Tuesday, July 17, 2001
Vertice G8 Genova: radicali filoglobal
Sunday, July 01, 2001
Costa Smeralda capitale d'Italia
di Mauro Suttora
mensile Capital, luglio 2001
Costa Smeralda di nuovo capitale politica - oltre che mondana - dell’Italia, come nel 1994. E quindi processioni di politici nella villa del nuovamente presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Porto Rotondo, con annesse tavolate nei ristoranti e comparsate nei locali.
Ma cosa sale e cosa scende sulla Costa, quest’anno? Fra i ristoranti, immutabile l’appeal del Gallura di Olbia. A Porto Cervo debutta l’elegantissimo Vecchio Stazzo (con ottima musica live), aggiungendosi agli altri «classici» di Liscia di Vacca: Piccolo Ciucheba, Briciola e Rosemary (quest’ultimo preferito dai miliardari inglesi).
In centro, resiste Su Marineri sotto l’hotel Cervo. Un po’ di stanchezza per Pedrinelli e la Mola, nonostante la clientela affezionata, anche perché all’uscita in agosto il traffico è spesso bloccato dagli aficionados dei locali notturni: in testa, per il terzo anno consecutivo, il Billionaire. A seguire il Sottovento, mentre arrancano Pepero e Sopravento.
La moda dell’estate 2001 è il letto in discoteca, lanciato dal Mama Orsa di Poltu Quatu. Out il Peyote e lo Smaila’s, infestati dai ragazzotti. A Porto Rotondo fra i ristoranti resistono Portico, Giovannino e Clipper, mentre fra i locali si celebra il gran ritorno del Tartarughino, spostato in centro dopo che la precedente location è stata trasformata in villona. Anche il Country si è rinnovato.
Ma il sogno proibito rimane, anche per l’eccelso Cala di Volpe (gala l’11 agosto con Amii Stewart e il 21 con gli Imagination), la presenza della first lady Veronica Berlusconi. Finora negata a tutti.
Saturday, June 02, 2001
Di Pietro perde l'unico senatore
di Mauro Suttora
Il Foglio, 2 giugno 2001
Tutta colpa del cognato. Antonio Di Pietro ha perso dopo sole due settimane l’unico senatore che era riuscito a far eleggere, per caso, il 13 maggio. Valerio Carrara, 51 anni, chimico di Oltre il Colle (Bergamo), sembrava aver conquistato quasi per sbaglio il suo seggio.
Invece dietro di lui c’è Gabriele Cimadoro, cognato bergamasco di Tonino, ex democristiano, ex ccd, eletto deputato con Silvio Berlusconi nel ‘96, passato all’Ulivo con Mastella nel ‘98, accolto nell’Asinello da Di Pietro nel ‘99, infine in rotta con l’ex pm dal 2000, quando quest’ultimo si stacca dai democratici di Francesco Rutelli e Romano Prodi.
Da tempo Cimadoro meditava vendetta. La trova quattro mesi fa, quando i dipietristi cominciano a raccogliere le firme per presentarsi al voto autonomamente dal centro-sinistra. Alla rapida ricerca di candidati per ogni collegio, i seguaci di Tonino non vanno troppo per il sottile e accettano anche di selezionare dei perfetti sconosciuti.
Come questo Carrara, deboluccio in quanto a referenze politiche: può esibire soltanto un assessorato nel proprio piccolo Comune dal ‘94 al ‘97 e una militanza nella Federcaccia. Si iscrive all’Osservatorio per la legalità dipietrista, partecipa a una certa Commissione per la sburocratizzazione e oplà, eccolo in pista.
Perfetto cavallo di Troia, Carrara viene accettato come candidato dagli ignari colonnelli dell’ex senatore del Mugello. Cimadoro fa convergere su di lui tutti i voti dei suoi amici cacciatori ed ex democristiani della Val Seriana, e il gioco è fatto: il chimico risulta il candidato dipietrista più votato al Senato in Lombardia, con una percentuale del 4,7.
Ridotto in gramaglie per il mancato raggiungimento del 4 per cento al proporzionale della Camera, Di Pietro si aggrappa a quest’unico eletto. Il quale, fra l’altro, vale anche 1.200 milioni di rimborso elettorale (l’ex finanziamento pubblico ai partiti): pochi, in confronto ai 16 miliardi che sarebbero arrivati col superamento della soglia-ghigliottina alla Camera, ma comunque preziosi per riempire le esauste casse del movimento.
Niente da fare: istigato da Cimadoro, Ferrara nei primi giorni post-voto prende le distanze da Tonino. E ora arriva la rottura tanto precoce quanto definitiva: “Mi iscrivo al gruppo misto come indipendente. In questi giorni Di Pietro non mi ha mai cercato direttamente. Ha mandato avanti qualche suo luogotenente, gente di cui ho molto poca considerazione”.
E all’accusa di tradimento, dopo essersi fatto eleggere grazie ai consensi di Italia dei Valori, replica: “Gran parte dei voti che ho raccolto sono miei, non di Di Pietro: gente che mi ha detto e votava per me al Senato, ma per altri movimenti alla Camera”.
Ora il senatore Carrara potrebbe perfino votare la fiducia al governo Berlusconi: “Prenderò in seria considerazione questa possibilità. Di Pietro aveva una battaglia personale contro Berlusconi, non contro il centro-destra. E io fra Lega, An e Forza Italia, mi sento più vicino a Forza Italia”.
Poveri dipietristi: pensavano di avere dato il voto più antiberlusconiano possibile, e ora invece si ritrovano con il loro unico parlamentare eletto che rischia di finire nella Casa delle libertà. Comunque, nonostante lo scoramento per il 3,9 per cento e un milione e mezzo di voti buttati via, i fans di Tonino proseguono il loro cammino: si riuniranno in congresso il 16 giugno a Roma. Avranno diritto di voto tutti i candidati a Camera e Senato, più gli eletti.
Questi ultimi, per la verità, sono pochissimi: neanche alle comunali di Torino e Roma Di Pietro è riuscito a raggiungere il quorum minimo. E’ stato eletto con il 5 per cento soltanto a Milano, dov’era candidato sindaco, assieme a Letizia Gilardelli (ex Psi e Pds) e ad Adriano Ciccioni (ex radicale e verde).
Il congresso sarà anche l’occasione per fare un po’ di conti all’interno del movimento. La sconfitta è arrivata da regioni che hanno dato all’ex pm soltanto il 2,5 per cento, come il Lazio e la Toscana. Sotto il 4 per cento sono rimaste anche Liguria, Emilia, Campania e Calabria. Bene invece la Puglia (dove si è impegnato l’unico altro europarlamentare dipietrista, Pietro Mennea), con il 5 per cento, l’Abruzzo con il 6 e il Molise con il 14. Il Nord (Piemonte, Lombardia, Triveneto) ha regalato a Di Pietro il 4 per cento: voti soprattutto leghisti e radicali, che ora Tonino cercherà di far pesare all’interno del centro-sinistra, dove Elio Veltri cerca di ancorare il movimento.
Mauro Suttora
Thursday, May 17, 2001
Recensione di Pannella & Bonino spa
di Guido Vitiello
17 Maggio 2001
"Corrusco": che qualcuno l'abbia scambiato per "corrucciato" mi pare un lapsus imperdibile e una "felix culpa", una colpa provvidenziale. Corrusco lo si dice di un'armatura lampeggiante, di una corazza che scintilla al sole. Non è sinonimo di "luminoso", che può indicare una luce che sprigiona dall'interno. Piuttosto, è un attributo della pura superficialità.
Un libro senz'anima, infatti. Suttora si inebria paganamente delle superfici, e non ci offre altro. Pura epidermide radicale stesa al sole. Solo che quello che per molti è un motivo di biasimo ("tratta Pannella come Flavia Vento", ha detto fra gli altri Capezzone) a me pare il punto di forza del libro di Mauro. Che su di me ha avuto un effetto liberatorio. Vedere simultaneamente Pannella da tutti i punti di vista - quelli alti e quelli triviali, grandezze e miserie, chiacchiere e concioni - come ce lo mostrerebbe un pittore cubista: è un trip psichedelico degno dello spot di Toscani per le passate regionali.
Ripercorrendo in fast forward e con un montaggio parossistico la storia radicale di questi trent'anni mi sono liberato per sempre del fantasma di Pannella, dello sterile dilemma Pannella sì/Pannella no, della querelle sulla classe dirigente, di tutte le molto sagge e molto responsabili tirate dei molto venerabili professori ex radicali... e proprio per questo mi disinteresso della questione delle "dimissioni", che mi pare un po' (chiedo scusa a Mauro) una teodorata, un wishful thinking banalotto da politologo del Corriere.
Il libro invece ha una leggerezza e una specie di saggezza non premeditata che vi invito a riconsiderare. Non leggetelo col sussiego con cui sfogliereste, dal barbiere, un numero di Novella 2000. Non è una storia, non è un saggio critico, non è nemmeno cronaca giornalistica: se voleva esserlo, ha mancato il bersaglio. E' piuttosto come quella rivista di moda e amenità che Mallarmé compilava con accanimento certosino e con l'idea di star scrivendo cose di straordinaria importanza. E come tale va letto.
Perché reclamare un libro "profondo"? "Superfici. Superfici di superfici su superfici. (...) L'abisso è il risucchio di una pianura. Perché adorare un risucchio?" (Il pendolo di Foucault). In fondo, direbbe Nietzsche, "Pannella esiste solo come fenomeno estetico".
Thursday, May 03, 2001
Per chi votano i gay?
di Mauro Suttora
Il Foglio, 3 maggio 2001
I gay italiani votano a destra o a sinistra? Il dibattito è esploso sulle tre riviste mensili degli omosessuali: Babilonia, Pride e Guide Magazine. E ha rivelato spaccature impensabili, almeno stando al panorama delle candidature per le politiche del 13 maggio. Dove, infatti, la sinistra fa il pieno dell’“offerta”, con almeno cinque esponenti dell’ufficialità omosessuale italiana pronti a entrare in Parlamento: il fondatore di Arcigay Franco Grillini con i Ds, Gianpaolo Silvestri con i verdi, e ben tre candidati con Rifondazione. Nella Casa delle libertà, invece, il deserto.
Giovanni Dall’Orto, direttore della rivista Pride, ha accusato Babilonia di pencolare verso destra soltanto per avere osato ospitare un intervento di Giuliano Ferrara. E Natalia Aspesi gli ha subito fatto eco su Repubblica.
Babilonia è il giornale storico del movimento gay italiano. Infatti, dopo gli antesignani radicali del Fuori di Angelo Pezzana (del quale proprio in queste settimane si festeggia il trentennale della nascita), dagli anni Ottanta le lotte di liberazione sono state prese in mano dall’Arcigay (galassia Pci). Fino al giugno 1999 Babilonia, con le sue 15mila copie, era l’unico giornale omosessuale.
Quell’anno Roberto Schena fonda Pride. L’anno scorso lascia Pride a Dall’Orto e trasforma Guide Magazine, fino ad allora una semplice guida ai locali, nel terzo mensile gay italiano. Tutti sulle 15 mila copie, anche se Pride e Guide Magazine vengono distribuiti gratis nelle centinaia di locali gay, perché vivono tranquillamente di sola pubblicità.
L’effervescenza editoriale del mondo gay (stimato in Italia in due-tre milioni di individui) è testimoniata anche dalla nascita di vari siti Internet. Il più seguìto, www.gay.it, è stato acquistato per due miliardi da Seat-Pagine Gialle.
Schena, principale artefice di questa moltiplicazione di riviste (e di dibattito), non è affatto di sinistra. Anzi: è il capo delle redazioni cultura, spettacoli e sport della Padania, il quotidiano della Lega Nord. Ha in mano un buon terzo del giornale. E nel tempo libero confeziona Guide Magazine.
«L’attuale confronto è nato dagli articoli di Ferrara sul Foglio e su Panorama», spiega Schena, «in cui la destra viene invitata a liberarsi dalla vecchia paccottiglia omofoba. Ma sono stati soprattutto i dati di un sondaggio elettorale del sito gay.it ad avere mandato in tilt la sinistra».
Roba da non credere: Silvio Berlusconi risulta primo col 25 per cento, davanti a Francesco Rutelli col 24. Terza Emma Bonino: 14 per cento. Segue all’11 Fausto Bertinotti, mentre Valter Veltroni incassa un misero sei, superato perfino da Gianfranco Fini col sette. Umberto Bossi e Antonio Di Pietro prendono il tre per cento, e gli altri candidati raccolgono il restante sette per cento.
Sommando questi consensi, la Casa della Libertà conquisterebbe il non disprezzabile 35 per cento, mentre l’Ulivo senza Rifondazione si fermerebbe al 30.
Sul numero di aprile di Guide Magazine Schena, in perfetta par condicio, ha ospitato un articolo pro-sinistra di Sergio Lo Giudice, presidente di Argigay, e uno in cui il teologo milanese Giovanni Felice Mapelli nega che i Ds possano farsi paladini dei gay: «La loro cultura è tutt’altro che liberale, sono frenati da un eccesso di opportunismo: in Europa vengono scavalcati dai loro colleghi socialisti. In cinque anni di governo del centrosinistra sono naufragati tutti i progetti di legge che riguardavano le coppie di fatto, la discriminazione per orientamento sessuale, la procreazione assistita omologa ed eterologa, l’adozione da parte delle coppie sposate e quella dei single».
Ma Schena come si trova in un partito, la Lega, che negli ultimi due anni ha dato una forte sterzata verso i valori tradizionali cattolici, con Bossi che non perde occasione per ribadire con toni anche offensivi la sua totale contrarietà alla minima apertura nei confronti dei gay?
«Mi trovo benissimo: sono omosessuale dichiarato da sempre, ma non ho mai dovuto nascondere alcunché. Lavoro alla Padania dalla sua fondazione e nessuno mi ha discriminato, anzi. Insomma, sono l’esempio vivente che la politica della Lega non è rivolta contro i gay in quanto tali. Bossi sta facendo scelte tattiche sulle unioni civili che personalmente non condivido. Ma anche Ppi e Democratici, nell’Ulivo, hanno le sue stesse posizioni. Mi dispiace per i consensi gay che il centrodestra potrebbe facilmente avere, ma che sciupa perché non sa coltivare i rapporti. La giunta Albertini ha ottime relazioni con Dolce & Gabbana, Armani e tutto il mondo della moda: basterebbe imitare il modello Milano».
Mauro Suttora
Tuesday, May 01, 2001
Digiuno radicale
di Mauro Suttora
C’è un modulo da riempire, intitolato «Adesione al grande satyagraha radicale». Si compila scrivendo nome, cognome e indirizzo, data di nascita e professione. Poi bisogna indicare le caratteristiche dello sciopero: data di inizio, durata e tipo. Si può scegliere fra fame, sete, autoriduzione dei farmaci e «altro». Finora hanno risposto in trecento, tutti elencati sul sito internet www.radicali.it.
Soltanto Emma Bonino e tal Stefano Aiello, nascosti nell’ordine alfabetico del computer, hanno scelto fame+sete. Però Aiello non ha mangiato e bevuto solo per un giorno. Sulla durata del digiuno della Bonino, invece c’è scritto: illimitato. Ma per quanto tempo si può smettere di bere? «Poche decine di ore», concordano gli esperti. Neppure Gandhi, l’inventore dei digiuni come arma politica, rinunciò mai all’acqua.
Sui manifesti elettorali della Lista Bonino si invoca «Libertà della ricerca». Ma forse, con uno di quei calembour di cui Marco Pannella è maestro («Giustizia giusta», «Vita del diritto e diritto alla vita», «Scienza e coscienza»), bisogna capovolgere lo slogan e annunciare che i radicali sono alla «Ricerca della libertà». Però questa non è una notizia: è da quarant’anni che la cercano, la libertà. E ne trovano sempre troppo poca, in questa Italia conformista. Né ha il sapore della novità lo sciopero della fame: Pannella ne ha fatti 18, cominciando con un digiuno a Parigi per gli «insoumis» contro la guerra d’Algeria, poi la Cecoslovacchia nel ‘68, e l’anno dopo ce ne volle uno anche per far approvare la legge sul divorzio.
Questa volta il «grande vecchio» radicale, che domani compie 71 anni (auguri) è rimasto fuori dalla mischia. Con bypass multipli e ischemie alle spalle, sarebbe suicidio. Sul «forum» di internet un iscritto lo ha sollecitato: «Fai lo sciopero del fumo, Marco». Tentativo fallito.
Alla voce «altro» Lucio Berté, candidato radicale nel collegio Lombardia Due, ha scritto: «Staziono 24 ore su 24 davanti all’Osservatorio di Pavia». Che non ha nulla a che fare con le stelle, ma molto con l’obiettivo dell’attuale «lotta» radicale (guai a chiamarla «protesta», loro si arrabbiano): la disinformazione. Quell’osservatorio, infatti, cronometra lo spazio dato da Rai e Mediaset ai politici. E i radicali da mesi producono dossier su dossier sulla propria «cancellazione», sul proprio «annientamento». Poi li portano a Carlo Azeglio Ciampi chiedendogli di farsi valere, almeno lui. Ma il Presidente risponde sempre (affettuosamente) alla Bonino che egli al massimo può segnalare la questione ai presidenti delle Camere. I radicali, invece, vogliono che Ciampi ammetta che «qualcosa» non ha funzionato, nella Tv di Stato.
Solo questo? «Solo questo», assicura la Bonino. Nessuno spazio in più per i radicali? «No. Solo più dibattito sui veri temi della campagna elettorale». Che magari sono proprio quelli individuati da Adriano Celentano: eutanasia, donazione degli organi. Sarebbe una manna, per i radicali, poterne discutere in prima serata. Invece il monologo del Molleggiato, senza contraddittorio, è stato sale sulle loro ferite.
Così ora la Bonino parla con i bollettini medici dell’ospedale San Paolo: «Disidratazione, dolori muscolari, fotofobia, cefalea, diuresi contratta, acidosi metabolica...»
Il metabolismo: il rischio principale, nei digiuni, è che a lungo andare salti. E i danni irreversibili? «Quelli non si possono prevedere in anticipo», ammette il medico personale di Emma, che surrealmente si chiama Augusto Magnone. C’è un altro medico personale che partecipa a questo digiuno: Ennio Boglino, assistì Pannella nei suoi scioperi storici degli anni ‘70. Ora è gravemente ammalato, va a avanti a morfina, ma ha voluto pure lui autoridursi la terapia del dolore.
Tre cappuccini al giorno, 150 calorie: questa è la formula dei digiuni radicali, che valsero a Pannella l’epiteto di «Gandhi di via Veneto». Oggi invece nessuno prende più in giro i pannelliani. Brutto segno: anche l’assuefazione degli italiani è diventata irreversibile?
Loro, i radicali, non si danno pace, e durante gli scioperi della fame e della sete diventano se possibile perfino più attivi. Altro che il giaciglio dell’ashram dove si accoccolava il Mahatma. «Noi siamo inermi ma non inerti», tuona Pannella. Indomabili, bisogna ricoverarli coattivamente e inflebarli, com’è capitato ieri a Biagio Crescenzo di Salerno, diabetico che si era ridotto l’insulina. A Roma Antonio Brivio fa il «walk-around»: gira attorno alla Rai di viale Mazzini con un cartello.
Invece il quindicenne Alessandro Rosasco di Genova alle voce «altro» si è inventato lo «sciopero della parola»: da quattro giorni sta sempre zitto. Proprio come parecchi italiani vorrebbero ridurre i radicali. Perché nessuno ha il coraggio e il cattivo gusto di ammetterlo, ma l’auspicio di qualcuno è per una fine come quella dei venti prigionieri turchi, o degli irlandesi di Bobby Sands vent’anni fa. Quelli ci hanno messo sei mesi per farsi morire. Emma perde un chilo al giorno. Ma pesa solo 50 chili. E la sete è assai più rapida della fame.
Friday, April 27, 2001
Lo strano anticlericalismo radicale
Wednesday, April 25, 2001
Spazzatura di Napoli in Germania
Thursday, April 12, 2001
parla Della Vedova
Friday, April 06, 2001
I noglobal battono McDonald's
Wednesday, April 04, 2001
Satyagraha radicale
Sunday, March 25, 2001
I candidati di Di Pietro
Saturday, March 24, 2001
«Busoni, culatoni», disse Prosperini
Friday, March 23, 2001
Rutelli rifiuta i radicali
di Mauro Suttora
Il Foglio, 23 marzo 2001
Centinaia di volontari radicali sono scesi sui marciapiedi di tutta Italia con i loro banchetti: stanno raccogliendo le firme per partecipare elle elezioni. E’ uno sforzo notevole per un partito totalmente d’opinione, privo di funzionari e clienti locali, nonché di consiglieri comunali che autentichino le sottoscrizioni.
A Fiumicino, nel collegio dove si candida Marco Pannella (presente nel proporzionale della Camera anche in tutta la provincia di Roma, in Emilia e in Toscana), i "tavolinari” della lista Bonino hanno sorpreso alcuni dipietristi che facevano firmare senza autenticatore.
Questo delle firme false è uno scandalo sollevato l’anno scorso dai radicali, e che sta dando i primi frutti: elezioni annullate in Molise, inchieste aperte a Napoli, il vicepresidente della Provincia di Milano Dario Vermi (An) rinviato a giudizio per falso in atto pubblico e violazione delle leggi elettorali. Per Pannella, è la conferma dello “stato di illegalità” in cui versa il Paese, da lui denunciato un mese fa nell’appello a Carlo Azeglio Ciampi (“Presidente, ti uccido”).
Le accuse pannelliane riguardano soprattutto l’informazione tv: “Gli accadimenti di questi giorni alla Rai confermano che è questo il problema centrale della politica italiana”, spiega il dirigente radicale Angiolo Bandinelli, il quale sta preparando per il Comune di Roma una lista “civica, laica e antiproibizionista” simile a quelle promosse a Torino (con il verde Silvio Viale candidato sindaco) e ad Ancona.
L’Autorità garante delle comunicazioni ha dato ragione ai radicali, invitando la Rai a dare più spazio alla lista Bonino, vittima di uno “squilibrio editoriale”. “Ma l’azzeramento nei nostri confronti è continuato pure nei primi 70 giorni del 2001“, avverte Daniele Capezzone, “anche se il presidente Rai Roberto Zaccaria tenta di nascondere i dati sui radicali accorpandoci a Di Pietro, D’Antoni e Bertinotti, la cui presenza viene invece fatta esplodere”.
Pannella è convinto che sull’onda di qualche bel dibattito tv i radicali supererebbero agevolmente la barriera del 4 per cento. Altrimenti, l’unica eletta rischia di essere Emma Bonino, candidata al Senato in Lombardia (dove basta il 3 per cento ottenuto dalla sua Lista alle regionali).
Intanto, i radicali raccolgono adesioni prestigiose alla candidatura di Luca Coscioni (capolista in Umbria, Lazio ed Emilia davanti a Pannella), malato di sclerosi e simbolo della lotta per “la libertà della scienza”: per lui hanno firmato dodici premi Nobel e cento personalità del mondo accademico e scientifico internazionale (fra cui Ilya Prigogine, Noam Chomsky, l’ex rettore dell’università di Roma Giorgio Tecce e il matematico Alessandro Figà-Talamanca).
Un altro appello è rivolto al candidato premier dell'Ulivo Francesco Rutelli da Massimo Cacciari, Gianni Vattimo, Michele Salvati e Gianfranco Spadaccia, affinché “apra” ai radicali. Domenica scorsa il vertice dell’Ulivo sembrava avere accolto questo tentativo di dialogo in extremis (concretizzabile in qualche desistenza), ma poi Rutelli ha per l’ennesima volta snobbato i suoi ex compagni.
“I radicali sono alternativi a entrambi i poli, ma l’andata a casa del centrosinistra dovrebbe comunque essere una priorità per loro”, avverte l’intellettuale d’area Iuri Maria Prado, editorialista di Libero. Continua, infatti, la polemica liberista e antisindacale dell’eurodeputato boniniano Benedetto Della Vedova: l’ultima sua denuncia riguarda sei miliardi di fondi per la formazione Ue usati invece per un congresso di 120 dirigenti Cisl in una hotel a 4 stelle a Nizza.
Intanto la Bonino gira come una trottola: prima è andata in Africa per sollecitare adesioni al Tribunale Onu sui crimini di guerra; poi ha organizzato a Roma un convegno contro le infibulazioni delle donne africane; ha presentato a Milano un libro di Sergio Romano; è corsa a Napoli al Global Forum e a Torino per presentare le liste; ha partecipato ad Amman a un summit dell’International Crisis Group; ha condannato gli attacchi albanesi in Macedonia (“con la stessa fermezza con cui ho difeso gli albanesi kosovari dai serbi”); si è complimentata con Mary Robinson, che lascerà l’Alto commissariato Onu sui diritti umani in settembre (la Bonino è candidata a quel posto).
Emma ha incassato infine i complimenti dell’(autorevole) editorialista de “La Stampa” Barbara Spinelli: “Bonino e Rutelli sono personaggi di grande statura, usciti dalla scuola di alta politica, antisettarismo, rigore, laicità, senso di responsabilità individuale e interesse vero per il mondo circostante e per i diritti umani violati, che è la scuola di Pannella”.
Eppure le manca ancora il 'tocco magico' che aveva mostrato alle elezioni europee del 1999. I piu' malevoli commentatori, che affollano le file degli ex radicali, dicono che il successo della Bonino avvenne malgrado Pannella. E ora il vecchio leader è tornato in campo finendo per soffocarla. Ma gli 'amori gelosi di Marco' sono una leggenda che si ripete, si ripete, si ripete...
Mauro Suttora
Sunday, March 04, 2001
Le modelle dell'Est
di Mauro Suttora
La capostipite è stata Paulina Porizkova, che quindici anni fa conquistò oltre 400 copertine di riviste di moda nel mondo, e diventò il volto della pubblicità Estée Lauder. Nata in Cecoslovacchia, sua madre la portò via da Praga nel ‘68, quando i carri armati sovietici invasero il Paese. Così la stupenda Paulina crebbe in Svezia, e lì fu facile farsi notare come modella. Dopodiché, anche la carriera di attrice le ha dato soddisfazioni («Alibi seducente» con Tom Selleck, «Arizona Dream» con Johnny Depp).
Rotto il ghiaccio - e crollato il Muro di Berlino - negli anni Novanta le passerelle sono state invase dalle affascinanti figlie dell’ex Impero del Male (come il presidente americano Ronald Reagan aveva soprannominato il blocco sovietico). L’ucraina Milla Jovovich, diventata poi moglie del regista francese Luc Besson; Eva Herzigova, prima testimonial del reggiseno Wonderbra e trionfatrice a Sanremo; Daniela Pestova, amata dai grandi stilisti e anche dall’imprenditore fiorentino Tommaso Buti. Infine, nel '98, ecco arrivare dalla Slovacchia Adriana Sklenarikova con i suoi 127 centimetri di gamba, Guinness dei primati.
Senza dimenticare l’ingegnere metallurgico Natasha Stefanenko, nata sui monti Urali e impostasi ormai in Italia come conduttrice televisiva, né Karmen Kass, 21enne estone, già pupilla di Donatella Versace.
«Le ragazze dell’Est sono bellissime, intelligenti e professionali», assicura Bruno Pauletta, manager dell’agenzia Riccardo Gay che dopo la caduta delle dittature ha girato in lungo e in largo i Paesi dell’Est alla ricerca di nuove bellezze da lanciare: «L’Europa orientale è vicina all’Italia, per cui le ragazze sono anche più semplici da gestire».
Purtroppo il caso recente di una sedicenne slovena drogata e «usata» sessualmente nel giro della Milano modaiola notturna dimostra che il confine fra il lusso delle sfilate e il sesso a pagamento sta diventando più labile. Ma le silfidi dell’Est sono spesso assai colte, a volte reduci da studi universitari, e non si faranno facilmente sorpassare dalle sudamericane, nuova moda nel mondo della moda.
Il ritorno delle ciccione
di Mauro Suttora
Si chiama Sophie Dahl, ed è la nuova donna immagine del profumo Opium di Yves Saint Laurent. Americana, 23 anni, alta un metro e 80, taglia 48, incanta il mondo tutta nuda e burrosa, con la sua pelle bianco latte e gli occhi chiusi nell’estasi. La supera Barbara, 24 anni, taglia 52: di reggiseno porta la settima misura, e ha posato per il calendario 2001 di Elena Mirò, la linea di moda del gruppo Miroglio destinata alle taglie forti, che fa concorrenza a Max Mara e a Marina Rinaldi.
Poi c’è Ali Stuhlreyer, la grassa modella che è stata immortalata in copertina poche settimane fa da «Amica»: lo sciccoso settimanale ha dedicato un intero numero al «sovrappeso è bello», così come il supplemento femminile «D di Repubblica». Quanto a Kate Moss, un tempo magra da far paura, ultimamente ha mostrato fianchi insolitamente tondi sfilando in costume per Gucci.
Megan Gale, infine: sì, la più concupita dagli italiani è in realtà pure lei bella pienotta, con gambe muscolose (ammirabili mentre si arrampica sulla torre dell’ultimo spot Omnitel) e curve pronunciate, che a ogni sfilata fanno inorridire gli ultimi stilisti rimasti schiavi del mito dell’anoressica. Per non parlare di Gwyneth Paltrow, la secca attrice che nel suo ultimo film si fa ingrassare fino a 150 chili dal computer.
Insomma, grasso è di nuovo bello? E, comunque, sta tramontando l’era delle modelle magrissime, visto che di anoressia lle nostre adolescenti cominciano perfino a morire?
«Andiamoci piano», risponde Gabriella Galluccio Canevari, giornalista di Amica, «perché anche alle ultime sfilate di Milano, Parigi e New York la media delle modelle era, ancora e sempre, sulla misura grissino. È vera piuttosto un’altra cosa: che mentre un tempo la ciccia era completamente out, oggi rappresenta un’alternativa accettabile e presentabile».
E perfino simpatica: anche perché, diciamolo francamente, al di là dei modelli (e delle modelle) imposti dall’industria della moda e dai gusti sovente omosex (e quindi sottilmente ginofobi) degli stilisti, nella realtà di tutti i giorni il trionfo delle maggiorate non è mai cessato. Al cinema, per esempio, sono sempre loro a dettar legge. E non soltanto in Italia, con le sue più che paffute Valeria Marini e Sabrina Ferilli, o con le pettoralmente superdotate Maria Grazia Cucinotta, Manuela Arcuri e Anna Falchi, ma anche nella Francia della quasi omonima di Sophie Dahl, Béatrice Dalle, nell’Inghilterra di Elizabeth Hurley dai garretti sostanziosi, e negli Stati Uniti delle quadratissime Cameron Diaz e Sandra Bullock.
Ma prendiamo anche la più divina e conturbante, Sharon Stone: le avete mai guardato attentamente le gambe? Non assomigliano a quelle di un onesto centromediano di spinta? Nicole Kidman è in perenne lotta con la dieta. Quanto a Kate Winslet, prima e dopo «Titanic» è tutta un tripudio di rotolini.
A difendere lo stendardo del clangore di ossa sembra rimasta soltanto Julia Roberts: per il resto, se non si può dire che il muscolo più o meno flaccido faccia tendenza, certo ha conquistato tolleranza. E quindi, care donne, non angustiatevi più di tanto con le consuete diete primaverili: può darsi che la verità stia nel titolo dell’ultimo libro scritto da Richard Klein per Feltrinelli: «È tutto grasso che vola».