Sunday, June 12, 2022

Palermo, Italia: i seggi non aprono perché c'e la partita. L'ultimo affronto a noi elettori fessi



L'altra scusa per l'improvvisa moria di presidenti sarebbe la scarsa retribuzione, 280 euro: però conoscevano i compensi prima di accettare. Il caso siciliano ci mostra il grado d'affezione alla cosa pubblica

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 Giugno 2022

"Immagina che i politici dichiarino guerra, ma nessuno vada a combatterla": è l'antico sogno dei pacifisti, ora rovinato dalla gran voglia di difendersi degli ucraini. Il sogno degli anarchici, invece, si è avverato stamane a Palermo: "Immagina che i politici indicano elezioni, ma nessuno possa votarli". 

È l'odiato stato che si liquefa, la disprezzata democrazia rappresentativa che fa harakiri, la politica che si suicida. Migliaia di palermitani si sono svegliati anche di buon'ora per esercitare il proprio diritto/dovere elettorale, magari prima di andare a trovar refrigerio al  mare. E invece sono stati puniti per tanto malposto spirito civico: a tanti i vigili hanno detto di tornare più tardi, perché i presidenti di 178 seggi (su 600) si sono dati latitanti.

I più furbi lo hanno fatto già ieri, nel pomeriggio di preparazione, vidimazione schede, eccetera: forfait grave ma non gravissimo, c'era tempo per rimediare. Ma non presentarsi stamane alle sei, all'ultimo minuto, è stata una vigliaccata. Anche perché quello di oggi a Palermo è l'elezione più importante d'Italia: si sceglie il sindaco del capoluogo di una grande regione, oltre a votare per i referendum. 

Scatteranno denunce per interruzione di pubblico servizio. Ma dopo la pubblicazione su un quotidiano delle foto di nove sospetti 'putiniani' ci permettiamo di suggerire un'identica sanzione, immediata e alternativa: l'esposizione al pubblico ludibrio della lista dei fuggitivi. Nomi e cognomi: una piccola gogna mediatica per risarcire i fessi che sono andati inutilmente ai seggi sotto il sole a 33 gradi.

L'attenuante invocata è la partita Palermo-Padova, che stasera decide l'ammissione in serie B. Ma non ci risulta che nella città veneta si sia verificata una simile morìa di presidenti di seggio allo scopo di andare allo stadio o di piazzarsi di fronte alla tv.

Un'altra scusa: 280 euro sarebbero pochi "per quattro giorni di lavoro", si lamenta una candidata consigliera comunale. Che spero non venga eletta, perché il lavoro, se spicciato celermente, dura due giorni e mezzo. Presidenti e scrutatori conoscevano il compenso quando hanno accettato l'incarico. E molti di noi sono stati sempre felici di svolgerlo quando si era più giovani, anche solo per 50 o 100mila lire.

L'ottimo La Russa è caduto nel trappolone, e in automatico per l'emergenza ha invocato l'intervento dei militari. Ma gli ex fascisti sanno meglio di chiunque che fra i soldati il modo più semplice e veloce per rimpiazzare gli ufficiali caduti, o in questo caso disertori, è quello di promuovere sul campo i più alti in grado. Bastava quindi nominare presidente lo scrutatore più anziano, per risolvere subito il problema. 

Ma sicuramente esiste un comma che lo proibisce, e allora il buonsenso della ministra dell'Interno Lamorgese ha suggerito: accorpate le sezioni. Niente da fare, la burocrazia è anelastica, nonché tremebonda per ricorsi al Tar. 

E così la tragicommedia palermitana si è dipanata per l'intera mattinata, finché alle 14 tutte le sezioni sono state aperte.
 Per fortuna il candidato sindaco di centrosinistra Franco Miceli ha aggiunto una nota di buonumore con questa sua dichiarazione: "Esprimo solidarietà ai dipendenti comunali che stanotte hanno cercato di ottemperare all'assenza dei presidenti con un lavoro straordinario". Ottemperiamo.

Mauro Suttora 

Saturday, June 11, 2022

Il re degli influencer cinesi cade su Tienanmen: distrutto da una torta gelato

La sua piattaforma è sparita dalla rete dopo che ha osato postare un video con un dolce a forma di carrarmato

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 Giugno 2022
 
Il più grande influencer cinese, Li Jiaqi, 30 anni, 60 milioni di followers, è stato distrutto da una torta gelato. La sua piattaforma è sparita dalla rete dopo che ha osato postare un video con una torta a forma di carrarmato. Il problema è che lo ha fatto il 3 giugno, vigilia del trentatreesimo anniversario della strage di piazza Tiananmen. E i gerarchi cinesi dopo pochi minuti lo hanno cancellato dal web: qualsiasi riferimento a quel massacro è infatti proibito dal regime comunista.

Li, nome d'arte Austin Li, ha cominciato la sua incredibile carriera nel 2015, quando fu assunto come commesso dell'Oréal in un centro commerciale nella provincia dello Jiangxi. Si accorse che alle clienti non piaceva provare i rossetti sulle proprie labbra, cosicché mise a disposizione le sue: loro sceglievano il colore, e lui se lo applicava.
 
In pochi mesi le vendite al suo stand si moltiplicarono, Li vinse parecchi premi come miglior venditore, e aprì un proprio webcast sulla piattaforma di vendite online Taobao del gruppo Alibaba. Nel 2018 batté il Guinnes dei primati per il maggior numero di applicazioni di rossetto in trenta secondi. Il boom delle vendite online, arrivate a 180 miliardi annui, lo ha trasformato in una superstar, con un fatturato annuale di decine di milioni. E il lockdown della pandemia ha moltiplicato la sua fama e i suoi guadagni.

Ma è bastato un accenno indiretto alla carneficina di studenti del 1989, con le decorazioni di cioccolato a forma di tank, per farlo immediatamente eliminare dagli schermi dei telefonini cinesi. La strage di Tiananmen è argomento tabù in Cina: le nuove generazioni ignorano perfino che sia avvenuta. La tolleranza zero per il ricordo di quelle proteste (non si conosce neanche il numero dei morti, da mille a 4mila) è pari a quella sul covid imposta dal dittatore Xi Jinping. Cosicché ora il povero Austin Li, silenziato sui social ma - pare - ancora libero, è sottoposto a comiche indagini: quale pasticciere ha confezionato la torta-gelato? La sua comparsa nel video è stata intenzionale, o solo una coincidenza?
 
In ogni caso, la clamorosa censura ha spinto questa settimana milioni di giovani cinesi a chiedersi cosa sia successo.  Ottenendo così il risultato opposto a quello sperato: ora sono in molti di più a sapere di piazza Tiananmen e dei carri armati che uccisero gli studenti che chiedevano libertà.
Mauro Suttora

Wednesday, June 08, 2022

Il macho slavo in guerra da 30 anni

Ma cos'hanno certi maschi slavi? Il maschilismo che diventa militarismo.
Per noi europei da mezzo secolo sono inconcepibili attrezzi trogloditi come carri armati, cannoni, fucili, bombe. Confini da espandere, frontiere da difendere, aerei civili da abbattere (Donbass, 2014).

La guerra. Come in Croazia, Serbia, Bosnia, Kosovo 30 anni fa. Oggi Russia e Ucraina.
"A est di Trieste cominciano i quartieri bassi del mondo", mi disse sconsolato Luttwak nel 1992, commentando gli eccidi di Sarajevo.

I film di Kusturica hanno reso comica, quasi surreale, la ferocia. E oggi fra orti e galline sono russi e ucraini a sgozzarsi. Eppure sono slavi anche Havel e Kundera, la civilissima separazione fra Boemia e Slovacchia, i ragazzi nonviolenti di Belgrado che nel 2000 cacciarono Milosevic.

E allora?
Putin è il massimo esemplare dell'arroganza del maschio slavo. Ma l'antropologia forse spiega più della politica. Perché assistiamo attoniti a un tale ritardo di civilizzazione, a 80 anni di sfasamento temporale fra Europa occidentale e orientale?

Azzardiamo un'ipotesi sommaria: distinguiamo tra slavi ex asburgici di religione cattolica e gli ortodossi sottomessi agli imperi ottomano e zarista. Classificare i primi come aderenti alla civiltà occidentale e gli altri a quella orientale, più rude, significa procedere con l'accetta. Ma chi attraversa i Balcani impara subito a riconoscere la linea di faglia fra la mitteleuropea Croazia e il sud levantino.

Il cibo del macho, poi. Troppo testosterone causato da alimentazione eccessivamente proteica? I danni dell'etilismo?
Nel 1992 andai per il settimanale Europeo con Gianfranco Moroldo, il leggendario fotografo della Fallaci, in un convento di francescani croati che fronteggiavano col mitra i serbi della 'kraina' di Knin. Le kraine erano isole di territorio al confine ottomano che gli asburgici avevano riempito di soldati serbi, fra i pochi in grado di opporsi alle crudeltà turche.
"Non portarmi mai più in posti così", mi intimò Moroldo, "ho visto guerre in tutto il mondo ma mai schifose come questa. Cominciano a spararsi alle cinque del pomeriggio, quando sono ubriachi. Non voglio crepare per un proiettile vagante".

Insomma, a voler spiegare le ragioni della bellicosità di certi maschi serbi bosniaci e russi (o neonazi ucraini del battaglione Azov) si finisce in luoghi comuni e generalizzazioni. Ma non possiamo neanche concedere dignità geopolitica o strategica ai capataz responsabili di Srebrenica trent'anni fa, e che in queste ore stanno apparecchiando nuove stragi fra i civili di Donetsk. Sono solo casi umani. C'è una enorme questione di genere da quelle parti: "Non ci interessano russi o ucraini, lasciateci solo vivere in pace", è il lamento straziato di una donna del Donbass. Di tutte le donne.

Mauro Suttora

Friday, June 03, 2022

Di Johnny Depp vs Amber Heard interessa tutto tranne il processo

Un derby fra due opposte ed estreme idee del mondo, cioè un circo, uno zoo, una commedia, un film. È successo in Virginia, se fosse stato in California probabilmente l'esito sarebbe stato l'opposto. Ma in definitiva, il verdetto è solo l’accidente finale

di Mauro Suttora

HuffPost, 3 Giugno 2022

Naturalmente è stato tutto, tranne che un processo. Circo, zoo, film, fiction, teatro, tragicommedia. Impareggiabile entertainment, comunque. I due attori hanno recitato bene, Johnny Depp è apparso ragionevolmente contrito e ha vinto. La sua ex Amber Heard, nota per il film "Come ti ammazzo l'ex", dovrà pagargli dieci milioni di risarcimento e cinque di spese. Lui, controquerelato per diffamazione, è stato condannato a sua volta a due milioni. 

Lo ha deciso una giuria popolare della Virginia, e non è un particolare da poco. Heard sperava che la causa fosse trattata a Hollywood, o comunque in California, dove i giudici sono abituati ai processi fra celebrità. Invece un piccolo particolare ha inceppato i calcoli: il server del quotidiano Washington Post, che ha pubblicato l'articolo di Amber ritenuto offensivo da Johnny, sta in Virginia, vicino a Washington.

Così la gran carovana di tv e giornali ha dovuto spostarsi per due mesi in un tribunale di provincia. E lì c'è l'America profonda, quella che detesta profondamente il movimento femminista #MeToo di cui Amber è vessillifera. Anche nell'articolo incriminato lei non si è mai abbassata a scrivere il nome di Johnny. Se è stata picchiata, insultata, abusata, lo è stata in quanto donna: una di milioni di donne vittime di violenze domestiche.

Quindi i giurati hanno sentenziato su fatti precisi e circostanze aggravanti o esimenti. Ma il loro giudizio è stato subito trasformato in bandiera politica, da una parte e dall'altra. La sinistra, il partito democratico, le donne (molte) sono deluse e (alcune) scandalizzate: a cinque anni di distanza dallo scoppio del caso Weinstein, il produttore geniale ma porco che ha violentato e abusato decine di attrici, la giustizia ha dato ragione a un maschio accusato di essere un altro porco. Né consola la sentenza d'appello che ha appena confermato la sentenza stratosferica per Weinstein: 23 anni di carcere per una singola violenza (ora arriveranno a giudizio le altre). 

Dal lato opposto della barricata ideologica festeggia la destra, il partito repubblicano, i maschi trumpiani esacerbati da un lustro di Metoo: "Anche io" sono stata menata, ha accusato Amber Heard. Ma ha perso. Goduria doppia per i maschilisti dell'Oklahoma, leggendari quanto i nazi dell'Illinois.

Perché la povera Amber ai loro occhi rappresenta la summa di tutto il detestabile: non solo fa la vittima e la pittima con Johnny, ma si è pure dichiarata lesbica. Non c'è manifesto lgbtq degli ultimi dieci anni che non abbia firmato. E in barba alla sua sventolata bisessualità è stata pure con Elon Musk. Il quale magari simpatizza per Trump, visto che ha comprato Twitter per togliere la censura che ha colpito l'ex presidente. Ma è comunque un miliardario, anzi il più ricco del mondo. Quindi pessimo, come tutte le élites.

Tutto è stato già scritto sul paradiso/inferno in cui sguazzano i vip dello spettacolo Usa. Adorati e disprezzati, gli spettatori aspettano solo che si svelino i loro fiumi di alcol, nuvole di coca, perversioni private. 

C'è un settimanale divertentissimo, il National Enquirer, specializzato in mostrare la cellulite sulle cosce delle attrici più belle del mondo. Il suo editore fu l'unico negli Stati Uniti a fare endorsement per Trump nel 2016. Poi è stato accusato di ricatto da Jeff Bezos (Amazon, Washington Post) e dal figlio di Woody Allen, Ronan Farrow, massimo accusatore di molestatori e predatori sessuali. 

Ecco, il processo Depp/Heard appartiene alla 'gutter press', la stampa della fogna che vende tanto alle casse dei supermercati. Che poi i giurati siano stati scrupolosi e ci abbiamo messo ben tre giorni per arrivare a una sentenza la più equa possibile, è secondario. Nessuno dei tifosi di Johnny e Amber ha cambiato idea dopo il verdetto. Perché non era un processo, era una corrida.

 

Sunday, May 29, 2022

L'unica cosa che unisce Emma Bonino e Beppe Grillo

Accomunati dalla sospensione delle delibere e dalla battaglia con pignolissimi avvocati, entrambi subiscono l'odio degli ex

di Mauro Suttora

HuffPost, 29 maggio 2022


Emma Bonino e Benedetto Della Vedova come Beppe Grillo e Giuseppe Conte? I partiti Più Europa e M5s sono agli antipodi, ma ora condividono una caratteristica: la sospensione delle loro delibere. Il Tribunale di Roma ha infatti congelato due assemblee nazionali di +Europa, in attesa di una sentenza sul merito della causa intentata da un dirigente locale, l'avvocato Alexander Schuster di Trento. Proprio come un anno fa i grillini erano stati bloccati per le irregolarità statutarie denunciate da un altro pignolissimo avvocato, il romano Lorenzo Borrè.

Entrambi coltivano l'odio degli ex e sono riusciti a far intervenire i magistrati nella vita dei loro partiti, una volta off limits rispetto a intromissioni esterne (probabilmente nessuna formazione politica rimarrebbe indenne se sottoposta a scrutini su signori delle tessere, anime morte iscritte a loro insaputa e manovre correntizie). 

Del caso +Europa abbiamo scritto un anno fa. Non c'erano differenze politiche, di sostanza, ma contestazioni di forma: tessere sospette e opposizione della privacy a chi chiedeva di consultare gli elenchi degli iscritti. Di qui la causa intentata da un gruppo di aderenti. Otto sono stati tacitati con 57mila euro versati a una loro nuova associazione politica, e l'hanno ritirata. Ma è bastata la persistenza di due dei ricorrenti, il pugnace Schuster ed Elvis Colla, per arrivare all'ordinanza appena pubblicata. 

Nel frattempo, politicamente le cose sono andate avanti. Il partito di Bonino e del sottosegretario agli Esteri Della Vedova si è alleato con Azione di Calenda: si presenteranno assieme alle prossime politiche. I sondaggi li danno, uniti, al 4-5%. Ma rimane la zeppa ficcata da Schuster alla base di alcune delibere di +Europa, fra cui quella che indiceva il congresso, accusate di nullità perché frutto di assemblee convocate con cinque giorni di anticipo invece di otto.

Un cavillo, che però potrebbe costringere, in caso di sentenza sfavorevole, addirittura a ripetere il congresso per rieleggere il segretario Della Vedova e il presidente Riccardo Magi, così come il M5s ha dovuto rifare il voto online che consacrò Giuseppe Conte alla sua guida.

Insomma, liberaldemocratici o populisti, i piccoli e grandi partiti italiani rimangono vittime della loro litigiosità interna. Al cui confronto perfino gli avversari esterni appaiono meno insidiosi e più inoffensivi. In fondo, anche Dante non fu esiliato e condannato a morte dai nemici ghibellini, ma dai suoi ex amici guelfi neri.

Mauro Suttora

 

Monday, May 23, 2022

Perché per farsi leggere in Italia bisogna mettere la cacca nel titolo

Con un altro titolo era passato inosservato, poi è diventato "Crimini e misteri da risolvere mentre fai la cacca" (Newton Compton) ed è un successo

di Mauro Suttora

HuffPost, 23 maggio 2022 

Il successo del libro 'Crimini e misteri da risolvere mentre fai la cacca' (ed. Newton Compton) spiega molto della nostra società, della nostra informazione, e anche della nostra politica. Il medesimo manuale di Diane Vogt fu pubblicato nel 2006 con il titolo 'Crimini e misteri per la stanza da bagno', ma era passato inosservato. All'editore è bastato aggiungere la parola cacca per vendere 10mila copie in quest'ultimo mese, e primeggiare in classifica.

Il contenuto è lo stesso: 65 casi da risolvere, brevi gialli anche di una pagina sola. Il titolo originale profumava di Agatha Christie: "The Little book of bathroom crime puzzles". Un simpatico passatempo, che però in Italia ha avuto bisogno di un involucro maleodorante per farsi notare. Non per nulla in queste settimane spopola anche il volume "La sottile arte di fare quello che c***o ti pare". Chissà quante copie in più avrebbe venduto "La noia" di Moravia con il titolo "Che palle". E vien voglia di riproporre "Una questione privata" di Fenoglio come "Quella troia di Fulvia".

Nulla di nuovo, certo. "Il bambino prova gran piacere nel dire le parolacce: ne coglie al volo l'effetto dirompente e dissacratorio, le reazioni che provocano attorno a lui. L'impulso immediato è quindi a ripeterle", ci ha spiegato la psicologa Silvia Vegetti Finzi. Il fascino irresistibile della pornolalia non conosce confini. Chi ricorda il cantante Country Joe? Nessuno. Eppure fu lui a inventare il momento più memorabile del festival rock a Woodstock, quando incitò la folla a compitare urlando lo spelling della parola "fuck".  

Io provai il primo brivido del proibito quando da bimbo vidi la gioiosa scritta "W la fregna!" sul muro davanti alla nostra chiesa di San Timoteo a Termoli (Campobasso). Chiesi lumi a mia madre che mi trascinò via per mano, frettolosa: "Ma niente, è una volgarità". Uguale scandalo qualche anno dopo, al primo "cazzo!" udito pronunciare da un giovane vicino di casa: "Che vergogna, che maleducato!" 

Nel 1982, alla Scuola di giornalismo, lo psicanalista Franco Fornari lodò un titolo uscito quel giorno su Repubblica: "I marines penetrano in Beirut insanguinata". "È perfetto, perché evoca il rapporto sessuale e il mestruo".

Da allora, per lavoro anch'io ho dovuto inventare titoli attraenti (chissà perché oggi si usa l'inglesismo attrattivi). E quindi giù con eufemismi, metafore e giochi di parole, per guadagnare l'attenzione dei distratti lettori senza sconfinare nella volgarità. Un mio direttore, chissà perché, si era innamorato dell'aggettivo "toccante", lo infilava ovunque (e sottolineo il subliminale 'infilare', per i sessuomani). 

È scientifico, è provato: "cacca" e altri richiami coprofili fanno vendere più copie, alzano l'audience. Gli esperti dell'enciclopedia Treccani spiegano così la faccenda: "L'uso e l'abuso di termini a contenuto erotico, sessuale e genitale sono una mentalizzazione dell'istinto che si realizza a livello verbale per dare rinforzo e potenziamento di significato nel rapporto comunicativo". 

In politica, furono gli yippies Usa a sdoganare la volgarità nel 1968, quando sulle orme di Lenny Bruce candidarono presidente un maialino contro Nixon. Poi, nel 1981, il commediante francese Coluche (figlio di un immigrato frusinate, Colucci) sfidò Giscard e Mitterrand con lo slogan tricolore "blu, bianco e merda". Ma il record mondiale, sempre opera di un comico, è italiano: il partito del Vaffa ha preso un incredibile 34% solo quattro anni fa. Certo, i grillini oggi sono passati dallo "sputo in faccia a Berlusconi" di Paola Taverna agli azzimati Conte e Di Maio, ma stazionano tuttora al governo.

Perché l'oscenità porta voti? "Perché è un linguaggio molto vicino al corpo e alle sue funzioni. Evoca impressioni tattili, olfattive e uditive che esprimono pulsioni infantili, specie anali e genitali, infrangendo tabù intoccabili: il sacro, il sesso, gli escrementi", psicanalizza la Treccani. 

Chi è attratto dal libro della Vogt, dagli estremismi 5 stelle o dalle risse dei talk tv, insomma, più che un alpino fuoriuscito dalla caserma e approdato al raduno di Rimini, può essere definito come un inguaribile adolescente: "È quella l'età delle trasgressioni e dissacrazioni, in cui il linguaggio aggressivo rappresenta forza, coesione e convalida della propria identità".

Mauro Suttora 

Saturday, May 21, 2022

Che cosa farà Berlusconi nel prossimo decennio? (lamento di un liberale)



Quasi trent'anni dopo la Rivoluzione liberale rimane la fascinazione per quel ceffo di Putin. Pannella saggiamente scappò, non tutti gli elettori possono farlo

di Mauro Suttora

HuffPost, 21 Maggio 2022

Mahathir Mohamad è stato premier malese fino a 94 anni, De Valera presidente d'Irlanda fino a 91, Adenauer lasciò a 90 la guida dei dc tedeschi. Cosa farà quindi il giovanotto 85enne Berlusconi nel prossimo decennio, visto che sua madre era lucidissima a 95 anni? 

In barba a Crozza, vediamo Silvio pimpante. Sul palco di Treviglio (Bergamo) è apparso a sorpresa, affiancato da due corazziere: la quasimoglie Fascina e la quasibadante Ronzulli. E lì ha detto che sente "di nuovo il dovere di esserci, come nel 1994. Sono preoccupato per la guerra in Ucraina e per il comunismo in Cina. Scendo in campo per la terza volta".

Benissimo. Ritorno al futuro. Putin lo ha "deluso". Non lo definisce più "profondamente liberale" come nel 2015, dopo che il tiranno russo invase Crimea e Donbas. Ma più che condannare lui critica tutti gli altri, da Biden a Stoltenberg, che lo insultano invece di trattare. E l'Ucraina invasa? "Deve accettare le proposte di Mosca". "Putin liberale? Forse Berlusconi lo avrà letto nei copioni di Mediaset", insinua Giuliano Urbani, fondatore di Forza Italia. 

Cento anni fa, nel febbraio 1922, Piero Gobetti fondò 'La Rivoluzione liberale'. Oggi a Napoli i liberali berlusconiani hanno Ron Moss, il Ridge di Beautiful, ospite d'onore alla loro kermesse di Napoli. Ha promesso Forza Italia: "Per facilitare la presenza di tutti, famiglie comprese, il partito metterà a disposizione babysitter e dogsitter per gli amanti degli animali". Gobetti lottava contro Mussolini. Oggi lottano fra loro Mariastella Gelmini e Licia Ronzulli per il dominio in Lombardia. 

La rivoluzione liberale. Alla sua prima discesa in campo, nel 1994, Berlusconi riuscì a convincere il 34% degli italiani che l'avrebbe fatta. Il primo a crederci fu Pannella, ma fu anche il primo a scappare pochi mesi dopo, incassata la nomina di Emma Bonino a commissaria Ue. 

Noi liberali, che ci accontentiamo di poco anche perché il Pli non andò mai oltre il 4%, non speravamo in una rivoluzione. Ci sarebbe bastato un po' di stato di diritto e di pareggio di bilancio. Ci allarmammo quando Berlusconi mise Tremonti ministro dell'Economia invece dell'economista liberista Antonio Martino. Ma restammo fiduciosi.  Invece sono passati trent'anni. E l'unico che ha fatto qualcosa di liberale è stato Bersani con le sue 'lenzuolate' del 2007. 

Ora Silvio c'è, ancora, anche se boccheggia sotto il 10%. Chi nel centrodestra vuole evitare populismi e sovranismi sarà costretto a votare di nuovo per lui. Sperando che in Forza Italia prevalga, se non il liberalismo, almeno il buon senso pragmatico di una Mara Carfagna. Noi liberali abbiamo a disposizione anche Calenda e Bonino. Poca roba, inutile illudersi. Ma la più grande, anzi immensa delusione di questo terzo di secolo, è stata il berlusconismo. Ieri catodico, oggi neanche più quello: nei talk Mediaset imperversano putiniani e saltimbanchi. Forse catatonico, e senza offesa per Silvio: ci sembra più vispo lui dei suoi luogotenenti.

Mauro Suttora 

Thursday, May 19, 2022

“Conte vuol far cadere il governo per andare subito al voto”

CAOS 5 STELLE 

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 19 maggio 2022

Grillo e Conte sono su posizioni antitetiche sulla guerra in Ucraina. L’ex capo del governo sarebbe tentato di andare subito alle elezioni Ennesima di una serie infinita di spaccature nel Movimento 5 Stelle. Questa volta è la guerra in Ucraina a motivarla. Sul suo blog Beppe Grillo ha ospitato un articolo dell’ex ambasciatore Torquato Cardilli che attacca decisamente Nato e Onu. Ovviamente, essendo il M5s parte di un governo che sostiene apertamente l’Ucraina, questa “bravata” li ha messi in difficoltà: è stato detto che il blog di Grillo è un blog personale che non rispecchia le vedute del Movimento. 

Ciliegina sulla torta è stata l’elezione di Stefania Craxi a nuovo presidente della commissione Esteri di palazzo Madama al posto del grillino Vito Petrocelli: ha ottenuto 12 voti contro i 9 dell’altro cinque stelle Ettore Licheri. Risultato che ha mandato su tutte le furie Giuseppe Conte che ha parlato di “nuova maggioranza di governo” che li ha esclusi. Ne abbiamo parlato con Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost e profondo conoscitore del M5s. 

Conte continua a dire di no all’invio di nuove armi in Ucraina mentre sul blog di Grillo appare un articolo  contro Nato e Onu. Ma Grillo è il garante del M5s o no? Con Conte si parlano ancora?

Premettiamo che stanno litigando sul nulla. È del tutto irrilevante che noi mandiamo armi in Ucraina, leggere o pesanti che siano. Gli ucraini sono abbondantemente riforniti da Usa e Gran Bretagna, non hanno certo bisogno dei ferrivecchi che gli sbologniamo noi. Quando verrà tolto l’assurdo segreto imposto sul tipo di armamenti inviati ce ne renderemo conto. Gli unici mezzi utili sarebbero i blindati Lince, Centauro e Puma. Ma simbolicamente è importante capire chi sta dalla parte dell’Ucraina e chi strizza l’occhio a Putin. Quanto al blog di Grillo, è coerente con la storia dei 5stelle, che si sono sempre opposti all’Occidente, preferendo semi dittature del Terzo mondo come Venezuela o Iran. È Di Battista, e non Di Maio, quello più in sintonia con la base grillina. 

Conte cosa vuole fare con il governo, rompere sulla questione armi?

Visti i sondaggi, con la maggioranza degli italiani contrari all’aumento delle spese militari, Conte potrebbe essere tentato a far cadere il governo e provocare un voto anticipato in autunno, per incassare i consensi pacifisti. I grillini infatti sono gli unici a dire no all’aumento.

In seguito alla elezione di Stefania Craxi come nuovo presidente della commissione Esteri di palazzo Madama, i cinque stelle hanno indetto un “consiglio nazionale straordinario”: cos’è? Come funziona?

Le invenzioni statutarie grilline non interessano più nessuno. I loro organi vengono sempre annullati da sentenze che danno ragione ai dissidenti di turno. Conte vuole solo drammatizzare la rottura della maggioranza.

Conte non ha torto quando dice che il M5s almeno in parlamento rappresenta la maggioranza degli italiani. Può esserci una maggioranza alternativa? Secondo Conte si sarebbe appunto creata sulla Craxi: “Registriamo che di fatto si è formata una nuova maggioranza da FdI a Iv”, ha detto. Li costringerà a uscire da governo?

Il 32% conquistato dai grillini nel 2018 è preistoria. Quei 300 parlamentari si sono ridotti a 200, ovvero solo il 20% del totale. Altro che maggioranza. Il problema è che i cento grillini fuoriusciti sono quasi tutti all’opposizione di Draghi, quindi se Conte esce dal governo Draghi cade. A meno di sorprese come Di Maio che potrebbe restare al governo trascinando con sé un altro centinaio di parlamentari, rompendo col M5s.

A che percentuale è dato oggi il M5s?

Il 13% mi sembra attendibile.

Stefania Craxi, neopresidente commissione Esteri  ha detto: “La politica estera di un grande Paese come l’Italia, per ragioni valoriali e culturali, ancor prima che storiche e geopolitiche non può non avere chiari connotati atlantici, un atlantismo della ragione che non ammette deroghe ma non accetta subalternità”. Come commenti?

Parole ragionevoli. Ma basta il suo cognome per renderla indigeribile ai grillini.

Finora abbiamo visto i 5 Stelle come dipendenti dalla poltrona. Non è possibile che Conte, alla luce della situazione di difficoltà del governo (stallo di Draghi, energia, imprese, stagflazione, etc.) pensi anche lui che prima si va al voto, meglio è? Dunque prima del ’23?

Sì. Anche per altri tre motivi. Primo, il logoramento del suo gradimento personale, crollato dal 60% di quand’era premier al 30%. Secondo, la sua incapacità di mettere assieme il governismo di Di Maio con il movimentismo di Di Battista. Terzo, l’approssimarsi del voto locale il 12 giugno, e soprattutto delle regionali siciliane in autunno. Per i grillini saranno bagni di sangue, ne usciranno distrutti. Quindi meglio incassare seggi in Parlamento il più presto possibile, prima di affondare sotto il 10%.

Tuesday, May 17, 2022

Non capiamo Putin perché è fuori dalla politica

La spiegazione in un libro di Pino Polistena


di Mauro Suttora


HuffPost, 18 maggio 2022


Perché facciamo tanta fatica a comprendere Putin?

"Perché in Russia la forma del potere è incarnata da un uomo che da 23 anni gestisce insieme politica ed economia in un intreccio perverso. Ma Putin agisce fuori dalla politica, la annulla".

Pino Polistena ha appena pubblicato 'Politica, questa sconosciuta' (ed. Mimesis). Libro che, come sintetizza nella sua prefazione postuma Giorgio Galli, il politologo scomparso un anno fa, definisce la politica come categoria del 'Tutti/nessuno'. Ovvero: tutti hanno diritto di voto, ma nessuno deve elevarsi su questi Tutti con un potere eccessivo.

Polistena, professore di filosofia, preside a Milano (licei Gandhi, Manzoni, Mile School) e coordinatore dei Verdi negli anni '90, spiega: "Le azioni di Putin non rientrano nella politica perché non sono conformi alla categoria del Nessuno, che modera e limita il potere".


Naturale quindi che, in un contesto di annullamento della politica, la molla principale di Putin diventi il nazionalismo: "Le realtà nazionali in certi momenti storici degenerano in questa forma di tribalismo moderno.

Il nazionalismo sostituisce le categorie inclusive Tutti/Nessuno con quelle Noi/Loro. E sono tanti i regimi autocratici scivolati in conflitti che alla fine li hanno distrutti.

"Il nazionalismo attiva la dinamica del capro espiatorio meglio di qualunque altra ideologia", continua Polistena, "perché contrappone le identità nazionali e spiega i disagi interni con la malvagia volontà di altre nazioni. Da qui il delirio interventista, il quale supera come un fiume in piena le deboli forze internazionali che svolgono un'autentica attività politica".


Putin ha resuscitato la guerra fra stati in Europa, che pensavamo scomparsa da 80 anni.

"La ferocia dei rapporti fra gli stati è sostenuta dalle arcaiche categorie Noi/Loro, presenti nei gruppi umani a tutte le latitudini. La struttura tribale dell'essere umano, depositata nel fondo della sua mente, può riemergere sempre. Richiede filo spinato, muri e confini, in un illusorio tentativo di difesa che riproduce il bisogno atavico di ripararsi da una tempesta vera o presunta".


Polistena indica una via d’uscita: la comprensione della politica con le sue categorie, senza le quali la democrazia non può svilupparsi ed evolvere.

"Le forme democratiche trovano proprio nella nazione il campo dove potersi sviluppare".

Come?

"I processi nazionalisti sono molto potenti e possono essere controllati solo da istituzioni politiche funzionanti, ma il fenomeno è circolare: nascono proprio perché le istituzioni mancano. Quando la politica non può svolgere il ruolo coesivo che le è connaturato, lascia ai nazionalismi il compito di farlo. Le tendenze sovraniste scattano nei momenti di disagio".


È quindi evidente che neanche le nostre democrazie rimangono immuni da derive scioviniste: in Italia e Francia i populisti di destra e sinistra rasentano la maggioranza assoluta, negli Usa Trump guida ancora i repubblicani.

Ma Polistena rimane ottimista: "Dobbiamo incamminarci sulla difficile strada di Erasmo, Voltaire, Kant. La stessa di Gandhi e Mandela, le grandi anime emerse dalle macerie del Novecento. La strada delle forme e della politica riconosciuta".

Mauro Suttora

Monday, May 02, 2022

La vera storia del padre di Hitler



Il ministro degli esteri russo Lavrov ha detto in una intervista a Rete 4 che "anche Hitler aveva origini ebraiche". Ma sul padre del Führer sono stati scritti interi libri

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 maggio 2022 

Non c'è nulla di nuovo nella sparata di Lavrov ("Anche Hitler, come Zelensky, aveva origini ebraiche"), ma è singolare che il ministro degli Esteri russo si riduca a raccattare speculazioni su siti complottisti e neonazi.

Sono stati scritti infatti interi libri sul padre del Führer, il doganiere Alois Hitler (1837-1903), nato col cognome Schicklgruber nel paesino austriaco di Dollersheim. Cambiò il cognome in Hiedler e poi in Hitler soltanto nel 1877: appena dodici anni prima che nascesse Adolf, frutto del suo terzo matrimonio con l'ex donna di servizio Klara Polzl.

Questa girandola di nomi deriva dal fatto che Alois era figlio di N.N. Sua madre Maria Anna Schicklgruber, povera contadina, iscrisse il padre di Adolf all'anagrafe parrocchiale dandogli il proprio cognome. Lei, ormai quarantenne e nubile, nel 1836 era cuoca presso la ricca famiglia ebrea Frankenberger di Graz. E il rampollo 19enne di Frankenberger potrebbe aver messo incinta la donna. Di sicuro il padre pagò a Maria Anna, tornata al paese natio, un assegno di mantenimento per il piccolo Alois fino al compimento dei 14 anni. Perché? Per tacitare uno scandalo? 

 La ricostruzione, da prendere con le molle, è opera di Hans Frank, avvocato personale di Hitler, poi ministro della Giustizia del Terzo Reich e infine governatore della Polonia occupata, dove sterminò milioni di ebrei. Per questo Frank fu condannato a morte nel 1946 al processo di Norimberga e giustiziato. Prima di essere impiccato scrisse un memoriale di mille pagine pubblicato nel 1953 e conservato oggi a Gerusalemme, nel museo dell'Olocausto.

 Fu lo stesso Hitler nel 1930 a ordinare a Frank di indagare sulle proprie origini, perché era vittima di un ricatto da parte del figlio del proprio fratellastro: questi lo minacciava di rivelare che il suo sangue era per un quarto ebraico. Scandaloso, per il campione dell'antisemitismo. 

Quando Frank gli riferì il risultato delle ricerche genealogiche, il dittatore si mise a strepitare: «Non è vero! Mio padre mi rivelò di essere figlio di Georg Hiedler, un mugnaio che mia nonna sposò cinque anni dopo. Sì, lei lavorò dai Frankenberger, ma questi la pagarono soltanto perché la Schicklgruber li ricattò, fingendo che il padre fosse il giovane Frankenberger».

 In realtà sono ben tre i nonni possibili di Adolf Hitler: l'ebreo Frankenberger, Hiedler o Johann Huttler, il fratello più agiato di Hiedler che allevò Alois. Non stupisca la differenza di cognome tra i fratelli: le anagrafi di campagna in quell'epoca non erano un modello di precisione. Entrambi i cognomi comunque destavano sospetti in un antisemita perché derivanti, come il più diffuso Hutter, dalla comune radice ebraica "hut", "cappello".

In ogni caso Hitler si vergognava di suo padre, di sua nonna e di Dollersheim. Non voleva che la sua "patria ancestrale" si trasformasse in luogo di pellegrinaggio, ma soprattutto che qualcuno scoprisse la sua imbarazzante genealogia. Per questo nel 1938, subito dopo l'Anschluss dell'Austria, fece evacuare Dollersheim.

 La scusa fu che c'era bisogno di un campo d'addestramento. Ma Hitler in realtà voleva distruggere quel paese. Un'enorme area di 24mila ettari venne requisita, settemila contadini furono cacciati. Arrivarono panzer, Ss e bandiere con la svastica. La zona fu trasformata in un immenso poligono di tiro: la più grande area di esercitazioni militari del Terzo Reich. Poi i sovietici occuparono quella parte di Austria 150 km a nordovest di Vienna. Ma anche dopo che se ne andarono nel 1955, e fino a oggi, l'area è rimasta in mano ai militari austriaci per le loro manovre.

Mauro Suttora

Wednesday, April 20, 2022

Neanche San Chomsky fa il miracolo: l'Ucraina frantuma la sinistra radical

di Mauro Suttora

Le armi a Kiev dividono famiglie storiche: Anpi, sindacato, ex e post comunisti. Ora il loro totem divide anche i no global. Convergenze rossobrune

HuffPost, 20 Aprile 2022

Oltre alle macerie dell'Ucraina, ecco quelle della sinistra. Oggi il 93enne Noam Chomsky, nume dei sessantottini libertari nella trinità Marcuse-Chomsky-Illich, dice al Corsera che "Zelensky dimostra grande coraggio e integrità nel guidare la resistenza ucraina, eroica e pienamente giustificata contro l'aggressione omicida" di Putin. Non condona il suo bersaglio storico, gli Stati Uniti, ma prende posizione netta. Invece metà sinistra, in Italia e nel mondo, accusa anche Usa e Nato, e soprattutto è contraria a mandare armi all'Ucraina.

Famiglie ideologiche come quella di Lotta Continua si spaccano: Erri De Luca, Manconi, Lerner e Sofri con gli ucraini armati; Guido Viale, Liguori e Capuozzo assai dubbiosi. E anche dentro l'Anpi un'invalicabile linea di faglia separa il presidente Pagliarulo dal presidente onorario Smuraglia.

A peggiorare le cose e a sparigliare le carte, poi, c'è l'oggettiva convergenza rossobruna. I fascisti sono quasi tutti putiniani, anche se qualche movimentista di Casa Pound è partito per combattere al fianco degli ucraini. E pure gli estremisti di sinistra, da Fratoianni a Rizzo, detestano Zelensky. Attore come Reagan.

Eppure Putin non è una bestia nuova. Prima di lui, trent'anni fa, per primo il presidente serbo Milosevic assommò in sé il nazionalismo di estrema destra e l'eredità del comunismo titoista. Cosicché gli orfani dell'Urss si trovarono a fianco dei fascisti nel condannare le bombe Nato sulla Serbia dopo la strage degli 8mila bosniaci a Srebrenica (1995) e la tentata pulizia etnica su 800mila kosovari (1999). Scatenata pure la Lega: "Meglio Milosevic di Culosevic", fu il fine slogan omofobo di Bossi contro i radicali di Pannella e Bonino, che proprio in quegli anni '90 inventarono il Tribunale internazionale per i crimini di guerra.

Poi arrivò il movimento noglobal contro il neoliberismo (Seattle 1999, Genova 2001), e l'imbarazzante alleanza fra opposti estremismi si replicò. Dai fascisti anni '80 di Terza Posizione arrivava la polemica terzista contro le élites cosmopolite mondialiste: "Abbasso il comunismo, ma anche il capitalismo liberale". A loro si sommava la sinistra antagonista di centri sociali ed ex autonomia, fino a tute bianche, anarchici insurrezionalisti e black block. E anche nei noglobal si inserivano i leghisti, con il localismo delle piccole patrie, e perfino una spruzzatina di ecologia (il mito del km zero contrapposto ai container in arrivo dalla Cina). 

L'antiamericanisno rossobruno riesplode nel 2003 contro l'invasione bushiana dell'Iraq, e nel 2011 contro la nofly zone di Obama in Libia. Sono questi, ancor oggi, i caposaldi della propaganda putiniana: "Biden vuol far fare a Putin la fine di Saddam e Gheddafi". 

Ma gli anti-Usa a prescindere accusano Washington sia quando interviene, sia quando non lo fa: i cospirazionisti di destra e sinistra infatti riescono ad addebitare a Obama e a Hillary anche il mancato intervento in Siria nel 2013. Nel frattempo nascono i grillini in Italia, i trumpiani negli Usa. E inventano un complotto ancor più spericolato: gli Usa avrebbero addirittura "creato", o almeno favorito, l'Isis. Sconfitto poi dall'ottimo Putin.


Il problema è che tutte queste fantasie, fino a vent'anni fa confinate nei deliri di qualche rivista o sito complottista, sono diventate maggioritarie nel mondo libero: in Usa con la vittoria di Trump (2016), in Italia con i gialloverdi (2018), in Francia una settimana fa con Le Pen, Zemmour e Melenchon, i quali sommati superano il 50%. Infine due anni di rivolta novax, nomask, nolockdown, nopass e notutto hanno centrifugato nostalgici fascisti e comunisti, grillini e leghisti in un rifiuto permanente della realtà, che si è trasferito tal quale (come tutti i rifiuti, di cui Guido Viale è studioso) sull'Ucraina. 

Per cui ora i putinisti fanno le vittime come le pittime di De Andrè, ma il mainstream di cui si lamentano ormai sono loro: lo dimostrano i sondaggi, che li danno in parità (40 a 40%) sulle armi a Zelensky, e in maggioranza assoluta contro l'aumento delle spese militari. 

Alla sinistra in pezzi non resta che sparire (come i comunisti e socialisti greci e francesi) o aggrapparsi a demagoghi tipo Melenchon. Così in Italia, dopo le fallimentari rifondazioni comuniste e liste Ingroia o Tsipras, ora rischiamo un bel poker di rimescolamento Di Battista-Paragone-Orsini-Fusaro. Perché, come cent'anni fa con Mussolini, le estreme si toccano. Dietro la schiena.

Mauro Suttora 

Monday, April 18, 2022

Quando Bob Dylan cantava: "Attendono tranquilli che il bullo si addormenti..."



Dal premio Nobel, oltre a "Blowin' in the wind", parole dure e taglienti contro tutti i Signori della guerra. E quelli che restano a guardare

di Mauro Suttora

HuffPost, 18 Aprile 2022

"Spero che moriate, e che la vostra morte arrivi presto/
Seguirò la vostra bara nel pomeriggio pallido/
Veglierò mentre vi calano nella tomba/
E starò lì finché sarò sicuro che siate morti".

Questa è l'invettiva che Bob Dylan scagliò contro i 'Masters of war', i Signori della guerra come Putin. Per niente pacifista. Eppure esattamente sessant'anni fa, nell'aprile 1962, il premio Nobel cantò per la prima volta la sua 'Blowin' in the wind' in un folk club di New York. Quello che divenne l'inno della pace cantato in tutti i cortei e le chiese del mondo si limita a porre domande: "Quante volte devono volare le palle di cannone prima di essere proibite per sempre? Quante morti ci vorranno prima di capire che è morta troppa gente?
La risposta, amico mio, soffia nel vento".

Innocua, ecumenica.
 Nello stesso lp, però, Dylan è meno nonviolento e assai più preciso nelle sue accuse:
"Signori della guerra, vi nascondete dietro ai muri e le scrivanie, ma io vedo attraverso le vostre maschere/
Giocate col mio mondo come se fosse un vostro giocattolo, mi mettete un fucile in mano e sparite, vi voltate e fuggite quando le pallottole volano/
Come Giuda mentite e ingannate [...], caricate le armi per far sparare gli altri, poi vi sedete e guardate mentre il conto dei morti sale/
Vi nascondete nei vostri palazzi, intanto il sangue dei giovani scorre fuori dai loro corpi ed è sepolto nel fango".

Il 21enne Dylan è sicuro: "Neanche Gesù perdonerebbe quel che fate". E completa il trittico antimilitarista del disco 'Freewheeling' (A ruota libera) con l'incubo della guerra nucleare 'A Hard rain's gonna fall', Una dura pioggia (radioattiva) cadrà. 

Nel 1964 esce 'With God on our side', Con Dio dalla nostra parte, che oggi può essere dedicata al patriarca ortodosso di Mosca Cirillo, così entusiasta per l'invasione dell'Ucraina: "Se Dio è dalla nostra parte, fermerà la prossima guerra". 

Ma forse la canzone di Dylan che meglio descrive Putin (e i nostri putinisti) risale al 1983, nel disco 'Infidels': 'Neighborhood bully'. Lui la dedicò a Israele, suscitando polemiche, ma è perfetta anche adesso: 

"È circondato da pacifisti che vogliono solo la pace, che pregano perché lo spargimento di sangue finisca/ Loro non farebbero male a una mosca, attendono tranquilli che il bullo si addormenti/ 
È il bullo del quartiere".


Friday, April 15, 2022

Nel circo dei talk spunta un nuovo saltimbanco: il giornalista russo di regime












E mentre gli ospiti in studio rispondono alle loro panzane, i cronisti di Putin sfoderano smorfie sarcastiche, scuotendo la testa meglio di uno Scanzi

di Mauro Suttora 

HuffPost, 15 Aprile 2022

Finché i talk tv invitavano personaggi pittoreschi, pazienza. Da Mauro Corona in su, pare che il folklore faccia audience. E quindi avanti con gli Orsini, le De Cesare, i Freccero. Per alcuni putiniani può starci l'insinuazione o illazione che non lo facciano totalmente gratis, come il figlio del leggendario Teti editore filosovietico del Calendario del popolo. 

Ma è dura trovare contraddittori seri per i dibattiti sull'Ucraina. Al massimo ci si può adagiare su anti-Usa automatici come Vauro, o su anti-Nato di nuovo conio come Travaglio. Insomma, capiamo la difficoltà di chi deve assicurare scintille allo spettacolo del circo tv, senza scivolare completamente nello zoo.

Era quindi sembrata un'ottima idea invitare giornalisti russi, per assicurare un contraddittorio. Perciò l'ottima Gruber si è lanciata in collegamenti con Mosca, e ci sono apparse le facce di croniste anche spigliate, senza la "lingua di legno" degli apparatchik governativi. 

Lilli all'inizio era cordiale, forse in omaggio a una certa sorellanza femminista: "Diamoci del tu, siamo colleghe". Il problema è che loro, quando hanno cominciato a parlare, hanno subito smentito una qualsiasi colleganza. Si sono lanciate nella più pura e noiosa propaganda di regime, senza una minima sbavatura rispetto alle veline del portavoce Peskov. Anzi, è già tanto che non abbiano precisato: "Non mi dia del tu, altrimenti finisco in Siberia". 

Gruber si innervosiva durante i loro comizi, e ha cominciato a trattarle male. Ma cosa aspettarsi da una 'giornalista' della tv del Cremlino Rt (Russia Today), e poi da un'altra che addirittura lavora per il giornale dell'esercito russo? Sarebbe come aver preteso un commento eterodosso dal direttore del Telegrafo dei Ciano sotto il fascismo, o da un qualunque cronista cinese o nordcoreano. Impagabili poi i 'sorrisetti', quelli che Crozza/De Luca imputa ai radicali chic. Mentre gli ospiti in studio rispondevano alle loro panzane, le giornaliste di Putin sfoderavano smorfie sarcastiche, scuotendo la testa meglio di uno Scanzi.

Insomma, a 'Otto e mezzo' si sono accorti della impossibilità di promuovere a commentatrici ascoltabili delle funzionarie di regime. Così ieri sera finalmente hanno invitato una giornalista russa, ma vera: Zoja Svetova, della Novaya Gazeta. L'unico quotidiano indipendente, quindi chiuso da tre settimane. Il suo direttore è premio Nobel per la pace, una sua collega era Anna Politkovskaya, fatta assassinare da Putin nel 2006. E naturalmente Zoja ci ha fatti tornare alla realtà. Ha detto che i sondaggi sulla pretesa popolarità di Putin in Russia sono falsi, "perché nessuno sotto un regime osa dire la verità sul governo". E che l'ucraino Zelensky le sembra un presidente ottimo e coraggioso, in sintonia con il suo popolo. 

Poi ho cambiato canale, e sono capitato su Margelletti di 'Porta a porta'. Chiaramente un tifoso dell'Occidente (anzi, cominciamo a chiamarlo mondo libero, visto che libere democrazie come Giappone, Corea del Sud, Taiwan o Filippine stanno anche in estremo Oriente). Ma è stato liberatorio sentire Margelletti rispondere così a Vespa, che gli chiedeva di "spiegare le due versioni" sull'affondamento della nave russa: "Non esistono due versioni. C'è la versione di Putin, e poi c'è la verità". Più binario di così.

Mauro Suttora 

Monday, April 11, 2022

Anche Venezia per tre secoli ha avuto la sua Ucraina



Facevamo combattere i serbi contro i turchi, come oggi gli ucraini contro i russi

di Mauro Suttora 

HuffPost, 11 Aprile 2022 

U-krajna vuol dire 'sul confine'. E al confine fra la repubblica veneziana e l'impero ottomano, dal 1500 al 1797, c'era la regione Kraina con capolugo Knin, alle spalle di Spalato. Non era l'unica: tre infatti erano le Kraine che separavano i turchi, attestati in Bosnia, dalla Serenissima a ovest e dall'impero asburgico a nord. Funzionavano da 'antemurale', prima del muro: linee di difesa avanzata.  

Inizialmente popolate da croati, austriaci e veneziani accettarono di buon grado una fortissima immigrazione di serbi ortodossi, guerrieri temibili. E loro, spinti dall'odio sia etnico che religioso contro i turchi islamici che avevano invaso la Serbia, li combattevano con pari ferocia.

Venezia non era interessata a conquiste territoriali in Dalmazia. La costa è protetta dalle alpi dinariche, e alla Serenissima bastava il controllo dei porti: Zara, Spalato, Sebenico, Cattaro. Ma le incursioni turche la costrinsero ad ampliarsi all'interno per proteggersi, fino a inglobare la Kraina di Knin e oltre. I trattati di Carlovitz e Passarowitz a inizio '700 fissarono la frontiera dov'è ancor oggi, fra Croazia e Bosnia. Così, proprio mentre nel Mediterraneo Venezia perdeva via via posizioni (Cipro, Rodi, Creta), in Dalmazia ne acquistava, grazie alle guerre per procura combattute dai suoi serbi, lautamente armati (come noi oggi con gli ucraini) e pagati. 

Le enclaves serbe delle Kraine sono sopravvissute fino agli anni '90. Le guerre della ex Jugoslavia hanno provocato pulizie etniche reciproche, finché un'ultima offensiva croata ha fatto piazza pulita dei serbi a Knin nel 1995. 

Si potrebbe dire che anche i russi di Putin hanno fatto da 'antemurali' cristiani contro gli islamisti, combattendoli prima in Cecenia e poi in Siria. Ma questo è un altro discorso.

Mauro Suttora


Saturday, April 09, 2022

'Nuvole sul Mekong', di Alessandra Zenarola

di Mauro Suttora

9 aprile 2022

Alessandra Zenarola ha una scrittura sensoriale: leggendola si sentono odori, sapori, rumori. Attraverso le sue parole si vedono e si toccano cose, persone, paesaggi.

Nel suo bellissimo libro 'Nuvole sul Mekong' (ed. Tabula Fati, 2021) racconta viaggi in cinque Paesi: Cipro, Israele, Malesia, Thailandia e Vietnam. Quasi sempre assieme a un uomo piuttosto misterioso: "La nostra storia è caotica, imprecisa, si svuota e si riempie con la velocità di una barca con un buco sul fondo". L'impressione è che quando tornano in Italia si dicano sbrigativamente 'ciao ciao', come nella canzone di Sanremo, fino al viaggio successivo.

Ad Alessandra piacciono posti "trascurati e privi delle attrattive della modernità. Ai miei occhi emanano un fascino irresistibile".

Per esempio, il minimarket di un villaggio nella Cipro turca "che non esiste sulle carte geografiche": "Nel supermercato fa più caldo che fuori, l'aria è smossa da pale sul soffitto ma è aria torrida. La merce è esposta senza criterio, ciabatte accanto alle uova, l'aranciata vicino allo shampoo. Da ganci piantati sul soffitto penzolano polli così piatti che sembrano li abbiano passati sotto un rullo compressore".

È la vita vera del terzo mondo che la maggior parte dei turisti a pacchetto assaggia solo durante le pochissime ore di libertà concesse nei dintorni dei resort.

"Appena si aprono le porte dell'aereo vengo investita dall'odore inconfondibile della Thailandia, che esiste solo lì ed è diverso da tutti gli altri odori nel resto dell'universo. Di benzina, di incenso, di sterpaglie bruciate, un miasma agrodolce che aderisce come colla agli abiti e ai capelli".

Con l'acribia di un'entomologa, Zenarola descrive bimbi vietnamiti "grossi e rotondi. Non so se siano il nuovo benessere o gli omogeneizzati rinforzati, ma certi neonati sembrano manzetti al pascolo. Gonfi, più che paciocconi".

Sempre a Saigon si concede "una cena in un locale sulla riva del fiume con i camerieri cerimoniosi e il vino nel secchiello del ghiaccio, le candele e la luna che sparisce dietro alle nuvole. Ma ho già nostalgia dei vicoli della vecchia Saigon e dell'osteria casalinga con la cameriera che serve in tavola e intanto chatta sullo smartphone".

Perché Alessandra è così attratta dai vicoli cenciosi? "Un uomo dorme con la testa appoggiata sopra un tavolino pieno di piatti con residui di cibo. Due bambini in mutandine tormentano un gatto che si è accoccolato dentro un vaso. Altri abitanti accovacciati sull'uscio delle case ci guardano con occhi spenti. Domattina ci offriranno frutta fresca, un taglio di capelli o una batteria usata per la Nikon". Sembrano le parole di una canzone di Leonard Cohen.

Ad Ao Nang (Thailandia) "esplode un temporale spaventoso. Non ho mai visto il cielo tingersi di verde, un verde acquoso rigato di lampi arancioni. Fa impressione, è un'immagine abbacinante. Le stradine del villaggio si allagano in pochi minuti. Una bambina in piedi dentro una pozzanghera abbassa le mutandine e fa la pipì, poi le tira su e saltella nell'acqua sporca. Cartelli e merce dei negozi rotolano sui marciapiedi, i gazebo si rovesciano. Dal nulla compare un venditore di ombrelli, ma quando gli passo la banconota da 50 bath e afferro l'ombrello, l'acquazzone è già finito".

La magica aria thailandese: "Toglie il fiato, ha un potere inebriante. Spegne l'energia e lascia intatti solo i desideri".

Malesia: "Il cameriere birmano ti parla in veneto perché ogni capodanno Koh Lipe è invasa da vicentini e padovani".

Il radar di Zenarola capta i casi strani. La padrona di un'osteria "ha l'aria stanca e un occhio appannato dal glaucoma. Dietro a lei arrivano due ragazzetti che apparecchiano il nostro tavolino con tovaglie di carta e posate colore ciclamino".

Non tutto è poeticamente squallido, però: a Cipro Nord "Il sole si assottiglia fino a diventare una lamina color albicocca e tra i cespugli si intravedono spicchi di mare".

È anche un libro autoironico: "Ho mal di stomaco, colpa dei vostri liquori sturalavandini", si lamenta Alessandra in una farmacia turcocipriota di Girne. Unico suo vizio capitale: collezionare magneti per il frigorifero. 

Ed è la prima volta dopo mezzo secolo che leggo la parola 'shake': in un resort israeliano sul mar Morto "mi avvio al night e ballo uno shake anni '60 in mezzo a giovani americani, oppressa da un vago sentore di ridicolo. Il loro accompagnatore col mitra alla cintola beve acqua tonica al bancone, i liceali si stanno sbronzando con cocktail colorati".

Tuesday, April 05, 2022

Chi crederà a Putin se un giorno dovesse dire la verità?



Cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà: ogni giorno ha la sua menzogna

di Mauro Suttora 

HuffPost, 5 Aprile 2022

Ieri, dopo gli eccidi di Bucha, ho fatto un esperimento. Ho scritto su Facebook: "Se sgancerà l'atomica (tranquilli, una piccola, tattica) Putin dirà che sono stati gli Usa. E non pochi disagiati in Italia gli crederanno". I disagiati hanno subito risposto: "È più probabile che lo faccia Biden", "Gli unici a sganciare l'atomica finora sono stati gli americani", "Come le armi di distruzione di massa di Saddam", eccetera. Gran successo sui social per una cronaca quasi minuto per minuto in cui Toni Capuozzo cerca di dimostrare che lo foto di Bucha sono una montatura.

Insomma, le bugie di Putin pigliano. Fin dall'inizio è stato lui a dettare le regole, d'altronde. La sua guerra non è una guerra. L'Ucraina è piena di drogati e nazisti da estirpare, di tradizione ortodossa da salvaguardare e di russi da difendere. L'ultima menzogna, il giorno prima dell'attacco: "Rivendichiamo Donbass e Crimea". E invece invade tutta l'Ucraina.

Il ribaltamento della realtà è proseguito quando le cose si sono messe male. I suoi tank lanciati verso Kiev sono stati inceneriti? "Ora ci riposizioniamo". I suoi missili colpiscono ospedali? "Non c'erano malati, erano stati trasformati in basi del battaglione nazista Azov". Ha ammazzato civili? "Erano scudi umani usati dagli ucraini". Non permette l'evacuazione delle famiglie di Mariupol? "Sono gli ucraini a impedir loro di partire".

Sembra che Putin voglia applicare alla lettera le regole di Orwell: cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà.

Dopo le fosse comuni di Bucha si è aggiunto il ministro degli Esteri Lavrov: "È tutta una messa in scena occidentale". Il ricordo va ad Alì il Chimico, il ministro dell'informazione iracheno che nel 2003 negava l'invasione di Bagdad anche coi soldati statunitensi già per le strade. Normalmente i governanti, di fronte ad accuse raccapriccianti contro i propri militari, si rifugiano nella frase: "Istituiremo una commissione d'inchiesta". A volte si scusano, come gli Usa lo scorso agosto dopo che un loro drone uccise una famiglia a Kabul.

Invece la menzogne seriali di Putin si affastellano all'infinito. È un dramma: chi gli crederà, dovesse un giorno dire la verità? Obiettano i putiniani nostrani: in guerra tutti mentono, sempre. Alt. In Vietnam furono proprio i giornalisti embedded con gli americani (compresa la nostra Oriana Fallaci) a svelare la verità. I governi possono cercare di mentire, ma se sono democratici la verità viene fuori. Sono le dittature a basarsi sulla propaganda: sempre, in pace e in guerra. La nostra Eiar esultò perfino nel 1943, quando gli Alleati sbarcarono in Sicilia: "Li abbiamo respinti sul bagnasciuga". 

I meccanismi del consenso nei regimi totalitari sono stati svelati già nel 1941 da Erich Fromm in Fuga dalla libertà (libro tradotto solo vent'anni dopo in Italia, perché indigesto anche ai comunisti). Quel che Fromm non poteva prevedere, era la presa che la disinformazione può avere anche nel mondo libero. Qui da noi, fra grillini, leghisti, nostalgici fascisti, filosovietici e complottisti vari, sono milioni i creduloni. Tutti i testimoni a Bucha accusano Putin? Ancora peggio: è il "mainstream", il pensiero unico, i giornaloni. Che bello essere controcorrente. Mica ce la danno a bere. Chi? Loro. Cioè chi? I poteri forti. Non c'è via d'uscita dalla paranoia cospiratoria.

Tutti noi abbiamo un amico, un parente, un conoscente un po' svitato che come l'Anpi, di fronte alle foto di Bucha, chiede una "commissione d'inchiesta indipendente". O almeno cerca di salvarsi in corner con l'ecumenico "perché meravigliarsi, tutte le guerre sono così". È un vicolo cieco, Popper è sconfitto. 

Non sbaglia quindi Putin a rifugiarsi nella spudoratezza, a negare sempre anche l'evidenza come un qualsiasi traditore col coniuge, a spargere la "nebbia della guerra" su ogni sua malefatta. Gettando merda nel ventilatore, qualche schizzo produrrà qualche dubbio. Che magari lo salverà dal Tribunale internazionale dei crimini di guerra verso cui, come Milosevic, sembra agevolmente avviato. 

Mauro Suttora

Saturday, April 02, 2022

Pannella si batteva contro ogni forma di censura. Non è il caso di Orsini (sta sempre in tv)

Il professore invoca a sua difesa il leader scomparso. Tra l'altro dimentica che i radicali hanno sempre combattutto Putin

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 Aprile 2022 

Lo so, la miglior difesa dagli esibizionisti è l'indifferenza. Ma se Orsini invoca Pannella  contro la censura di cui sarebbe vittima, merita una risposta. Anche perché se mi chiamassi Orsini mi vanterei di avere scritto ben tre biografie (troppe) sul capo radicale.


È certamente vero che "Pannella si batteva contro ogni forma di censura". Non è questo il caso di Orsini, il quale in un mese è stato invitato in prime serate tv più di Pannella in vent'anni.


Ma, entrando nel merito, Orsini dimostra - ad abundantiam - di non aver "studiato abbastanza" (sempre per usare le sue parole). Il leader radicale e il suo partito, infatti, sono fra i rari politici italiani, forse gli unici, che non solo non hanno mai apprezzato né lodato Putin, ma lo hanno combattuto con decisione fin dall'inizio. Tanto che nel 2000 Lavrov, allora ambasciatore russo all'Onu, chiese l'espulsione del Partito radicale dall'Ecosoc, l'organismo delle Nazioni Unite dedicato alle ong. E quanto i microbi radicali risultassero fastidiosi per Russia e Cina (anch'essa voleva cacciarli) me lo confermò lo stesso Lavrov quando due anni dopo lo incontrai a un ricevimento al consolato russo di New York: "Chi sono veramente questi radicali italiani?", mi chiese, brillante e affabile come sempre (mieteva successi fra le signore di Manhattan).

Ma non c'è molto da scherzare, nei rapporti Pannella/Putin. Perché c'è di mezzo anche un assassinio: quello di Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale ammazzato a Tbilisi mentre indagava sui misfatti di Mosca in Cecenia. Probabili esecutori, i servizi segreti di Putin ha. Lo picchiarono fino a sfondargli gli organi interni. Negli anni seguenti il segretario radicale Olivier Dupuis denunciò il putinismo in ogni consesso internazionale, invitando i ceceni nonviolenti (sì, esistono anche loro) a parlare alla Commissione Onu per i diritti umani a Ginevra, assieme agli uiguri perseguitati dai cinesi e ai dissidenti di tutte le dittature del mondo.


Insomma, su Putin Pannella prenderebbe Orsini a pernacchie. E poi lo inviterebbe a cena, perché era anche simpatico, e gli piaceva da matti litigare (come Orsini). Ma c'è di più. Pannella nel 1991 indossò la divisa militare croata e si fece fotografare nelle trincee di Vukovar. Scandalo totale: il Gandhi italiano delle marce antimilitariste e dell'obiezione di coscienza alla naja sputava sulla nonviolenza? Anch'io barcollai. E invece aveva ragione. Aveva capito prima di tutti la natura criminale del presidente fasciocomunista serbo Milosevic. Neanche i croati erano agnellini. Ma quella volta, in quei giorni, erano loro a subire la pulizia etnica. Quindi, come dicono a Roma, "quanno ce vo', ce vo'".

Così, anche in questi giorni non pochi pacifisti accettano che gli ucraini vengano aiutati con quel che loro chiedono: armi per difendersi. E i radicali chiedono l'incriminazione di Putin al Tribunale internazionale che loro (Bonino) crearono negli anni '90. Allora per punire stragi come Ruanda e Srebrenica, oggi Mariupol. 

Pannella era filoUsa e filoGb: "Perché le democrazie anglosassoni sono le più antiche, e le uniche che non hanno mai conosciuto la dittatura". Ma questo non gli impedì di chiedere l'incriminazione di Blair per aver mentito al suo popolo durante la seconda guerra del Golfo. 

Altro insegnamento di Pannella: "Le democrazie non fanno guerra ad altre democrazie". Per non parlare del conflitto delle Falkland/Malvine, di cui proprio dopodomani cade il quarantennale: spesso i dittatori cadono grazie alle guerre che dichiarano, come i generali argentini nel 1982 o i colonnelli greci nel 1974. Ma devono trovarsi di fronte dame di ferro tipo la Thatcher. O ex comici come Zelensky. Non sociologi amanti della "complessità" e vittimisti (un po' come Pannella) tipo Orsini.

Mauro Suttora 

Thursday, March 31, 2022

Guardare i social di Salvini e scoprire che la guerra è finita



Dopo qualche figura barbina, il Capitano molla l'Ucraina e torna ai vecchi amori: immigrati e rom. E il taser è un'arma che gli piace

di Mauro Suttora 

HuffPost, 31 Marzo 2022

Per Matteo Salvini la guerra in Ucraina è finita. Da dieci giorni non ne parla più, non esiste. Cancellata. Su twitter e facebook, i suoi mezzi d'espressione preferiti e una volta pervasivi, si esprime su tutto tranne che sugli attacchi di Putin. Ultimo tweet, alle 11.30 di oggi: "Flat tax, semplificazione pagamento imposte, no a tasse su catasto e affitti, scongiurare la stangata sui titoli di stato". 

E a ritroso: solidarietà a Michele, rider sfregiato a Verona; campo rom da sgomberare in via Negrotto a Milano; anche a Firenze il taser funziona; nuovo stadio di San Siro da ricostruire in loco come vogliono Milan e Inter; disability card; ergastolo per marocchino killer di 84enne a bottigliate in testa; Mihajlovic guerriero campione; forza Fedez; sconti aerei per i sardi; preghiera per i bimbi massacrati a Varese; tre violentate a Milano in 24 ore; brava la regione leghista Marche che sanifica l'aria. L'ultimo accenno a Zelensky risale al 22 marzo: "Ho apprezzato il suo discorso alle Camere". Poi un generico "la Lega lavora per la pace". E basta.

Lontano da missili e carri armati, Salvini si tiene alla larga anche dalla questione del giorno: l'aumento delle spese militari. Si rifugia negli antichi amori come il no agli immigrati. Ma è ossessionato soprattutto da una nuova passione: il taser. Al pistolone che emette impulsi elettrici dedica lodi ogni giorno: "A Cagliari ha fermato un nigeriano violento". "Dobbiamo darlo anche ai 37mila agenti penitenziari". "L'avevo proposto da ministro degli Interni". 

Il problema è che il povero Matteo sull'Ucraina ha preso solo sberle. Dalla figuraccia col sindaco polacco che gli ha rinfacciato a tradimento la maglietta con il faccione di Putin, alle carrellate tv che ripercorrono impietosamente tutti i peana a quello che definiva "il più grande statista mondiale". Non dieci anni fa come Berlusconi, ma ancora nel 2020. Per non parlare degli abboccamenti a Mosca sui soldi ai leghisti. 
Risultato: la Lega negli ultimi sondaggi è precipitata al 16%. Meno della metà rispetto al 34% alle europee di soli tre anni fa. Pd e Fratelli d'Italia sono ormai lontani. Così, perfino i suoi prendono le distanze: "La guerra? Io mi occupo di turismo", scappa il ministro Garavaglia. 

Fugge anche Salvini. Come un rabdomante, cerca nuovi/antichi giacimenti di consenso. Si rifugia nelle polemiche sui rifugiati ucraini. Bonino lo attacca: "I profughi di colore più scuro sono falsi?". E lui: "Distinguiamo chi scappa davvero dalla guerra da chi la guerra la porta in Italia". Avverte che "122 subsahariani sono arrivati a Lampedusa in poche ore". Diventa gandhiano: "Il pugno all'Oscar dimostra che la violenza non risolve mai nulla". Accusa D'Alema mediatore per una vendita di armi alla Colombia. 

Insomma, qualsiasi cosa tranne la guerra in Ucraina. Su facebook esulta per il campionato cuochi a Rimini. E oggi pubblica il suo faccione felice assieme alla fidanzata Francesca Verdini: "Ultimo giorno di 'stato d'emergenza' covid, da domani bastaaa". Dura la vita del social media manager di Matteo.

Mauro Suttora 

Wednesday, March 30, 2022

M5s vs Draghi/ “Conte farà una sceneggiata sul riarmo, ma non può dire no”

www.ilsussidiario.net, 30 marzo 2022 

intervista a Mauro Suttora

Conte, riconfermato alla guida del M5s con il 94% dei consensi, promette battaglia. Ma sul no all’aumento delle spese militari non andrà oltre la sceneggiata 

“Gli iscritti del MoVimento 5 Stelle mi hanno riconfermato con un’indicazione forte e chiara. Un sostegno così importante è anche una grande responsabilità. Ora testa alta, ancor più coraggio e determinazione nelle nostre battaglie. Abbiamo un Paese da cambiare”. Così Giuseppe Conte ha accolto la sua riconferma alla guida del M5s dopo aver ricevuto 55.618 consensi, pari al 94,19% del totale, al termine della consultazione online sulla piattaforma SkyVote, che ha visto la partecipazione di 59.047 votanti pentastellati su 130.570 iscritti aventi diritto.

E i suoi primi passi sono stati tutti contro: prima contro Di Maio (“Le cose cambieranno, non posso accettare che ci sia chi rema contro”) e il giorno successivo, dopo l’incontro con il premier Draghi, contro il governo (“Il nostro è un no fermo al riarmo: il M5s si opporrà con tutta la sua forza parlamentare all’aumento sconsiderato delle spese militari”). Come sarà questa seconda leadership dell’ex premier? Che clima si respira all’interno del MoVimento? Quanto rischiano Draghi e il suo governo? Ne abbiamo parlato con Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost, nonché attento osservatore della caotica galassia a 5 Stelle. 

“Il problema non è Conte, ma tutti noi che prendiamo ancora sul serio queste farse con candidato unico che loro chiamano votazioni online. Le elezioni per essere democratiche devono offrire una libertà di scelta fra almeno due alternative”.

Altrimenti?

Altrimenti si chiamano ratifiche di personaggi imposti dal vertice, plebisciti. Non certo elezioni. È l’abc. C’è più democrazia in un’assemblea di condominio, o di una società quotata in Borsa, che fra i grillini. Perfino i regimi comunisti permettevano una scelta fra più candidati, anche se gli oppositori erano posticci. Perfino Putin si candida contro concorrenti. Poi magari li incarcera o avvelena, ma almeno la forma è salva.

Rispetto alla prima elezione, però, Conte ha lasciato sul campo 7mila preferenze: ad agosto erano state 62mila, oggi sono diventate 55mila. E rispetto ai 130mila aventi diritto ha espresso il voto meno della metà degli iscritti. Che cosa significano questi numeri?

Intanto mettiamo in chiaro che non si tratta di iscritti. Iscriversi al Movimento 5 Stelle non costa nulla, quindi non vale nulla. Basta mandare per mail una foto della carta d’identità, e dopo sei mesi si può votare. Una farsa anche questa. Cosicché per misurare il vero grado di consenso di questi cosiddetti “capi”, prima Di Maio, ora Conte, i grillologi devono ridursi a contare gli astenuti.

L’ex premier ha subito lanciato il suo avvertimento: “Le cose cambieranno, non posso accettare che ci sia chi rema contro”. Ci sarà la resa dei conti con Di Maio? Chi la spunterà? E i Cinquestelle rischiano davvero la scissione?

Chiaramente Di Maio e Conte sono diventati incompatibili. Il primo è più forte fra i parlamentari, il secondo fra gli iscritti. Ma in realtà sono solo personalismi legati ai sondaggi. Finché Conte godeva di un consenso del 60% fra gli elettori, tutti i grillini gli andavano dietro, sperando che li salvasse dal naufragio, visto che il M5s è invece crollato dal 32 al 14-16%. Ma ora anche Conte è sceso al 40%. Che è comunque tanto. Probabilmente a Di Maio non conviene ancora rompere, anche se è facile prevedere una strage fra i suoi fedelissimi quando Conte compilerà le liste elettorali. Dovrà sfilarsi prima, o trovare un accordo.

In un tuo recente commento sul Movimento hai parlato di “senso putiniano della democrazia” tra candidato unico, intimidazioni e purghe. Che clima si respira in casa M5s?

Il clima all’interno dei grillini è mefitico. Si confrontano i parlamentari alla seconda legislatura, che dopo dieci anni con 12mila euro di stipendio dovrebbero tornarsene a casa, e quelli alla prima che vogliono essere rieletti. Ma se i “vecchi” pretendono di cambiare la regola sul tetto ai mandati occuperanno di nuovo i posti migliori nelle liste. E dato che gli eletti si ridurranno a un quarto, per il dimezzamento dei loro voti e il taglio ai parlamentari, la lotta è al coltello.

E Grillo? Cambierà qualcosa nei rapporti con Conte?

Grillo è la grande incognita. È logorato dal processo al figlio e stanco per le diatribe nel suo Movimento, diventato irriconoscibile rispetto agli esordi. Gli attivisti si sono trasformati in arrivisti, occupati in lotte personali di potere puro, senza più ideali. Lui stesso è indeciso fra movimentismo e governismo. D’istinto è ancora attirato dall’estremismo di un Di Battista, invece deve accontentarsi di due democristiani moderati come Di Maio e Conte.

“Il nostro è un no fermo al riarmo: il M5s si opporrà con tutta la sua forza parlamentare all’aumento sconsiderato delle spese militari”. Quanto i Cinquestelle potrebbero fibrillare la tenuta del governo?

Conte non ha alcuna intenzione di far cadere il governo Draghi. Si rischierebbe il voto anticipato, ma i grillini vogliono conservare lo stipendio fino all’ultimo, ancora per un anno. Il no all’aumento delle spese militari è una mossa intelligente, perché la maggioranza degli italiani è contro il riarmo. E i grillini sono gli unici a opporsi. Ma non andranno oltre le sceneggiate verbali.

Marco Tedesco

Monday, March 28, 2022

Casaleggio, Grillo, Conte: il senso putiniano della democrazia



Candidato unico, intimidazioni, purghe. Nei giorni del voto bis sulla leadership, osservazioni sulla vita interna dei 5 stelle, sul maestro Putin e su qualche influsso nord coreano

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 Marzo 2022 

"I parlamentari della Duma condividono in pieno il video di Putin e sono stanchi di una piccola minoranza che crea spaccature. Si osserva con attenzione chi condivide e chi non condivide il video di Putin. Ormai deve essere chiaro chi abbraccia il nuovo corso e chi no". 

È un comunicato che arriva da Mosca? Macché. Sostituite Duma con M5s, Putin con Conte, e assaggerete la minaccia che incombe in questi giorni sui parlamentari grillini. Una dichiarazione anonima avverte gli avversari interni dell'ex premier: se non mettete like e non condividete sui social l'ultimo video dell'ex premier, siete fuori. Democrazia nel tempo della Rete. Per l'ennesima volta gli iscritti pentastellati provano a votare il loro nuovo leader, e per l'ennesima volta dimostrano di essere digiuni di pluralismo.

Perché perfino Putin, o Erdogan o gli Ayatollah quando indicono elezioni hanno l'accortezza di non proporre un candidato unico e un partito unico. Lo facevano anche i furbi regimi sovietici. Oltre al partito comunista sulla scheda si poteva scegliere qualche altra formazione: il fronte degli agricoltori, addirittura finti partiti liberali come quello tedesco orientale, che prendeva regolarmente il 10% ed era alleato perpetuo nel Fronte popolare con la Sed, il partito del dittatore Honecker. E anche Putin permette a tutti di sfidarlo al voto, salvo incarcerare o avvelenare chi può impensierirlo, come Navalny.

Bando alle ipocrisie: l'imprinting nordcoreano grillino non necessita di trucchi come avversari posticci. L'unica scelta permessa è fra il sì e il no al candidato unico imposto dal vertice. Perciò ai grillologhi, per misurare il suo reale consenso, non resta che contare gli astenuti. È sempre stato così, anche prima di Conte. I grillini nascono consustanzialmente totalitari, anche se questo aggettivo è comico per il partito di un comico. 

Ricordo i primi meetup nel 2006-2007, subito squassati da furibonde liti interne. A Milano c'era una spia che riferiva ogni parola ai Casaleggio, e questi facevano terra bruciata attorno ai dissidenti. A Roma tre dei quattro eletti nel 2008 nei municipi dopo pochi mesi passarono ad altri partiti, uno all'Udc di Cesa e Casini. Perfino la fedelissima Roberta Lombardi tradì come l'apostolo Pietro: osò borbottare contro i metodi antidemocratici del Movimento, poi si pentì e fu riaccolta. 

Da allora periodiche purghe staliniane hanno sempre devastato i grillini. Al posto della Siberia ci sono le shitstorm online per segare i nervi ai dissenzienti; l'olio di ricino viene somministrato con espulsioni sommarie e accuse paranoidi ("Vuoi allearti col Pd" era la più in voga prima di allearsi col Pd), senza possibilità di contraddittorio. Temendo delazioni, gli eletti si sono rifugiati in chat private sempre più segrete, prima su WhatsApp, ora su Telegram. Gli organi dirigenti interni sono sempre stati decisi da Grillo e Casaleggio, fin dal primo direttorio del 2014 con Di Maio e Di Battista da votare in blocco, prendere o lasciare. 

Ciononostante, anche in questa legislatura su oltre 300 eletti ne sono rimasti solo 200. Anche perché il principale epurato ora è lo stesso Casaleggio junior, che un anno fa ha fatto la fine di Trotsky e oggi reclama invano da Conte il saldo di 450mila euro di debiti. Ecco, così è finito il Movimento nato per portare trasparenza e pulizia in politica: nel suo esatto opposto, con plebisciti al posto dei referendum e ratifiche al posto delle elezioni. C'è più democrazia in una società quotata in borsa o in un condominio, che fra i grillini. Ma ormai tutti sembrano essersi abituati, e ci pare normale che Conte venga eletto capo senza concorrenti.

Mauro Suttora