Bue (Psi) e Franco Monaco (Pd).
BOSELLI, SGARBI, FOLENA
Antonio Martusciello (Pdl) dal 2008 (aveva 46 anni) intasca 7.959 euro, come Rino Piscitello (Pd), 47, ed Enrico Boselli (ex capo dei socialisti), 51. Vittorio Sgarbi prende 8.455 euro da quando aveva 54 anni, come Marco Taradash (Pdl), 57, e Alfonso Gianni (Rifondazione), 58. Alfonso Pecoraro Scanio, ex capo dei Verdi, è andato in pensione a 49 anni con 8.836 euro, così come Pietro Folena (Pd), 50. Fra i baby-pensionati sotto i 60 anni o a 60 anni appena compiuti, troviamo l'ex magistrato di Mani Pulite Tiziana Parenti, Maura Cossutta (figlia del fondatore dei Comunisti italiani Armando), Anna Donati (Verdi) e Nando dalla Chiesa, (Pd). Poi gli ex senatori Edo Ronchi (Pd), 58 anni, e Willer Bordon, 59. Entrambi avranno, con i riscatti, il massimo del vitalizio senatoriale: 9.604 euro.
C'è infine il privilegio del cumulo pensionistico, che negli ultimi 36 anni è costato agli italiani oltre 5 miliardi di euro. La seconda pensione, cumulabile al 100% con quella di Montecitorio o Palazzo Madama, scatta per tutti i parlamentari che, prima di essere eletti, avevano già aperto una posizione previdenziale. Così qualsiasi lavoratore dipendente, una volta eletto, non solo conserva il posto in aspettativa, ma ha diritto anche ai contributi figurativi per la seconda pensione. Basta che paghi il 9% della quota. Il resto, dal 22 al 31%, è versata dagli enti previdenziali.
I NOMI PIÙ PRESTIGIOSI
Tra i beneficiari, i nomi più prestigiosi della politica italiana. Gli ex magistrati Oscar Luigi Scalfaro o Luciano Violante. L' ex governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, l'ex direttore generale Lamberto Dini. E fra gli ex giornalisti Gianfranco Fini, Massimo D'Alema, Maurizio Gasparri, Paolo Bonaiuti, Adolfo Urso, Marco Follini, Clemente Mastella, Walter Veltroni. Quest' ultimo riceve già una terza pensione, quella di eurodeputato: 5.200 euro netti al mese, che devolve in beneficenza.
In nome dei «diritti acquisiti», tutti questi privilegi sono intoccabili? «Neanche per sogno», sostiene Antonio Borghesi, deputato dell' Italia dei valori, «la Corte costituzionale ha stabilito che quelli dei parlamentari sono vitalizi e non pensioni. Quindi, si possono modificare in qualsiasi momento».
Mauro Suttora
A LORO BASTANO 30 MESI DI CONTRIBUTI, INVECE DI 35 ANNI
Alcuni prendono 3 mila euro al mese dopo un giorno solo di presenza. Altri hanno avuto l'assegno a 42 anni. Per senatori e deputati è sempre festa. Camera e Senato ci costano 2,5 miliardi l'anno, di cui 219 milioni per le pensioni degli ex onorevoli
di Mauro Suttora
Oggi, 16 giugno 2010
Non ce la fanno. I nostri governanti ci stanno infliggendo tagli per 25 miliardi di euro. Avevano promesso di sacrificarsi un po' anche loro: diminuire il numero dei parlamentari, abolire le province, abbassarsi il superstipendio da 15 mila netti al mese. Niente. Le province rimangono tutte in piedi. I parlamentari restano 950, per un costo di due miliardi e mezzo annui. E sugli stipendi, mentre gli altri dipendenti pubblici che guadagnano oltre 90 mila euro subiscono un prelievo del cinque per cento, e quelli oltre i 150 mila del dieci per cento, loro non hanno ancora deciso nulla.
Il governo non interviene per rispettare la divisione dei poteri: l'esecutivo non può interferire con il legislativo (Parlamento). Dovrebbero essere quindi le Camere stesse ad autoridursi gli stipendi. Buonanotte.
C'è però un aspetto un po' vergognoso in questa manovra: le pensioni. Improvvisamente, le donne del settore pubblico devono lavorare cinque anni in più: smetteranno a 65 anni, e non a 60. Ma in questo campo il confronto con i parlamentari è imbarazzante. Gli ex deputati e senatori, infatti, incassano pensioni da nababbo che vanno da un minimo di 3 mila fino a quasi 10 mila euro lordi al mese. E godono di enormi privilegi: possono riscuoterle con appena due anni e mezzo di «lavoro» (contro i 35 di noi comuni mortali) e a 50 anni di età, se deputati eletti prima del '96, o senatori da prima del 2001. Per gli altri l'età sale a 60 (con almeno due legislature) e a 65 (con una sola legislatura).
203 MILIONI DI BUCO ANNUO
Sono oltre 2.200 gli ex parlamentari a cui lo Stato versa la pensione, più oltre mille assegni di reversibilità ai coniugi dei defunti. Ogni anno costano 219 milioni di euro, a fronte di entrate previdenziali per appena 15,6 milioni. Lo «sbilancio» è notevole: la trattenuta che gli onorevoli in carica devono versare è infatti di appena mille euro al mese. Con questi conti, qualsiasi ente previdenziale sarebbe già fallito. Ma il buco dei parlamentari è ripianato dallo Stato.
Il caso forse più eclatante è quello di Toni Negri, ex capo di Potere operaio condannato a 17 anni per reati di terrorismo. Nel 1983 i radicali lo fecero eleggere deputato per protesta contro i suoi quattro anni di carcere preventivo. Dopo nove sedute, temendo di finire di nuovo in cella, Negri fuggì in Francia. Dal '93, quando ha compiuto 60 anni, riscuote la pensione «minima», che oggi è di 3.108 euro.
Ma almeno Negri ha dovuto aspettare fino a 60 anni. Giuseppe Gambale , invece, è il baby-parlamentare-pensionato più giovane d'Italia. Con quattro legislature alle spalle e vent'anni di contributi versati, Gambale (ex Rete, oggi Pd) ha lasciato Montecitorio nel 2006 a soli 42 anni, riscuotendo un vitalizio di 8.455 euro al mese. Ai quali ha aggiunto 4 mila euro come assessore comunale a Napoli fino al 2008.
Prima del 1997, bastava essere in carica anche un giorno solo per maturare la pensione, versando cinque anni di contributi volontari. Questo record spetta ai radicali Angelo Pezzana, Piero Craveri, Luca Boneschi e René Andreani, andati in Parlamento soltanto per annunciare la rinuncia all'incarico, ma ai quali vanno egualmente i 3 mila euro mensili. Un'altra radicale, Cicciolina , maturerà la pensione l'anno prossimo, quando compirà 60 anni. Irene Pivetti deve invece aspettare il 2013: a 50 anni, i suoi nove a Montecitorio le frutteranno 6.203 euro mensili. Dal 2000 incassa il vitalizio (ridotto per reversibilità) la vedova di un uomo che non mise mai piede al Senato: Arturo Guatelli infatti subentrò a camere sciolte al senatore Morlino (morto per infarto).
VOLCIC E PAOLO PRODI
Fra i nomi celebri con vitalizio di 3.108 euro ci sono il regista Pasquale Squitieri (senatore An dal '94 al '96), il giornalista tv Demetrio Volcic (senatore Pds dal '97 al 2001) e Paolo Prodi, fratello di Romano, senatore della Rete nel '94 per soli cinque mesi, subentrato al magistrato Carlo Palermo.
A quota 6.200 euro mensili stanno Mauro Fabris (Udeur) e Franco Giordano (ex segretario di Rifondazione comunista) entrambi 50enni nel 2008 quando non furono rieletti; Oliviero Diliberto (segretario Comunisti italiani) e Stefano Boco (Verdi), 52, Gloria Buffo (Sd) 54, Marco Fumagalli (Sd), Maurizio Ronconi (Udc) e Dario Rivolta (FI), 55 anni, nonché i 57enni Salvatore Buglio (Rosa nel pugno), Tana de Zulueta (Verdi), Mauro del Bue (Psi) e Franco Monaco (Pd).
BOSELLI, SGARBI, FOLENA
Antonio Martusciello (Pdl) dal 2008 (aveva 46 anni) intasca 7.959 euro, come Rino Piscitello (Pd), 47, ed Enrico Boselli (ex capo dei socialisti), 51. Vittorio Sgarbi prende 8.455 euro da quando aveva 54 anni, come Marco Taradash (Pdl), 57, e Alfonso Gianni (Rifondazione), 58. Alfonso Pecoraro Scanio, ex capo dei Verdi, è andato in pensione a 49 anni con 8.836 euro, così come Pietro Folena (Pd), 50. Fra i baby-pensionati sotto i 60 anni o a 60 anni appena compiuti, troviamo l'ex magistrato di Mani Pulite Tiziana Parenti, Maura Cossutta (figlia del fondatore dei Comunisti italiani Armando), Anna Donati (Verdi) e Nando dalla Chiesa, (Pd). Poi gli ex senatori Edo Ronchi (Pd), 58 anni, e Willer Bordon, 59. Entrambi avranno, con i riscatti, il massimo del vitalizio senatoriale: 9.604 euro.
C'è infine il privilegio del cumulo pensionistico, che negli ultimi 36 anni è costato agli italiani oltre 5 miliardi di euro. La seconda pensione, cumulabile al 100% con quella di Montecitorio o Palazzo Madama, scatta per tutti i parlamentari che, prima di essere eletti, avevano già aperto una posizione previdenziale. Così qualsiasi lavoratore dipendente, una volta eletto, non solo conserva il posto in aspettativa, ma ha diritto anche ai contributi figurativi per la seconda pensione. Basta che paghi il 9% della quota. Il resto, dal 22 al 31%, è versata dagli enti previdenziali.
I NOMI PIÙ PRESTIGIOSI
Tra i beneficiari, i nomi più prestigiosi della politica italiana. Gli ex magistrati Oscar Luigi Scalfaro o Luciano Violante. L' ex governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, l'ex direttore generale Lamberto Dini. E fra gli ex giornalisti Gianfranco Fini, Massimo D'Alema, Maurizio Gasparri, Paolo Bonaiuti, Adolfo Urso, Marco Follini, Clemente Mastella, Walter Veltroni. Quest' ultimo riceve già una terza pensione, quella di eurodeputato: 5.200 euro netti al mese, che devolve in beneficenza.
In nome dei «diritti acquisiti», tutti questi privilegi sono intoccabili? «Neanche per sogno», sostiene Antonio Borghesi, deputato dell' Italia dei valori, «la Corte costituzionale ha stabilito che quelli dei parlamentari sono vitalizi e non pensioni. Quindi, si possono modificare in qualsiasi momento».
Mauro Suttora
Parlamentari: taxi o auto blu?
I 200 parlamentari con auto blu incassano anche 1.300 euro mensili per i taxi
Oggi, 16 giugno 2010
di Mauro Suttora
Sono circa duecento i parlamentari che hanno diritto all’auto blu: ministri, sottosegretari, presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, delle 40 commissioni parlamentari, segretari e questori. Alcuni ce l’hanno fissa con autista, altri attingono al parco macchine delle due Camere.
Contemporaneamente, però, ogni parlamentare incassa anche 1.300 euro al mese come rimborso forfettario per i taxi. Compresi quelli che non lo prendono mai, perché hanno l’auto di servizio. Uno spreco di cui si è reso conto il senatore Pietro Ichino (Pd), il quale racconta così il proprio (vano) tentativo di rinunciare a questo privilegio: «Sono soggetto per motivi di sicurezza [minacce di morte come ai suoi colleghi giuslavoristi Marco Biagi e Massimo D’Antona uccisi dalle Br, ndr] a un dispositivo di protezione che mi costringe a circolare soltanto su un’auto blindata della Guardia di Finanza, con molti svantaggi facilmente immaginabili, ma con il vantaggio di non avere mai spese di taxi. Eletto al Senato nel 2008, mi sono informato se fosse possibile rinunciare al rimborso delle spese di taxi. Mi è stato risposto che questo atto non era previsto, e avrebbe creato problemi burocratici di difficile soluzione. Ho pertanto deciso di devolvere il rimborso percepito alla Fondazione Giuseppe Pera, per l’istituzione di borse di studio a giovani laureati».
Oggi, 16 giugno 2010
di Mauro Suttora
Sono circa duecento i parlamentari che hanno diritto all’auto blu: ministri, sottosegretari, presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, delle 40 commissioni parlamentari, segretari e questori. Alcuni ce l’hanno fissa con autista, altri attingono al parco macchine delle due Camere.
Contemporaneamente, però, ogni parlamentare incassa anche 1.300 euro al mese come rimborso forfettario per i taxi. Compresi quelli che non lo prendono mai, perché hanno l’auto di servizio. Uno spreco di cui si è reso conto il senatore Pietro Ichino (Pd), il quale racconta così il proprio (vano) tentativo di rinunciare a questo privilegio: «Sono soggetto per motivi di sicurezza [minacce di morte come ai suoi colleghi giuslavoristi Marco Biagi e Massimo D’Antona uccisi dalle Br, ndr] a un dispositivo di protezione che mi costringe a circolare soltanto su un’auto blindata della Guardia di Finanza, con molti svantaggi facilmente immaginabili, ma con il vantaggio di non avere mai spese di taxi. Eletto al Senato nel 2008, mi sono informato se fosse possibile rinunciare al rimborso delle spese di taxi. Mi è stato risposto che questo atto non era previsto, e avrebbe creato problemi burocratici di difficile soluzione. Ho pertanto deciso di devolvere il rimborso percepito alla Fondazione Giuseppe Pera, per l’istituzione di borse di studio a giovani laureati».
Generali Usa in Afghanistan
Uno sviene, l'altro straparla. Too much whisky?
W Biden: "Prendete i capi di Al Qaeda, e non rompete i coglioni chiedendo altre truppe"
W Biden: "Prendete i capi di Al Qaeda, e non rompete i coglioni chiedendo altre truppe"
Wednesday, June 16, 2010
Magistrati in sciopero
PROTESTANO PER I TAGLI, MA GUADAGNANO MOLTO
di Mauro Suttora
Oggi, 7 giugno 2010
Capita una o due volte ogni decennio che i magistrati facciano sciopero. Anzi, secondo alcuni non dovrebbero mai farlo. «È come se un sacerdote protestasse non celebrando messa», dice Marcello Maddalena, procuratore aggiunto di Torino. E Pier Ferdinando Casini, con una concezione meno sacrale della professione: «Non sono mica metalmeccanici».
No, i magistrati non sono metalmeccanici. Sono le persone che dirimono le nostre controversie e possono spedirci in galera. Il terzo potere dello stato, e i loro stipendi (41 mila euro annui appena entrati in servizio, 72 mila dopo cinque anni, 122 mila dopo venti, 150 mila dopo 28 anni) testimoniano la loro importanza.
Eppure, anche loro il primo luglio incroceranno le braccia. Per criticare la legge con cui il premier Silvio Berlusconi vuole limitare le intercettazioni telefoniche e le cronache giudiziarie? Macché. I magistrati scioperano per soldi. La manovra da 25 miliardi colpisce anche loro, come tutti i dipendenti pubblici. E loro non ci stanno.
Ecco le loro ragioni. «Sono tagli che colpiscono la nostra indipendenza», dice Luca Palamara, presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe), «e anche iniqui: un giovane appena entrato in servizio perde il 30 per cento del proprio stipendio, mentre gli anziani se la cavano col due per cento».
Indipendenza garantita dall’ammontare degli stipendi? È opinabile. In ogni categoria ci sono ricchi dipendenti disonesti, e lavoratori pagati poco ma probi ed efficienti. Il secondo argomento, invece, è incredibile ma vero. Poiché per tre anni gli vengono bloccati gli scatti , il magistrato fresco di concorso rimane a 41 mila euro annui invece di passare a 55 mila. Mentre quello con 28 anni di anzianità subisce solo il taglio di 3 mila euro previsto per tutti i redditi oltre i 90 mila.
«Il problema è che, divulgando questi dati, i magistrati si sono dati la zappa sui piedi da soli», dice Stefano Livadiotti, giornalista del settimanale di sinistra Espresso (quindi non sospetto di pregiudizi berlusconiani contro i giudici) che l’anno scorso ha scritto un libro urticante fin dal titolo: Magistrati, l’ultracasta (Bompiani): «Nessun mestiere in Italia, e forse al mondo, garantisce ai nuovi assunti aumenti così alti e automatici nel giro di pochissimi anni. E senza alcun rischio: se non commettono reati o scorrettezze gravissime, non perderanno mai il posto».
Meglio dei politici, l’altra Casta per eccellenza: quelli almeno devono farsi eleggere col voto, ogni tanto. Non a caso, la retribuzione dei parlamentari è agganciata a quella dei magistrati, che è anche l’unica ad aver conservato la scala mobile anti-inflazione.
«I giudici italiani hanno uno stipendio medio cinque volte superiore a quello degli altri dipendenti pubblici, 51 giorni di ferie, e sono anche i più pagati dell’Europa continentale», continua Livadiotti, «i loro vertici prendono il doppio di quelli con incarichi analoghi in Francia». Gli unici a superarli sono i britannici, i quali però hanno un accesso diverso alla professione: spesso sono ex avvocati della difesa o dell'accusa diventati giudici in tarda età.
«Ma il privilegio più grande», dice Livadiotti, «è che tutti i magistrati italiani raggiungono automaticamente allo stipendio più alto: i 150 mila euro dei giudici di Cassazione, e i 170 mila dei giudici dei Tar o della corte dei Conti».
Sarebbe come se in un’azienda privata tutti, anche gli operai, anche gli asini e i pigri,dopo una ventina d’anni prendessero gli stipendi dei dirigenti. Non è sempre stato così: fino agli anni ’60 i pretori di provincia per progredire dovevano affrontare fior di concorsi. Oggi le cosiddette “valutazioni di professionalità” sono una barzelletta: le supera il 99,6 per cento dei candidati. E a giudicare i giudici sono gli stessi giudici, colleghi più anziani.Un’altra cornucopia è quella delle cosiddette «sedi disagiate» (praticamente tutto il Sud): ai giovani magistrati che ci vanno spettano decine di migliaia di euro in più.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, per criticare lo sciopero della magistratura, lo ha definito «politico». «Invece è la classica protesta corporativa di una categoria che teme di perdere alcuni dei propri ingenti privilegi economici», conclude Livadiotti.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 7 giugno 2010
Capita una o due volte ogni decennio che i magistrati facciano sciopero. Anzi, secondo alcuni non dovrebbero mai farlo. «È come se un sacerdote protestasse non celebrando messa», dice Marcello Maddalena, procuratore aggiunto di Torino. E Pier Ferdinando Casini, con una concezione meno sacrale della professione: «Non sono mica metalmeccanici».
No, i magistrati non sono metalmeccanici. Sono le persone che dirimono le nostre controversie e possono spedirci in galera. Il terzo potere dello stato, e i loro stipendi (41 mila euro annui appena entrati in servizio, 72 mila dopo cinque anni, 122 mila dopo venti, 150 mila dopo 28 anni) testimoniano la loro importanza.
Eppure, anche loro il primo luglio incroceranno le braccia. Per criticare la legge con cui il premier Silvio Berlusconi vuole limitare le intercettazioni telefoniche e le cronache giudiziarie? Macché. I magistrati scioperano per soldi. La manovra da 25 miliardi colpisce anche loro, come tutti i dipendenti pubblici. E loro non ci stanno.
Ecco le loro ragioni. «Sono tagli che colpiscono la nostra indipendenza», dice Luca Palamara, presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati, il sindacato unico delle toghe), «e anche iniqui: un giovane appena entrato in servizio perde il 30 per cento del proprio stipendio, mentre gli anziani se la cavano col due per cento».
Indipendenza garantita dall’ammontare degli stipendi? È opinabile. In ogni categoria ci sono ricchi dipendenti disonesti, e lavoratori pagati poco ma probi ed efficienti. Il secondo argomento, invece, è incredibile ma vero. Poiché per tre anni gli vengono bloccati gli scatti , il magistrato fresco di concorso rimane a 41 mila euro annui invece di passare a 55 mila. Mentre quello con 28 anni di anzianità subisce solo il taglio di 3 mila euro previsto per tutti i redditi oltre i 90 mila.
«Il problema è che, divulgando questi dati, i magistrati si sono dati la zappa sui piedi da soli», dice Stefano Livadiotti, giornalista del settimanale di sinistra Espresso (quindi non sospetto di pregiudizi berlusconiani contro i giudici) che l’anno scorso ha scritto un libro urticante fin dal titolo: Magistrati, l’ultracasta (Bompiani): «Nessun mestiere in Italia, e forse al mondo, garantisce ai nuovi assunti aumenti così alti e automatici nel giro di pochissimi anni. E senza alcun rischio: se non commettono reati o scorrettezze gravissime, non perderanno mai il posto».
Meglio dei politici, l’altra Casta per eccellenza: quelli almeno devono farsi eleggere col voto, ogni tanto. Non a caso, la retribuzione dei parlamentari è agganciata a quella dei magistrati, che è anche l’unica ad aver conservato la scala mobile anti-inflazione.
«I giudici italiani hanno uno stipendio medio cinque volte superiore a quello degli altri dipendenti pubblici, 51 giorni di ferie, e sono anche i più pagati dell’Europa continentale», continua Livadiotti, «i loro vertici prendono il doppio di quelli con incarichi analoghi in Francia». Gli unici a superarli sono i britannici, i quali però hanno un accesso diverso alla professione: spesso sono ex avvocati della difesa o dell'accusa diventati giudici in tarda età.
«Ma il privilegio più grande», dice Livadiotti, «è che tutti i magistrati italiani raggiungono automaticamente allo stipendio più alto: i 150 mila euro dei giudici di Cassazione, e i 170 mila dei giudici dei Tar o della corte dei Conti».
Sarebbe come se in un’azienda privata tutti, anche gli operai, anche gli asini e i pigri,dopo una ventina d’anni prendessero gli stipendi dei dirigenti. Non è sempre stato così: fino agli anni ’60 i pretori di provincia per progredire dovevano affrontare fior di concorsi. Oggi le cosiddette “valutazioni di professionalità” sono una barzelletta: le supera il 99,6 per cento dei candidati. E a giudicare i giudici sono gli stessi giudici, colleghi più anziani.Un’altra cornucopia è quella delle cosiddette «sedi disagiate» (praticamente tutto il Sud): ai giovani magistrati che ci vanno spettano decine di migliaia di euro in più.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, per criticare lo sciopero della magistratura, lo ha definito «politico». «Invece è la classica protesta corporativa di una categoria che teme di perdere alcuni dei propri ingenti privilegi economici», conclude Livadiotti.
Mauro Suttora
Saturday, June 12, 2010
Film Sex and the City 2
DONNE NEWYORKESI VERAMENTE WORKAHOLIC, SEXAHOLIC, SHOPAHOLIC E SVAMPITE COME QUELLE QUATTRO?
Oggi, 2 giugno 2010
di Mauro Suttora
Ma come sono veramente le donne di Sex and the City? Sul serio le newyorkesi sono sprovvedute come Charlotte la svampita, workaholic (drogate di lavoro) come Miranda la "rossa", shopaholic (drogate di shopping) come Carrie la giornalista e drogate di sesso come Samantha la ninfomane? Dopo due anni di convivenza con una come loro, una deliziosa trentenne di Manhattan, sono in grado rispondere: si'. Meno il sesso. Il mio fidanzamento e' stato cosi' ricco di fantastici, teneri e agghiaccianti aneddoti che ne ho tratto un libro: No Sex in the City (ed. Cairo, 2007).
La mia Marsha si alzava alle sei del mattino per andare a correre a Central Park, non resisteva di fronte a scarpe Jimmy Choo da 500 dollari o a borsette Prada da 700, la sua carta di credito era costantemente in rosso perche' spendeva tutti i (parecchi) soldi che guadagnava in vestiti, ristoranti, abbonamenti a club e palestre e week-end agli Hamptons. Ma alla fine della sua (nostra) vorticosa vita sociale allietata da un paio di cocktail e vernissage ogni sera, non le restava piu' il tempo per (fare) l'amore.
Per lei il sesso era solo un ulteriore tipo di ginnastica, intercambiabile con yoga e pilates. E anche per le sue amiche gli uomini sono accessori un po' meno utili di quelli comodamente acquistabili negli store di Madison Avenue. Infatti, fateci caso: tutti i maschi della serie tv e dei due film Sex and the City sono o fessi (quelli di Charlotte e Miranda) o mascalzoni (il Mr. Big e Barishnikov di Carrie) o boy-toys (Samantha). Degni del cassonetto.
Il decennio degli anni Zero che si sta chiudendo passera' alla storia (guerre di Bush a parte) come quello di Sex and the City? In mancanza di altri fenomeni sociali, artistici, culturali, c'e' questo rischio. Il nulla. Zero, appunto.
Oggi, 2 giugno 2010
di Mauro Suttora
Ma come sono veramente le donne di Sex and the City? Sul serio le newyorkesi sono sprovvedute come Charlotte la svampita, workaholic (drogate di lavoro) come Miranda la "rossa", shopaholic (drogate di shopping) come Carrie la giornalista e drogate di sesso come Samantha la ninfomane? Dopo due anni di convivenza con una come loro, una deliziosa trentenne di Manhattan, sono in grado rispondere: si'. Meno il sesso. Il mio fidanzamento e' stato cosi' ricco di fantastici, teneri e agghiaccianti aneddoti che ne ho tratto un libro: No Sex in the City (ed. Cairo, 2007).
La mia Marsha si alzava alle sei del mattino per andare a correre a Central Park, non resisteva di fronte a scarpe Jimmy Choo da 500 dollari o a borsette Prada da 700, la sua carta di credito era costantemente in rosso perche' spendeva tutti i (parecchi) soldi che guadagnava in vestiti, ristoranti, abbonamenti a club e palestre e week-end agli Hamptons. Ma alla fine della sua (nostra) vorticosa vita sociale allietata da un paio di cocktail e vernissage ogni sera, non le restava piu' il tempo per (fare) l'amore.
Per lei il sesso era solo un ulteriore tipo di ginnastica, intercambiabile con yoga e pilates. E anche per le sue amiche gli uomini sono accessori un po' meno utili di quelli comodamente acquistabili negli store di Madison Avenue. Infatti, fateci caso: tutti i maschi della serie tv e dei due film Sex and the City sono o fessi (quelli di Charlotte e Miranda) o mascalzoni (il Mr. Big e Barishnikov di Carrie) o boy-toys (Samantha). Degni del cassonetto.
Il decennio degli anni Zero che si sta chiudendo passera' alla storia (guerre di Bush a parte) come quello di Sex and the City? In mancanza di altri fenomeni sociali, artistici, culturali, c'e' questo rischio. Il nulla. Zero, appunto.
Thursday, June 10, 2010
Yet
Washington Post
News Alert: General: Kandahar operation will take longer
07:47 AM Thursday, June 10, 2010
The top commander in the largely stalemated Afghanistan war acknowledged Thursday that a crucial campaign to secure the region of the country where the Taliban insurgency was born will take longer than planned because local Afghans do not yet welcome the military-run operation.
(it's all in that "yet"...)
News Alert: General: Kandahar operation will take longer
07:47 AM Thursday, June 10, 2010
The top commander in the largely stalemated Afghanistan war acknowledged Thursday that a crucial campaign to secure the region of the country where the Taliban insurgency was born will take longer than planned because local Afghans do not yet welcome the military-run operation.
(it's all in that "yet"...)
Wednesday, June 09, 2010
I ricchi non piangono mai
LA MANOVRA NON TOCCA I MILIARDARI
di Mauro Suttora
Oggi, 2 giugno 2010
Coincidenza sfortunata: proprio nel giorno in cui suo padre ha imposto agli italiani sacrifici per 24 miliardi di euro, Pier Silvio Berlusconi ha varato il proprio nuovo maxiyacht da 18 milioni, lungo 37 metri. È vero, così il cantiere Ferretti di Ancona lavora e non licenzia i dipendenti. Ma Pier Silvio si era già fatto costruire tre anni fa dal cantiere anconetano un altro yacht da trenta metri: Suegno, costato dieci milioni. Aveva proprio bisogno di un secondo piroscafo?
La verità è che i ricchi non piangono mai. Non solo in Italia. I miliardari greci sbevazzano come sempre negli hotel a cinque stelle di Gstaad o Saint Moritz, mentre i loro compatrioti ad Atene sono in mutande. A New York gli speculatori responsabili della crisi mondiale continuano a incassare bonus da milioni di dollari. E nella nuova lista dei 5.700 evasori italiani con sette miliardi nascosti in Svizzera ci sono industrialotti lombardi, stilisti, attori, notai, avvocati e anche molte casalinghe, mogli prestanome dei suddetti.
Neanche un centesimo viene tolto dalla «manovra» di Berlusconi ai ricchi come lui. Obama ha aumentato le imposte sui redditi oltre i 200 mila dollari (160 mila euro). In Italia invece chi lavora viene tassato fino al 43 per cento, mentre le rendite da capitale rimangono al 12,5. Industriali, finanzieri e banchieri possono stare tranquilli.
Il governo Prodi aveva cercato di imporre un tetto di 270 mila euro annui per tutti i manager pubblici. Risultato: Pier Francesco Guarguagliani di Finmeccanica (oggi nei guai con la moglie per fondi neri) l’anno scorso ha intascato più di cinque milioni e mezzo. C’è il divieto di cumulo di cariche? Lucio Stanca è sia deputato, sia capo dell’Expo 2015 di Milano, per un totale di 650 mila euro. E come lui decine di politici con doppio incarico.
Non è questione di destra o sinistra. Il principale fustigatore dei potenti in Italia, Beppe Grillo, è lui stesso un ricco milionario che ama scorrazzare in motoscafo per la Costa Smeralda. E così l’ex eroe della sinistra tv, Michele Santoro, che ha scandalizzato i propri fans con la trattativa da una quindicina di milioni per il prepensionamento Rai alla verde età di 58 anni.
L’Italia ha il terzo debito pubblico del pianeta: 1.800 miliardi di euro. Ci superano solo Stati Uniti e Giappone, in cifre assolute. E in percentuale sul Pil, siamo i peggiori d’Europa: 115 per cento nel 2009, come la Grecia. Ciononostante, i nostri politici anche quest’anno riescono a spendere il 5 per cento in più di quel che incassano con le tasse. La manovra di questi giorni serve solo a rallentare l’allargamento del buco, non a tapparlo.
Eppure, tutti si sentono in diritto di protestare. Soprattutto i più ricchi. Sentite: «La nostra indipendenza va salvaguardata anche sotto il profilo economico», strillano i magistrati, «minacciati» come tutti i pubblici dipendenti dal blocco degli aumenti automatici triennali (per tutti, anche asini e pigri), oltre che da un prelievo del cinque per cento sui redditi oltre i 90 mila euro l’anno (ovvero la quasi totalità dei magistrati). Medici e primari da cinquemila euro netti al mese piangono: «Interventi tanto vergognosi quanto iniqui».
I dirigenti pubblici preparano i soliti ricorsi al Tar. «Guadagno 289 mila euro l’anno, ma alla Telecom erano due milioni e mezzo», dice Giuseppe Sala, direttore generale del comune di Milano. Ognuno guarda a chi prende di più. Bruno Vespa, dal «basso» del suo milione e 200 mila euro annui, invidia Santoro. E i tagli non toccano i prepensionati d’oro, come il dirigente della regione Sicilia Pier Carmelo Russo che cinque mesi fa ha agguantato 6.462 euro netti mensili a 47 anni, per poi vedersi nominare assessore all’Energia.
Le statistiche sono chiare: negli ultimi dieci anni i redditi dei dipendenti pubblici sono aumentati del 42%. Quasi il doppio dei privati, esposti alla concorrenza con l’estero. Eppure, all’ultimo momento la loro potente lobby ha fatto aumentare da 130 a 150 mila euro la soglia per il prelievo del 10%. E chissà di quali altri «ammorbidimenti» godranno i ricchi prima che i decreti tagliaspesa diventino realtà.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 2 giugno 2010
Coincidenza sfortunata: proprio nel giorno in cui suo padre ha imposto agli italiani sacrifici per 24 miliardi di euro, Pier Silvio Berlusconi ha varato il proprio nuovo maxiyacht da 18 milioni, lungo 37 metri. È vero, così il cantiere Ferretti di Ancona lavora e non licenzia i dipendenti. Ma Pier Silvio si era già fatto costruire tre anni fa dal cantiere anconetano un altro yacht da trenta metri: Suegno, costato dieci milioni. Aveva proprio bisogno di un secondo piroscafo?
La verità è che i ricchi non piangono mai. Non solo in Italia. I miliardari greci sbevazzano come sempre negli hotel a cinque stelle di Gstaad o Saint Moritz, mentre i loro compatrioti ad Atene sono in mutande. A New York gli speculatori responsabili della crisi mondiale continuano a incassare bonus da milioni di dollari. E nella nuova lista dei 5.700 evasori italiani con sette miliardi nascosti in Svizzera ci sono industrialotti lombardi, stilisti, attori, notai, avvocati e anche molte casalinghe, mogli prestanome dei suddetti.
Neanche un centesimo viene tolto dalla «manovra» di Berlusconi ai ricchi come lui. Obama ha aumentato le imposte sui redditi oltre i 200 mila dollari (160 mila euro). In Italia invece chi lavora viene tassato fino al 43 per cento, mentre le rendite da capitale rimangono al 12,5. Industriali, finanzieri e banchieri possono stare tranquilli.
Il governo Prodi aveva cercato di imporre un tetto di 270 mila euro annui per tutti i manager pubblici. Risultato: Pier Francesco Guarguagliani di Finmeccanica (oggi nei guai con la moglie per fondi neri) l’anno scorso ha intascato più di cinque milioni e mezzo. C’è il divieto di cumulo di cariche? Lucio Stanca è sia deputato, sia capo dell’Expo 2015 di Milano, per un totale di 650 mila euro. E come lui decine di politici con doppio incarico.
Non è questione di destra o sinistra. Il principale fustigatore dei potenti in Italia, Beppe Grillo, è lui stesso un ricco milionario che ama scorrazzare in motoscafo per la Costa Smeralda. E così l’ex eroe della sinistra tv, Michele Santoro, che ha scandalizzato i propri fans con la trattativa da una quindicina di milioni per il prepensionamento Rai alla verde età di 58 anni.
L’Italia ha il terzo debito pubblico del pianeta: 1.800 miliardi di euro. Ci superano solo Stati Uniti e Giappone, in cifre assolute. E in percentuale sul Pil, siamo i peggiori d’Europa: 115 per cento nel 2009, come la Grecia. Ciononostante, i nostri politici anche quest’anno riescono a spendere il 5 per cento in più di quel che incassano con le tasse. La manovra di questi giorni serve solo a rallentare l’allargamento del buco, non a tapparlo.
Eppure, tutti si sentono in diritto di protestare. Soprattutto i più ricchi. Sentite: «La nostra indipendenza va salvaguardata anche sotto il profilo economico», strillano i magistrati, «minacciati» come tutti i pubblici dipendenti dal blocco degli aumenti automatici triennali (per tutti, anche asini e pigri), oltre che da un prelievo del cinque per cento sui redditi oltre i 90 mila euro l’anno (ovvero la quasi totalità dei magistrati). Medici e primari da cinquemila euro netti al mese piangono: «Interventi tanto vergognosi quanto iniqui».
I dirigenti pubblici preparano i soliti ricorsi al Tar. «Guadagno 289 mila euro l’anno, ma alla Telecom erano due milioni e mezzo», dice Giuseppe Sala, direttore generale del comune di Milano. Ognuno guarda a chi prende di più. Bruno Vespa, dal «basso» del suo milione e 200 mila euro annui, invidia Santoro. E i tagli non toccano i prepensionati d’oro, come il dirigente della regione Sicilia Pier Carmelo Russo che cinque mesi fa ha agguantato 6.462 euro netti mensili a 47 anni, per poi vedersi nominare assessore all’Energia.
Le statistiche sono chiare: negli ultimi dieci anni i redditi dei dipendenti pubblici sono aumentati del 42%. Quasi il doppio dei privati, esposti alla concorrenza con l’estero. Eppure, all’ultimo momento la loro potente lobby ha fatto aumentare da 130 a 150 mila euro la soglia per il prelievo del 10%. E chissà di quali altri «ammorbidimenti» godranno i ricchi prima che i decreti tagliaspesa diventino realtà.
Mauro Suttora
Friday, May 28, 2010
A New York niente sesso
LE DONNE PREFERISCONO SHOPPING E PALESTRA
Da oggi al cinema Sex and the City 2
di Mauro Suttora
Libero, 28 maggio 2010
Come passeranno alla storia questi anni Zero? Corriamo un grande rischio: che il decennio appena finito venga ricordato, in mancanza di meglio o di peggio (Bush, guerre d’Iran e Afghanistan, Coldplay, ipod), per ‘Sex and the City’. E questa sì che sarebbe una tragedia. Quasi peggio del terrorismo islamico.
Le quattro smandrappate di New York, anche se amano comportarsi come ventenni sgarzelline e l’età mentale dei personaggi che interpretano è perfino minore, hanno tutte superato i 45 anni. Samantha ne ha addirittura 54. O meglio: questa è l’età dell’eccellente attrice inglese Kim Cattrall che la impersona, e che si è appena fatta notare come bollente segretaria-amante di Pierce Brosnan (alias Tony Blair) nello splendido ‘Uomo nell’ombra’, ultimo film di Roman Polanski.
Non a caso la meno letale del quartetto non è americana. Infatti Samantha è l’unica ad avere una vita sessuale. Ma poiché l’autrice di ‘Sex and the City’, Candace Bushnell, è gelosa della non frigidità del personaggio biondo da lei stessa creato, l’ha trasformata in macchietta: ninfomane, esagerata, comica, affamata di toyboys.
Le altre tre sono sexy quanto il ghiacciaio del monte Bianco. Ma non è colpa loro. È la New York di oggi a renderti così. Lo dico per esperienza personale: ci ho vissuto per molti degli anni Zero, e per un biennio mi sono fidanzato con una ragazza uguale a quelle di ‘Sex and the City’. Una ex modella trentenne bellissima, simpatica, intelligente, coltivata (laureata in un college top ten degli Usa), abbastanza ricca. E innamorata, come me. Ma a letto, una frana. Sono sopravvissuto nell’unico modo possibile, con questi fenotipi di Manhattan apparentemente assai attraenti: lasciandola. Ma avendo accumulato tanti di quegli aneddoti divertenti e agghiaccianti da scriverci un libro: ‘No Sex in the City’ (ed. Cairo, 2007).
La verità è semplice, come ha detto un famoso sociologo: “A New York hanno talmente sessualizzato lo shopping, che tutto il resto è stato desessualizzato”. La mia girlfriend Marsha si svegliava alle sette del mattino, e invece di fare l’amore correva a fare jogging a Central Park. Io la aspettavo a letto speranzoso (anche a Manhattan si verifica il fenomeno definito in inglese “morning glory”), ma quando lei tornava alle otto - sudata, ansimante, guance rosse, seno e lunghe cosce foderati nella tuta aderente, quindi ancora più affascinante - si buttava nella doccia: «I have no time, my love», mi gridava felice da sotto lo scroscio, già orrendamente piena di energia a quell’ora del mattino. Poi si precipitava giù a comprare da un coreano il beverone che loro chiamano “caffè” (una sciacquatura marrone), e lo sorseggiava con una cannuccia nel metrò verso il lavoro.
Verso le sei di sera passava a prendermi alla libreria Rizzoli sulla 57esima Strada, dove lavoravo. La sua vita frenetica a quell’ora prevedeva aperitivi, vernissage di gallerie, inaugurazioni di negozi e altri innumerevoli «eventi», che ora infestano la vita anche a noi italiani. Quindi in taxi al ristorante. Spesso un cinema, un concerto, un teatro a Broadway. Poi, ogni tanto, in un club a ballare. Feste in casa di amici. Oppure quella disgrazia che sono i «gala», al Plaza, al Waldorf o al Pierre, con i grandi tavoli rotondi da otto e qualche causa benefica da finanziare.
Insomma, difficile tornare a casa prima di mezzanotte. E a quel punto lei era troppo stanca per farlo. «I need to relax», si scusava. E io: «Appunto, rilassiamoci facendo l’amore». Lei mi sorrideva: «Accarezzami, Mauro». E si addormentava.
La sua attività principale, nel tempo libero, era lo shopping. Spendeva in scarpe Jimmy Choo e borsette Prada tutto quel che guadagnava (non poco). Nei weekend estivi bisognava andare agli Hamptons: come Portofino, ma umidi come New York. Siccome era sportiva, se non poteva fare jogging per il troppo caldo o troppo freddo, andava in palestra a sfogarsi sul tapis roulant. Ecco, dopo un po’ scoprii che quello era il mio vero rivale. Perché solo lì, e nei negozi, le donne di 'Sex and the City' riescono ad agguantare il piacere. Sex, zero. Come il decennio.
Mauro Suttora
Da oggi al cinema Sex and the City 2
di Mauro Suttora
Libero, 28 maggio 2010
Come passeranno alla storia questi anni Zero? Corriamo un grande rischio: che il decennio appena finito venga ricordato, in mancanza di meglio o di peggio (Bush, guerre d’Iran e Afghanistan, Coldplay, ipod), per ‘Sex and the City’. E questa sì che sarebbe una tragedia. Quasi peggio del terrorismo islamico.
Le quattro smandrappate di New York, anche se amano comportarsi come ventenni sgarzelline e l’età mentale dei personaggi che interpretano è perfino minore, hanno tutte superato i 45 anni. Samantha ne ha addirittura 54. O meglio: questa è l’età dell’eccellente attrice inglese Kim Cattrall che la impersona, e che si è appena fatta notare come bollente segretaria-amante di Pierce Brosnan (alias Tony Blair) nello splendido ‘Uomo nell’ombra’, ultimo film di Roman Polanski.
Non a caso la meno letale del quartetto non è americana. Infatti Samantha è l’unica ad avere una vita sessuale. Ma poiché l’autrice di ‘Sex and the City’, Candace Bushnell, è gelosa della non frigidità del personaggio biondo da lei stessa creato, l’ha trasformata in macchietta: ninfomane, esagerata, comica, affamata di toyboys.
Le altre tre sono sexy quanto il ghiacciaio del monte Bianco. Ma non è colpa loro. È la New York di oggi a renderti così. Lo dico per esperienza personale: ci ho vissuto per molti degli anni Zero, e per un biennio mi sono fidanzato con una ragazza uguale a quelle di ‘Sex and the City’. Una ex modella trentenne bellissima, simpatica, intelligente, coltivata (laureata in un college top ten degli Usa), abbastanza ricca. E innamorata, come me. Ma a letto, una frana. Sono sopravvissuto nell’unico modo possibile, con questi fenotipi di Manhattan apparentemente assai attraenti: lasciandola. Ma avendo accumulato tanti di quegli aneddoti divertenti e agghiaccianti da scriverci un libro: ‘No Sex in the City’ (ed. Cairo, 2007).
La verità è semplice, come ha detto un famoso sociologo: “A New York hanno talmente sessualizzato lo shopping, che tutto il resto è stato desessualizzato”. La mia girlfriend Marsha si svegliava alle sette del mattino, e invece di fare l’amore correva a fare jogging a Central Park. Io la aspettavo a letto speranzoso (anche a Manhattan si verifica il fenomeno definito in inglese “morning glory”), ma quando lei tornava alle otto - sudata, ansimante, guance rosse, seno e lunghe cosce foderati nella tuta aderente, quindi ancora più affascinante - si buttava nella doccia: «I have no time, my love», mi gridava felice da sotto lo scroscio, già orrendamente piena di energia a quell’ora del mattino. Poi si precipitava giù a comprare da un coreano il beverone che loro chiamano “caffè” (una sciacquatura marrone), e lo sorseggiava con una cannuccia nel metrò verso il lavoro.
Verso le sei di sera passava a prendermi alla libreria Rizzoli sulla 57esima Strada, dove lavoravo. La sua vita frenetica a quell’ora prevedeva aperitivi, vernissage di gallerie, inaugurazioni di negozi e altri innumerevoli «eventi», che ora infestano la vita anche a noi italiani. Quindi in taxi al ristorante. Spesso un cinema, un concerto, un teatro a Broadway. Poi, ogni tanto, in un club a ballare. Feste in casa di amici. Oppure quella disgrazia che sono i «gala», al Plaza, al Waldorf o al Pierre, con i grandi tavoli rotondi da otto e qualche causa benefica da finanziare.
Insomma, difficile tornare a casa prima di mezzanotte. E a quel punto lei era troppo stanca per farlo. «I need to relax», si scusava. E io: «Appunto, rilassiamoci facendo l’amore». Lei mi sorrideva: «Accarezzami, Mauro». E si addormentava.
La sua attività principale, nel tempo libero, era lo shopping. Spendeva in scarpe Jimmy Choo e borsette Prada tutto quel che guadagnava (non poco). Nei weekend estivi bisognava andare agli Hamptons: come Portofino, ma umidi come New York. Siccome era sportiva, se non poteva fare jogging per il troppo caldo o troppo freddo, andava in palestra a sfogarsi sul tapis roulant. Ecco, dopo un po’ scoprii che quello era il mio vero rivale. Perché solo lì, e nei negozi, le donne di 'Sex and the City' riescono ad agguantare il piacere. Sex, zero. Come il decennio.
Mauro Suttora
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