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Thursday, July 14, 2022

Eugenio Scalfari radicale, 1960: quando nacque la cordiale inimicizia con Bettino Craxi

Quando fu consigliere comunale a Milano, prese quasi quattro volte le preferenze del futuro leader socialista, con cui avrebbe combattuto battaglie politiche

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 14 Luglio 2022 

Una delle pagine meno conosciute, fra le mille della vita di Eugenio Scalfari, è quella di consigliere comunale a Milano. Fu eletto due giorni prima di John Kennedy a presidente Usa, il 6 novembre 1960, in una lista comune fra il partito socialista e quello radicale, di cui il 36enne Scalfari era vicesegretario. 

Un trionfo, perché nonostante la loro scarsa consistenza (alle elezioni precedenti avevano raccolto appena l'1%) i radicali elessero ben quattro consiglieri. E Scalfari svettò con 3.678 preferenze personali, superato solo da big Psi come l'ex ministro Ezio Vigorelli e il futuro sindaco Aldo Aniasi. Viceversa, un certo 26enne di nome Bettino Craxi, allora segretario di sezione a Sesto San Giovanni, ottenne soltanto 979 preferenze, e ce la fece per il rotto della cuffia: terzultimo dei 19 eletti Psi. Fu lì che cominciò la cordiale inimicizia Scalfari/Craxi, culminata negli anni '80 con la predilezione per Ciriaco De Mita e il Pci da parte del gruppo Espresso-Repubblica, contro il premier Craxi e poi il Caf.

Scalfari nel 1960 godette ovviamente dell'appoggio del suo settimanale Espresso, fondato cinque anni prima con il direttore Arrigo Benedetti e l'editore Carlo CaraccIolo. È impressionante l'elenco di firme che appoggiarono le liste radicalsocialiste alle comunali italiane: Moravia, Sciascia, Elsa Morante, Flaiano, Pannunzio, Franco Fortini, Mastroianni, Gassman, Vittorio Caprioli, Mario Soldati, Camilla Cederna, Guido Calogero, Bruno Zevi. 

Il gotha degli intellettuali e artisti del progressismo non comunista tifava Psi-Pr in vista dell'apertura al centrosinistra, l'equivalente della Nuova frontiera kennediana in America. A Milano con i radicali fu eletto anche Elio Vittorini, a Roma Arnoldo Foà e Antonio Cederna. 

Scalfari rimase in consiglio comunale a Milano fino al 1963, quando si dimise per le incombenze di direttore dell'Espresso. E lasciò la vicesegretaria radicale un anno prima, perché il segretario Piccardi fu accusato di aver partecipato a un convegno sulla razza durante il fascismo. A loro subentrarono Marco Pannella e i suoi 'nuovi radicali': Spadaccia, Teodori, Mellini, Bandinelli. 

Scalfari fu di nuovo eletto nel Psi, questa volta come deputato, nel 1968. Sfuggì cosi, grazie all'immunità parlamentare, alla condanna al carcere per la sua famosa inchiesta (firmata con Lino Jannuzzi) sul tentato golpe del 1964 con il coinvolgimento del Sifar. 

Ma anche nei suoi quattro anni alla Camera Scalfari dovette subire la sorda ostilità di Craxi, diventato pure lui deputato socialista nel collegio di Milano. Così rimase un peone, non gli fu offerto neanche un sottosegretariato, una presidenza di commissione. E nel 1972 abbandonò disgustato la politica attiva. Non senza aver riscoperto, l'anno precedente, gli antichi ardori anticlericali: affiancò Pannella nella richiesta di un referendum contro il Concordato, per contrastare la campagna cattolica contro il divorzio. 

Poi, nel 1975, schierò il suo Espresso nella raccolta di firme radicale per la depenalizzazione dell'aborto. Dopodiché, anche con Pannella come con Craxi subentrò una definitiva antipatia: tre liberalsocialisti con personalità troppo forti e caratteri troppo diversi.

Mauro Suttora

 

Monday, May 23, 2022

Perché per farsi leggere in Italia bisogna mettere la cacca nel titolo

Con un altro titolo era passato inosservato, poi è diventato "Crimini e misteri da risolvere mentre fai la cacca" (Newton Compton) ed è un successo

di Mauro Suttora

HuffPost, 23 maggio 2022 

Il successo del libro 'Crimini e misteri da risolvere mentre fai la cacca' (ed. Newton Compton) spiega molto della nostra società, della nostra informazione, e anche della nostra politica. Il medesimo manuale di Diane Vogt fu pubblicato nel 2006 con il titolo 'Crimini e misteri per la stanza da bagno', ma era passato inosservato. All'editore è bastato aggiungere la parola cacca per vendere 10mila copie in quest'ultimo mese, e primeggiare in classifica.

Il contenuto è lo stesso: 65 casi da risolvere, brevi gialli anche di una pagina sola. Il titolo originale profumava di Agatha Christie: "The Little book of bathroom crime puzzles". Un simpatico passatempo, che però in Italia ha avuto bisogno di un involucro maleodorante per farsi notare. Non per nulla in queste settimane spopola anche il volume "La sottile arte di fare quello che c***o ti pare". Chissà quante copie in più avrebbe venduto "La noia" di Moravia con il titolo "Che palle". E vien voglia di riproporre "Una questione privata" di Fenoglio come "Quella troia di Fulvia".

Nulla di nuovo, certo. "Il bambino prova gran piacere nel dire le parolacce: ne coglie al volo l'effetto dirompente e dissacratorio, le reazioni che provocano attorno a lui. L'impulso immediato è quindi a ripeterle", ci ha spiegato la psicologa Silvia Vegetti Finzi. Il fascino irresistibile della pornolalia non conosce confini. Chi ricorda il cantante Country Joe? Nessuno. Eppure fu lui a inventare il momento più memorabile del festival rock a Woodstock, quando incitò la folla a compitare urlando lo spelling della parola "fuck".  

Io provai il primo brivido del proibito quando da bimbo vidi la gioiosa scritta "W la fregna!" sul muro davanti alla nostra chiesa di San Timoteo a Termoli (Campobasso). Chiesi lumi a mia madre che mi trascinò via per mano, frettolosa: "Ma niente, è una volgarità". Uguale scandalo qualche anno dopo, al primo "cazzo!" udito pronunciare da un giovane vicino di casa: "Che vergogna, che maleducato!" 

Nel 1982, alla Scuola di giornalismo, lo psicanalista Franco Fornari lodò un titolo uscito quel giorno su Repubblica: "I marines penetrano in Beirut insanguinata". "È perfetto, perché evoca il rapporto sessuale e il mestruo".

Da allora, per lavoro anch'io ho dovuto inventare titoli attraenti (chissà perché oggi si usa l'inglesismo attrattivi). E quindi giù con eufemismi, metafore e giochi di parole, per guadagnare l'attenzione dei distratti lettori senza sconfinare nella volgarità. Un mio direttore, chissà perché, si era innamorato dell'aggettivo "toccante", lo infilava ovunque (e sottolineo il subliminale 'infilare', per i sessuomani). 

È scientifico, è provato: "cacca" e altri richiami coprofili fanno vendere più copie, alzano l'audience. Gli esperti dell'enciclopedia Treccani spiegano così la faccenda: "L'uso e l'abuso di termini a contenuto erotico, sessuale e genitale sono una mentalizzazione dell'istinto che si realizza a livello verbale per dare rinforzo e potenziamento di significato nel rapporto comunicativo". 

In politica, furono gli yippies Usa a sdoganare la volgarità nel 1968, quando sulle orme di Lenny Bruce candidarono presidente un maialino contro Nixon. Poi, nel 1981, il commediante francese Coluche (figlio di un immigrato frusinate, Colucci) sfidò Giscard e Mitterrand con lo slogan tricolore "blu, bianco e merda". Ma il record mondiale, sempre opera di un comico, è italiano: il partito del Vaffa ha preso un incredibile 34% solo quattro anni fa. Certo, i grillini oggi sono passati dallo "sputo in faccia a Berlusconi" di Paola Taverna agli azzimati Conte e Di Maio, ma stazionano tuttora al governo.

Perché l'oscenità porta voti? "Perché è un linguaggio molto vicino al corpo e alle sue funzioni. Evoca impressioni tattili, olfattive e uditive che esprimono pulsioni infantili, specie anali e genitali, infrangendo tabù intoccabili: il sacro, il sesso, gli escrementi", psicanalizza la Treccani. 

Chi è attratto dal libro della Vogt, dagli estremismi 5 stelle o dalle risse dei talk tv, insomma, più che un alpino fuoriuscito dalla caserma e approdato al raduno di Rimini, può essere definito come un inguaribile adolescente: "È quella l'età delle trasgressioni e dissacrazioni, in cui il linguaggio aggressivo rappresenta forza, coesione e convalida della propria identità".

Mauro Suttora