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Wednesday, April 03, 2013
Mennea
Oggi, 27 marzo 2013
Chi non è stato un ragazzo del Sud negli anni Sessanta o Settanta non può capire. Non potrà mai capire cos’ha significato Pietro Mennea assieme a pochi altri personaggi suoi coetanei (il calciatore della Juventus Franco Causio, i cantanti Al Bano e Mino Reitano) e a poche altre imprese (l’Alfasud, Termini Imerese, la Siv e la Fiat di Termoli, l'industria delle scarpe di Barletta) per la grande speranza che avvolgeva quegli anni.
Un profumo di riscatto per tutto il Meridione, svanito nei decenni successivi. Tranne forse che nella Puglia di Pietro, meno zavorrata da mafia, camorra
e ’ndrangheta, e anzi diventata internazionalmente attraente grazie a masserie e tarante.
'Il ragazzo che sorride' era il titolo di una bellissima canzone di Al Bano. Mennea sorrideva, sì, ma più che altro digrignava i denti. Onestamente, non era simpatico. «De mortuis nisi bene», dei morti non si parla che bene. Però la grande qualità di Pietro era un’altra: la volontà. Un pugliese con la disciplina di un tedesco. E la voglia di emergere di un americano.
Due ragazzi guardano la villa di un ricco su una collina. L’europeo dice: «Ora vado e la brucio». L’americano dice: «Un giorno riuscirò a diventare così ricco che mela comprerò». Mennea apparteneva a questa seconda categoria. Non il meridionale piagnone, rivendicativo, vittimista. Ma quello che si allenava 350 giorni l’anno, che si aiutava perché sapeva che il cielo non lo aiutava.
Nessun atleta al mondo si allena 350 giorni l’anno. Mennea sì, lo faceva, sotto il torchio del suo allenatore-aguzzino Carlo Vittori. Che oggi, sopravvissutogli a 82 anni, lo ricorda così: «Impegno e testardaggine».
Il suo record del mondo sui 200 metri ha resistito 17 anni. Diciannove secondi e 72 centesimi. Quando il tempo apparve sullo schermo di Città del Messico, nel 1979, era così incredibile che qualcuno non capì: «Si sono sbagliati di anno, c’è scritto 1972».
Ancora oggi, un terzo di secolo dopo, Mennea è l’uomo più veloce d’Europa sui 200 metri e d’Italia sui 100. Il francese Christophe Lemaitre è riuscito a superarlo come bianco europeo più veloce sui 100, ma solo nel 2011.
Il suo carniere olimpico non è strabiliante, considerando che ha partecipato a ben cinque edizioni dal 1972 all’88: un oro (Mosca 1980, dove non correvano gli statunitensi per il boicottaggio contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan) e due bronzi. Resta ancora inspiegabile la débacle del 1976, quando a Montreal non voleva neanche andare.
In tv era famoso perché parlava di sè in terza persona. Finita la carriera sportiva si è dato all’avvocatura e alla politica. Nel 1999 è stato eletto al Parlamento europeo con l’Asinello: un’alleanza fra Antonio Di Pietro, Romano Prodi e Francesco Rutelli. Poi ha litigato, come tutti, con Di Pietro. E ha subìto due sconfitte che non gli sono andate giù: mancato sindaco della sua Barletta con Forza Italia nel 2002, e due anni dopo niente conferma all’Europarlamento con i repubblicani-liberal di Vittorio Sgarbi. Si chiamerà Mennea il primo treno Frecciarossa che nel 2014 supererà i 400 km all’ora.
Mauro Suttora
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Saturday, June 02, 2001
Di Pietro perde l'unico senatore
IL COGNATO GLI RUBA IL SENATORE DELLA VAL SERIANA
di Mauro Suttora
Il Foglio, 2 giugno 2001
Tutta colpa del cognato. Antonio Di Pietro ha perso dopo sole due settimane l’unico senatore che era riuscito a far eleggere, per caso, il 13 maggio. Valerio Carrara, 51 anni, chimico di Oltre il Colle (Bergamo), sembrava aver conquistato quasi per sbaglio il suo seggio.
Invece dietro di lui c’è Gabriele Cimadoro, cognato bergamasco di Tonino, ex democristiano, ex ccd, eletto deputato con Silvio Berlusconi nel ‘96, passato all’Ulivo con Mastella nel ‘98, accolto nell’Asinello da Di Pietro nel ‘99, infine in rotta con l’ex pm dal 2000, quando quest’ultimo si stacca dai democratici di Francesco Rutelli e Romano Prodi.
Da tempo Cimadoro meditava vendetta. La trova quattro mesi fa, quando i dipietristi cominciano a raccogliere le firme per presentarsi al voto autonomamente dal centro-sinistra. Alla rapida ricerca di candidati per ogni collegio, i seguaci di Tonino non vanno troppo per il sottile e accettano anche di selezionare dei perfetti sconosciuti.
Come questo Carrara, deboluccio in quanto a referenze politiche: può esibire soltanto un assessorato nel proprio piccolo Comune dal ‘94 al ‘97 e una militanza nella Federcaccia. Si iscrive all’Osservatorio per la legalità dipietrista, partecipa a una certa Commissione per la sburocratizzazione e oplà, eccolo in pista.
Perfetto cavallo di Troia, Carrara viene accettato come candidato dagli ignari colonnelli dell’ex senatore del Mugello. Cimadoro fa convergere su di lui tutti i voti dei suoi amici cacciatori ed ex democristiani della Val Seriana, e il gioco è fatto: il chimico risulta il candidato dipietrista più votato al Senato in Lombardia, con una percentuale del 4,7.
Ridotto in gramaglie per il mancato raggiungimento del 4 per cento al proporzionale della Camera, Di Pietro si aggrappa a quest’unico eletto. Il quale, fra l’altro, vale anche 1.200 milioni di rimborso elettorale (l’ex finanziamento pubblico ai partiti): pochi, in confronto ai 16 miliardi che sarebbero arrivati col superamento della soglia-ghigliottina alla Camera, ma comunque preziosi per riempire le esauste casse del movimento.
Niente da fare: istigato da Cimadoro, Ferrara nei primi giorni post-voto prende le distanze da Tonino. E ora arriva la rottura tanto precoce quanto definitiva: “Mi iscrivo al gruppo misto come indipendente. In questi giorni Di Pietro non mi ha mai cercato direttamente. Ha mandato avanti qualche suo luogotenente, gente di cui ho molto poca considerazione”.
E all’accusa di tradimento, dopo essersi fatto eleggere grazie ai consensi di Italia dei Valori, replica: “Gran parte dei voti che ho raccolto sono miei, non di Di Pietro: gente che mi ha detto e votava per me al Senato, ma per altri movimenti alla Camera”.
Ora il senatore Carrara potrebbe perfino votare la fiducia al governo Berlusconi: “Prenderò in seria considerazione questa possibilità. Di Pietro aveva una battaglia personale contro Berlusconi, non contro il centro-destra. E io fra Lega, An e Forza Italia, mi sento più vicino a Forza Italia”.
Poveri dipietristi: pensavano di avere dato il voto più antiberlusconiano possibile, e ora invece si ritrovano con il loro unico parlamentare eletto che rischia di finire nella Casa delle libertà. Comunque, nonostante lo scoramento per il 3,9 per cento e un milione e mezzo di voti buttati via, i fans di Tonino proseguono il loro cammino: si riuniranno in congresso il 16 giugno a Roma. Avranno diritto di voto tutti i candidati a Camera e Senato, più gli eletti.
Questi ultimi, per la verità, sono pochissimi: neanche alle comunali di Torino e Roma Di Pietro è riuscito a raggiungere il quorum minimo. E’ stato eletto con il 5 per cento soltanto a Milano, dov’era candidato sindaco, assieme a Letizia Gilardelli (ex Psi e Pds) e ad Adriano Ciccioni (ex radicale e verde).
Il congresso sarà anche l’occasione per fare un po’ di conti all’interno del movimento. La sconfitta è arrivata da regioni che hanno dato all’ex pm soltanto il 2,5 per cento, come il Lazio e la Toscana. Sotto il 4 per cento sono rimaste anche Liguria, Emilia, Campania e Calabria. Bene invece la Puglia (dove si è impegnato l’unico altro europarlamentare dipietrista, Pietro Mennea), con il 5 per cento, l’Abruzzo con il 6 e il Molise con il 14. Il Nord (Piemonte, Lombardia, Triveneto) ha regalato a Di Pietro il 4 per cento: voti soprattutto leghisti e radicali, che ora Tonino cercherà di far pesare all’interno del centro-sinistra, dove Elio Veltri cerca di ancorare il movimento.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Il Foglio, 2 giugno 2001
Tutta colpa del cognato. Antonio Di Pietro ha perso dopo sole due settimane l’unico senatore che era riuscito a far eleggere, per caso, il 13 maggio. Valerio Carrara, 51 anni, chimico di Oltre il Colle (Bergamo), sembrava aver conquistato quasi per sbaglio il suo seggio.
Invece dietro di lui c’è Gabriele Cimadoro, cognato bergamasco di Tonino, ex democristiano, ex ccd, eletto deputato con Silvio Berlusconi nel ‘96, passato all’Ulivo con Mastella nel ‘98, accolto nell’Asinello da Di Pietro nel ‘99, infine in rotta con l’ex pm dal 2000, quando quest’ultimo si stacca dai democratici di Francesco Rutelli e Romano Prodi.
Da tempo Cimadoro meditava vendetta. La trova quattro mesi fa, quando i dipietristi cominciano a raccogliere le firme per presentarsi al voto autonomamente dal centro-sinistra. Alla rapida ricerca di candidati per ogni collegio, i seguaci di Tonino non vanno troppo per il sottile e accettano anche di selezionare dei perfetti sconosciuti.
Come questo Carrara, deboluccio in quanto a referenze politiche: può esibire soltanto un assessorato nel proprio piccolo Comune dal ‘94 al ‘97 e una militanza nella Federcaccia. Si iscrive all’Osservatorio per la legalità dipietrista, partecipa a una certa Commissione per la sburocratizzazione e oplà, eccolo in pista.
Perfetto cavallo di Troia, Carrara viene accettato come candidato dagli ignari colonnelli dell’ex senatore del Mugello. Cimadoro fa convergere su di lui tutti i voti dei suoi amici cacciatori ed ex democristiani della Val Seriana, e il gioco è fatto: il chimico risulta il candidato dipietrista più votato al Senato in Lombardia, con una percentuale del 4,7.
Ridotto in gramaglie per il mancato raggiungimento del 4 per cento al proporzionale della Camera, Di Pietro si aggrappa a quest’unico eletto. Il quale, fra l’altro, vale anche 1.200 milioni di rimborso elettorale (l’ex finanziamento pubblico ai partiti): pochi, in confronto ai 16 miliardi che sarebbero arrivati col superamento della soglia-ghigliottina alla Camera, ma comunque preziosi per riempire le esauste casse del movimento.
Niente da fare: istigato da Cimadoro, Ferrara nei primi giorni post-voto prende le distanze da Tonino. E ora arriva la rottura tanto precoce quanto definitiva: “Mi iscrivo al gruppo misto come indipendente. In questi giorni Di Pietro non mi ha mai cercato direttamente. Ha mandato avanti qualche suo luogotenente, gente di cui ho molto poca considerazione”.
E all’accusa di tradimento, dopo essersi fatto eleggere grazie ai consensi di Italia dei Valori, replica: “Gran parte dei voti che ho raccolto sono miei, non di Di Pietro: gente che mi ha detto e votava per me al Senato, ma per altri movimenti alla Camera”.
Ora il senatore Carrara potrebbe perfino votare la fiducia al governo Berlusconi: “Prenderò in seria considerazione questa possibilità. Di Pietro aveva una battaglia personale contro Berlusconi, non contro il centro-destra. E io fra Lega, An e Forza Italia, mi sento più vicino a Forza Italia”.
Poveri dipietristi: pensavano di avere dato il voto più antiberlusconiano possibile, e ora invece si ritrovano con il loro unico parlamentare eletto che rischia di finire nella Casa delle libertà. Comunque, nonostante lo scoramento per il 3,9 per cento e un milione e mezzo di voti buttati via, i fans di Tonino proseguono il loro cammino: si riuniranno in congresso il 16 giugno a Roma. Avranno diritto di voto tutti i candidati a Camera e Senato, più gli eletti.
Questi ultimi, per la verità, sono pochissimi: neanche alle comunali di Torino e Roma Di Pietro è riuscito a raggiungere il quorum minimo. E’ stato eletto con il 5 per cento soltanto a Milano, dov’era candidato sindaco, assieme a Letizia Gilardelli (ex Psi e Pds) e ad Adriano Ciccioni (ex radicale e verde).
Il congresso sarà anche l’occasione per fare un po’ di conti all’interno del movimento. La sconfitta è arrivata da regioni che hanno dato all’ex pm soltanto il 2,5 per cento, come il Lazio e la Toscana. Sotto il 4 per cento sono rimaste anche Liguria, Emilia, Campania e Calabria. Bene invece la Puglia (dove si è impegnato l’unico altro europarlamentare dipietrista, Pietro Mennea), con il 5 per cento, l’Abruzzo con il 6 e il Molise con il 14. Il Nord (Piemonte, Lombardia, Triveneto) ha regalato a Di Pietro il 4 per cento: voti soprattutto leghisti e radicali, che ora Tonino cercherà di far pesare all’interno del centro-sinistra, dove Elio Veltri cerca di ancorare il movimento.
Mauro Suttora
Sunday, March 25, 2001
I candidati di Di Pietro
Elezioni politiche per l'Italia dei Valori
di Mauro Suttora
Il Foglio, marzo 2001
Il cognato. La segretaria. Adesso anche i cugini. Antonio Di Pietro candida alle elezioni Nicola Veltri, parente del suo braccio destro (Corn)Elio, ed Eugenio Ronchi, cugino dell’ex ministro verde dell’Ambiente Edo.
Dimenticato il cognato bergamasco Gabriele Cimadoro, deputato ribaltonista passato disinvoltamente da Silvio Berlusconi all’Ulivo seguendo Clemente Mastella, sistemata la fedele segretaria Silvana Mura come tesoriera del partito nonché capolista in Toscana ed Emilia-Romagna, il diffidente Tonino prosegue sulla sua strada familista e si affida a parenti eccellenti.
Il Veltri-bis è stato piazzato nell’ottimo collegio senatoriale lombardo di Cinisello Balsamo: rischia di essere eletto. Ronchi è fra i capilista sia a Milano che a Bergamo-Brescia-Como, e un mese fa è stato nominato commissario regionale lombardo di una gogoliana «Commissione nazionale per l’abbattimento della burocrazia».
Ma accanto alla solidarietà del sangue c’è anche l’amicizia, e così i tre segretari organizzativi di Italia dei Valori sono tutti fedelissimi di Tonino: al Nord il bergamasco Ivan Rota (probabile deputato in Lombardia Due o Liguria), al Centro l’abruzzese Mario Di Domenico (capolista anche in Emilia e a Roma), e nel Sud il molisano Gaetano Di Niro.
I sondaggi danno la lista Di Pietro appena oltre il 4 per centro: gli altri deputati dovrebbero quindi essere il Veltri vero (capolista a Torino e Napoli), Elio Lannutti dell’Adusbef (Roma) e Giorgio Calò, sondaggista di Directa (Milano e Puglia).
Nella circoscrizione Campania Due guida la lista Giovanni Aliquò, capo di un sindacato di destra dei poliziotti, nel Lazio (Roma esclusa) il giornalista Rai Bruno Mobrici, in Veneto l’illustre sconosciuto Massimo Donadi.
A dare una mano in Basilicata e Puglia c’è Pietro Mennea, che però è già eurodeputato (l’unico rimasto fedele a Di Pietro fra i sei Democratici dell’Asinello eletti nel '99).
Tonino si candida in Emilia-Romagna, Puglia e Sicilia Due (Catania), ma a Milano conquisterà comunque visibilità come candidato sindaco. Qui la situazione è in movimento. Il disfacimento della sinistra dà a Tonino qualche speranza di arrivare al secondo turno delle comunali, superando i candidati dell’Ulivo (Sandro Antoniazzi) e dei Verdi (Milly Moratti).
Anche perché questi ultimi si sono dispersi in altri due tronconi: i rossoverdi del consigliere comunale Basilio Rizzo che restano nell’Ulivo, mentre gli animalisti dell’ex deputato Stefano Apuzzo e di Carlo Ripa di Meana guardano a Di Pietro. Il quale presenterà a sua volta, come probabili capilista, l’ex verde Adriano Ciccioni e l’ex Società Civile Armando Sandretti.
Se il sindaco Gabriele Albertini non riuscisse a raggiungere il 50 per cento al primo turno e fosse quindi costretto al ballottaggio, sarebbe proprio Di Pietro - molto più di Antoniazzi, troppo targato a sinistra - l’unico candidato in grado di impensierirlo, pescando fra i voti di destra.
È questo il machiavellico ragionamento che si sta facendo strada in alcuni settori dell’Ulivo milanese, e che rendono rosee le prospettive dei fan di Tonino a Milano.
Fra l’altro, si stanno riavvicinando all’ex pm anche i suoi ex colleghi del Pool di Mani Pulite Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, che parteciperanno il prossimo sabato a un convegno dipietrista a Milano con l’ex pretore e sindaco di Genova Adriano Sansa e il direttore di Micromega Paolo Flores D’Arcais.
Quest’ultimo ha litigato con Di Pietro, ma il suo dissidio si limita alla presentazione solitaria nel maggioritario della Camera, che a suo avviso danneggerà la sinistra in molti collegi di frontiera. Viceversa, parecchi nell’Ulivo sono convinti che Tonino pescherà più a destra, e che quindi non valga la pena proporgli accordi di desistenza dell’ultima ora.
L’Italia dei Valori, in ogni caso, sta riuscendo nella non facile impresa di presentare candidati in tutti i collegi uninominali di Camera e Senato. La raccolta di firme autenticate (quasi mezzo milione) è a buon punto, contrariamente a quella dei radicali (che hanno finora coperto solo un terzo dei collegi) e a Sergio D’Antoni, che le sottoscrizioni non ha neppure cominciato a raccoglierle.
Di Pietro si assicurerà così spazi tv uguali a quelli di Polo e Ulivo, che spettano a qualsiasi coalizione presenti candidati in più della metà dei 475 collegi.
Per ottenere un’adeguata copertura televisiva e per protestare contro le liste-civetta il senatore del Mugello si è fatto ricevere il 2 marzo dal presidente Carlo Azeglio Ciampi, e pochi giorni dopo ha incassato una delibera della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai che invita la tv di Stato a una maggiore attenzione nei confronti di radicali e dipietristi.
Nelle ultime settimane l’ex pm, che è anche un ex commissario di polizia, è stato quasi adottato da Bruno Vespa, che l’ha invitato più volte nel suo «Porta a Porta» in qualità di esperto per il caso Vacca Agusta.
Viceversa, è stata sospesa la rubrica che Di Pietro teneva su Oggi, il settimanale familiare Rizzoli che gli garantiva un contatto diretto con quattro milioni di lettori appartenenti esattamente al suo target popolare.
Ma Tonino in campagna elettorale continuerà a insistere sui suoi cavalli di battaglia: legalità, pulizia, sicurezza, e difesa dei consumatori contro i soprusi di banche (su mutui e interessi), telefoni e assicurazioni.
Mauro Suttora
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