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Saturday, November 18, 2006

Un'americana a Roma

UN'AMERICANA A ROMA

di Mauro Suttora

New York Observer

Roma, sabato 18 novembre 2006


Marsha, la mia fidanzata newyorkese, ha appena scoperto che oggi si sposano Tom Cruise e Katie Holmes. Siamo anche noi a Roma in queste settimane. Abbiamo affittato un loft in via Margutta 33. 
Marsha era diventata pazza quando ha saputo che in questo stesso palazzo abitò per sei mesi Truman Capote, nel 1953:  "Lo voglio" .
"Ma ci chiedono tremila euro al mese", ho obiettato.
"Li vale", ha detto con gli occhi brillanti di gioia. "E poi, Mauro, non noti nessuna coincidenza?" 
"No".
"Le date".
"Cioè?" 
"Fifty-three and fifty-three..." 
"Cinquantatre?" 
"Sì, era il '53 quando Truman visse qui, e da allora sono passati esattamente '53 anni. Non è fantastico?"

 
Adoro Marsha per questi suoi improvvisi entusiasmi puerili. È un ex modella stupenda, abbastanza anoressica ma affamata di vita, curiosa di tutto e facilmente eccitabile (anche sessualmente) da piccoli particolari riguardanti celebrità del passato e del presente.
Poter abitare lo stesso posto dove Capote visse più di mezzo secolo fa - quando non era nessuno se non un giovane ricco americano gay aspirante scrittore - ma soprattutto poterlo poi raccontare alle sue amiche, la fa andare al settimo cielo. Come se le pareti di questo ex studio di pittore riuscissero ancora trasudare storia ed emozioni. Probabilmente non ha mai letto nulla di Capote, neanche 'A sangue freddo'. Lo conosce solo dal film del 2005 con Philip Seymour Hoffman. Ma fa niente. Basta il nome. Ormai lei lo chiama confidenzialmente Truman. È diventato un nostro intimo, post mortem.


Marsha è innamorata di Roma. C'è già stata altre volte, con altri uomini. Io sospetto che sia più innamorata di Roma che di me. Sono quasi geloso.
"Vuoi me o i miei soldi?", chiedono le miliardarie di Manhattan ai loro spasimanti.
"Vuoi me o l'Italia?", domando io alle ragazze di Manhattan che diventano improvvisamente troppo cordiali quando scoprono che vengo dalla terra di Dolce & Gabbana e del pinot grigio che amano ingollare.


Ho conosciuto Marsha due anni fa a un cocktail-party a New York, dove sono corrispondente per un settimanale italiano. Bellissima 29enne, occhi azzurri, gambe da sogno, è rimasta a lavorare nel mondo della moda. Mi porta con lei a tutti i fashion events  di Manhattan, dalle sfilate di Calvin Klein ai gala al Waldorf e ai vernissage dei nuovi negozi sulla Quinta Avenue.


Ho ricambiato con questo soggiorno a Roma. Avevo fatto una ricerca su Google per controllare la questione di Capote. Sì, è vero. Non solo abitò nel palazzo, ma dieci anni dopo descrisse il suo soggiorno romano in un racconto titolato 'Lola', dal nome della cornacchia con cui conviveva. Probabilmente l unico animale femmina che abbia mai amato in vita sua...


Cazzeggiando sui internet, però, ho fatto un altra scoperta. Sconvolgente, per una drogata di celebrity come Marsha. In via Margutta 33 girarono anche il film 'Vacanze Romane'. Sempre in quel fatidico anno, 1953. Glielo dico quando torna a casa, nel nostro appartamento di West End Avenue. Lei ha quasi un orgasmo: "Reeeally?" 
Va subito a controllare sul computer. "Wow!", urla.
Ora, bisogna sapere che più passano gli anni, più 'Roman Holidays' è diventato per gli americani il simbolo di tutto ciò che c'è di attraente in Italia: dolce vita, amore, uomini romantici.

"E Gregory Peck era giornalista come te Mauro, un'altra incredibile coincidenza", mi sussurra Marsha con i suoi occhioni sognanti.
Mi bacia: "Sarò la tua principessa Audrey Hepburn..." 
Va a sdraiarsi sul divano, facciamo l'amore. Viene prima di me (non capita spesso). Per fortuna l'agenzia immobiliare non ci ha chiesto cinquemila euro: temo che a quel punto Marsha avrebbe pagato qualsiasi cifra per un mese in quei 60 metri quadri con soppalco.

Arriviamo a Roma, il posto in via Margutta è in effetti delizioso. A me per la verità ricorda una casa di ringhiera milanese con ballatoio, ma Marsha è così emozionata che arrivata in cima alle scale del cortile interno, pieno di oleandri, ciclamini, glicini e palme, apre la porta del loft a due piani, grida "I'm so happy, Mauro!". 

Mi trascina dentro con le valigie, richiude la porta, mi abbraccia, mi bacia interminabilmente e intanto si sfila le mutandine. È umidissima (a New York non capita spesso:  "Sono stressata", dice sempre). Mi stringe a sè, vuole che la prenda in piedi sulla parete. Mugola dal piacere, le devo tappare la bocca, gode quasi subito (a New York non capita spesso, senza l'ausilio di un dito: "Sono clitoridea", mi ha spiegato solenne).

Qualche giorno dopo, Marsha scopre sui giornali la terza coincidenza: Cruise e la sua fidanzatina Kate sono all'hotel Hassler, a duecento metri da noi, sopra piazza di Spagna. E si sposano proprio oggi, in un castello sul lago di Bracciano. 

"Dov'è?" 
"Lontanissimo, Marsha".
"Quanto lontano? Vicino a lake Como?" (chissà perché i newyorkesi conoscono solo il lago di Como e l'albergo Villa d'Este).
"Ecco. Più o meno", baro per togliermi l'impiccio.


Marsha però è relentless, testarda. Come Bush. Quando si mette in testa una cosa, addio. Mi trascina per via del Babuino e su per la scalinata di Trinità dei Monti. Davanti all'hotel Hassler troviamo radunata una piccola folla. È l'una.
"Che succede?", domando ai curiosi.
"Ora escono", mi risponde uno sfaccendato.
"Ok Marsha, andiamocene. Non possiamo aspettare qui come due deficienti, chi se ne frega".
"No, dai, fammi vedere".
"E se escono fra tre ore? Non vedo nessuna limousine parcheggiata qui vicino. E poi, vedi: ci sono solo turisti, perditempo. Agli italiani non frega nulla di questi cosiddetti  matrimoni del secolo . Anche perché ne vediamo da 27 secoli..." 
"Dai, non fare il blasé. Non fare finta, che sei excited pure tu. Siamo testimoni di  history in the making, la storia che si compie sotto i nostri occhi..."

 
Fortuna che le rimane un po  di autoironia. In fondo si è laureata con una tesi su Derrida.
"Su, torniamo a casa", la tiro per il braccio.

Il mio obiettivo è passare qualche ora a letto a leggere i giornali, come facciamo ogni sabato a New York con i due chili del Times del week-end.
"Eccoli!", strilla Marsha improvvisamente.
In effetti una Mercedes nera si ferma di fronte all'entrata dell'Hassler.
"Ma sono Jennifer Lopez e Victoria Beckham", la informo, allungando il collo. "Il peggio del peggio. Saranno fra le invitate. Stanno entrando, non esce nessuno. Andiamo via".
"Prima o poi Tom Cruise e Katie dovranno uscire. Il matrimonio è previsto per le sei. In un castello. Anch'io sogno di sposarmi in un castello..." 
Ecchetela. Afferro il messaggio subliminale.
"Dai Mauro, portami al castello. Andiamo a vedere Bracciano. Prendi l'auto. Quant'è lontano?" 
"Ma almeno cento miglia", mento, loro ci andranno in elicottero".
"Eccoli!" 
Un gippone con i vetri fumé esce dalla porta di servizio e sgomma via. Impossibile vedere chi c'era dentro.
"Seguiamoli, corri a prendere l'auto al parcheggio!"

 
Marsha è così sovraeccitata che non tento neppure di contraddirla. Sono innamorato, mi piace regalarle qualcosa qui in Italia. La amerà ancora di più, e di riflesso amerà anche me. E poi, per dirla tutta, questa sua energia molto americana risulta assai sexy per un pigro e scettico europeo come me.

Dopo venti minuti siamo in auto. È un pomeriggio brillante di sole dopo un temporale, i pini marittimi lungo la Cassia esibiscono un verde intenso, guido e sono felice vedendola felice.
"Pensi che il castello sia circondato da poliziottotti, assediato da giornalisti e cose del genere?", mi chiede.
"Certo. Ma anch'io sono giornalista. Riusciremo a passare, non preoccuparti".
Arriviamo a Bracciano alle tre del pomeriggio. Per fortuna Marsha è totalmente ignara di geografia italiana, e non mi chiede conto della mia bugia sulla vicinanza con il lago di Como. Bella cittadina, non c'ero mai stato, nessuno in giro. Parcheggiamo. 

'Cinquantamila curiosi per le nozze di Tom', titola speranzoso un giornale appeso a un edicola. Ce ne saranno a malapena cinquanta nella vecchia strada che ci porta in centro. Quando arriviamo nella piazza di fronte al castello Odescalchi, vedo un piccola folla di reporter con telecamere di fronte all'entrata. Vado a salutare Umberto Pizzi, il mio amico paparazzo autore della rubrica Cafonal sul sito Dagospia. Ci sono perfino due elicotteri che girano rumorosi attorno agli spalti.

"Mauro, I lllove this castle!"

Marsha è abbacinata: "Ha otto torri invece di quattro, è enorme. Ho deciso: ci sposeremo anche noi qui!" 
"Certo, cara. Ho letto sul giornale che anche Keira Knightley ora vuole un matrimonio a Bracciano. Sta diventando di moda sposarsi qui..." 
Alcuni colleghi mi riconoscono: "Suttora, ma non stavi a New York? Sei venuto apposta per Tom Cruise?" 
"Ovvio", invento, "e la mia fidanzata americana Marsha è fra gli invitati, perché fa parte della setta di Tom, Scientology. Così entro pure io".
"Allora quando sei dentro ti chiamiamo sul telefonino, così ci descrivi la cerimonia. Ci sarà anche una cena? Chi sono gli invitati? Quando entri? È vero che John Travolta è arrivato a Ciampino col suo jet privato?" 
"Ragazzi, io ci provo, ma non posso creare problemi a Marsha. Vedremo..." 
Intanto lei mi guarda. Conosce un po' d'italiano, e capisce che ho trovato un modo per infilarmi nel maniero.
"Beh, prima d'entrare voglio mostrare il paese e il panorama sul lago alla mia fidanzata, sta per fare buio. Ci vediamo più tardi..." 

Prendo Marsha per mano e andiamo sul retro del castello. Ci sediamo a un bar.
"Mauro, allora riusciamo a entrare?" 
"Figurati, è sigillato peggio del Cremlino".
"Ma avevo capito..." 
"Hai capito bene: con i miei colleghi giornalisti ho fatto finta che tu fossi invitata, e io con te, ma che non possiamo dire nulla. E ora andiamocene, altrimenti scoprono lo scherzo".


Passeggiamo per Bracciano, sul lungolago e in centro. Marsha si calma, e improvvisamente non gliene importa più nulla del matrimonio del secolo. La sua finestra di attenzione si è esaurita, la curiosità saziata: le è bastata la visione del castello. La amo anche per questo: cambia idea spesso, e in fretta.
Torniamo in città al tramonto. Guidando, le canto la canzone più famosa su Roma: "Arrivederci Roma, goodbye and au revoir/Voglio rivedere via Margutta..."

 
I miei colleghi resteranno di fronte al castello fino alle tre del mattino, senza riuscire a vedere nulla. Marsha ed io, invece, siamo di nuovo vip-free. Ceniamo a lume di candela nella nostra trattoria preferita, Edy in vicolo del Babuino. Poi saliamo a dormire nella stanza di Truman, nel palazzo di Audrey e Gregory.  

"È vero che la parola romantico deriva da Roma?", mormora Marsha prima di chiudere soddisfatta gli occhi azzurrissimi. La guardo con tenerezza: ora che dorme, sembra veramente la principessa di 'Vacanze Romane'.
Mauro Suttora