Wednesday, March 19, 2003
E' sparito il diario di Claretta
"Quel carteggio scotta. Mia zia sapeva che gli inglesi avevano chiesto aiuto a Mussolini per l' armistizio con Hitler", rivelò un mese fa a Oggi il nipote della Petacci, Ferdinando (a lato, col nostro cronista) "Hanno rubato i documenti che potevano mettere in imbarazzo gli inglesi", dice lo storico Luciano Garibaldi
di Mauro Suttora
Oggi 19/03/2003
Il giallo si complica. E i misteri sulla morte di Benito Mussolini, invece di dissolversi, si infittiscono. Il nuovo soprintendente dell' Archivio di Stato, Maurizio Fallace, ha denunciato ai carabinieri il furto di tutta l' annata 1937 del carteggio fra il dittatore fascista e la sua amante, Claretta Petacci, e del diario di quest' ultima. L' unico erede della Petacci, il nipote sessantenne Ferdinando che vive a Phoenix, in Arizona, un mese fa aveva lanciato proprio dalle colonne del nostro giornale, in un' intervista esclusiva, l' allarme sul destino degli scottanti documenti: "Qualcuno non vuole che la verità esca fuori" (Oggi n. 6, 5 febbraio 2003). E adesso la notizia che diario e lettere sono già stati saccheggiati da mani ignote fa lievitare i sospetti.
Ma cosa contiene di così esplosivo il carteggio Mussolini Petacci?
"In teoria, nessuno dovrebbe saperlo", risponde lo storico Luciano Garibaldi, uno dei massimi esperti di quel periodo e autore di molti libri (gli ultimi: La pista inglese, edizioni Ares, e Un secolo di guerre, ed. White Star), "perché da 58 anni tutti i governi lo hanno coperto con il segreto di Stato. Che però per legge dura solo cinquant' anni. Cosicché alla sua scadenza, nel 1995, chiesi di esaminarlo. Ma l' Archivio mi impedì la consultazione, accampando un ulteriore periodo di vent' anni per proteggere la privacy delle persone coinvolte. Allora mi rivolsi direttamente al ministro degli Interni dell' epoca, Giorgio Napolitano, specificando che mi sarei accontentato di sfogliare, sotto il vigile occhio dei funzionari dell' Archivio, soltanto alcune pagine dei diari fra gli ultimi mesi del 1944 e il gennaio del 1945".
Perché questa autolimitazione ?
"Perché ero venuto in possesso delle trascrizioni delle telefonate fra Mussolini e Claretta, intercettate dai tedeschi che controllavano tutto. Da quei colloqui emergono i contatti segreti che il Duce aveva con emissari inglesi di Winston Churchill. "Riuscirò a convincere Hitler", dice Mussolini alla sua amante, che in quel periodo drammatico era diventata anche la sua confidente politica. Lui si sfogava con lei perché ormai non si poteva fidare quasi più di nessuno".
Cosa voleva Churchill da Mussolini?
"Bloccare l' Unione Sovietica che stava dilagando troppo velocemente in Europa, mentre gli occidentali erano ancora fermi sul Reno".
E lei cosa voleva scoprire nei diari segreti di Claretta?
"Quello che scrisse, almeno nei giorni corrispondenti alle date delle telefonate intercettate dai nazisti. Lei ascoltava tutto, e durante le sue lunghe notti insonni a villa Fiordaliso, sul lago di Garda, scriveva moltissimo. Infatti i suoi diari hanno una mole mostruosa, ben 15 mila pagine: mille per ogni diario, come confidava alla sorella Miriam".
E perché Napolitano non le ha permesso di consultarli, visto che il periodo del segreto di Stato è scaduto e il suo lavoro è di tipo storico scientifico, non certo alla ricerca di pettegolezzi privati ?
"La sua è stata una risposta curiosa. Sosteneva che i funzionari dell' Archivio avevano già provveduto a consultare i diari e non avevano trovato nulla di ciò che ci interessava".
Quindi qualcuno ha già letto e studiato i documenti segreti. E come mai è sparito proprio l' anno 1937 ?
"Le lettere di quell' anno non dovrebbero contenere rivelazioni importanti dal punto di vista politico. Con tutta probabilità si tratta veramente di corrispondenza d' amore e di lamentele da parte dell' amante di un uomo che faceva ancora il galletto e si concedeva altre avventure galanti. Magari saranno state vendute a caro prezzo a qualche collezionista privato miliardario. Ce ne sono tanti, in giro per il mondo".
Il valore commerciale del carteggio e del diario, quindi, potrebbe essere alto. È per questo che il nipote Ferdinando chiede di riaverli ?
"Petacci ha tutto il diritto di rientrarne in possesso, come unico erede vivente. Scaduto il termine dei cinquant' anni di segreto di Stato, se non gli vengono restituiti è un furto".
Ferdinando Petacci aveva soltanto tre anni quando l' auto su cui si trovava assieme alla zia Claretta, al padre Marcello Petacci, alla madre e al fratellino venne bloccata a Dongo, sulla riva del lago di Como, nell' aprile 1945. Suo padre venne fucilato, nonostante avesse dichiarato di essere in contatto con gli inglesi (o forse proprio per questo), la mamma violentata dai partigiani e il fratello non si riprese più dallo choc. Ora vive in Arizona e pretende che i suoi diritti vengano rispettati. Anche quello alla privacy: come si fa, infatti, a opporlo proprio ai parenti più stretti ?
Ma l' Archivio di Stato ha intenzioni differenti: "Quest' anno, trascorsi settant' anni, renderemo consultabili i primi atti del carteggio e del diario, quelli relativi al 1933", annuncia il sovrintendente Fallace. Ed è stato proprio durante una riunione preparatoria per questa pubblicazione che è stato scoperto il furto.
Luciano Garibaldi avverte però: "Già nel 1950, quando i documenti vennero scoperti dai carabinieri sotterrati in un baule nel giardino della villa dei conti Cervis, ai quali Claretta li aveva affidati prima di fuggire da Gardone, qualcuno si premurò di purgarli delle parti più compromettenti. D' altra parte, questo è stato il destino subito da tutti i documenti che potevano provare qualcosa di imbarazzante per gli inglesi. Quelli che Mussolini aveva consegnato al fidato ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka per esempio: vent' anni fa gliene chiedemmo conto, e lui rispose sibillino di avere consegnato tutto al suo governo. Che naturalmente oppose anch' esso il segreto di Stato. Ugualmente sparite nel nulla sono poi le copie fotografiche che Mussolini consegnava al ministro Carlo Alberto Biggini".
Ma siamo sicuri che esistano le prove dei contatti fra Mussolini e Churchill?
"Non bisogna certo pensare a lettere dirette che iniziavano "Caro Winston" o "Caro Benito", ma sui rapporti tramite emissari nessuno può più dubitare. Pietro Carradori, l' autista del Duce, mi ha rivelato nel ' 94 di averlo trasportato due volte la notte, di nascosto, da Salò a Ponte Tresa al confine con la Svizzera per incontrarli. E anche i partigiani che parteciparono a quelle vicende, ormai anziani, negli anni Novanta hanno cominciato a incrinare il muro di omertà alzato per mezzo secolo: Urbano Lazzaro, il famoso comandante Bill che catturò sia Mussolini che Marcello Petacci, ha scritto due libri. Peccato che l' Istituto Storico della Resistenza di Pavia non permetta ancora l' ascolto delle cassette con la testimonianza di un altro partigiano, ormai deceduto".
Insomma, i misteri sull' oro di Dongo (il tesoro sparito dei gerarchi fascisti) e sulle uccisioni dei partigiani che non accettarono la versione ufficiale continuano. Dureranno ancora per dodici anni, se il governo non si decide a togliere il segreto (che negli Stati Uniti dura solo trent' anni). E forse per sempre, se malauguratamente si verificherà qualche altro strano "furto".
Mauro Suttora
Thursday, March 13, 2003
Vietnam a New York
Due dittature, due misure?
Il Foglio
13 marzo 2003
di Mauro Suttora
New York. Negli stessi giorni in cui gli Stati Uniti vanno in guerra contro una dittatura, l’American Museum of Natural History (una delle istituzioni culturali più importanti degli Usa, seconda solo allo Smithsonian di Washington) inaugura, sabato 15 marzo, una mostra sulla “vita quotidiana” in Vietnam, altra dittatura che viene però smerciata agli ingenui newyorkesi come simpatica meta vacanziera, dove esoticamente scontare insensati complessi di colpa per la guerra persa 30 anni fa. I ricchi liberal di Manhattan peggio di Chirac? Sembra di sì, a sentire la presidente del Museo Ellen Futter che ha presentato la mostra (visitabile fino al gennaio 2004) in anteprima ai giornalisti: “Vi invitiamo alla più grande esibizione sul Vietnam mai organizzata negli Stati Uniti, in collaborazione con il Museo Etnologico di Hanoi. Vogliamo introdurvi alla conoscenza di una cultura vibrante e della vita quotidiana di una nazione composta da ben 54 gruppi etnici”.
Nella mostra e nei discorsi non si fa il minimo accenno alla desolante situazione delle libertà in Vietnam. A più di dieci anni dalle prime riforme economiche del regime comunista, il bilancio della liberalizzazione politica è nullo. Le speranze di chi si illudeva che alle timide privatizzazioni sarebbero seguite aperture nel campo delle libertà personali sono andate completamente deluse. “Anche l’ultimo anno ha visto nuove repressioni in Vietnam, con decine di persone condannate a lunghe pene in carcere, molte delle quali per reati d’opinione”, scrive Amnesty International nel suo ultimo rapporto.
Il prigioniero del mese indicato da Amnesty per il febbraio 2003 è Le Chi Quang, laureato 32enne, condannato a quattro anni soltanto per aver osato criticare su Internet il recente accordo sui confini con la Cina. E’ stato arrestato in un Internet cafè il 21 febbraio 2002, e, al processo dell’8 novembre, durato meno di quattro ore, è apparso distrutto fisicamente e moralmente. E’ malato ai reni. “Ma Le Chi Quang è soltanto uno dei numerosi dissidenti nonviolenti arrestati e condannati nel 2002”, avverte Amnesty, “e il governo di Hanoi continua a impedire agli osservatori internazionali di assistere ai processi. Anzi, a nessuna organizzazione per la difesa dei diritti umani è concesso di entrare in Vietnam”.
Lo scorso 20 dicembre il professore di matematica Nguyen Khac Toan, 47 anni, è stato condannato a 12 anni in un altro processo a porte chiuse durato meno di un giorno: accusato di spionaggio solo per aver passato il testo di petizioni a organizzazioni di profughi vietnamiti all’estero.
La repressione dei Montagnards
Tutti gli altri organismi internazionali, da Freedom House a Human Rights Watch, concordano nel definire il Vietnam una dittatura senza libertà di alcun tipo (associazione, espressione, stampa, riunione) e con violazioni dei diritti umani fondamentali. Ma questo non impedisce a molti volonterosi americani di schierarsi dalla parte dei gerarchi comunisti. Lo stesso direttore del Museo Etnologico vietnamita, Nguyen Van Huy, altro non è che un funzionario governativo, e il suo Museo (come la mostra di New York) propaganda un quadro idilliaco di regime.
“La repressione più feroce la stanno subendo i Montagnards”, avverte Marco Perduca, rappresentante del partito radicale all’Onu, “una popolazione che abita gli altipiani del Vietnam centrale. Più di 200 di loro sono stati arrestati negli ultimi mesi, quasi 100 ci risultano attualmente detenuti e picchiati in prigione, e migliaia di loro vengono costretti a fuggire in Cambogia”. Alla faccia della “vibrante diversità” esaltata dalla ignara (o connivente) presidente Futter del Museo di New York, le minoranze vietnamite subiscono una vera e propria deportazione, con tanto di campi profughi oltre confine.
Se i Montagnards (o Dega) hanno la colpa di essere cristiani protestanti, anche i buddisti vietnamiti non se la passano bene. “L’86enne Thich Huyen Quang, patriarca della Chiesa buddista unificata, è detenuto senza processo dal 1982, senza conoscere nemmeno le ragioni del suo arresto”, denuncia l’eurodeputato radicale Olivier Dupuis, che nel 2001 è stato arrestato durante una sua visita in Vietnam. “Ma tutti i membri delle Chiese non riconosciute ufficialmente dal governo vengono perseguitati”. Il quotidiano New York Post e la televisione Fox hanno criticato la mostra. Ma i liberal newyorkesi di sinistra sembrano felici di assolvere il regime di Hanoi.
Wednesday, March 05, 2003
parla Joe Biden
INTERVISTA AL SENATORE CHE GUIDA LA POLITICA ESTERA DEL PARTITO DEMOCRATICO
Il Foglio, 5 marzo 2003
di Mauro Suttora
New York. "Chi l'ha detto che non possiamo attaccare Saddam dopo il 15 marzo perche' fa troppo caldo? Un'eventuale guerra d'estate per i nostri sarebbe piu' difficile, ma per gli iracheni impossibile. Perche' tutta questa fretta? Diamoci il tempo di recuperare il consenso di Francia, Germania, Russia e Cina, altrimenti Saddam puo' gia' sventolare una vittoria: quella di essere riuscito a dividere la grande coalizione contro il terrorismo, l'Onu e perfino la Nato. Invece io dico: non e' vero che il mondo e' contro di noi, lavoriamo per convincere gli alleati".
Joseph Biden, 60 anni, senatore del Delaware dal 1972 (meta' della sua vita), e' la voce piu' importante dei Democratici per la politica estera: e' infatti il capo dell'opposizione nella commissione Esteri del Senato. Non e' ne' liberal ne' pacifista: ha difeso strenuamente gli interventi in Bosnia e Kosovo. Lo incontriamo dopo un discorso che ha tenuto agli studenti della New York University, a Washington Square. Il voto del Parlamento turco contro la guerra a Saddam lo ha scosso: "In un solo anno Bush e' riuscito a dissolvere tutto il consenso internazionale accumulato dopo l'11 settembre. Ricordo la prima pagina di Le Monde allora: 'Siamo tutti americani'. Ora invece ci siamo alienati la simpatia di quasi tutti, perfino di alleati stretti e fedeli come la Turchia".
Biden, come tutti i Democratici, ha difficolta' nel dire chiaramente se e' pro o contro l'attacco. "Sono favorevole ad avere inviato i nostri soldati: mostrare a Saddam che facciamo sul serio e' l'unico modo per disarmarlo. Ma ora non possiamo fare a lui e a Osama il favore di combattere una guerra contro l'opinione pubblica mondiale". Quindi, nuova parola d'ordine: ricucire con gli europei: "Mettiamo la Francia di fronte alle sue responsabilita'. Chiediamo ai francesi di preparare loro stessi una risoluzione con un calendario preciso e minuzioso di tutte le armi di cui Saddam deve rendere conto: tanti litri di sostanze chimiche, una data entro la quale devono uscir fuori, la determinazione della sanzione, e cosi' per tutto il resto..."
Il senatore pero' sa bene che ormai la macchina e' avviata. La sua collega di partito Hillary Clinton ha dato pieno appoggio al presidente Bush sulla guerra. "Infatti, penso che questa mia proposta abbia solo
Iraq: è guerra
Scenari di guerra: il conflitto con l' Iraq segnerà una svolta nella storia militare, per l' uso massiccio di nuove armi e dell' elettronica
Tra le tre opzioni, nel caso gli sforzi per la pace siano vani, è questa l' ipotesi più realistica. "I combattimenti saranno guidati dalla rivoluzionaria Rete centrale informativa" "Perciò serviranno meno soldati e meno tempo che nel 1991", prevedono gli strateghi. L' esordio delle E Bomb, che con le onde magnetiche "accecheranno" Saddam
dal nostro corrispondente Mauro Suttora
New York (Stati Uniti), 5 marzo 2003
Durerà tre giorni, tre settimane, tre mesi o tre anni ? "Solo una cosa è sicura: non sapremo nemmeno che è iniziata", dice della guerra in Iraq il generale Lewis McKenzie. Lui, canadese, ha comandato le truppe Onu nell' ex Jugoslavia. Ma l' attacco degli Stati Uniti contro Saddam Hussein, se ci sarà, questa volta difficilmente verrà condotto in nome delle Nazioni Unite. Come accadde già nel 1999, quando la Russia mise il veto alla guerra in Kosovo. Il presidente statunitense George Bush jr, quindi, dovrà combattere da solo la Seconda guerra del Golfo.
Suo padre vinse la prima, 12 anni fa. E anche questa volta la vittoria è sicura: il primo esercito del mondo, che costa 380 miliardi di dollari l' anno (più di tutte le altre forze armate del pianeta messe assieme) e che allinea armi segrete di inaudita potenza, non si farà certo sconfiggere dagli iracheni, che hanno la metà degli armamenti rispetto al ' 91 e sono indeboliti da dieci anni di sanzioni. Ma è proprio la solitudine degli Stati Uniti a rendere importante il fattore tempo. Perché se Saddam se ne andrà dopo tre giorni, per Washington sarà un trionfo. Mentre se si supereranno i tre mesi diventerà un disastro. Ecco quindi i vari scenari, dal più ottimista al più pessimista.
Guerra di tre giorni.
Improvvisamente, ai 19 milioni di iracheni non arriveranno più notizie. A questo si riferisce il generale McKenzie, parlando dell' incertezza sull' inizio del conflitto. Le tv smetteranno di funzionare e le radio nelle case capteranno solo qualche emittente estera, sulle onde medie. Poi però, dopo qualche ora, la voce di Saddam inviterà tutti a deporre le armi e a non opporre resistenza. Attenzione: la "voce" del dittatore iracheno, non lui. Perché, una volta messi fuori uso i media del regime, gli americani trasmetteranno falsi comunicati già confezionati dalla Cia con la voce "campionata" di Saddam.
Nel frattempo i commandos penetrati in Iraq da settimane (non è un mistero che già adesso incursori e 007 angloamericani stiano operando nel Nord, controllato dai curdi) si impadroniranno dei principali pozzi petroliferi. O comunque impediranno agli iracheni di farli saltare in aria. Il primo attacco, come sempre, arriverà dall' aria e di notte. Dopo che gli aerei a stelle e strisce EA 6B avranno neutralizzato i radar nemici, gli F 16 modello CJ si occuperanno di distruggere metodicamente le batterie antiaeree.
Per ironia della sorte, molte delle tremila spedizioni aeree che gli Stati Uniti sono in grado di far partire nelle prime 48 ore di guerra proverranno dalla base Principe Sultan. Cioè proprio dall' installazione militare che Osama Bin Laden odia di più, perché si trova sul suolo "sacro" della sua Arabia Saudita. Gli altri velivoli (in particolare i Super Hornet, i nuovi caccia della Marina che dispongono di sensori che inquadrano 4 bersagli alla volta) partiranno dalle portaerei, dalla Turchia e dal Qatar.
In tutto, gli Stati Uniti questa volta hanno portato nel Golfo Persico 200 mila soldati: meno della metà rispetto a quelli che combatterono nella coalizione della Prima guerra del Golfo. Come mai ? Basteranno ? "Certo", rispondono fiduciosi al Pentagono, "perché quello fu un conflitto pianificato ancora con la mentalità della guerra fredda: grandi quantità di mezzi corazzati che avanzano lentamente nel deserto, a 15 chilometri l' ora.
La prossima, invece, sarà la prima E war, la prima guerra elettronica". "Una battaglia basata sull' uso delle più moderne tecnologie dell' informazione", prevede il generale dell' esercito italiano Carlo Jean, "in cui sarà regina la rivoluzionaria Rete centrale informativa basata sulla fusione dei dati forniti dai vari "sensori", dai satelliti ai ricognitori non pilotati". Questi ultimi sono gli ormai noti Predator, già usati in Afghanistan.
Guerra di tre settimane.
Si tratta dell' ipotesi più probabile: gli stessi strateghi americani ammettono che la guerra potrebbe durare di meno solo se Saddam fuggisse o fosse rovesciato con un golpe. Ma sarebbe comunque una durata ridotta rispetto alle altre guerre degli ultimi dieci anni: sia nel Golfo che in Kosovo e in Afghanistan, infatti, i bombardamenti aerei sono durati più di un mese prima che le truppe di terra si arrischiassero ad attaccare. "Questa volta, invece, 9 bombe su 10 saranno teleguidate", assicura il generale Robert Scales, "rispetto a una proporzione di 1 su 10 che avevamo nel ' 91. Quindi gli obiettivi saranno raggiunti assai più in fretta".
Su quanto le bombe (dalla Bat alla Blackout alle CBU 97) possano essere "intelligenti" è lecito restare scettici, dopo i numerosi "danni collaterali" subiti dai civili in Serbia quattro anni fa. Certo è che negli ultimi 24 mesi il presidente Bush ha concesso alle sue gerarchie militari un aumento di spesa del 25 per cento, fatto senza precedenti in tempo di pace (unica eccezione, il regime di Hitler), proprio per sviluppare al massimo le armi sofisticate.
Alcuni esempi ? Il sistema Longbow che, montato sui vecchi elicotteri Apache, permette di mirare contemporaneamente a 16 carri armati nemici. O la bomba Jdam, ordigno supertecnologico a guida satellitare (l' 80 per cento delle armi americane usano ormai il sistema di posizionamento Gps collegato ai satelliti), capace di colpire l' obiettivo con uno scarto di errore di appena 5 metri: il Pentagono ha ordinato alla Boeing di Saint Charles (Missouri) ben 174 mila di questi ordigni, dal modello "light" (227 kg) alle taglie più forti (450 e 1.000 kg). O la cosiddetta E bomb, un ordigno digitale a microonde in grado di far saltare i bunker di comando iracheni spegnendo luci, mettendo fuori uso telefoni, radio e tv, sciogliendo computer: in sostanza la E bomb, progettata per "uccidere i computer risparmiando uomini", porterà ad "accecare" Saddam, e gli impedirà qualsiasi comunicazione coi suoi comandi.
Sarà importante, per vincere in fretta, impedire alle divisioni dell' esercito iracheno (che Saddam, temendo colpi di Stato, tiene da sempre lontane da Baghdad) di convergere sulla capitale in caso di estrema resistenza. In realtà, calcolano gli statunitensi, anche la tanto declamata fedeltà della Guardia al dittatore è tutta da dimostrare. Pare che il nucleo duro degli irriducibili non sia composto da più di tremila soldati: quelli che comunque non sopravviverebbero alle vendette personali dopo tutti i crimini commessi, e che quindi combatterebbero fino alla morte non avendo nulla da perdere.
"L' aspetto psicologico di questa guerra sarà importantissimo", conferma il comandante in capo americano Tommy Franks, "noi dobbiamo riuscire a far capire, in pochi giorni, che non combattiamo contro l' Iraq ma solo contro Saddam e i suoi fedeli. Per tutti gli altri ci sarà un posto nel nuovo Iraq liberato e democratico, com' è avvenuto a Kabul".
Parole di speranza. Ma paradossalmente tanto più facile sarà raggiungere questo obiettivo di pacificazione quanto più tremenda e rapida sarà la prima ondata di bombardamenti, che deve servire a demoralizzare i fedeli di Saddam. Dopodiché gli americani mirano a "redimere" quanti più soldati nemici possibile, per arruolarli subito in un esercito alleato, utile per mantenere l' ordine in una situazione che sarà comunque difficile. E perfino a Saddam lasciano aperta una porta, per non spingerlo a una vendetta estrema del tipo "muoia Sansone con tutti i filistei": in caso di fuga, gli garantirebbero (malvolentieri) un esilio come quello concesso al caudillo panamense Manuel Noriega nel 1989.
Guerra di tre mesi.
È lo scenario pessimista. Saddam non cede, i bombardamenti mirati fanno flop, ma soprattutto si avvera uno dei seguenti due incubi. Primo: gli iracheni usano le armi di distruzione di massa chimiche e batteriologiche che giuravano di non avere più. Contro gli americani o contro la propria popolazione civile, non importa: la tattica criminale della terra bruciata è stata già usata troppo ampiamente da Saddam contro i "fratelli musulmani" curdi e iraniani negli Anni ' 80 per non considerarlo capace di simili atrocità. I soldati americani, soldati tutti "nuovi" (ultraletali, ultraspietati, intessuti di tecnologie come un cyborg, un vero superguerriero), hanno tute e maschere antigas, anche se di dubbio funzionamento, ma il vero dramma sarebbe dover soccorrere decine di migliaia di civili iracheni agonizzanti, e contemporaneamente combattere.
Secondo incubo: gli irriducibili si trincerano dentro Baghdad, si proteggono con "scudi umani" occidentali (pacifisti, ostaggi), si nascondono in basi militari sotto o accanto a chiese, scuole, ospedali, musei, siti archeologici. E anche Saddam può confondere le onde radio delle comunicazioni americane. Senza contare che più i congegni tecnologici sono avanzati, più si rivelano fragili. E, in un deserto, i granelli di sabbia capaci di bloccare un mirabile ingranaggio abbondano.
Guerra di tre anni.
Significherebbe, per gli Stati Uniti, aver perso la guerra. Una resistenza endemica, come quella già subita dagli americani in Vietnam o dai sovietici in Afghanistan, metterebbe a dura prova i nervi delle opinioni pubbliche occidentali. Gli stessi elettori statunitensi non sono teneri con i propri presidenti che perdono: lo dimostrarono contro Jimmy Carter nel 1980, dopo la crisi degli ostaggi in Iran. Per questo Condoleezza Rice, la consigliera più ascoltata da Bush, non prevede in ogni caso per gli Stati Uniti un impegno oltre i 18 mesi in Iraq.
Ma disastri come un missile chimico di Saddam che colpisce Israele, e Sharon che si vendica con un' atomica su Baghdad, potrebbero far sfuggire la situazione di mano perfino alla potenza più forte del pianeta dai tempi dell' Impero romano. Per non parlare di stragi di kamikaze nel nuovo Iraq occupato, ma anche in Europa o di nuovo negli States.
L' Iraq è l' erede dei primi imperi della storia: quelli di sumeri, assiri e babilonesi che prosperarono in Mesopotamia, culla di civiltà. Sarebbe una tragica coincidenza se si candidasse a esserne anche la tomba.
Mauro Suttora
Thursday, February 13, 2003
intervista a Sandra Bullock e Hugh Grant
Sandra, io sono nevrotico: i pantaloni li lascio portare a te
"È anche la produttrice di "Due settimane per innamorarsi" e quindi era il mio capo, oltre che la mia partner", spiega il divo "La mattina io ero sempre di cattivo umore e lei presa da mille problemi" "Hugh mi ha insegnato un sacco di nuovi... insulti", rivela l' attrice
New York (Stati Uniti), febbraio 2003
Vogliono conquistare il titolo di coppia più romantica del cinema, e minacciano di riuscirci. Sandra Bullock e Hugh Grant sono riusciti a incassare già 100 milioni di dollari in soli due mesi in America col loro ultimo film 'Due settimane per innamorarsi', e stanno spopolando in Italia dove sono arrivati nel giorno di San Valentino. È un agguerrito testa a testa con l' 'Amore a cinque stelle' di Jennifer Lopez e Ralph Fiennes, altra grande commedia rosa che in Italia vedremo da aprile. Sandra Bullock recita la parte di una combattiva avvocata delle cause perse, militante ecologista che all' inizio del film non esita a sdraiarsi in strada contro una speculazione edilizia, per poi alla fine sdraiarsi nel letto dello speculatore. Non si capirà bene se è stata lei a conquistare, convincere e redimere lui, o viceversa. Quel che è certo è che quando due attori sono belli, affascinanti e simpatici come la Bullock e Grant, il lieto fine è doveroso. Anche se al povero Hugh toccano personaggi ripugnanti come quello del film: un figlio di papà falso, immaturo e incapace.
Peccato che poi, nella vita, questi due campioni del romanticismo non riescano a trovare l' anima gemella. E ormai, sia per Sandra che per Hugh, l' età avanza: oltre i quaranta lui (42), appena sotto lei (38). Li incontriamo entrambi al Park Lane Hotel di Manhattan per intervistarli. Chiariamo subito, intanto: sul set vi siete amati come sostengono gli esperti di gossip ? Vi siete odiati ? O siete restati indifferenti l' uno all' altra ?
"Era da tanto tempo che volevamo recitare assieme; finalmente siamo riusciti a realizzare questo desiderio...", attacca diplomaticissima Sandra. In questo film è lei che porta i pantaloni. Non solo perché il suo personaggio è più maturo del vacuo seduttore interpretato da Hugh, ma anche perché nella realtà la Bullock è pure produttrice. E in questo film non si è limitata a recitare, ma ha fatto anche il "padrone": la Warner Brothers ha subappaltato alla sua società la produzione esecutiva. "È stata un' esperienza utile e interessante, ma non la ripeterò mai più", confessa lei, "perché è da schizofrenici pensare alla propria parte, decidere se una scena va ripetuta o no, discutere col regista sui costi di questo e quello... Non voglio più sostenere il peso di queste responsabilità". Forse a causa del nervosismo per il superlavoro, pare che sul set Sandra non fosse tranquilla, e che anche nei rapporti con Hugh a volte la tensione salisse. O perlomeno, questo è ciò di cui hanno spettegolato durante i mesi delle riprese i giornali di New York.
Lei, ovviamente, nega tutto: "Hugh è la persona più charming che esista. Però è vero che entrambi siamo perfezionisti. Io pensavo di essere la più esigente del mondo sul set, e invece ho scoperto che lui è ancora più preciso di me. Se è convinto di non aver recitato bene una scena, vuole ripeterla finché non è soddisfatto. "A questo aggiungete che anche il regista è un perfezionista, e che a New York, a differenza di Los Angeles dove gli spazi sono più ampi, si gira per strada, e quindi qualsiasi passante può assistere ai retroscena... Insomma, basta una parolaccia ad alta voce per dare l' impressione che si stia litigando. La verità è che sia io che Hugh amiamo il linguaggio colorito. Anzi, lui mi ha insegnato dei nuovi insulti...".
La versione di Hugh Grant sui rapporti con Sandra è surreale: "Sì, volevo farmela da tempo, qualche anno fa eravamo finiti nello stesso albergo in due camere vicine e ho cercato di conquistarla sussurrandole oscenità rivoltanti. Da allora non ha più voluto vedermi... Scherzi a parte, il problema è che, mentre il film procedeva, lei aveva sempre più energia nel suo ruolo di produttrice, io sempre meno. La verità è che sono un nevrotico totale, e con la pressione dei soldi e del tempo divento paranoico. La parte peggiore della giornata è al mattino. Riesco a essere orribile e quando mi arrabbio il tono dei miei strilli sale fino a livelli da gallina di pollaio. Al pomeriggio va molto meglio".
Non è un segreto che il finale del film abbia dovuto essere girato di nuovo, dopo che le riprese erano finite. "Sì", conferma la Bullock, "ma non è avvenuto perché la Warner, come ha scritto qualcuno, era scontenta. Al contrario, erano talmente soddisfatti da concederci aumenti di budget nel caso ci fosse stata qualsiasi cosa da fare per migliorare ulteriormente il film. Così abbiamo preferito rifare la scena finale in un ambiente più intimo". Sandra e Hugh vanno sull' intimo varie volte nel film. A un certo punto, lei si ubriaca sul suo yacht e lo bacia con foga. "Mi è sembrato il bacio più lungo che abbia mai dato a chiunque, anche nella vita vera", scherza lei, una delle zitelle più ambite degli Stati Uniti. E lui: "Sandra è davvero attraente, ma con alcune donne, per quanto mi piacciano, non riesco a flirtare. Sono quelle troppo intelligenti. Mi trovo più a mio agio con quelle meno brillanti".
Hugh Grant, dopo la disavventura del 1995 con la prostituta di colore Divine Brown (venne arrestato per atti osceni in auto a Los Angeles) e la separazione da Liz Hurley, è uno degli scapoli d' oro più attivi di Hollywood. Da anni svolazza di party in party, ogni sera alle prese con nuove splendide ma sconosciute modelle e starlette. Pochi giorni fa si è favoleggiato di un' ulteriore impresa nel campo del sesso non convenzionale, quando l' ascensore su cui erano saliti lui e una bella ragazza in un albergo di Los Angeles è rimasto a lungo bloccato fra un piano e l' altro. Ma tutto ciò che riusciamo a strappargli, come commento serio sulla sua instancabile e volubile attività di rubacuori, è un laconico: "Ammetto di non essere molto paziente in questo periodo con le donne". E subito dopo si rifugia nella battuta: "Riconosco che il figlio di cui Sandra è attualmente incinta è mio". Un riferimento ironico alla vicenda della sua ex, Liz Hurley, che è dovuta ricorrere in tribunale per far riconoscere il figlio Damian al playboy Steve Bing.
Anche Sandra Bullock da anni non va oltre le avventure più o meno fugaci. Ora sta con l' attore Ryan Gosling, 22, coprotagonista nel suo penultimo film. Non ha problemi ad affrontare seriamente l' argomento amore: "Le mie relazioni non sono mai state facili, e ammetto che è avvenuto per colpa mia. Il problema sono io. Ho bisogno di qualcuno che mi faccia sentire piccola quando gli sto vicino. Qualcuno a cui non debba chiedere nulla quando ho bisogno d' aiuto, perché l' aiuto me l' ha già dato lui spontaneamente". La seconda fidanzata d' America (il primo posto lo detiene sempre Julia Roberts) ha scandalizzato tutti confessando pochi giorni fa di avere fatto una volta l' amore in taxi ("Però è successo prima di diventare famosa"). Nel film ci mette due settimane per innamorarsi di Hugh Grant. Quante gliene occorreranno per trovare l' amore della sua vita ?
Wednesday, February 12, 2003
Kalpana, l'astronauta indiana
Wednesday, February 05, 2003
parla il nipote di Claretta Petacci
"Il diario di zia Claretta dirà che fu Churchill a farla uccidere"
ESCLUSIVO Parla l' unico superstite di Dongo
"Lo Stato nasconde i suoi scritti e le lettere a Mussolini", dice Ferdinando (a lato, col nostro cronista) "Quei documenti proveranno gli accordi top secret tra il Duce e il premier inglese che, per evitarne la divulgazione, avrebbe ordinato l' eliminazione di Benito e dell' amante che sapeva"
"Violentarono mia madre e spararono alle spalle a papà"
dal nostro inviato a Phoenix (Arizona) Mauro Suttora
Oggi 5 febbraio 2003
Dopo sessant' anni bisogna venire fino in Arizona, a diecimila chilometri dall'Italia, per sapere qualcosa di più su uno dei grandi misteri del Ventesimo secolo: l'uccisione di Benito Mussolini e dell' amante Claretta Petacci. "Terra di sogni e di chimere" era definito questo Stato americano in una famosa canzone dell' era fascista, il Tango delle capinere. Ma il suo autore, Cesare Andrea Bixio, aveva scelto l' Arizona per far rima con una "chitarra che suona". E oggi arriviamo fra deserti e grand canyon solo perché qui abita l' unico erede vivente dei Petacci: Ferdinando, 61 anni, figlio di Marcello e nipote di Claretta.
C' era anche lui, bimbo di tre anni, sull' Alfa Romeo fermata a Dongo (Como) dai partigiani il 28 aprile 1945, assieme alla zia Claretta, a papà Marcello, alla mamma e al fratellino di cinque anni. Assassinati i primi due, violentata per giorni la madre, bloccato lo sviluppo mentale del fratello (morto poi giovane di cancro) perché aveva assistito alla fucilazione del padre, Ferdinando è il solo sopravvissuto al dramma. "Per decenni non ho voluto sapere nulla di quelle vicende", mi confessa nella hall dell' albergo dove abbiamo appuntamento, "anche se dopo aver perso la nostra casa di Merano mia madre dovette mandarmi in collegio sotto falso nome. Non sono fascista, non lo sono mai stato, mi sono costruito da solo la mia vita e la mia carriera di dirigente industriale. Mi sono sposato e ho avuto due figli che vivono negli Stati Uniti come me.
Poi, con l' età, mi sono reso conto che la nostra famiglia ha subito una grossa ingiustizia. Non c' era alcun motivo di uccidere Clara Petacci, che ebbe l' unico torto di amare un uomo. Non c' era alcun motivo di ammazzare mio padre, che non era un gerarca fascista: lo urlarono i ministri di Salò ai partigiani comunisti mentre li stavano fucilando. Mio padre riuscì a scappare, si tuffò nel lago, ma fu colpito mentre si allontanava. Dopo la morte di zia Miriam, una decina di anni fa, sono subentrato a lei nella richiesta allo Stato italiano di rientrare in possesso dei diari di mia zia e delle sue lettere a Mussolini".
E questo è il motivo per cui siamo qui. Lei si oppone alla pubblicazione di questo carteggio. Come mai?
"Perché lo Stato italiano ha preso in giro noi eredi per oltre mezzo secolo, e ancora adesso non vuole ridarci ciò che è di nostra legittima proprietà. Il diario e le lettere private, infatti, furono affidati da mia zia Clara a una sua cara amica, la contessa Cervis, prima di fuggire dal lago di Garda nell' aprile ' 45: vivevano assieme nel Vittoriale di D' Annunzio. La contessa seppellì il plico nel giardino della sua villa. Claretta, giunta a Milano, preferì restare con Mussolini, rifiutando di scappare in aereo per la Spagna con la sorella Miriam. Ma a lei si raccomandò: "Se mi capitasse qualcosa, i documenti sono lì". A guerra finita Miriam restò in Spagna e i carabinieri sequestrarono il carteggio. Ma qui cominciano i misteri. Perché dall' inventario del sequestro risulta che le lettere di Mussolini e le minute di quelle di mia zia fossero 600, mentre ora sono la metà. Dove sono finite le lettere mancanti ? Perché sono sparite ? Chi le ha prese ? E che cosa c' era scritto di così delicato da rendere necessario un trafugamento ?".
Lei non ha mai potuto neanche visionare il diario e le lettere ?
"No. Dicevano che c' era il segreto di Stato, che in Italia dura cinquant' anni. Ma nel ' 95, alla scadenza del termine, hanno trovato un' altra scusa per mantenere il segreto: Paola Carucci, sovrintendente dell' Archivio centrale dello Stato, mi ha scritto opponendo un fantomatico diritto alla privacy, che scadrebbe dopo settant' anni. Quindi, secondo loro, io dovrei aspettare ancora fino al 2015. Ma non solo io: tutti gli storici sono esclusi dalla consultazione. Perfino al più prestigioso fra loro, Renzo De Felice, è stato negato l' accesso a quelle preziose carte. Prima con la scusa del segreto, poi con quella della privacy. Proprio contro gli unici che potrebbero dolersene, e cioè i legittimi eredi".
La sovrintendente Carucci è stata sostituita cinque mesi fa dal governo Berlusconi.
"Ma anche i nuovi dirigenti mi deludono", dice Petacci, "quando annunciano che lettere e diari verranno pubblicati, senza restituirli ai legittimi proprietari: si tratterebbe di un ulteriore esproprio senza indennizzo ai danni della mia famiglia".
Si può facilmente immaginare il valore storico ma anche commerciale di una pubblicazione di questi documenti. I misteri sulla fine di Mussolini (dal famigerato "oro di Dongo", il tesoro che i gerarchi in fuga portavano con loro e poi scomparso, alla vera identità del colonnello Valerio, il presunto giustiziere del dittatore fascista, fino alle prove dei contatti segreti fra il premier britannico Winston Churchill e Mussolini e all' assassinio di vari testimoni di quelle vicende) hanno sempre messo in imbarazzo gli eredi dei partigiani comunisti che ammazzarono in quattro e quattr' otto l' ex Duce in fuga.
Perché tutta quella fretta di fare giustizia sommaria ? Sull' argomento sono state avanzate le ipotesi più inquietanti, come quelle contenute nei libri dell' ex capo partigiano Urbano Lazzaro (quello che catturò Mussolini) e dello storico Luciano Garibaldi. Quest' ultimo ne dà un panorama completo nella sua opera più recente, La pista inglese (edizioni Ares, 15 e).
Una pista, quella del coinvolgimento dei britannici, a cui crede anche Ferdinando Petacci: "Sono convinto che la decisione di uccidere Mussolini, mia zia e mio padre fu frutto di un accordo fra agenti inglesi e il colonnello Valerio, che secondo Lazzaro era Luigi Longo, numero due del Pci di Palmiro Togliatti e suo successore".
C' è anche chi ipotizza che Valerio, giunto a prendere i prigionieri per portarli a piazzale Loreto, li trovò già cadaveri. E che fu inscenata una macabra doppia fucilazione, perché i comunisti non volevano perdere il merito di avere giustiziato il Duce. Ha qualcosa da aggiungere sulla pista inglese rispetto agli storici ?
"La vicenda della mia famiglia. Mio padre Marcello ci aveva portati in salvo in Svizzera qualche tempo prima, attraversando di notte il confine nella Val d' Intelvi. Eppure ci fece tornare tutti in Italia, me, mia madre, mio fratello, per prendere mia zia Clara. Perché rischiare ? Mio padre non era certo un pazzo. Aveva dato a tutti noi un passaporto spagnolo, lui si faceva passare per un diplomatico di Madrid, e quando l' Alfa Romeo fu fermata dai partigiani soltanto l' intelligenza di Lazzaro, che era un' ex guardia di Finanza, abituato ai controlli di frontiera, gli fece scoprire un' incongruenza fra il passaporto personale di mia madre e quello collettivo. Così ci arrestarono. Altrimenti Clara Petacci si sarebbe salvata: nessuno l' aveva riconosciuta".
Perché Marcello Petacci era così tranquillo ?
"Perché fino alla sera prima aveva trattato a Milano con agenti spagnoli e inglesi. Churchill era ricattabile da Mussolini, col quale aveva condotto trattative segrete per tutto l' anno precedente. Lo statista inglese aveva capito che il pericolo del futuro non era più la Germania, ma l' Unione Sovietica di Stalin. Quindi aveva contattato Mussolini fin dal giugno 1944, subito dopo il successo dello sbarco in Normandia, con due obiettivi. Il primo era quello di una pace separata con l' Italia, che avrebbe permesso di liberare truppe preziose impegnate sul fronte degli Appennini, spostandole su quello francese per arrivare a Berlino prima di Stalin. Il secondo era quello di convincere Hitler, tramite Mussolini, a negoziare un armistizio a Ovest. Così la guerra sarebbe continuata solo fra nazisti e comunisti, sul fronte orientale. Di tutto questo era al corrente non solo mia zia, ma anche mio padre".
Prove?
"Non le deve chiedere a me, ma allo Stato italiano che nasconde da 58 anni il diario privato di Clara Petacci e le lettere Petacci Mussolini. Comunque esistono testimonianze inequivocabili di incontri segreti fra capi fascisti ed emissari inglesi sul lago d' Iseo. E lo stesso duce si recò due volte in auto di notte da Salò a Ponte Tresa, fra Varese e la Svizzera, per incontrare agenti britannici. Lo doveva fare di nascosto, eludendo la "scorta" delle SS. Anche le trascrizioni delle sue telefonate con Hitler dimostrano come cercasse di convincere il Fuehrer a un armistizio non solo sul fronte italiano, ma anche su quello francese. Hitler però non ne volle sapere".
Fra gli occidentali, gli Stati Uniti non erano disposti a un armistizio coi nazisti, né a tradire l' alleato Stalin. Pretendevano la resa di Hitler.
"Infatti. Per questo la posizione di Churchill era delicata. Se Mussolini avesse subito un processo pubblico, avrebbe esibito le prove delle trattative con il capo inglese, mettendolo in imbarazzo. Per questo gli agenti del controspionaggio inglese, ricevuta la notizia della sua cattura sul lago di Como, si attivarono per eliminarlo. E con lui dovettero uccidere mia zia, che era al corrente di tutto. Infatti lei negli ultimi tempi era diventata una sua stretta confidente anche per le vicende politiche: il diario e il carteggio lo dimostreranno. Non c' era alcun' altra ragione per ammazzarla. Né c' era ragione che Churchill si precipitasse sul lago di Como poche settimane dopo, nell' estate 1945, con la scusa di trascorrere le vacanze nella villa di Moltrasio che oggi appartiene ai Versace, a pochi chilometri da Dongo. È provato che il capo inglese incontrò il funzionario della banca dove era stata depositata la borsa di documenti dalla quale Mussolini non si separava mai: "Lì dentro c' è il futuro dell' Italia", si raccomandò il Duce col partigiano che gliela prese. Anche quei documenti sono spariti".
Mauro Suttora
Wednesday, January 22, 2003
Attori e guerra in Iraq
I divi del cinema dicono tanti "no" al conflitto contro l' Iraq
"Appoggio la lotta al terrorismo", spiega Whoopi Goldberg, "ma prima bisogna sconfiggere Al Qaeda". "Agiamo solo su mandato dell'Onu", afferma Martin Sheen. E se gli americani sono convinti che Saddam vada spodestato, il dubbio è sui mezzi da usare. Con la domanda di sempre: un intervento per la libertà o per il petrolio ?
dal nostro corrispondente Mauro Suttora
New York (Stati Uniti), 22 gennaio 2003
Barbra Streisand e Robert Redford sono contrari. Clint Eastwood e Tom Cruise sono a favore. E con loro tutta Hollywood, tutta l' America è divisa. La guerra contro l' Iraq, fortemente voluta da George Bush, non scalda gli animi. Dove è finita l' unanimità con cui quindici mesi fa gli Stati Uniti occuparono l'Afghanistan?
I sondaggi lo ripetono: la grande maggioranza dei cittadini statunitensi ha fiducia in Bush, ed è convinta che al dittatore iracheno Saddam Hussein vada data una lezione. Sul come darla, però, c' è divergenza di opinioni. Anche e soprattutto tra i vip. "Dobbiamo agire soltanto su mandato Onu, come per la guerra del Golfo nel 1991", sostiene l' attore Martin Sheen, che impersona il presidente in una serie Tv, West Wing. Per un finto presidente pacifista, eccone un altro militarista: Harrison Ford, che si rifiuta di firmare gli appelli per la pace.
Il 67 per cento degli statunitensi è favorevole all' invasione dell' Iraq, ma la percentuale cala al 54 quando si fa presente che molti soldati americani potrebbero non tornare. E la maggioranza diventa minoranza di fronte alla tentazione di agire senza aspettare "le lungaggini di quei burocrati delle Nazioni Unite", come dice il quotidiano New York Post.
Il falco dei falchi di Hollywood, questa volta, non è Arnold Schwarzenegger, l' unico repubblicano della famiglia Kennedy. "Terminator" ha dichiarato: "Mi devono ancora convincere che invadere l' Iraq sia l' unica soluzione". Ammansitosi il muscoloso marito di Maria Shriver Kennedy, il divo più bellicoso è Harvey Keitel. L' ex marine ha riproposto la leva: "Non penso sia una buona idea avere forze armate composte solo da volontari. Tutti dovrebbero fare il servizio militare. Ogni giovane deve rendersi conto che talvolta è necessario combattere per difendere le libertà che ci stanno a cuore".
Tra i pacifisti, il più cattivo è Harry Belafonte. Il cantante ha attaccato il segretario di Stato Colin Powell, di colore come lui: "Powell è come uno schiavo della piantagione ammesso dal padrone (il presidente Bush, ndr) a frequentare il suo palazzo, e che ora, per riconoscenza, ripete a pappagallo le sue opinioni". I dubbi di Hollywood riflettono quelli del Paese. Un parallelismo non casuale per un popolo abituato a guardare la politica come una scena sul grande schermo. Così, il direttore della rivista di cinema Variety spiega perché l' opinione pubblica è fredda sull' invasione dell' Iraq: "Al pubblico piacciono i film lineari, senza rimaneggiamenti dell' ultimo momento. Invece, a un certo punto Osama Bin Laden è sparito e Saddam lo ha sostituito nella parte del cattivo".
Ecco, quindi, il commento di Whoopi Goldberg: "Appoggio la guerra contro i terroristi, ma vorrei che prima si finisse il lavoro con Al Qaeda. Poi si potrà portare la democrazia in Iraq con i carri armati". Un anno fa, all' indomani dell' 11 settembre, quasi nessuno a Hollywood osava schierarsi contro la politica estera americana. Anche oggi, però, chi critica Bush qualcosa rischia. I dubbi, infatti, riguardano i mezzi più che il fine, che per l' americano medio si riassume in "Kill Saddam".
Ecco perché molte star, per non diventare impopolari, evitano di prendere posizione: "Sono solo un' attrice", si schermisce Gwyneth Paltrow, "non vedo perché si debba sapere la mia opinione". Per farsi un' opinione, viceversa, c' è chi è andato a Baghdad. Come l' attore Sean Penn, che però, tornato nel continente americano per passare le vacanze di Natale in un lussuoso resort messicano, è stato preso in giro: "Sean, come sta il tuo amico Saddam ?". Penn non s' è limitato al turismo politico: in ottobre ha sborsato 56 mila dollari (circa 56 mila euro) per pagarsi una pagina di pubblicità pacifista sul Washington Post, in cui ha sostenuto che "un attacco preventivo contro una nazione sovrana provocherebbe vergogna e orrore".
Anche Robin Williams è partito per l'Asia. La sua meta è stata l'Afghanistan, per far divertire le truppe americane, sulle orme di John Wayne, ai tempi del Vietnam. E per quanto Warren Beatty consideri assurdo "che chi esprime riserve venga liquidato come non patriottico", silenziosi rimangono i giovani pesi massimi: Julia Roberts, Leonardo DiCaprio, Jennifer Lopez, Ben Affleck, Sandra Bullock o Cameron Diaz.
Pure Bruce Willis, amico di Bush, questa volta tace. Insomma, la gente dello spettacolo sa di muoversi su un terreno minato, e che il radicalismo non paga. Lo sanno il regista Oliver Stone e l' attore Alec Baldwin, che hanno visto le carriere danneggiate dalle sparate anti Bush. O Jessica Lange, che del presidente, chissà perché, ha detto: "Lo odio". O Eric Roberts, il fratello scapestrato di Julia, che si è lanciato in congetture da delirio: "Bush è un fascista e cospira con Osama per distruggere l' economia". Woody Harrelson, sul quotidiano inglese Guardian, ha stigmatizzato "la guerra razzista e imperialista condotta dai guerrafondai che si sono rubati la Casa Bianca". Debole in geografia la Streisand, che ha definito iraniano Saddam.
Per reperire opinioni più meditate, gli americani devono rivolgersi ai giornali. Scalpore ha suscitato la copertina del supplemento domenicale del New York Times dal titolo "Impero americano: facciamoci l' abitudine". Per la prima volta un quotidiano "di sinistra" prendeva atto che ormai gli Stati Uniti sono un impero come quello romano, senza rivali al mondo, e che quindi tocca a Washington mantenere pace e ordine, a costo di apparire imperialisti. Altre verità sulle motivazioni di Bush sono troppo scottanti per poterle pubblicare sulla stampa americana. E così c' è chi si è rivolto all' estero, ai giornali di Londra, patria del "compagno di battaglia" Tony Blair. Come l' anonimo alto funzionario del Pentagono che ammette, sul Sunday Express, come il motivo più pressante della campagna d' Iraq sia la necessità americana di conservare la leadership mondiale: "È reale la minaccia che Saddam disponga di armi di distruzione di massa e le usi. Ci sono, quindi, motivi fondati per affrontarlo. Ma alcuni sono importanti per il presente, altri per il futuro. A lungo termine, il nostro grande rivale sarà la Cina. Il modo migliore di contenere Pechino è rafforzare i nostri alleati in Estremo Oriente: Giappone e Corea del Sud. Le cui economie si basano in gran parte sull'industria petrolchimica. Se controlliamo le riserve di petrolio irachene, possiamo garantire ai nostri alleati la prosperità necessaria per controbilanciare l'espansionismo economico cinese".
Altrettanto esplicita, sul Mirror, Sara Flounders, pacifista dell' American International Action Center: "Le compagnie petrolifere angloamericane vogliono accesso illimitato ai giacimenti iracheni". Non è difficile, ragiona il quotidiano, capire perché Washington ammassi truppe nel Golfo, perché l'esercito statunitense sia presente in ogni Paese produttore di petrolio o confinante con un produttore, perché il 20 per cento dell' enorme bilancio militare americano sia destinato alla difesa di giacimenti petroliferi. Basta ricordare il '91 quando Bush senior, padre dell' attuale presidente, veleggiava su indici di gradimento altissimi dopo la vittoria su Saddam. Pochi mesi dopo, la sua carriera politica era finita: colpa di un rincaro della benzina che gli americani, popolo di automobilisti, non gli perdonarono.
Il Bush di oggi non dimentica e, per tenere stabili i prezzi del petrolio, evitando picchi ma anche crolli, ha fatto accumulare nelle miniere abbandonate del Texas e della Louisiana enormi riserve. Non sufficienti, però, per fare a meno della collaborazione dei sauditi che, con i loro 300 miliardi di barili, fanno il bello e il cattivo tempo sul mercato. Tutto bene, finché sono alleati. Ma, come sottolineano gli esperti di politica ed economia mondiale della Rand Corporation al Pentagono, esiste il rischio che i fondamentalisti islamici spodestino il filoamericano Re Fahd e chiudano i rubinetti, con conseguenze catastrofiche.
Perciò Bush ha fretta di affrancarsi dalla dipendenza verso i sauditi. E lo può fare solo installando a Baghdad un governo amico e mettendo le mani sui giacimenti di Saddam che, come ha osservato il vicepresidente Dick Cheney, "ha sotto il suo sedere il dieci per cento delle riserve mondiali". Paradossalmente, oggi sono proprio i militari i più riluttanti a invadere l'Iraq. Temono di rimanerci invischiati per anni, come capitò in Vietnam e come accade in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. Ma, visto che Bush ha aumentato le spese militari da 300 miliardi di dollari a quasi 400 in due anni, è fatale che prima o poi una guerra scoppi. "Anche se sarebbe più economico eliminare Saddam con una sola pallottola", scherza macabro Ari Fleischer, portavoce della Casa Bianca, alludendo all'ingaggio di un possibile sicario. Quanto a chi accusa il petroliere Bush di far guerra per il petrolio, Peter Beinart del prestigioso settimanale New Republic risponde drastico: "E allora? Ci mancherebbe che non difendessimo i nostri interessi. A tutti piace pagare poco la benzina".
Mauro Suttora
Wednesday, January 15, 2003
Bambini fotocopia? No, grazie. Ma salviamo la clonazione buona
Una setta annuncia la nascita di Eva, la prima bimba clonata, e nel mondo esplodono le polemiche sul tentativo di riprodurre esseri umani
"Eventi choc come questo rischiano di bloccare la ricerca utile per vincere tante malattie", sostiene lo scienziato Boncinelli. È urgente una legge contro l'illusione dell'immortalità
dal nostro corrispondente dagli Stati Uniti Mauro Suttora
Oggi, 15 gennaio 2003
New York. Una setta di 50 mila fanatici rischia di arrecare più danni alla scienza seria e responsabile che non il peggior fondamentalista antiscientifico. I cosiddetti "raeliani"(seguaci di Rael, soprannome di un ex pilota da corsa francese convinto che i primi esseri umani sarebbero stati "clonati" - cioè prodotti in copia - da alcuni extraterrestri 25 mila anni fa) hanno annunciato giovedì 26 dicembre di avere clonato la prima bimba della storia: "Eva pesa 3,2 chili, sta bene e presto ve la mostreremo".
La madre sarebbe una 31enne statunitense dalla quale è stato prelevato un ovulo e una cellula della pelle per effettuare l'esperimento della bimba fotocopia. I raeliani hanno fondato addirittura una società, la Clonaid con sede alle Bahamas, per sfruttare commercialmente la clonazione (su Internet hanno messo in vendita, a 9.199 dollari, una "macchina per clonare", la RMX 2010). Avrebbero già, dicono, più di duemila prenotazioni. Una rivelazione sconvolgente, con ancora misteri e promesse non mantenute, che ha provocato nel mondo orrore, sconcerto e incredulità: solo un inattendibile bluff per farsi pubblicità?
Il nuovo presidente dei senatori repubblicani statunitensi, il medico Bill Frist, ha subito annunciato che farà approvare una legge per mettere al bando qualsiasi tipo di clonazione. Così, però, si rischia di buttare il bambino (è il caso di dirlo) assieme all'acqua sporca. Da anni infatti la parola "clonazione" indica due cose diversissime fra loro.
"Quella terapeutica", spiega da Trieste il professor Edoardo Boncinelli, uno dei massimi scienziati italiani, "consiste nel tentativo di produrre tessuti e parti di organi da usare nei trapianti. La clonazione riproduttiva, invece, mira a produrre organismi viventi completi "su misura". La prima è una ragionevole speranza, la seconda una folle illusione, almeno per gli esseri umani".
Una pecora, Dolly, è già stata clonata in Scozia nel 1997. Lo zoo dei cloni si è poi arricchito: vitelli, topi, tori, scimmie, maiali, capre, gatti e conigli. Da allora si è aperto il dibattito "bioetico" su quali confini imporre alla ricerca. Si ripete il dilemma dell'energia atomica: fonte pulita (in mancanza di incidenti) e a buon mercato se usata per scopi civili, arma tremenda se utilizzata dai militari. Lo stesso per la clonazione. Le migliori menti scientifiche del mondo stanno lavorando da anni per ricreare i tessuti umani. Ci sono già riusciti con la pelle e la cornea, ma non tutti i tessuti sono di facile ricostruzione.
Le malattie curabili con la clonazione terapeutica sono l'Alzheimer, il Parkinson, la talassemia, l'anemia, i tumori ereditari e la fibrosi cistica. Le cellule utili a rimpiazzare quelle morte si chiamano "staminali". Si trovano soprattutto negli embrioni umani, ritenuti però già esseri viventi dalla religione cattolica. Per i cattolici sono quindi intangibili, non si possono distruggere per prelevarne le cellule staminali: ridurli a "fabbrica" o serbatoio di queste ultime equivarrebbe a un assassinio.
"Il dibattito sulla clonazione riguarda lo status dell'embrione", spiega Francesco D'Agostino, presidente del Comitato nazionale per la bioetica, "perché chi ritiene che esso meriti rispetto è contrario anche alla clonazione terapeutica, visto che questa dà vita a un embrione clonato per poi distruggerlo, prelevando le sue cellule seppur a fini di ricerca". L'annuncio dei raeliani ha fornito una potente ragione ai "proibizionisti", cioè a coloro che pensano che in questo campo non ci si possa permettere di sottilizzare troppo, e quindi vada proibita la clonazione umana d'ogni tipo: "Una volta clonato un embrione", chiede per esempio il senatore americano Sam Brownback, "chi può garantire che sarà sempre usato per scopi terapeutici, e non da qualche pazzo per impiantarlo in un ovulo e tentare la procreazione?".
Ovviamente, per regolare questa spinosa materia, occorre una legge uguale e valida in tutto il mondo. Altrimenti i "clonatori" emigrerebbero nei Paesi più permissivi, vanificando gli sforzi di controllo negli altri. Ma le opinioni pubbliche sono divise all'interno di ogni Stato.
Cosicché, quando due mesi fa l'Onu ha affrontato l'argomento, dopo negoziati durati ben due anni, la proposta di divieto mondiale della clonazione è stata respinta. A farla naufragare sono stati gli Stati Uniti. Bush ha ignorato gli appelli della comunità scientifica statunitense, lanciatissima negli studi per la clonazione terapeutica, e ha chiesto che il bando dell'Onu comprendesse anche quest'ultima.
Agli Stati Uniti nella nuova versione "dura" si sono accodati 36 Paesi, fra i quali l'Italia e l'altrettanto cattolica Irlanda. Ma molte altre nazioni avanzate hanno già emanato leggi che permettono la clonazione a scopo di ricerca.
La Francia mesi fa ha fatto marcia indietro rispetto alla legge del 1994 che la proibiva, esprimendosi favorevolmente sia per la terapeutica che per l'uso degli embrioni "sovrannumerari", cioè gli embrioni congelati non utilizzati nella fecondazione assistita (mezzo milione nel mondo, 25 mila in Italia).
Anche la legge tedesca del 1990 proibiva la creazione di cloni per qualsiasi scopo, ma nel gennaio 2002 Berlino ha permesso l'importazione delle cellule staminali embrionali. Più permissivi Gran Bretagna, Giappone, Canada e Belgio, che consentono la clonazione terapeutica seppur con rigidi controlli pubblici. La Cina vuole introdurre una differenziazione fra gli embrioni con più o meno di 14 giorni.
In Italia l'argomento clonazione non sembrava scaldare né i politici né l'opinione pubblica, almeno fino alla provocazione della setta raeliana. Eppure proprio uno dei più strenui assertori della clonazione riproduttiva è il nostro Severino Antinori, che aveva promesso la prima nascita di un clone entro il gennaio 2003. Due anni fa una commissione di esperti, nominata dall'ex ministro della Sanità Umberto Veronesi e presieduta dal Nobel Renato Dulbecco, aveva proposto una soluzione di compromesso: l'uso di un metodo innovativo per produrre cellule staminali, ma senza creare embrioni.
Nessuna legge, tuttavia, proibisce la clonazione, né riproduttiva né terapeutica: contro la prima c'è solo un'ordinanza ministeriale emessa per la prima volta dal ministro Rosy Bindi nel 1997, rinnovata ogni sei mesi. Ma proibizionisti e possibilisti sono presenti a destra e a sinistra, tagliando trasversalmente gli schieramenti.
L'attuale ministro della Sanità Girolamo Sirchia è per il bando totale; su posizioni opposte il presidente dei radicali Luca Coscioni: immobilizzato dalla sclerosi laterale amiotrofica, si è sottoposto egli stesso a un trapianto di cellule staminali.
Se l'Italia è indifferente, in America infuria la polemica. Il 2003 promette di essere l'anno decisivo per risolvere la questione. E, una volta che gli Stati Uniti avranno deciso, per il resto del mondo ci sarà poco da discutere: è nel Paese guida dell'Occidente, infatti, che abitano i padroni dei geni (come la Celera Genomics, sito www.celera.com, e la Geron, www.geron.com).
Nel 2001 la Camera, su impulso di George Bush jr e dei suoi elettori (cristiani conservatori, Stati del Sud), aveva a sorpresa proibito pure la clonazione terapeutica. Ma l'altro ramo del Parlamento, il Senato, ha bocciato quel testo.
Molto attive, a favore della clonazione per la ricerca, sono le associazioni dei malati. La moglie di Ronald Reagan, devastato dall'Alzheimer, è contraria alla severità dell'attuale presidente. Recentemente la Stanford University di Palo Alto e lo Stato della California hanno sfidato il divieto imposto da Bush, e contestato soprattutto dal senatore Ted Kennedy, che non a caso viene da Boston, con Mit e Harvard capitale scientifica americana.
Tuesday, December 10, 2002
il bisnipote della Ford
di Mauro Suttora, da New York
Povero William Clay Ford junior, 45 anni, bisnipote del fondatore del colosso di Detroit. Un anno fa aveva preso in mano l'azienda, cacciando Jacques Nasser che con una sola mossa - l'avventato acquisto di Kwik-Fit, catena europea di centri di riparazione - aveva fatto perdere alla Ford piu' di un miliardo di dollari. Un altro miliardo si era volatilizzato a causa delle speculazioni sul palladio, il metallo usato per i dispositivi antinquinamento delle auto.
Cosi' arriva il Bisnipote, che esattamente undici mesi fa - l'11 gennaio 2002 - annuncia un piano lacrime e sangue: 23 mila licenziati (senza cassa integrazione, sconosciuta negli Usa), quattro fabbriche chiuse, prestito di cinque miliardi per coprire le perdite. Ma oggi il bilancio e' misero: le azioni sono crollate di un ulteriore 50%, toccando i minimi decennali; difetti di produzione hanno costretto al piu' vasto e costoso richiamo di vetture della storia; Standard and Poor's ha retrocesso il rating del debito Ford fin quasi al livello di junk, spazzatura.
In novembre le vendite di auto negli Usa sono diminuite del 13%, ma Ford e' riuscita a far peggio crollando del 20% rispetto a un anno fa. Così la sua quota di mercato si e' ridotta dal 23 al 21%, mentre le giapponesi avanzano inesorabili. Quindi il 2003, invece di essere anno di festa per il centenario, sara' un altro periodo di incubi e cinghia stretta. Scenario tanto piu' drammatico in quanto inaspettato: solo tre anni fa Ford era la societa' automobilistica che guadagnava di piu' al mondo, oltre sette miliardi di dollari di utile nel '99.
Il Bisnipote (con la famiglia Ford) non controlla una grossa percentuale del capitale societario: ai prezzi attuali il suo investimento in azioni ordinarie non vale piu' di una cinquantina di milioni di dollari. Ma grazie alle azioni con diritto di voto rinforzato (e lui ne ha 3,2 milioni) la sua parola conta molto. Peccato che, come ha rivelato il New York Times domenica, con uno di quegli articoli di "investigative journalism" alla Watergate che scorticano piu' di una requisitoria, nella Ford conti molto anche la parola di un suo vecchio amico.
Lo scandalo, l'ennesimo negli Usa in quest'anno di "enronite", ha un nome e cognome: si chiama John Thornton, ha 48 anni, e ha frequentato lo stesso collegio del Bisnipote: la prep school per figli di papa' di Lakeville nel Connecticut, dove William Ford junior approdo' nel 1971, esattamente come fecero suo padre e suo zio. Grandi amici e poi, mentre il bisnipote se ne va a Princeton a laurearsi in storia, Thornton passa per Harvard, Oxford, Yale, piu' uno stage estivo nell'ufficio di Ted Kennedy a Washington (dove pero', secondo i maligni, il suo compito principale era quello di giocare a tennis col senatore).
Il curriculum impeccabile di Thornton gli apre le porte della banca Goldman Sachs, e negli anni '80 l'aggressivo ragazzo esporta nella sonnolenta Londra i metodi da squalo dei finanzieri americani. Anche il Bisnipote nel frattempo, dopo un master in management al Mit, emigra nel vecchio contineente: si fa le ossa alla Ford Europa. Cosi' i due amici, dopo aver sposato entrambi due laureate della classe 1982 a Princeton, si ritrovano. E nel 1989 Thornton assiste la Ford nello sciagurato acquisto della Jaguar: pagato due miliardi e mezzo di dollari, il marchio inglese anche nel 2002 sta perdendo mezzo miliardo.
Da allora Thornton segue per la Goldman ogni affare della Ford, incassando ogni volta laute consulenze (per un totale di 90 milioni di dollari negli ultimi sei anni). Nel '96 ne diventa consigliere d'amministrazione. Conflitto d'interessi? Finche' gli affari vanno bene, nessuno protesta. Ma Thornton incassa anche quando la Ford perde: decine di milioni sul disastro del palladio, altre commissioni per la consulenza a capocchia su Kwik-Fit. In ottobre il Congresso ha scoperto un possibile motivo: Thornton ha garantito al Bisnipote 400mila azioni di Goldman nell'ultima appetitosa offerta pubblica.
Insomma, la Ford e' sull'orlo del disastro, ma i due amici guadagnavano entrambi. Thornton ha dovuto dimettersi dal consiglio d'amministrazione Ford. Il Congresso ha proibito ai consiglieri d'amministrazione di incassare consulenze dalle societa' che guidano. E il Bisnipote trema.
Mauro Suttora
Wednesday, December 04, 2002
Iraq: gli ispettori Onu
Chi sono, come lavorano e quali prospettive hanno i 250 ispettori dell' Onu giunti a Baghdad per verificare l' esistenza di armi "proibite"
I controlli del piccolo esercito delle Nazioni Unite, che comprende tre italiani, dureranno due mesi e dovranno identificare eventuali arsenali nucleari e batteriologici. Ma anche se in Iraq le verifiche non porteranno a nulla, le continue minacce di Al Qaeda di nuovi attentati potrebbero offrire al presidente americano la miccia per un attacco finale a Saddam
dal nostro corrispondente Mauro Suttora
New York, 4 dicembre 2002
Entrare nel palazzo dell'Onu a New York fa impressione. Il grattacielo costruito cinquant'anni fa dall'architetto Le Corbusier su un terreno regalato dal miliardario John Rockefeller è imponente, e mette soggezione. Siamo qua perché vogliamo sapere chi sono e a che cosa servono i 250 uomini che in queste settimane tengono in mano i destini del mondo: gli ispettori dell'Unmovic, sigla complicata che significa Commissione delle Nazioni Unite per il Monitoraggio, la Verifica e l'Ispezione. Ancora più complicato è stato il cammino che ha portato alla nascita di questa Commissione: più di due mesi di negoziati durante i quali gli Stati Uniti, che a settembre avevano annunciato il proprio imminente attacco all'Irak, hanno dovuto invece piegarsi alle regole estenuanti della diplomazia internazionale.
Già il fatto che nel nome ufficiale della Commissione non appaia il nome Irak la dice lunga sulle difficoltà che ha incontrato il presidente statunitense George Bush junior per far approvare la ripresa dei controlli sul regime di Saddam Hussein. «Nessuna Commissione ad hoc, con citazione esplicita del nome del Paese sotto inchiesta», hanno chiesto e ottenuto i Paesi critici dell'approccio «muscolare» dell'amministrazione di Washington.
Russia e Francia hanno anche imposto un calendario lunghissimo per le ispezioni: si esaurirà soltanto il 27 gennaio, con la presentazione di un rapporto finale al Consiglio di sicurezza. Il dittatore dia (chiamate ABC dagli esperti: atomiche, batteriologiche e c Baghdad non ha rinunciato alle proprie armi di distruzione di massa (chiamate ABC dagli esperti: atomiche, batteriologiche e chimiche)? E' quello che sostengono gli Stati Uniti. Ma riusciranno gli ispettori a dare una risposta sicura? Sono in parecchi a dubitarne.
Fra i 250 esperti Onu ci sono tre italiani. «Non possiamo divulgare né i loro nomi né le loro fotografie», ci risponpondono all'ufficio stampa dell'Onu. Proibita anche ogni intervista individuale. L'unico autorizzato a parlare, in queste delicate settimane, è il capo degli ispettori Hans Blix.
Ma che cosa sperano di trovare i suoi uomini? Davvero pensano che Saddam tenga in bella vista depositi di gas nervino, o laboratori biologici che ormai possono nascondersi anche dentro un semplice camper? E se li trovano che cosa fanno, li distruggono sul posto con le loro alabarde spaziali?
Su questo all’Onu non c’è chiarezza. Secondo gli Stati Uniti, infatti, la risoluzione approvata all’unanimita’ (15 voti a zero) il 7 novembre dal Consiglio di sicurezza permette un intervento militare immediato se Saddam si azzarda a dire anche una sola bugia. Francia e Russia, invece, pretendono un’altra risoluzione che preveda esplicitamente la guerra.
Me se in Irak non si troverà niente, come è probabile, questo non vorrà dire che Saddam non ha le armi Abc. Quelle chimiche le ha già usate prima contro l’Iran, poi nel 1988 contro la città curda ddi Halabja. E allora, a che servono gli ispettori se la guerra si farà comunque? Sembra quasi di essere tornati al 1914, quando l’Austria cercava il pretesto per attaccare la Serbia, o al 1939, quando Adolf Hitler scatenò la guerra per incorporare Danzica.
Scott Ritter, 41 anni, l'ex ufficiale dei marines statunitensi che ha guidato le ispezioni in Irak della precedente commissione, l'Unscom (United Nations Special Commission), dal 1991 al 1998, oggi è critico. Ritter era un repubblicano, un uomo di destra, e per quasi dieci anni fece vedere i sorci verdi a Saddam. Con i suoi cento ispettori, sostiene, «costringemmo gli irakeni a rinunciare al 90-95 per cento dei loro armamenti più pericolosi».
Oggi invece gli ispettori si sono moltiplicati, arrivando a 250 per accomodare ben 45 nazionalità diverse. Risultato: «Avranno difficoltà perfino a comunicare fra loro», prevede l’ex ispettore Jonathan Tucker, «e la necessità di traduzioni rallenterà il lavoro». Tutti hanno dovuto frequentare un corso di ben cinque settimane sulla cultura e la politica in Irak. «Ma se si tratta di esperti, non hanno bisogno di alcun corso», rileva un altro ex ispettore, Tim Trevan. «Viceversa, se esperti non sono, non possono certo diventarlo dopo sole cinque settimane».
Saddam detestava Ritter, lo accusava di essere una spia al servizio di Stati Uniti e Israele. Che molti degli «esperti» infilati da vari governi nelle commissioni Onu di verifica (come quelle sul rispetto dei trattati Salt o per il disarmo chimico) passino informazioni ai propri servizi segreti, d'altronde, non è un mistero. Anzi, è una pratica che si dà ormai per scontata. Ma ovviamente gli iracheni continuano a protestare per questo, e lo hanno fatto anche negli ultimi giorni, con una dettagliata lettera inviata sta inviata
Wednesday, November 06, 2002
Bush vince il voto midterm
di Mauro Suttora
Il Foglio, 6 novembre 2002
"La vittoria di George W.Bush ha un precedente: quella di John Kennedy alle elezioni di midterm esattamente quarant'anni fa, nel 1962, quando i democratici guadagnarono quattro senatori": l'ardito accostamento Bush-Kennedy (due mondi agli antipodi) è di Michael Barone, rispettato commentatore di Fox Channel, Wall Street Journal e del settimanale Us News & World Report.
Trent Lott, repubblicano del Mississippi, tornerà a essere il capo della maggoranza al Senato già dalla prossima settimana, con l'ultima sessione del Congresso uscente. Il suo motto: "Let's roll", balliamo, il grido di guerra degli eroici passeggeri del volo sulla Pennsylvania che neutralizzarono i terroristi, e della conseguente canzone patriottica di Neil Young.
Ma non c'è strafottenza, in realtà: i repubblicani hanno imparato la lezione della meteora Newt Gingrich che brillò due soli anni, dopo la vittoria del 1994. In fondo 49 senatori su cento restano sempre democratici, possono ancora fare ostruzionismo, e fra i cittadini gli astenuti sono stati la maggioranza assoluta, con il 60 per cento. Il presidente George W. Bush ha assaporato la vittoria in silenzio, telefonando con grande stile anche ai neoletti democratici per congratularsi.
I due temi predominanti resteranno l'economia e la sicurezza nazionale. Priorità assoluta all'imbrigliamento della spesa pubblica, che permetterà di rendere permanenti e irreversibili i colossali tagli di tasse da 1.350 miliardi di dollari in dieci anni promessi da Bush, e di spingersi perfino oltre (nuove riduzioni sui capital gains e detrazioni più ampie per gli investimenti).
Il piano energetico, attualmente in stallo, verrà ripreso in mano assieme al controverso via libera per le estrazioni di petrolio in Alaska. Ma su questo i democratici minacciano il filibustering. Nessun problema, invece, per gli incentivi alle industrie sugli investimenti anti-inquinamento e in risparmio energetico. Vedrà la luce un nuovo ministero, quello della sicurezza nazionale. Quanto alla Difesa, il bilancio 2003 è stato appena approvato e non sono previste novità.
I democratici non potranno più bloccare la riforma del welfare, con la creazione di un fondo per le medicine da ricetta e l'appalto di numerosi servizi sociali alle chiese. Bush intende smantellare il costoso sistema pubblico Medicare, sostituendolo progressivamente con assicurazioni private anche per l'assistenza agli anziani. Hanno vinto tutti e tre i senatori repubblicani che più si sono battuti per la riforma della sicurezza sociale: Elizabeth Dole (moglie dell'ex vicepresidente), John Sununu e Lindsey Graham. Commenta il Wall Street Journal: "Se certi forsennati attacchi democratici in stile New deal non hanno funzionato nell'anno della Enron, non funzioneranno mai più".
Meno imminente appare un assalto alle leggi sull'aborto, richiesto dalle frange estreme dello schieramento repubblicano. Al senatore Lott stanno a cuore anche le sedici delicate nomine e conferme di giudici federali di orientamento conservatore nelle corti d'Appello finora posposte dall'amministrazione Bush, ma ribadisce che in questo campo continuerà a procedere con i piedi di piombo: "Consulteremo prima tutti nella commissione Giustizia del Senato". Quanto alla Corte Suprema, George Will sulla Washington Post ricorda che non succede dal 1811 che un nuovo giudice non venga nominato per otto anni, e poiché la nomina è a vita auspica le dimissioni del presidente William Rehnquist.
Il primo concreto risultato della vittoria di martedì in politica estera è che all'Onu Francia e Russia hanno smesso di minacciare il veto contro una nuova, dura risoluzione presentata dagli Stati Uniti sulle ispezioni in Irak alla ricerca di armi di distruzione di massa. Ormai, dopo negoziati estenuanti, siamo alla terza bozza. Si potrebbe arrivare al voto già oggi, con queste scadenze precise: entro sette giorni l'Irak deve accettare completamente la risoluzione, entro trenta deve rivelare tutti i programmi, i siti e i materiali che potrebbe utilizzare per la produzione di armamenti, entro 45 giorni gli ispettori internazionali ricominciano i loro controlli, e infine entro 105 giorni presentano il loro rapporto al Consiglio di sicurezza, ma possono denunciare subito eventuali violazioni.
Il capo degli ispettori Hans Blix andrà comunque in Irak entro due settimane, e comincerà subito le ispezioni. Ma si arriverà all'uso automatico della forza in caso di violazioni da parte dell'Irak? Francia e Russia continuano a chiedere una seconda risoluzione.
Thursday, October 31, 2002
winona la ladrona
di Mauro Suttora, da New York
Il Foglio, 31 ottobre 2002
Ha dovuto trascorrere il suo trentunesimo compleanno in tribunale a Los Angeles "Winona la ladrona", come ormai l'hanno soprannominata i famelici giornalisti di gossip americani. Ed è finita per due giorni consecutivi in prima pagina su quotidiani cattivi come il New York Post che la stanno scorticando viva, con un'anticipazione di pena e assaggio di gogna che al confronto Cesare Previti appare fortunato.
Ma Winona Ryder, la dolcissima attrice statunitense da sempre in corsa per diventare "la nuova Audrey Hepburn", dovrebbe chiedere i danni non ai cronisti, bensì al proprio sconsiderato avvocato Mark Geragos che le ha consigliato di non patteggiare, di non abbassarsi al "guilty plea" (l'ammissione di colpa) e di tener duro affrontando un disastroso processo pubblico.
Per fortuna negli Stati Uniti la giustizia e' svelta, non piu' di una settimana di udienze, cosicché il calvario si esaurirà entro il week-end. Perché lo spettacolo che va in onda in questi giorni da Beverly Hills ha un'unica attrice protagonista, ma la sua parte è proibitiva. Il 12 dicembre 2001 la superstar rubò vestiti ai grandi magazzini Saks per un totale di 5.560 dollari e 40 cents. Un video proiettato in aula la mostra nel ruolo umiliante della taccheggiatrice beccata in flagrante dalle guardie all'uscita.
Winona si arrampica deliziosamente sui vetri, è sempre comunque eccitante ascoltare la sua soffice voce, anche quando interpreta Alice nel Paese delle meraviglie: "Il regista del film che stavo per girare miaveva chiesto di esercitarmi nella parte della ladra..." Peccato che nessun regista sia stato citato come testimone a discarico. "E' stata educatissima, appena l'abbiamo scoperta mi ha preso la mano e ha chiesto scusa", racconta il capo dei sorveglianti.
Uno di loro precisa: "Ho trovato quattro etichette col prezzo che la Ryder aveva tagliato dai capi rubati con forbici portate da casa". Per provarlo tira fuori i cartellini magnetici che la minidiva alta uno e 63 aveva neutralizzato per non far squillare i sensori all'uscita, li avvicina alle quattro refurtive (una è un vestito Dolce e Gabbana, e spiace che l'Italia abbia contribuito seppure indirettamente a questo dramma): i bordi combaciano.
E' un momento di suspense, i giurati allungano i colli oltre il loro banco per controllare coi propri occhi. Furto con l'aggravante della premeditazione, quindi. I vignettisti satirici si scatenano: "Ecco come Winona si taglia i prezzi da sola!"
La vice attorney (procuratrice della pubblica accusa) è una donna, ci mette un sovrappiù di meticolosità femminile nelle arringhette per incastrare la bella&famosa: "Praticamente si era portata un kit per furto da casa: forbici, una grossa borsa per nascondere la refurtiva, rotoli di carta in cui avvolgerla. Poi è ricorsa a un vecchio trucco: pagare quattro capi per non creare sospetti, ma assieme a quelli portarsene via altri venti". I titoloni cubitali dei tabloid vanno a nozze: "Paghi uno, prendi cinque!"
Il difensore contrattacca: "La mia cliente è rimasta vittima di guardie troppo zelanti in cerca di facile pubblicità. Una di loro ha cercato di metterle le mani sotto il top di velluto, con la scusa di dare una controllatina, prima che arrivassero i poliziotti. La signorina Ryder si è allora messa a urlare, anche perché quel giorno non indossava reggiseno".
In subordine rispetto alla tesi difensiva della prova di attrice, Winona sostiene anche di avere consegnato la carta di credito a un commesso del piano di sotto - dove aveva comprato due paia di scarpe - chiedendogli di tenere il conto aperto per ulteriori acquisti. "E' usanza comune fra le celebrità di Hollywood portarsi a casa dei vestiti per provarli e decidere con calma quali acquistare e quali far riportare indietro", aggiunge l'avvocato.
La giuria che deciderà la sorte dell'ex fidanzata di Johnny Depp e Matt Damon risulta corretta sia sessualmente (sei donne, sei uomini) sia razzialmente (posto fisso garantito per un nero, un ispanico e un asiatico). Tuttavia uno dei giurati è l'ex presidente della Sony Pictures, che ha prodotto il suo film più famoso. Titolo: "L'età dell'innocenza". Per quella parte la Ryder venne nominata all'Oscar. Però non vinse.
Mauro Suttora
Thursday, October 17, 2002
Party Donna Karan
giovedi’ 17.10.02
c'erano:
Angie Harmon (ex Law & Order, Vogue Awards, sta con Jason Sehorn dei Giants e non ha voluto farsi fotografare con Elisabeth Rohm, attuale procuratrice di L&O)
Ben Stiller e Christine Taylor (assieme?)
Maggie Gyllenhaal
Natalie Portman
Brooke Shields
Anjelica Huston
Ron Perelman & Ellen Barkin
Graydon Carter (Vanity Fair, sta con la socialite Samantha Boardman, ex di James Truman, Conde Nast, e di Todd Meister)
Wednesday, October 02, 2002
Marion Jones e Tim Montgomery
dal corrispondente a New York Mauro Suttora
Oggi, 2 ottobre 2002
Si amano perche' sono i piu' veloci del mondo, o sono i piu' veloci del mondo perche' si amano? Tim Montgomery e Marion Jones, statunitensi, entrambi 27enni, stanno assieme da poco. La loro intimita' e' sbocciata ed e' stata subito notata in pubblico soltanto qualche settimana fa durante un meeting internazionale d'atletica. Ma da allora l'amore ha messo le ali ai piedi di Tim, che il 14 settembre a Parigi ha conquistato il nuovo record mondiale dei cento metri: li ha corsi in appena nove secondi e 78 centesimi, migliorando di un centesimo il precedente primato stabilito dall'americano Maurice Greene tre anni fa. E la prima che si e' precipitata ad abbracciarlo in pista e' stata la sua Marion: la donna piu' veloce del mondo, cinque medaglie alle ultime Olimpiadi.
"Sono contento che lei fosse presente sulla linea del traguardo per vedermi correre", ha confessato Tim, emozionatissimo, "con Marion ho trovato la serenita' e grazie a lei ho capito che potevo raggiungere un grande risultato". Il loro attaccamento e' tale che lui ha voluto disputare la gara nella stessa corsia, la quinta, nella quale lei aveva vinto poco prima la finale dei cento metri femminili. Anzi, ha usato i suoi stessi blocchetti di partenza senza neanche adattarli alle proprie misure. Anche perche' sono alti uguale: uno e 78.
Questa dei blocchi di partenza promiscui e multiuso non e' l'unica stranezza nella storia d'amore fra Tim e Marion, che e' diventata il piatto piu' succulento dei pettegolezzi nel mondo dell'atletica leggera internazionale. Quando l'anno scorso a Oslo Tim stabili' il suo record personale di 9'84", calzava un paio di scarpe di Marion. Un altro gesto tenerissimo e' stato quello di farsi tatuare reciprocamente il nome dell'amato sul proprio braccio.
Comunque, la passione fra loro non e' scoppiata all'improvviso. Tre anni fa, infatti, Tim, stanco di risultati ottimi ma non eccezionali, si era trasferito da Norfolk in Virginia a Raleigh, la capitale del North Carolina. Li' si trova la corte di Trevor Graham, l'allenatore giamaicano gia' campione dei 400 metri che aveva portato al trionfo l'allora giovanissima Marion (22 anni) nel '97 ai mondiali di Atene sui cento metri. Impresa ripetuta due anni dopo ai mondiali di Siviglia.
Ma il capolavoro doveva arrivare l'anno seguente, quando la campionessa di Los Angeles si e' presentata alle Olimpiadi di Sidney con l'obiettivo stratosferico ma esplicito di razziare ben cinque medaglie d'oro. Ci e' andata vicina: e' arrivata prima sui cento, duecento e nella staffetta 4 per 400, mentre nel salto in lungo e nella 4x100 si e' dovuta accontentare nel bronzo. Ma un posto nella leggenda dello sport se l'e' conquistato.
Unico neo per Marion Jones: a tutt'oggi risulta assai lontana dal record mondiale sui cento stabilito da Florence Griffith Joyner (quella famosa anche per le unghie laccate lunghissime e coloratissime) nel lontano 1988: 10 secondi e 49. Il limite personale di Marion e' invece di 10 e 65, secondo tempo mondiale: sedici centesimi di secondo in piu' che per noi gente normale sono impercettibili, ma che nell'atletica moderna rappresentano un'eternita'.
Pero' e' proprio questa eccessiva distanza fra la Griffith e tutte le altre atlete del mondo a gettare, passati ormai quattordici anni, una pesante ombra sulla validita' di quella performance. Ottenuta, guarda caso, nello stesso periodo in cui anche un altro campione apparentemente spopolava: Ben Johnson, il quale proprio nell'88 venne squalificato per doping. La Griffith non e' mai stata trovata positiva, ma se e' ricorsa a qualche "aiutino" chimico lo ha pagato molto caro: e' infatti morta improvvisamente nel '98 a soli 38 anni per cause misteriose (probabilmente un attacco di cuore).
Quanto a Tim Montgomery, il suo carniere olimpico e' assai scarso rispetto a quello della neofidanzata: medaglia d'oro a Sidney nel 2000, ma soltanto per aver gareggiato nelle qualificazioni con la staffetta statunitense 4x100. E ai campionati mondiali di Edmonton in Canada, l'anno scorso, e' stato superato per soli tre centesimi di secondo dal suo acerrimo rivale Greene.
La svolta e' arrivata quest'anno, quando Tim ha vinto per ben sette volte nelle 14 gare disputate sui cento, battendo tre volte Greene. Ma ci sarebbe riuscito senza Marion, diventata ormai il suo inseparabile angelo custode, la donna a cui lui si rivolge per ogni cosa, dai consigli all'equipaggiamento? "Le ho domandato cosa dovessi cambiare in me per poter migliorare e vincere", racconta, "e lei mi ha risposto che dovevo semplicemente concentrarmi su me stesso: 'Lavora su quello che hai, tutti conoscono le tue doti e sanno che sei pronto. Non hai bisogno di dire tu a loro che sei pronto. Smettila di pensare a Greene, non leggere piu' su Internet i commenti sulla vostra rivalita', non dare piu' interviste'"
Puo' sembrare filosofia spicciola per galvanizzarsi, ma con Tim ha funzionato. Lui stesso, onestamente, riconosce che Greene gli e' superiore sotto vari aspetti: "E' molto piu' completo di me". Inoltre, non lo si puo' neppure definire tecnicamente "l'uomo piu' veloce del mondo". Questo titolo infatti appartiene a Michael Johnson, che il primo agosto 1996 stabili' il primato mondiale dei 200 metri correndo a 37,2 chilometri all'ora, contro i 36,8 toccati da Tim. Ma tutti gli altri atleti non hanno una campionessa da abbracciare e da amare dopo aver tagliato la linea del traguardo, e con la quale allenarsi giorno per giorno.
"Simuliamo partenze assieme, facciamo mille esercizi addominali ogni mattina, siamo in pista anche alla domenica. E' come avere la mia ombra accanto a me. Prima di conoscerla mi allenavo soltanto tre giorni alla settimana. Marion invece era gia' ricchissima, ma si allenava con la stessa grinta di una diseredata", racconta Tim.
E cosi', per la prima volta dopo tanti anni la luce della ribalta e' passata da lei a lui. "Marion ha gia' vissuto cio' che sto vivendo io, il successo. Quindi mi insegna molte cose, rendendole piu' facili per me". Sara' piu' facile anche vivere, grazie ai loro guadagni: nella memorabile serata di Parigi, per esempio, Marion ha incassato 150mila dollari eTim 250mila (il record del mondo da solo ne vale centomila).
Entrambi non sono dei novellini, in amore. Lui ha avuto un figlio, Jamieson, da una relazione fugace tre anni fa, e sostiene di non sapere neppure dove sia finita ora la madre. Lei ha dovuto difendere il suo ex marito, il lanciatore del peso C.J.Hunter, dall'accusa di doping (al nandrolone) che lo ha tenuto fuori dalle Olimpiadi di Sidney.
Ora, assieme, sono le due stelle gemelle che brillano sulla piu' prestigiosa corsa dell'atletica: quei cento metri che per gli uomini da quasi 35 anni, cioe' dalle olimpiadi del Messico nel '68, hanno perso il fascino del superamento della soglia proibita. Il limite dei dieci secondi, infatti, venne infranto da Jim Hines, e dopo lui da tanti altri, fra i quali impostori come Ben Johnson e insopportabili isterici come Carl Lewis. Ma per la prima volta nella storia e' la forza dell'amore a far volare un campione.
Mauro Suttora
Monday, September 30, 2002
Trump licenzia la sua miss Universo
da New York Mauro Suttora
Oggi, 30 settembre 2002
I turisti che affollavano come sempre la hall della Trump Tower, sulla Quinta avenue di Manhattan, non credevano ai propri occhi. Era improvvisamente arrivato il miliardario Donald Trump in persona, e circondato da fotografi e telecamere stava incoronando con le sue mani la nuova Miss Universo.
Ma come? La cerimonia non era già avvenuta quattro mesi fa, in mondovisione da Portorico con 600 milioni di spettatori in 176 Paesi, e non era stata eletta per la prima volta nella storia una reginetta russa, la bellissima Oxana Fedorova, 24enne ex poliziotta dagli occhi verdi e i capelli corvini?
Certo, ma la ragazza è stata licenziata in quattro e quattr'otto, come si usa da queste parti. Altro che articolo 18. Il motivo? Era troppo pigra. "Non faceva fronte ai suoi doveri", ha sentenziato Trump, proprietario del concorso. Il quale, evidentemente, non ha una gran fortuna con le donne dell'Est: prima ha dovuto coprire d'oro l'ex moglie boema Ivana per divorziare, e adesso è incappato nella Miss accidiosa.
Ma quali impegni ha mancato la povera Oxana? "Quasi tutti", accusa invelenita la direttrice della mastodontica organizzazione Miss Universe© (con tanto di marchio del copyright) presieduta da Trump, Paula Shugart: "Dopo l'elezione in maggio ha fatto qualche viaggio, si è palesata nel lussuoso appartamento di New York che viene dato alla Miss in carica, ma poi si e' resa latitante per quasi tutta l'estate".
Quello di Miss Universo è in realtà un lavoro stressante. Tutto il tempo in giro per il mondo come trottole, a presenziare eventi e cerimonie di cui non si sa nulla, anche perche' dopo un po' i continui cambiamenti di fuso orario ottundono le capacita' cognitive. Perfino sorridere, posare per fotografi e leggere venti righe di discorsi preparati, insomma, puo' rivelarsi intollerabilmente faticoso.
"Nessuno mi aveva avvertito che il mio impegno avrebbe dovuto essere totale e continuo”, si lamenta la povera Oxana detronizzata. E fra la folla che assiste alla incoronazione della nuova miss Universo (Justine Pasek, 22 anni, miss Panama) c'è Melania Knauss, l'ultima fiamma di Donald: anche lei dell'Est, slovena.
Mauro Suttora