Oria (Brindisi), marzo
PIER SILVIO BERLUSCONI SMENTISCE LE NOZZE IN PUGLIA
Oggi, 25 febbraio 2011
di Mauro Suttora
Niente da fare, altro che Jimmy Fontana: il «bianco castello fatato» pugliese di Oria non ospiterà le nozze che già s’immaginano fastosissime fra il figlio dell’uomo più ricco e potente d’Italia e la sua Cenerentola.
Pier Silvio Berlusconi ha ormai 41 anni, e ormai da dieci sta con la presentatrice di Verissimo (ogni sabato pomeriggio su Canale 5), nonché ex letterina di Passaparola Silvia Toffanin da Marostica (Vicenza). La quale, dopo essersi laureata in lingue alla Cattolica (tesi con Aldo Grasso sui telefilm americani), l’anno scorso ha dato a Pier Silvio il figlio Lorenzo Mattia.
Tempo di regolarizzare una situazione e coronare un sogno, quindi. Ma a questo punto cominciano anche i sogni dei proprietari dei siti adatti allo storico evento. Non capita tutti i giorni, un matrimonio del primogenito di Berlusconi.
Si scatenano quindi le voci sulle location più prestigiose: i laghi Maggiore e Como, Portofino dove il vicepresidente Mediaset ha una villa, tiene lo yacht ed è un habitué, oppure il castello Odescalchi di Bracciano (Roma) dove cinque anni fa si sposarono Tom Cruise e Katie Holmes?
Niente di tutto questo: due settimane fa filtra la voce che il luogo destinato a diventare per un giorno l’ombelico d’Italia sarà il castello federiciano di Oria, paesone di 15 mila abitanti fra Brindisi e Taranto.
La coppia smentisce, e la cosa sembra morta lì. La scorsa settimana, però, il settimanale Gente torna alla carica dedicando addirittura la copertina alla falsa notizia.
A questo punto Berlusconi junior si spazientisce, e diffonde un comunicato durissimo: «La coppia smentisce nuovamente e con fermezza la falsa notizia relativa a presunte cerimonie di nozze previste in un complesso turistico. Denuncia l’uso illegittimo dei loro nomi e della loro immagine per promuovere un’operazione immobiliare. Annuncia di aver dato mandato ai propri legali di procedere nei confronti degli autori del raggiro, e diffidano chiunque dal darne nuovamente notizia.
Chi sono i colpevoli? Tre anni fa l’imprenditore veneto Giuseppe Romanin (porte blindate) ha comprato il castello del 1200 assieme alla moglie pugliese Isabella Caliandro. A venderlo, per quasi otto milioni di euro, i proprietari storici: la famiglia nobile Martini Carissimo. Il comune di Oria lo scorso dicembre ha negato a Romanin il permesso per aprire dentro al castello, che è monumento nazionale, un bar e ristorante. Magari le nozze vip potevano servire a far rilasciare la licenza...
Mauro Suttora
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Wednesday, March 09, 2011
Saturday, November 18, 2006
Un'americana a Roma
UN'AMERICANA A ROMA
di Mauro Suttora
New York Observer
Roma, sabato 18 novembre 2006
Marsha, la mia fidanzata newyorkese, ha appena scoperto che oggi si sposano Tom Cruise e Katie Holmes. Siamo anche noi a Roma in queste settimane. Abbiamo affittato un loft in via Margutta 33.
Marsha era diventata pazza quando ha saputo che in questo stesso palazzo abitò per sei mesi Truman Capote, nel 1953: "Lo voglio" .
"Ma ci chiedono tremila euro al mese", ho obiettato.
"Li vale", ha detto con gli occhi brillanti di gioia. "E poi, Mauro, non noti nessuna coincidenza?"
"No".
"Le date".
"Cioè?"
"Fifty-three and fifty-three..."
"Cinquantatre?"
"Sì, era il '53 quando Truman visse qui, e da allora sono passati esattamente '53 anni. Non è fantastico?"
Adoro Marsha per questi suoi improvvisi entusiasmi puerili. È un ex modella stupenda, abbastanza anoressica ma affamata di vita, curiosa di tutto e facilmente eccitabile (anche sessualmente) da piccoli particolari riguardanti celebrità del passato e del presente.
Poter abitare lo stesso posto dove Capote visse più di mezzo secolo fa - quando non era nessuno se non un giovane ricco americano gay aspirante scrittore - ma soprattutto poterlo poi raccontare alle sue amiche, la fa andare al settimo cielo. Come se le pareti di questo ex studio di pittore riuscissero ancora trasudare storia ed emozioni. Probabilmente non ha mai letto nulla di Capote, neanche 'A sangue freddo'. Lo conosce solo dal film del 2005 con Philip Seymour Hoffman. Ma fa niente. Basta il nome. Ormai lei lo chiama confidenzialmente Truman. È diventato un nostro intimo, post mortem.
Marsha è innamorata di Roma. C'è già stata altre volte, con altri uomini. Io sospetto che sia più innamorata di Roma che di me. Sono quasi geloso.
"Vuoi me o i miei soldi?", chiedono le miliardarie di Manhattan ai loro spasimanti.
"Vuoi me o l'Italia?", domando io alle ragazze di Manhattan che diventano improvvisamente troppo cordiali quando scoprono che vengo dalla terra di Dolce & Gabbana e del pinot grigio che amano ingollare.
Ho conosciuto Marsha due anni fa a un cocktail-party a New York, dove sono corrispondente per un settimanale italiano. Bellissima 29enne, occhi azzurri, gambe da sogno, è rimasta a lavorare nel mondo della moda. Mi porta con lei a tutti i fashion events di Manhattan, dalle sfilate di Calvin Klein ai gala al Waldorf e ai vernissage dei nuovi negozi sulla Quinta Avenue.
Ho ricambiato con questo soggiorno a Roma. Avevo fatto una ricerca su Google per controllare la questione di Capote. Sì, è vero. Non solo abitò nel palazzo, ma dieci anni dopo descrisse il suo soggiorno romano in un racconto titolato 'Lola', dal nome della cornacchia con cui conviveva. Probabilmente l unico animale femmina che abbia mai amato in vita sua...
Cazzeggiando sui internet, però, ho fatto un altra scoperta. Sconvolgente, per una drogata di celebrity come Marsha. In via Margutta 33 girarono anche il film 'Vacanze Romane'. Sempre in quel fatidico anno, 1953. Glielo dico quando torna a casa, nel nostro appartamento di West End Avenue. Lei ha quasi un orgasmo: "Reeeally?"
Va subito a controllare sul computer. "Wow!", urla.
Ora, bisogna sapere che più passano gli anni, più 'Roman Holidays' è diventato per gli americani il simbolo di tutto ciò che c'è di attraente in Italia: dolce vita, amore, uomini romantici.
"E Gregory Peck era giornalista come te Mauro, un'altra incredibile coincidenza", mi sussurra Marsha con i suoi occhioni sognanti.
Mi bacia: "Sarò la tua principessa Audrey Hepburn..."
Va a sdraiarsi sul divano, facciamo l'amore. Viene prima di me (non capita spesso). Per fortuna l'agenzia immobiliare non ci ha chiesto cinquemila euro: temo che a quel punto Marsha avrebbe pagato qualsiasi cifra per un mese in quei 60 metri quadri con soppalco.
Arriviamo a Roma, il posto in via Margutta è in effetti delizioso. A me per la verità ricorda una casa di ringhiera milanese con ballatoio, ma Marsha è così emozionata che arrivata in cima alle scale del cortile interno, pieno di oleandri, ciclamini, glicini e palme, apre la porta del loft a due piani, grida "I'm so happy, Mauro!".
Mi trascina dentro con le valigie, richiude la porta, mi abbraccia, mi bacia interminabilmente e intanto si sfila le mutandine. È umidissima (a New York non capita spesso: "Sono stressata", dice sempre). Mi stringe a sè, vuole che la prenda in piedi sulla parete. Mugola dal piacere, le devo tappare la bocca, gode quasi subito (a New York non capita spesso, senza l'ausilio di un dito: "Sono clitoridea", mi ha spiegato solenne).
Qualche giorno dopo, Marsha scopre sui giornali la terza coincidenza: Cruise e la sua fidanzatina Kate sono all'hotel Hassler, a duecento metri da noi, sopra piazza di Spagna. E si sposano proprio oggi, in un castello sul lago di Bracciano.
"Dov'è?"
"Lontanissimo, Marsha".
"Quanto lontano? Vicino a lake Como?" (chissà perché i newyorkesi conoscono solo il lago di Como e l'albergo Villa d'Este).
"Ecco. Più o meno", baro per togliermi l'impiccio.
Marsha però è relentless, testarda. Come Bush. Quando si mette in testa una cosa, addio. Mi trascina per via del Babuino e su per la scalinata di Trinità dei Monti. Davanti all'hotel Hassler troviamo radunata una piccola folla. È l'una.
"Che succede?", domando ai curiosi.
"Ora escono", mi risponde uno sfaccendato.
"Ok Marsha, andiamocene. Non possiamo aspettare qui come due deficienti, chi se ne frega".
"No, dai, fammi vedere".
"E se escono fra tre ore? Non vedo nessuna limousine parcheggiata qui vicino. E poi, vedi: ci sono solo turisti, perditempo. Agli italiani non frega nulla di questi cosiddetti matrimoni del secolo . Anche perché ne vediamo da 27 secoli..."
"Dai, non fare il blasé. Non fare finta, che sei excited pure tu. Siamo testimoni di history in the making, la storia che si compie sotto i nostri occhi..."
Fortuna che le rimane un po di autoironia. In fondo si è laureata con una tesi su Derrida.
"Su, torniamo a casa", la tiro per il braccio.
Il mio obiettivo è passare qualche ora a letto a leggere i giornali, come facciamo ogni sabato a New York con i due chili del Times del week-end.
"Eccoli!", strilla Marsha improvvisamente.
In effetti una Mercedes nera si ferma di fronte all'entrata dell'Hassler.
"Ma sono Jennifer Lopez e Victoria Beckham", la informo, allungando il collo. "Il peggio del peggio. Saranno fra le invitate. Stanno entrando, non esce nessuno. Andiamo via".
"Prima o poi Tom Cruise e Katie dovranno uscire. Il matrimonio è previsto per le sei. In un castello. Anch'io sogno di sposarmi in un castello..."
Ecchetela. Afferro il messaggio subliminale.
"Dai Mauro, portami al castello. Andiamo a vedere Bracciano. Prendi l'auto. Quant'è lontano?"
"Ma almeno cento miglia", mento, loro ci andranno in elicottero".
"Eccoli!"
Un gippone con i vetri fumé esce dalla porta di servizio e sgomma via. Impossibile vedere chi c'era dentro.
"Seguiamoli, corri a prendere l'auto al parcheggio!"
Marsha è così sovraeccitata che non tento neppure di contraddirla. Sono innamorato, mi piace regalarle qualcosa qui in Italia. La amerà ancora di più, e di riflesso amerà anche me. E poi, per dirla tutta, questa sua energia molto americana risulta assai sexy per un pigro e scettico europeo come me.
Dopo venti minuti siamo in auto. È un pomeriggio brillante di sole dopo un temporale, i pini marittimi lungo la Cassia esibiscono un verde intenso, guido e sono felice vedendola felice.
"Pensi che il castello sia circondato da poliziottotti, assediato da giornalisti e cose del genere?", mi chiede.
"Certo. Ma anch'io sono giornalista. Riusciremo a passare, non preoccuparti".
Arriviamo a Bracciano alle tre del pomeriggio. Per fortuna Marsha è totalmente ignara di geografia italiana, e non mi chiede conto della mia bugia sulla vicinanza con il lago di Como. Bella cittadina, non c'ero mai stato, nessuno in giro. Parcheggiamo.
'Cinquantamila curiosi per le nozze di Tom', titola speranzoso un giornale appeso a un edicola. Ce ne saranno a malapena cinquanta nella vecchia strada che ci porta in centro. Quando arriviamo nella piazza di fronte al castello Odescalchi, vedo un piccola folla di reporter con telecamere di fronte all'entrata. Vado a salutare Umberto Pizzi, il mio amico paparazzo autore della rubrica Cafonal sul sito Dagospia. Ci sono perfino due elicotteri che girano rumorosi attorno agli spalti.
"Mauro, I lllove this castle!"
Marsha è abbacinata: "Ha otto torri invece di quattro, è enorme. Ho deciso: ci sposeremo anche noi qui!"
"Certo, cara. Ho letto sul giornale che anche Keira Knightley ora vuole un matrimonio a Bracciano. Sta diventando di moda sposarsi qui..."
Alcuni colleghi mi riconoscono: "Suttora, ma non stavi a New York? Sei venuto apposta per Tom Cruise?"
"Ovvio", invento, "e la mia fidanzata americana Marsha è fra gli invitati, perché fa parte della setta di Tom, Scientology. Così entro pure io".
"Allora quando sei dentro ti chiamiamo sul telefonino, così ci descrivi la cerimonia. Ci sarà anche una cena? Chi sono gli invitati? Quando entri? È vero che John Travolta è arrivato a Ciampino col suo jet privato?"
"Ragazzi, io ci provo, ma non posso creare problemi a Marsha. Vedremo..."
Intanto lei mi guarda. Conosce un po' d'italiano, e capisce che ho trovato un modo per infilarmi nel maniero.
"Beh, prima d'entrare voglio mostrare il paese e il panorama sul lago alla mia fidanzata, sta per fare buio. Ci vediamo più tardi..."
Prendo Marsha per mano e andiamo sul retro del castello. Ci sediamo a un bar.
"Mauro, allora riusciamo a entrare?"
"Figurati, è sigillato peggio del Cremlino".
"Ma avevo capito..."
"Hai capito bene: con i miei colleghi giornalisti ho fatto finta che tu fossi invitata, e io con te, ma che non possiamo dire nulla. E ora andiamocene, altrimenti scoprono lo scherzo".
Passeggiamo per Bracciano, sul lungolago e in centro. Marsha si calma, e improvvisamente non gliene importa più nulla del matrimonio del secolo. La sua finestra di attenzione si è esaurita, la curiosità saziata: le è bastata la visione del castello. La amo anche per questo: cambia idea spesso, e in fretta.
Torniamo in città al tramonto. Guidando, le canto la canzone più famosa su Roma: "Arrivederci Roma, goodbye and au revoir/Voglio rivedere via Margutta..."
I miei colleghi resteranno di fronte al castello fino alle tre del mattino, senza riuscire a vedere nulla. Marsha ed io, invece, siamo di nuovo vip-free. Ceniamo a lume di candela nella nostra trattoria preferita, Edy in vicolo del Babuino. Poi saliamo a dormire nella stanza di Truman, nel palazzo di Audrey e Gregory.
"È vero che la parola romantico deriva da Roma?", mormora Marsha prima di chiudere soddisfatta gli occhi azzurrissimi. La guardo con tenerezza: ora che dorme, sembra veramente la principessa di 'Vacanze Romane'.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
New York Observer
Roma, sabato 18 novembre 2006
Marsha, la mia fidanzata newyorkese, ha appena scoperto che oggi si sposano Tom Cruise e Katie Holmes. Siamo anche noi a Roma in queste settimane. Abbiamo affittato un loft in via Margutta 33.
Marsha era diventata pazza quando ha saputo che in questo stesso palazzo abitò per sei mesi Truman Capote, nel 1953: "Lo voglio" .
"Ma ci chiedono tremila euro al mese", ho obiettato.
"Li vale", ha detto con gli occhi brillanti di gioia. "E poi, Mauro, non noti nessuna coincidenza?"
"No".
"Le date".
"Cioè?"
"Fifty-three and fifty-three..."
"Cinquantatre?"
"Sì, era il '53 quando Truman visse qui, e da allora sono passati esattamente '53 anni. Non è fantastico?"
Adoro Marsha per questi suoi improvvisi entusiasmi puerili. È un ex modella stupenda, abbastanza anoressica ma affamata di vita, curiosa di tutto e facilmente eccitabile (anche sessualmente) da piccoli particolari riguardanti celebrità del passato e del presente.
Poter abitare lo stesso posto dove Capote visse più di mezzo secolo fa - quando non era nessuno se non un giovane ricco americano gay aspirante scrittore - ma soprattutto poterlo poi raccontare alle sue amiche, la fa andare al settimo cielo. Come se le pareti di questo ex studio di pittore riuscissero ancora trasudare storia ed emozioni. Probabilmente non ha mai letto nulla di Capote, neanche 'A sangue freddo'. Lo conosce solo dal film del 2005 con Philip Seymour Hoffman. Ma fa niente. Basta il nome. Ormai lei lo chiama confidenzialmente Truman. È diventato un nostro intimo, post mortem.
Marsha è innamorata di Roma. C'è già stata altre volte, con altri uomini. Io sospetto che sia più innamorata di Roma che di me. Sono quasi geloso.
"Vuoi me o i miei soldi?", chiedono le miliardarie di Manhattan ai loro spasimanti.
"Vuoi me o l'Italia?", domando io alle ragazze di Manhattan che diventano improvvisamente troppo cordiali quando scoprono che vengo dalla terra di Dolce & Gabbana e del pinot grigio che amano ingollare.
Ho conosciuto Marsha due anni fa a un cocktail-party a New York, dove sono corrispondente per un settimanale italiano. Bellissima 29enne, occhi azzurri, gambe da sogno, è rimasta a lavorare nel mondo della moda. Mi porta con lei a tutti i fashion events di Manhattan, dalle sfilate di Calvin Klein ai gala al Waldorf e ai vernissage dei nuovi negozi sulla Quinta Avenue.
Ho ricambiato con questo soggiorno a Roma. Avevo fatto una ricerca su Google per controllare la questione di Capote. Sì, è vero. Non solo abitò nel palazzo, ma dieci anni dopo descrisse il suo soggiorno romano in un racconto titolato 'Lola', dal nome della cornacchia con cui conviveva. Probabilmente l unico animale femmina che abbia mai amato in vita sua...
Cazzeggiando sui internet, però, ho fatto un altra scoperta. Sconvolgente, per una drogata di celebrity come Marsha. In via Margutta 33 girarono anche il film 'Vacanze Romane'. Sempre in quel fatidico anno, 1953. Glielo dico quando torna a casa, nel nostro appartamento di West End Avenue. Lei ha quasi un orgasmo: "Reeeally?"
Va subito a controllare sul computer. "Wow!", urla.
Ora, bisogna sapere che più passano gli anni, più 'Roman Holidays' è diventato per gli americani il simbolo di tutto ciò che c'è di attraente in Italia: dolce vita, amore, uomini romantici.
"E Gregory Peck era giornalista come te Mauro, un'altra incredibile coincidenza", mi sussurra Marsha con i suoi occhioni sognanti.
Mi bacia: "Sarò la tua principessa Audrey Hepburn..."
Va a sdraiarsi sul divano, facciamo l'amore. Viene prima di me (non capita spesso). Per fortuna l'agenzia immobiliare non ci ha chiesto cinquemila euro: temo che a quel punto Marsha avrebbe pagato qualsiasi cifra per un mese in quei 60 metri quadri con soppalco.
Arriviamo a Roma, il posto in via Margutta è in effetti delizioso. A me per la verità ricorda una casa di ringhiera milanese con ballatoio, ma Marsha è così emozionata che arrivata in cima alle scale del cortile interno, pieno di oleandri, ciclamini, glicini e palme, apre la porta del loft a due piani, grida "I'm so happy, Mauro!".
Mi trascina dentro con le valigie, richiude la porta, mi abbraccia, mi bacia interminabilmente e intanto si sfila le mutandine. È umidissima (a New York non capita spesso: "Sono stressata", dice sempre). Mi stringe a sè, vuole che la prenda in piedi sulla parete. Mugola dal piacere, le devo tappare la bocca, gode quasi subito (a New York non capita spesso, senza l'ausilio di un dito: "Sono clitoridea", mi ha spiegato solenne).
Qualche giorno dopo, Marsha scopre sui giornali la terza coincidenza: Cruise e la sua fidanzatina Kate sono all'hotel Hassler, a duecento metri da noi, sopra piazza di Spagna. E si sposano proprio oggi, in un castello sul lago di Bracciano.
"Dov'è?"
"Lontanissimo, Marsha".
"Quanto lontano? Vicino a lake Como?" (chissà perché i newyorkesi conoscono solo il lago di Como e l'albergo Villa d'Este).
"Ecco. Più o meno", baro per togliermi l'impiccio.
Marsha però è relentless, testarda. Come Bush. Quando si mette in testa una cosa, addio. Mi trascina per via del Babuino e su per la scalinata di Trinità dei Monti. Davanti all'hotel Hassler troviamo radunata una piccola folla. È l'una.
"Che succede?", domando ai curiosi.
"Ora escono", mi risponde uno sfaccendato.
"Ok Marsha, andiamocene. Non possiamo aspettare qui come due deficienti, chi se ne frega".
"No, dai, fammi vedere".
"E se escono fra tre ore? Non vedo nessuna limousine parcheggiata qui vicino. E poi, vedi: ci sono solo turisti, perditempo. Agli italiani non frega nulla di questi cosiddetti matrimoni del secolo . Anche perché ne vediamo da 27 secoli..."
"Dai, non fare il blasé. Non fare finta, che sei excited pure tu. Siamo testimoni di history in the making, la storia che si compie sotto i nostri occhi..."
Fortuna che le rimane un po di autoironia. In fondo si è laureata con una tesi su Derrida.
"Su, torniamo a casa", la tiro per il braccio.
Il mio obiettivo è passare qualche ora a letto a leggere i giornali, come facciamo ogni sabato a New York con i due chili del Times del week-end.
"Eccoli!", strilla Marsha improvvisamente.
In effetti una Mercedes nera si ferma di fronte all'entrata dell'Hassler.
"Ma sono Jennifer Lopez e Victoria Beckham", la informo, allungando il collo. "Il peggio del peggio. Saranno fra le invitate. Stanno entrando, non esce nessuno. Andiamo via".
"Prima o poi Tom Cruise e Katie dovranno uscire. Il matrimonio è previsto per le sei. In un castello. Anch'io sogno di sposarmi in un castello..."
Ecchetela. Afferro il messaggio subliminale.
"Dai Mauro, portami al castello. Andiamo a vedere Bracciano. Prendi l'auto. Quant'è lontano?"
"Ma almeno cento miglia", mento, loro ci andranno in elicottero".
"Eccoli!"
Un gippone con i vetri fumé esce dalla porta di servizio e sgomma via. Impossibile vedere chi c'era dentro.
"Seguiamoli, corri a prendere l'auto al parcheggio!"
Marsha è così sovraeccitata che non tento neppure di contraddirla. Sono innamorato, mi piace regalarle qualcosa qui in Italia. La amerà ancora di più, e di riflesso amerà anche me. E poi, per dirla tutta, questa sua energia molto americana risulta assai sexy per un pigro e scettico europeo come me.
Dopo venti minuti siamo in auto. È un pomeriggio brillante di sole dopo un temporale, i pini marittimi lungo la Cassia esibiscono un verde intenso, guido e sono felice vedendola felice.
"Pensi che il castello sia circondato da poliziottotti, assediato da giornalisti e cose del genere?", mi chiede.
"Certo. Ma anch'io sono giornalista. Riusciremo a passare, non preoccuparti".
Arriviamo a Bracciano alle tre del pomeriggio. Per fortuna Marsha è totalmente ignara di geografia italiana, e non mi chiede conto della mia bugia sulla vicinanza con il lago di Como. Bella cittadina, non c'ero mai stato, nessuno in giro. Parcheggiamo.
'Cinquantamila curiosi per le nozze di Tom', titola speranzoso un giornale appeso a un edicola. Ce ne saranno a malapena cinquanta nella vecchia strada che ci porta in centro. Quando arriviamo nella piazza di fronte al castello Odescalchi, vedo un piccola folla di reporter con telecamere di fronte all'entrata. Vado a salutare Umberto Pizzi, il mio amico paparazzo autore della rubrica Cafonal sul sito Dagospia. Ci sono perfino due elicotteri che girano rumorosi attorno agli spalti.
"Mauro, I lllove this castle!"
Marsha è abbacinata: "Ha otto torri invece di quattro, è enorme. Ho deciso: ci sposeremo anche noi qui!"
"Certo, cara. Ho letto sul giornale che anche Keira Knightley ora vuole un matrimonio a Bracciano. Sta diventando di moda sposarsi qui..."
Alcuni colleghi mi riconoscono: "Suttora, ma non stavi a New York? Sei venuto apposta per Tom Cruise?"
"Ovvio", invento, "e la mia fidanzata americana Marsha è fra gli invitati, perché fa parte della setta di Tom, Scientology. Così entro pure io".
"Allora quando sei dentro ti chiamiamo sul telefonino, così ci descrivi la cerimonia. Ci sarà anche una cena? Chi sono gli invitati? Quando entri? È vero che John Travolta è arrivato a Ciampino col suo jet privato?"
"Ragazzi, io ci provo, ma non posso creare problemi a Marsha. Vedremo..."
Intanto lei mi guarda. Conosce un po' d'italiano, e capisce che ho trovato un modo per infilarmi nel maniero.
"Beh, prima d'entrare voglio mostrare il paese e il panorama sul lago alla mia fidanzata, sta per fare buio. Ci vediamo più tardi..."
Prendo Marsha per mano e andiamo sul retro del castello. Ci sediamo a un bar.
"Mauro, allora riusciamo a entrare?"
"Figurati, è sigillato peggio del Cremlino".
"Ma avevo capito..."
"Hai capito bene: con i miei colleghi giornalisti ho fatto finta che tu fossi invitata, e io con te, ma che non possiamo dire nulla. E ora andiamocene, altrimenti scoprono lo scherzo".
Passeggiamo per Bracciano, sul lungolago e in centro. Marsha si calma, e improvvisamente non gliene importa più nulla del matrimonio del secolo. La sua finestra di attenzione si è esaurita, la curiosità saziata: le è bastata la visione del castello. La amo anche per questo: cambia idea spesso, e in fretta.
Torniamo in città al tramonto. Guidando, le canto la canzone più famosa su Roma: "Arrivederci Roma, goodbye and au revoir/Voglio rivedere via Margutta..."
I miei colleghi resteranno di fronte al castello fino alle tre del mattino, senza riuscire a vedere nulla. Marsha ed io, invece, siamo di nuovo vip-free. Ceniamo a lume di candela nella nostra trattoria preferita, Edy in vicolo del Babuino. Poi saliamo a dormire nella stanza di Truman, nel palazzo di Audrey e Gregory.
"È vero che la parola romantico deriva da Roma?", mormora Marsha prima di chiudere soddisfatta gli occhi azzurrissimi. La guardo con tenerezza: ora che dorme, sembra veramente la principessa di 'Vacanze Romane'.
Mauro Suttora
Celebrity-free
Tom Cruise wedding in Bracciano Castle (Rome)
'The New York Observer', December 2006
by Mauro Suttora
"Sounds like hassle".
"Let's go home, then".
"Sounds like hustler".
"Yes, but it's Hassler instead, can't you read it above the front door?"
Rome, Saturday November 18, 2006. One pm. Marsha, my New York girlfriend, has dragged me in front of the hotel atop the Spanish steps where Tom Cruise is staying with his fiancée Kate Holmes since five days now. The sun is shining, I left home just to buy the papers.
The Rome apartment we're renting in Via Margutta 33 is at walking distance from the Spanish Steps. Truman Capote lived for a few months in our very flat 53 years ago, in 1953, when he was just a young American gay touring Italy. He wrote about it ten years later in the short story 'Lola', the name of his roommate (a black young she-raven, possibly the only female he ever loved).
During that same year 1953 the movie 'Roman Holidays' was shot in this very building courtyard. I feel so Gregory Peck, the journalist whose pad princess Audrey Hepburn slept in...
Marsha has accompanied me outside, and after stopping at the newsstand she convinced me to climb the steps:
"Let’s get a glimpse of history in the making..."
"Come on, Marsha, you always act so celebrity-free while in New York City. Who cares about today's marriage?"
"Just a little curiosity, mummy has asked me about it".
"Ah, you're constantly on the phone with your mummy in Manhattan, from Rome too. The umbilical cord. Will you turn cordless someday, honey?"
"See, all this crowd in front of the hotel... Romans are curious as well, despite their pretending being jaded after 27 centuries of celeb-watching".
"No locals, it's just tourists. Italians have better things to do than wasting time after Tom Cruise or any other self-appointed 'wedding of the century".
"Here they are! Who's coming out of the limo?"
A black Mercedes stops in front of the Hassler Hotel. I crane my neck.
"Jennifer Lopez and Victoria Beckham. The worst of the worst".
"But they're getting in".
"Nobody coming out. Come on, let's go, Marsha".
"If all these people keep waiting, Tom and Kate are due out any moment. They have to come out in any case, the ceremony at the castle is supposed to take place today at 6 p.m."
"Maybe they're already there, at Bracciano. I wonder why they switched from lake Como to Bracciano. All American actors love lake Como and its Villa d'Este Hotel in Cernobbio, what's so special in Bracciano?"
"The castle".
"Yeah..."
"I would love to marry in a castle..."
"Yeah... Alright Marsha".
"Let s go see this one".
"What? You want to go to Bracciano? Today?"
"Yes, let's follow them when they come out of the hotel".
"What if they take an helicopter?"
"Go and get the car".
"But Bracciano is 30 miles away... And it's gonna be flooded with people this afternoon".
"Look, they're coming out!"
A black SUV is exiting the service entrance, but it's impossible to see anyone behind its darkened windows.
"Who knows, Marsha, it could have been anybody. Let's go home now".
"No way. Get the car, we're definitely going to the Bracciano castle".
"Keep your wide mouth shut".
I would have loved replying so, just to bet on her recognizing the Cruise/Kidman pun. But in these moments she always gets a humour failure. I know her, she's so surcharged now: impossible to joke, impossible to stop her. No way to discuss nor to object. She is determined, my only answer can be "Yes", or leave.
When my Italian friends ask me how I stand her, I reply that I like her exactly because of this: she's so imperious, doubtless, energetic, aggressively American. Very sexy, to an old (in the Rumsfeld sense), lazy, dreamy European. Besides, she turns so sweet in bed. So, I am totally subjected when she gets into one of these fits of hers. Probably also because I love her. That's why I don't rebel. Oh, did I say I love her? Sometimes I forget.
O.K., I decide to go with her to the Tom Cruise wedding in Bracciano Castle. So I head for the Villa Borghese underground parking, to get our car. A wonderful Lancia Ypsilon compact, and it's a sunny day right after a shower, why not travel through the country to Bracciano anyway?
"Why not", the magic words which make it impossible to argue with Marsha, my beautiful love.
I look at her while driving on the Cassia old consular road lined with parachute-shaped maritime pine trees: she's so excited to go to the marriage in the castle. And I'm so happy to offer her this gift, in order to make her love Italy evermore.
"Do you think the castle will be surrounded by journalists?"
"Of course. But I'm one. I'll get a pass, don't worry".
We arrive in Bracciano at 3 pm. Lovely town, no one around. 50,000 people expected for Tom’s wedding, headlines a daily we bought. There are maybe 50 in the old grey street climbing to the castle. When we arrive in the square in front of the castle, we notice a small crowd of reporters in front of the entrance. Umberto Pizzi, the king of Rome paparazzi, is cruising aimlessly. Two press helicopters hover noisily.
“Mauro, I lllove this castle!” Marsha is thrilled “It’s humongous, it has got eight towers instead of four! Wow! We re definitely gonna get married here!”
“Yes dear, like Christiane Amanpour and James Rubin back in ’98. And I read in the paper today that Keira Knightley wants to marry here too. Bracciano weddings are becoming fashionable”.
I speak with some colleagues I know, they’re surprised to see me: “Have you come from New York just for the wedding?”
“Of course”, I joke them. “And my girlfriend Marsha is invited, so I’m getting in. She belongs to Scientology”.
“We’ll call you around 10 then, can you keep your cell turned on? Is there a reception inside? Is there any reception before the ceremony? When are you getting in? Have you seen John Travolta, he was supposed to land in Rome with his private jet this morning…”
“Sorry folks, I can’t embarrass Marsha, and those people are real paranoiacs, I had to sign a promise of silence. They’ll ask for all of our cellphones at the entrance” .
“And you’re not going to break the embargo, are you?”
“I really can’t”.
Marsha looks at me wide eyes open, she knows only a few words in italian and understands that the almighty Italian journalist Mauro has found a way to sneak in.
“Bye now, we’ll come back and get in later, now we want to tour the town before darkness”, I salute my fellow Italian reporters who are green with envy.
I take Marsha by the hand, we go around the corner and sit down in a café where we order one macchiato and one cappuccino.
“Mauro, is there really a way to get in?”
“No way Marsha, it’s all sealed. Worse than the Kremlin”.
“But I understood…”
“Yes, you understood well: I pretended you were invited, and me along with you, but that we can’t report anything”.
“…”
“Ok darling, now let’s go, otherwise they’ll find out about our joke”.
We proceed to visit Bracciano. Very nice town indeed. Marsha calms down and suddenly doesn’t give a damn about the wedding of the century. Her window of interest has run out, the castle vision has satisfied her. I love her also because she changes her mind often and fast, even before the job is done. We’re not going to get stuck here. Bracciano won’t be our Iraq.
We’re back in Rome right after sunset. While driving, I entertain her by singing the most famous song about Rome: “Arrivederci Roma, goodbye and au revoir/ Voglio rivedere via Margutta…”
My colleagues stay on in front of the castle until 3 a.m. Can’t get a glimpse of anything. At that time, Marsha and I are celebrity-free again, sleeping in the Truman Capote’s bed of the Audrey&Gregory building after a lovely candle-lit al fresco dinner at Edy, our favourite osteria in vicolo del Babuino.
“I guess the word romantic comes from Rome”, whispers starry-eyed Marsha just before closing them.
Mauro Suttora
Wednesday, January 22, 2003
Attori e guerra in Iraq
Presidente, Hollywood non vuole questo brutto film di guerra
I divi del cinema dicono tanti "no" al conflitto contro l' Iraq
"Appoggio la lotta al terrorismo", spiega Whoopi Goldberg, "ma prima bisogna sconfiggere Al Qaeda". "Agiamo solo su mandato dell'Onu", afferma Martin Sheen. E se gli americani sono convinti che Saddam vada spodestato, il dubbio è sui mezzi da usare. Con la domanda di sempre: un intervento per la libertà o per il petrolio ?
dal nostro corrispondente Mauro Suttora
New York (Stati Uniti), 22 gennaio 2003
Barbra Streisand e Robert Redford sono contrari. Clint Eastwood e Tom Cruise sono a favore. E con loro tutta Hollywood, tutta l' America è divisa. La guerra contro l' Iraq, fortemente voluta da George Bush, non scalda gli animi. Dove è finita l' unanimità con cui quindici mesi fa gli Stati Uniti occuparono l'Afghanistan?
I sondaggi lo ripetono: la grande maggioranza dei cittadini statunitensi ha fiducia in Bush, ed è convinta che al dittatore iracheno Saddam Hussein vada data una lezione. Sul come darla, però, c' è divergenza di opinioni. Anche e soprattutto tra i vip. "Dobbiamo agire soltanto su mandato Onu, come per la guerra del Golfo nel 1991", sostiene l' attore Martin Sheen, che impersona il presidente in una serie Tv, West Wing. Per un finto presidente pacifista, eccone un altro militarista: Harrison Ford, che si rifiuta di firmare gli appelli per la pace.
Il 67 per cento degli statunitensi è favorevole all' invasione dell' Iraq, ma la percentuale cala al 54 quando si fa presente che molti soldati americani potrebbero non tornare. E la maggioranza diventa minoranza di fronte alla tentazione di agire senza aspettare "le lungaggini di quei burocrati delle Nazioni Unite", come dice il quotidiano New York Post.
Il falco dei falchi di Hollywood, questa volta, non è Arnold Schwarzenegger, l' unico repubblicano della famiglia Kennedy. "Terminator" ha dichiarato: "Mi devono ancora convincere che invadere l' Iraq sia l' unica soluzione". Ammansitosi il muscoloso marito di Maria Shriver Kennedy, il divo più bellicoso è Harvey Keitel. L' ex marine ha riproposto la leva: "Non penso sia una buona idea avere forze armate composte solo da volontari. Tutti dovrebbero fare il servizio militare. Ogni giovane deve rendersi conto che talvolta è necessario combattere per difendere le libertà che ci stanno a cuore".
Tra i pacifisti, il più cattivo è Harry Belafonte. Il cantante ha attaccato il segretario di Stato Colin Powell, di colore come lui: "Powell è come uno schiavo della piantagione ammesso dal padrone (il presidente Bush, ndr) a frequentare il suo palazzo, e che ora, per riconoscenza, ripete a pappagallo le sue opinioni". I dubbi di Hollywood riflettono quelli del Paese. Un parallelismo non casuale per un popolo abituato a guardare la politica come una scena sul grande schermo. Così, il direttore della rivista di cinema Variety spiega perché l' opinione pubblica è fredda sull' invasione dell' Iraq: "Al pubblico piacciono i film lineari, senza rimaneggiamenti dell' ultimo momento. Invece, a un certo punto Osama Bin Laden è sparito e Saddam lo ha sostituito nella parte del cattivo".
Ecco, quindi, il commento di Whoopi Goldberg: "Appoggio la guerra contro i terroristi, ma vorrei che prima si finisse il lavoro con Al Qaeda. Poi si potrà portare la democrazia in Iraq con i carri armati". Un anno fa, all' indomani dell' 11 settembre, quasi nessuno a Hollywood osava schierarsi contro la politica estera americana. Anche oggi, però, chi critica Bush qualcosa rischia. I dubbi, infatti, riguardano i mezzi più che il fine, che per l' americano medio si riassume in "Kill Saddam".
Ecco perché molte star, per non diventare impopolari, evitano di prendere posizione: "Sono solo un' attrice", si schermisce Gwyneth Paltrow, "non vedo perché si debba sapere la mia opinione". Per farsi un' opinione, viceversa, c' è chi è andato a Baghdad. Come l' attore Sean Penn, che però, tornato nel continente americano per passare le vacanze di Natale in un lussuoso resort messicano, è stato preso in giro: "Sean, come sta il tuo amico Saddam ?". Penn non s' è limitato al turismo politico: in ottobre ha sborsato 56 mila dollari (circa 56 mila euro) per pagarsi una pagina di pubblicità pacifista sul Washington Post, in cui ha sostenuto che "un attacco preventivo contro una nazione sovrana provocherebbe vergogna e orrore".
Anche Robin Williams è partito per l'Asia. La sua meta è stata l'Afghanistan, per far divertire le truppe americane, sulle orme di John Wayne, ai tempi del Vietnam. E per quanto Warren Beatty consideri assurdo "che chi esprime riserve venga liquidato come non patriottico", silenziosi rimangono i giovani pesi massimi: Julia Roberts, Leonardo DiCaprio, Jennifer Lopez, Ben Affleck, Sandra Bullock o Cameron Diaz.
Pure Bruce Willis, amico di Bush, questa volta tace. Insomma, la gente dello spettacolo sa di muoversi su un terreno minato, e che il radicalismo non paga. Lo sanno il regista Oliver Stone e l' attore Alec Baldwin, che hanno visto le carriere danneggiate dalle sparate anti Bush. O Jessica Lange, che del presidente, chissà perché, ha detto: "Lo odio". O Eric Roberts, il fratello scapestrato di Julia, che si è lanciato in congetture da delirio: "Bush è un fascista e cospira con Osama per distruggere l' economia". Woody Harrelson, sul quotidiano inglese Guardian, ha stigmatizzato "la guerra razzista e imperialista condotta dai guerrafondai che si sono rubati la Casa Bianca". Debole in geografia la Streisand, che ha definito iraniano Saddam.
Per reperire opinioni più meditate, gli americani devono rivolgersi ai giornali. Scalpore ha suscitato la copertina del supplemento domenicale del New York Times dal titolo "Impero americano: facciamoci l' abitudine". Per la prima volta un quotidiano "di sinistra" prendeva atto che ormai gli Stati Uniti sono un impero come quello romano, senza rivali al mondo, e che quindi tocca a Washington mantenere pace e ordine, a costo di apparire imperialisti. Altre verità sulle motivazioni di Bush sono troppo scottanti per poterle pubblicare sulla stampa americana. E così c' è chi si è rivolto all' estero, ai giornali di Londra, patria del "compagno di battaglia" Tony Blair. Come l' anonimo alto funzionario del Pentagono che ammette, sul Sunday Express, come il motivo più pressante della campagna d' Iraq sia la necessità americana di conservare la leadership mondiale: "È reale la minaccia che Saddam disponga di armi di distruzione di massa e le usi. Ci sono, quindi, motivi fondati per affrontarlo. Ma alcuni sono importanti per il presente, altri per il futuro. A lungo termine, il nostro grande rivale sarà la Cina. Il modo migliore di contenere Pechino è rafforzare i nostri alleati in Estremo Oriente: Giappone e Corea del Sud. Le cui economie si basano in gran parte sull'industria petrolchimica. Se controlliamo le riserve di petrolio irachene, possiamo garantire ai nostri alleati la prosperità necessaria per controbilanciare l'espansionismo economico cinese".
Altrettanto esplicita, sul Mirror, Sara Flounders, pacifista dell' American International Action Center: "Le compagnie petrolifere angloamericane vogliono accesso illimitato ai giacimenti iracheni". Non è difficile, ragiona il quotidiano, capire perché Washington ammassi truppe nel Golfo, perché l'esercito statunitense sia presente in ogni Paese produttore di petrolio o confinante con un produttore, perché il 20 per cento dell' enorme bilancio militare americano sia destinato alla difesa di giacimenti petroliferi. Basta ricordare il '91 quando Bush senior, padre dell' attuale presidente, veleggiava su indici di gradimento altissimi dopo la vittoria su Saddam. Pochi mesi dopo, la sua carriera politica era finita: colpa di un rincaro della benzina che gli americani, popolo di automobilisti, non gli perdonarono.
Il Bush di oggi non dimentica e, per tenere stabili i prezzi del petrolio, evitando picchi ma anche crolli, ha fatto accumulare nelle miniere abbandonate del Texas e della Louisiana enormi riserve. Non sufficienti, però, per fare a meno della collaborazione dei sauditi che, con i loro 300 miliardi di barili, fanno il bello e il cattivo tempo sul mercato. Tutto bene, finché sono alleati. Ma, come sottolineano gli esperti di politica ed economia mondiale della Rand Corporation al Pentagono, esiste il rischio che i fondamentalisti islamici spodestino il filoamericano Re Fahd e chiudano i rubinetti, con conseguenze catastrofiche.
Perciò Bush ha fretta di affrancarsi dalla dipendenza verso i sauditi. E lo può fare solo installando a Baghdad un governo amico e mettendo le mani sui giacimenti di Saddam che, come ha osservato il vicepresidente Dick Cheney, "ha sotto il suo sedere il dieci per cento delle riserve mondiali". Paradossalmente, oggi sono proprio i militari i più riluttanti a invadere l'Iraq. Temono di rimanerci invischiati per anni, come capitò in Vietnam e come accade in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. Ma, visto che Bush ha aumentato le spese militari da 300 miliardi di dollari a quasi 400 in due anni, è fatale che prima o poi una guerra scoppi. "Anche se sarebbe più economico eliminare Saddam con una sola pallottola", scherza macabro Ari Fleischer, portavoce della Casa Bianca, alludendo all'ingaggio di un possibile sicario. Quanto a chi accusa il petroliere Bush di far guerra per il petrolio, Peter Beinart del prestigioso settimanale New Republic risponde drastico: "E allora? Ci mancherebbe che non difendessimo i nostri interessi. A tutti piace pagare poco la benzina".
Mauro Suttora
I divi del cinema dicono tanti "no" al conflitto contro l' Iraq
"Appoggio la lotta al terrorismo", spiega Whoopi Goldberg, "ma prima bisogna sconfiggere Al Qaeda". "Agiamo solo su mandato dell'Onu", afferma Martin Sheen. E se gli americani sono convinti che Saddam vada spodestato, il dubbio è sui mezzi da usare. Con la domanda di sempre: un intervento per la libertà o per il petrolio ?
dal nostro corrispondente Mauro Suttora
New York (Stati Uniti), 22 gennaio 2003
Barbra Streisand e Robert Redford sono contrari. Clint Eastwood e Tom Cruise sono a favore. E con loro tutta Hollywood, tutta l' America è divisa. La guerra contro l' Iraq, fortemente voluta da George Bush, non scalda gli animi. Dove è finita l' unanimità con cui quindici mesi fa gli Stati Uniti occuparono l'Afghanistan?
I sondaggi lo ripetono: la grande maggioranza dei cittadini statunitensi ha fiducia in Bush, ed è convinta che al dittatore iracheno Saddam Hussein vada data una lezione. Sul come darla, però, c' è divergenza di opinioni. Anche e soprattutto tra i vip. "Dobbiamo agire soltanto su mandato Onu, come per la guerra del Golfo nel 1991", sostiene l' attore Martin Sheen, che impersona il presidente in una serie Tv, West Wing. Per un finto presidente pacifista, eccone un altro militarista: Harrison Ford, che si rifiuta di firmare gli appelli per la pace.
Il 67 per cento degli statunitensi è favorevole all' invasione dell' Iraq, ma la percentuale cala al 54 quando si fa presente che molti soldati americani potrebbero non tornare. E la maggioranza diventa minoranza di fronte alla tentazione di agire senza aspettare "le lungaggini di quei burocrati delle Nazioni Unite", come dice il quotidiano New York Post.
Il falco dei falchi di Hollywood, questa volta, non è Arnold Schwarzenegger, l' unico repubblicano della famiglia Kennedy. "Terminator" ha dichiarato: "Mi devono ancora convincere che invadere l' Iraq sia l' unica soluzione". Ammansitosi il muscoloso marito di Maria Shriver Kennedy, il divo più bellicoso è Harvey Keitel. L' ex marine ha riproposto la leva: "Non penso sia una buona idea avere forze armate composte solo da volontari. Tutti dovrebbero fare il servizio militare. Ogni giovane deve rendersi conto che talvolta è necessario combattere per difendere le libertà che ci stanno a cuore".
Tra i pacifisti, il più cattivo è Harry Belafonte. Il cantante ha attaccato il segretario di Stato Colin Powell, di colore come lui: "Powell è come uno schiavo della piantagione ammesso dal padrone (il presidente Bush, ndr) a frequentare il suo palazzo, e che ora, per riconoscenza, ripete a pappagallo le sue opinioni". I dubbi di Hollywood riflettono quelli del Paese. Un parallelismo non casuale per un popolo abituato a guardare la politica come una scena sul grande schermo. Così, il direttore della rivista di cinema Variety spiega perché l' opinione pubblica è fredda sull' invasione dell' Iraq: "Al pubblico piacciono i film lineari, senza rimaneggiamenti dell' ultimo momento. Invece, a un certo punto Osama Bin Laden è sparito e Saddam lo ha sostituito nella parte del cattivo".
Ecco, quindi, il commento di Whoopi Goldberg: "Appoggio la guerra contro i terroristi, ma vorrei che prima si finisse il lavoro con Al Qaeda. Poi si potrà portare la democrazia in Iraq con i carri armati". Un anno fa, all' indomani dell' 11 settembre, quasi nessuno a Hollywood osava schierarsi contro la politica estera americana. Anche oggi, però, chi critica Bush qualcosa rischia. I dubbi, infatti, riguardano i mezzi più che il fine, che per l' americano medio si riassume in "Kill Saddam".
Ecco perché molte star, per non diventare impopolari, evitano di prendere posizione: "Sono solo un' attrice", si schermisce Gwyneth Paltrow, "non vedo perché si debba sapere la mia opinione". Per farsi un' opinione, viceversa, c' è chi è andato a Baghdad. Come l' attore Sean Penn, che però, tornato nel continente americano per passare le vacanze di Natale in un lussuoso resort messicano, è stato preso in giro: "Sean, come sta il tuo amico Saddam ?". Penn non s' è limitato al turismo politico: in ottobre ha sborsato 56 mila dollari (circa 56 mila euro) per pagarsi una pagina di pubblicità pacifista sul Washington Post, in cui ha sostenuto che "un attacco preventivo contro una nazione sovrana provocherebbe vergogna e orrore".
Anche Robin Williams è partito per l'Asia. La sua meta è stata l'Afghanistan, per far divertire le truppe americane, sulle orme di John Wayne, ai tempi del Vietnam. E per quanto Warren Beatty consideri assurdo "che chi esprime riserve venga liquidato come non patriottico", silenziosi rimangono i giovani pesi massimi: Julia Roberts, Leonardo DiCaprio, Jennifer Lopez, Ben Affleck, Sandra Bullock o Cameron Diaz.
Pure Bruce Willis, amico di Bush, questa volta tace. Insomma, la gente dello spettacolo sa di muoversi su un terreno minato, e che il radicalismo non paga. Lo sanno il regista Oliver Stone e l' attore Alec Baldwin, che hanno visto le carriere danneggiate dalle sparate anti Bush. O Jessica Lange, che del presidente, chissà perché, ha detto: "Lo odio". O Eric Roberts, il fratello scapestrato di Julia, che si è lanciato in congetture da delirio: "Bush è un fascista e cospira con Osama per distruggere l' economia". Woody Harrelson, sul quotidiano inglese Guardian, ha stigmatizzato "la guerra razzista e imperialista condotta dai guerrafondai che si sono rubati la Casa Bianca". Debole in geografia la Streisand, che ha definito iraniano Saddam.
Per reperire opinioni più meditate, gli americani devono rivolgersi ai giornali. Scalpore ha suscitato la copertina del supplemento domenicale del New York Times dal titolo "Impero americano: facciamoci l' abitudine". Per la prima volta un quotidiano "di sinistra" prendeva atto che ormai gli Stati Uniti sono un impero come quello romano, senza rivali al mondo, e che quindi tocca a Washington mantenere pace e ordine, a costo di apparire imperialisti. Altre verità sulle motivazioni di Bush sono troppo scottanti per poterle pubblicare sulla stampa americana. E così c' è chi si è rivolto all' estero, ai giornali di Londra, patria del "compagno di battaglia" Tony Blair. Come l' anonimo alto funzionario del Pentagono che ammette, sul Sunday Express, come il motivo più pressante della campagna d' Iraq sia la necessità americana di conservare la leadership mondiale: "È reale la minaccia che Saddam disponga di armi di distruzione di massa e le usi. Ci sono, quindi, motivi fondati per affrontarlo. Ma alcuni sono importanti per il presente, altri per il futuro. A lungo termine, il nostro grande rivale sarà la Cina. Il modo migliore di contenere Pechino è rafforzare i nostri alleati in Estremo Oriente: Giappone e Corea del Sud. Le cui economie si basano in gran parte sull'industria petrolchimica. Se controlliamo le riserve di petrolio irachene, possiamo garantire ai nostri alleati la prosperità necessaria per controbilanciare l'espansionismo economico cinese".
Altrettanto esplicita, sul Mirror, Sara Flounders, pacifista dell' American International Action Center: "Le compagnie petrolifere angloamericane vogliono accesso illimitato ai giacimenti iracheni". Non è difficile, ragiona il quotidiano, capire perché Washington ammassi truppe nel Golfo, perché l'esercito statunitense sia presente in ogni Paese produttore di petrolio o confinante con un produttore, perché il 20 per cento dell' enorme bilancio militare americano sia destinato alla difesa di giacimenti petroliferi. Basta ricordare il '91 quando Bush senior, padre dell' attuale presidente, veleggiava su indici di gradimento altissimi dopo la vittoria su Saddam. Pochi mesi dopo, la sua carriera politica era finita: colpa di un rincaro della benzina che gli americani, popolo di automobilisti, non gli perdonarono.
Il Bush di oggi non dimentica e, per tenere stabili i prezzi del petrolio, evitando picchi ma anche crolli, ha fatto accumulare nelle miniere abbandonate del Texas e della Louisiana enormi riserve. Non sufficienti, però, per fare a meno della collaborazione dei sauditi che, con i loro 300 miliardi di barili, fanno il bello e il cattivo tempo sul mercato. Tutto bene, finché sono alleati. Ma, come sottolineano gli esperti di politica ed economia mondiale della Rand Corporation al Pentagono, esiste il rischio che i fondamentalisti islamici spodestino il filoamericano Re Fahd e chiudano i rubinetti, con conseguenze catastrofiche.
Perciò Bush ha fretta di affrancarsi dalla dipendenza verso i sauditi. E lo può fare solo installando a Baghdad un governo amico e mettendo le mani sui giacimenti di Saddam che, come ha osservato il vicepresidente Dick Cheney, "ha sotto il suo sedere il dieci per cento delle riserve mondiali". Paradossalmente, oggi sono proprio i militari i più riluttanti a invadere l'Iraq. Temono di rimanerci invischiati per anni, come capitò in Vietnam e come accade in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. Ma, visto che Bush ha aumentato le spese militari da 300 miliardi di dollari a quasi 400 in due anni, è fatale che prima o poi una guerra scoppi. "Anche se sarebbe più economico eliminare Saddam con una sola pallottola", scherza macabro Ari Fleischer, portavoce della Casa Bianca, alludendo all'ingaggio di un possibile sicario. Quanto a chi accusa il petroliere Bush di far guerra per il petrolio, Peter Beinart del prestigioso settimanale New Republic risponde drastico: "E allora? Ci mancherebbe che non difendessimo i nostri interessi. A tutti piace pagare poco la benzina".
Mauro Suttora
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