Thursday, January 07, 2021

Usa: tanti corpi di polizia, zero sicurezza

L'ETERNA DEBOLEZZA INTERNA DEGLI STATI UNITI

di Mauro Suttora

HuffPost, 7 gennaio 2021

Sette colpi in cinque secondi. Tanti ne riuscì a sparare John Hinckley al presidente Ronald Reagan nel 1981. Quel mancato assassinio fu perfino più grave dell’omicidio Kennedy, perché dimostrò l’assoluta perforabilità della sicurezza attorno all’uomo più potente del mondo. A Dallas, infatti, il killer sparò dal sesto piano, a centinaia di metri di distanza. A Washington, invece, Reagan fu colpito da pochi metri.

Quarant’anni dopo, il problema è sempre lo stesso. Quant’è vulnerabile l’impero americano? Gli Stati Uniti dominano il pianeta, spendono 800 miliardi di dollari ogni anno per le forze armate (Cina ed Europa 260, la Russia 70).

Eppure centinaia di pazzoidi addobbati da bisonti cornuti riescono a entrare nel cuore del loro sistema, il palazzo del Congresso, proprio mentre Camera e Senato sono riuniti in sessione congiunta per una delle occasioni più sacre: la proclamazione del nuovo presidente.

I grillini promettevano di aprire il nostro Parlamento “come una scatola di tonno”. I complottisti trumpiani lo hanno fatto.

Così, blindatissimi all’esterno, gli Usa si ritrovano indifesi all’interno. Gli americani, allibiti, scoprono che a proteggere il Campidoglio c’è una forza apposita, la Capitol police, forte di duemila agenti. I quali tuttavia ieri erano impotenti quanto i vigili urbani. Dotati di manganello, ma impediti dall’usare “lethal force” contro l’onda di assalitori. 

Un video di HuffPost Usa mostra un povero agente di colore che arretra davanti agli energumeni provvisti di aste di bandiera: scappa su per le scale, non osa menare la prima randellata perché sa che avrebbe la peggio.

Mai sottovalutare l’idiozia della burocrazia. Nella sola Washington coesistono ben sei corpi di polizia locale. Con lo stesso affiatamento che affratella e coordina i nostri carabinieri e poliziotti. Poi c’è l’Fbi federale. Poi la Guardia nazionale, che però dipende dal Pentagono. Quella di Washington ha solo mille effettivi, quindi ieri sera (dopo ore e ore) sono scesi in campo gli stati vicini, Virginia e Maryland. Fino alla mossa comica del governatore di New York, che ha inviato un suo contingente.

Gli Usa spendono ogni anno 115 miliardi per le varie forze dell’ordine. Ma a controllare le manifestazioni politiche ci sono anche i servizi segreti. E qui, ecco l’ulteriore barzelletta: l’intelligence statunitense è divisa in sedici agenzie. Cia, Dia, Nsa, sicurezza interna ed esterna, ogni arma ha le proprie spie, e poi il ministero dell’Energia, e volete mettere la Home Security, il nuovo ministero dell’Interno federale inventato dopo l′11 settembre 2001? Il suo bilancio è di altri 50 miliardi, più i 78 totali dell’intelligence.

Quanto all’intelligenza, quella vera, non poteva prevedere che il capo dei nuovi terroristi all’assalto del Palazzo in questo inverno non fosse un imam islamista, ma un vecchio signore che ieri ha aizzato per un’ora 40mila persone, invitandole ad andare poi al Congresso a dimostrare. E quelli hanno dimostrato, mandati dal capo dei poliziotti che avrebbero dovuto fermarli.

Il nero George Floyd è stato fermato per un biglietto falso da venti dollari, lo scorso maggio. È finito soffocato. La povera Ashley Babbitt, penetrata nel Senato contro il voto “rubato”, ieri è stata uccisa da un poliziotto terrorizzato. Ora anche i trumpiani potranno sventolare la loro martire. Ma “legge e ordine”, lo slogan di Trump, non è più utilizzabile dalla destra Usa: i “patrioti” cospirazionisti si sono fatti male da soli.

Mauro Suttora

Wednesday, January 06, 2021

Assalto alla democrazia, America nel caos

Trump incendia, i suoi obbediscono. Spari, lacrimogeni e devastazione al Congresso. Donald non molla

di Mauro Suttora

HuffPost, 6 gennaio 2021

Scene di guerra civile da Washington. I manifestanti trumpiani, reduci da un comizio incendiario del presidente uscente Donald Trump che li ha incitati ad andare sotto il palazzo del Congresso, alle 14.30 ora locale sono riusciti a penetrarvi superando le guardie e aprendosi una breccia attraverso porte e finestre. Sono state estratte le pistole e, secondo diverse fonti, esplosi degli spari: una donna sarebbe stata colpita al petto e sarebbe grave, riporta la Cnn, e altre persone, tra cui diversi agenti, sono rimasti feriti negli scontri. 

Sono immagini di pura follia quelle che arrivano dal Congresso: manifestanti travestiti che prendono di mira le forze dell’ordine, un trumpiano che si siede sullo scranno di Mike Pence per scattarsi un selfie, un altro alla scrivania di Nancy Pelosi, e altri manifestanti che si fotografano accanto alle statue dei padri fondatori americani. E ancora: parlamentari con le maschere a gas tirati fuori di corsa dalle aule e dagli uffici dagli uomini di polizia per essere evacuati, il fumo di gas lacrimogeni nella storica rotonda del Campidoglio.

I parlamentari, riuniti in seduta comune per ratificare l’elezione del nuovo presidente Joe Biden, hanno dovuto interrompere i lavori e sono stati segregati in una zona sicura predisposta contro gli attacchi terroristici, altri sono stati evacuati. Il sindaco di Washington ha dichiarato il coprifuoco per le 18. Il presidente uscente ha invitato con un tweet i suoi manifestanti a obbedire alla polizia. Troppo tardi, perché ormai la situazione era già sfuggita di mano.

La verità è che Trump non mollerà mai. Oggi ha arringato la folla di repubblicani convocati nella spianata fra la Casa Bianca e il Congresso proprio nei minuti in cui il Congresso si riuniva.

Tutti i ricorsi di Trump sono stati respinti dai tribunali, ma lui insisterà per il resto della sua vita a definire “truccate” le elezioni che ha perso. E ieri ha perso di nuovo. La Georgia ha eletto due senatori democratici, dando al partito di Biden la maggioranza alla Camera alta. Il margine è minimo: 51 a 50, sarà la nuova vicepresidente Kamala Harris a fare la differenza come presidente del Senato. Ma la disfatta repubblicana è totale: per la prima volta da dieci anni sono in minoranza al Senato, oltre ad aver perso la Camera bassa e la presidenza.

Naturalmente Trump ha rifiutato anche la sconfitta in Georgia: il 50 virgola qualcosa per cento dei democratici, solo 17mila voti in piu, è un invito a nozze per la sua bellicosità. “Anche ieri c’è stato un set-up, una trappola!”, ha urlato dal palco.

Il problema è che buona parte dei suoi 74 milioni di elettori gli crede. Sono convinti di essere vittime di una truffa colossale. E adesso Trump attacca anche i repubblicani che non fanno fuoco e fiamme come lui. Sono loro, più che i democratici, il suo nuovo bersaglio: i “weak republicans”, i deboli come il vicepresidente Mike Pence e gli altri senatori che accettano la sconfitta.

Lui ormai è su un altro pianeta, quello del complottismo. Quasi sicuramente diserterà la cerimonia di inaugurazione fra due settimane. Non stringerà la mano al suo successore.

È la prima volta che capita, nel quarto di millennio della storia Usa. Ed è gravissimo, perché approfondisce il fossato fra le due Americhe.

“Bisogna saper perdere”, cantavano i Rokes a Sanremo 1967. Niente da fare, per l’arrogante Donald perdere con stile è impossibile. Chi soccombe è solo un “loser”: il peggior insulto che conosca.

Aspettarsi da lui almeno il rispetto del galateo istituzionale è speranza vana. Perché lui è il Supercafone immortalato dal Piotta, e la giornata di oggi con il definitivo schiaffo in Georgia e il trionfo di Biden non è stata il ‘reality check’, il ritorno alla realtà, ma solo l’inizio della sua nuova campagna elettorale permanente. I repubblicani senzienti, come Mitt Romney, faticheranno a sbarazzarsi di questo tumore.

Mauro Suttora

Friday, January 01, 2021

Dalai Lama, il mondo in campo per 'garantire' la successione

LA CINA VIOLA LA LIBERTA' RELIGIOSA IN TIBET

di Mauro Suttora

HuffPost, 1 gennaio 2021

Il 6 luglio 2021 il Dalai Lama compie 86 anni. Guida i buddisti tibetani da quando ne aveva 15: batte anche la regina Elisabetta con i suoi 70 anni di durata (in esilio dal 1959). E nella storia è superato soltanto dai 72 anni del regno di Luigi XIV.

Ma nessuno è immortale, quindi è aperta la sua successione. Il regime cinese, che occupa il Tibet dal 1950, pretende di approvare la nomina del prossimo Dalai Lama, così come fa con i vescovi cattolici. Ma mentre il Vaticano ha abbassato la testa in questa anacronistica lotta per le investiture in ritardo di nove secoli sull'Europa, i tibetani non ne vogliono sapere di sottostare ai diktat comunisti.

I precedenti sono agghiaccianti. L'ultima volta che i buddisti hanno osato designare un Lama da soli, nel 1995, la Cina lo ha rapito, nominandone un altro fedele al regime. Non si sa più nulla dello sventurato Panchen Lama, che allora aveva sei anni e oggi ne avrebbe trenta.

Per evitare che il misfatto si ripeta, il 27 dicembre negli Stati Uniti è entrato in vigore il Tpsa (Tibetan policy and support Act), legge bipartisan che protegge il diritto dei buddisti tibetani a scegliere il loro prossimo Dalai Lama senza interferenze da parte della Cina. I governanti di Pechino che cercassero di nominarlo saranno colpiti da sanzioni. È auspicata una soluzione negoziale fra la Cina e i rappresentanti del Dalai Lama, ma intanto si vieta l'apertura di nuovi consolati cinesi negli Usa finché Pechino continuerà a vietare un consolato statunitense a Lhasa, capitale del Tibet. Vengono finanziati progetti umanitari dentro e fuori dal Tibet. E si elogia la democratizzazione del governo tibetano in esilio: il Dalai Lama dal 2011 ha trasferito l'autorità politica a Lobsang Sangay, primo premier laico regolarmente eletto. Il quale ha ribadito che non chiede più l'indipendenza del Tibet, ma soltanto l'autonomia.

Fra i principali artefici del Tibet Act, il primo dopo quello del 2002 che dettava la politica statunitense sulla regione oppressa, c'è l'Ict (International Campaign for Tibet), la fondazione di Richard Gere guidata da sette anni da un italiano: il 45enne Matteo Mecacci, deputato radicale fino al 2013, ora nominato segretario generale per le Istituzioni democratiche e i Diritti umani dell'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). Gere è stato invitato dal Senato Usa in giugno a parlare sull'argomento.

"Sappiamo che il governo cinese non cambierà il suo atteggiamento sul Tibet solo per questa legge", commenta Mecacci, "ma il Tpsa chiarisce che la libertà religiosa è importante, e che ci saranno conseguenze concrete se Pechino continuerà a violarla".    

Nel 2007 la Cina ha introdotto nuove regole sulla nomina dei Lama 'reincarnati', e i governanti di Pechino ripetono in ogni occasione che spetta a loro selezionarli. Ma il Dalai Lama ha avvertito che la reincarnazione potrà avvenire solo in un contesto di libertà, come quello dell'India dove vive in esilio dopo la fuga dalla dittatura. E che nessuno rispetterà un eventuale futuro Dalai Lama imposto dalla Cina.     

Lo scorso luglio per la prima volta Washington ha vietato l'entrata negli Usa ai gerarchi cinesi accusati di avere impedito a cittadini statunitensi l'accesso al Tibet. In settembre Joe Biden ha dichiarato che anche la sua amministrazione difenderà il popolo tibetano, che lui incontrerà il Dalai Lama, finanzierà i programmi in lingua tibetana di Radio free Asia e Voice of America, e che assieme agli alleati premerà su Pechino affinché riprenda il dialogo diretto con i rappresentanti tibetani per arrivare a una "genuina autonomia".

Cosa farà ora l'Europa? Josep Borrell, capo della politica estera Ue, ha dichiarato che anche l'Unione si oppone a ogni interferenza cinese sulla successione al Dalai Lama. Ma finora soltanto Belgio, Germania e Olanda hanno espresso posizioni simili. Manca l'Italia, e soprattutto mancano strumenti concreti ed efficaci per prevenire la malefatta annunciata.

Mauro Suttora

Thursday, December 24, 2020

Il “partito del mutuo” pronto a tradire Conte e prendersi il Colle

CAOS RECOVERY

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

ilsussidiario.net 24 dicembre 2020

L’incertezza sul Recovery Plan potrebbe indurre l’Ue a volere un nuovo governo con base più ampia. L’altro problema è che ogni calcolo sul 2022 è quasi impossibile

Il problema di Conte non è solo Renzi: l’incertezza sulla governance del Recovery Plan potrebbe indurre l’Unione Europea a volere “un nuovo governo, con base più ampia”, dice Mauro Suttora, giornalista e scrittore, oggi collaboratore dell’Huffington Post dopo Oggi e numerose corrispondenze estere. 

“Cambierà solo il governo, non il parlamento” perché votare non conviene a nessuno, tranne che alla Meloni, e perché il “partito del mutuo” a 5 Stelle mette la durata della legislatura davanti a tutto, anche allo stesso Conte. Il vero problema si presenterà nel 2022, al momento di eleggere il successore di Mattarella. Quando M5s, un terzo del parlamento, potrebbe essere totalmente furi controllo.

Sarà la “missione Recovery”, con i suoi tempi, a garantire la sopravvivenza di Conte?

Al contrario. Proprio la dimensione astronomica dei finanziamenti europei richiede un nuovo governo, con base più ampia. Ci rendiamo conto che i 209 miliardi del Recovery sono venti volte più del piano Marshall Usa di cui beneficiammo nel 1948-51?

Conte avrebbe trovato una mediazione con i renziani sulla struttura di governance, che secondo Iv “non c’è più”. Ma Boccia ieri ha smentito la Bellanova. Come stanno le cose?

Sono piccoli sussulti di dispute bizantine senza importanza. Con tutto il rispetto per Boccia e Bellanova, non contano nulla.

Renzi non pare intenzionato a mollare. Conte dovrà cedere la delega sui Servizi?

Mi sembra ovvio che un settore delicato come i servizi segreti non possa stare in mano a Conte, espressione di un partito che in pratica non esiste più, i grillini. Proprio il fatto che lui si aggrappi ai servizi con tale insistenza rende la faccenda sospetta. Meglio Minniti, che da sottosegretario dicono abbia già dato buona prova. 

Prodi ha criticato il governo sul Recovery: mancano “le autorità chiamate a decidere” e “le procedure e gli atti necessari per arrivare alle decisioni”.

Prodi ha ragione. È sconcertante che il Pd non se ne renda conto. Zingaretti sembra succube di Conte. Vuole affondare assieme a lui e ai grillini?

È la bocciatura da parte di un possibile presidente della Repubblica?

Prodi avrà 82 anni quando si voterà per il Quirinale. Troppo anziano, più di Pertini nel 1978.

Le urne sono un’ipotesi della realtà? O questo governo e questo parlamento sapranno resistere?

Cambierà solo il governo, non il parlamento. Nessun partito ha interesse al voto anticipato, perché con il taglio dei seggi solo la Meloni può garantire le rielezione a tutti i suoi. Neanche Salvini chiede più le urne, ora che ha perso dieci punti nei sondaggi.

Veniamo ai 5 Stelle. Possono solo appoggiare Conte? Cioè, se qualcosa va storto, esplodono?

I grillini appoggeranno qualsiasi governo, perché sono quelli che hanno più da perdere con le elezioni. Né si limiteranno a un appoggio esterno, perché hanno sviluppato una gran piacere per il potere, e quindi non molleranno le poltrone di ministro e sottosegretario. Hanno mutui da pagare. Magari perderanno una ventina di dibattistiani non disposti a governare con Berlusconi.

Riusciresti a dividere gli ex M5s che sono nel Misto tra centrodestra e centrosinistra, o sono pura materia oscura?

In uno scenario di grandi intese diventa un calcolo inutile: tutti dentro, appassionatamente. I grillini più refrattari andranno con Paragone o la Meloni, ma non conteranno nulla.

Vedi nuovi leader in pectore dentro il palazzo? O c’è solo Di Maio?

Sarà molto interessante il risultato del voto per i nuovi cinque capi del loro direttorio il 15 giugno. Casaleggio si è battuto per evitare inciuci preconfezionati com’è sempre successo finora, con una squadra fissa di cinque da votare in blocco. Questa volta si vota sui singoli, e magari prevalgono i movimentisti rispetto ai governativi.

E fuori? C’è solo Di Battista?

La maggioranza degli iscritti grillini è per lui. E lo voteranno assieme a Lezzi, Morra e l’ex ministra Grillo, se si presenterà.

Si legge in giro che l’assoluzione di Raggi cambia gli schemi tra Pd e M5s. È vero?

No, perché la Raggi non riuscirà comunque ad arrivare al secondo turno, al comune di Roma. Quindi ci sarà un ballottaggio fra Pd e centrodestra. I grillini ormai sono marginalizzati.

Chi deciderà come votano i 5 Stelle nelle elezioni del presidente della Repubblica? Grillo? Di Maio? O saranno fuori controllo?

Bella domanda. Ci sarà una massa di 300 elettori, quasi un terzo del totale, imprevedibile e ingovernabile. Alcuni pretendenti al Colle, come Sassoli, stanno già strizzando loro l’occhio per conquistarli.

Federico Ferraù 

 

Monday, December 21, 2020

Variante Covid, variante Brexit

Il virus mutante è riuscito in un solo giorno a realizzare il sogno degli “hard brexiters”: l'isolamento del Regno Unito

di Mauro Suttora

HuffPost, 21 dicembre 2020

Nella notte più lunga dell’anno, quella del solstizio invernale, gli europei hanno completamente isolato l’isola. Alle 23 del 20 dicembre la Francia ha bloccato tutti i traghetti e i treni dell’Eurotunnel, dopo che nelle convulse ore precedenti il resto del continente aveva vietato l’atterraggio agli aerei provenienti dalla Gran Bretagna. 

Ce l’hanno fatta per miracolo i 136 passeggeri del Ryanair Londra-Pescara, ultimo volo decollato da Stansted: loro hanno protestato perché ora devono stare in quarantena, e invece possono considerarsi fortunati rispetto alle centinaia di migliaia di europei in partenza bloccati in Inghilterra per Natale.

Gli inglesi non sanno più dove mettere i diecimila camion al giorno che transitavano fra Dover e Calais: hanno dovuto parcheggiarli sulle piste dell’aeroporto del Kent, ormai inservibile. Era dai tempi di Dunkerque, 1940, che non si vedeva un casino simile da quelle parti.

Il virus mutante è riuscito in un solo giorno, quattro anni dopo il loro referendum, a realizzare il sogno degli “hard brexiters”, gli antieuropeisti più scalmanati: Isolation. Che, guarda caso, è il titolo di una canzone di John Lennon uscita esattamente mezzo secolo fa, dicembre 1970, per suggellare la rottura con i Beatles.

La rottura britannica con l’Europa era invece prevista fra dieci giorni, altra incredibile coincidenza, allo scadere degli infiniti negoziati Uk-Ue posposti di anno in anno. Come in ogni trattativa, il premier britannico Boris Johnson forse bluffava, tirava la corda fino all’ultimo secondo per ottenere condizioni migliori. Ma temendo un possibile ‘no deal’, nessun accordo sulle nuove condizioni e tariffe doganali, gli inglesi avevano già cominciato a fare incetta nei supermercati.

Ora dovranno fare a meno di frutta e verdura fresca da Italia e Spagna, ma anche dei vaccini anti-covid Pfizer prodotti in Belgio. Per trasportarli ci vorrà la Raf, la Royal Air Force. I ministri più importanti sono riuniti in permanenza nella sala segreta Cobra, usata solo dopo attentati terroristici e altre emergenze planetarie. In realtà la sigla sta per il tranquillamente burocratico ‘Cabinet office briefing room’, ma c’è poco da scherzare.

Il virus superveloce, infatti, non poteva piombare in un momento peggiore: nel bel mezzo dell’accaparramento Brexit, dei rifornimenti natalizi, dei ritorni a casa degli immigrati, e dopo che Boris Johnson aveva promesso feste tranquille con regole rilassate. Invece l’impennata dei contagi (ieri 36mila rispetto ai 20mila di una settimana fa) ha costretto il premier britannico a una svolta a U peggiore di quella di Conte, con drastici lockdown ovunque tranne che in Cornovaglia. Perfino Scozia e Irlanda hanno chiuso le frontiere con l’Inghilterra.

I cospirazionisti inglesi notano con soddisfazione paranoica che la variazione del covid è partita dal Kent, cioè proprio la regione più vicina all’Europa, fra Londra e la Manica. “Ragionateci sopra”: è ovviamente il complotto finale del diavolo di Bruxelles, che c’infetta prima dell’addio definitivo.

Noi invece apparteniamo alla generazione che, prima dei treni-proiettile Eurostar e delle low-cost, transitava in autostop sulle verdi colline di Canterbury per approdare alla tanto agognata Londra, oppure arrivava nella Victoria station su scassati trenini in legno da Dover. E tutto questo ci sembra un incubo.

Mauro Suttora

Sunday, December 20, 2020

Cent'anni fa il Natale di sangue a Fiume

Italiani contro italiani, 58 morti, duecento feriti: civili, militari, i dannunziani che un anno prima erano partiti da Ronchi dei Legionari per fondare il loro effimero e incredibile stato libero


Mauro Suttora

HuffPost, 20 dicembre 2020


Cent’anni dal Natale di sangue a Fiume, 1920. Italiani contro italiani, 58 morti, duecento feriti: civili, militari, i dannunziani che un anno prima erano partiti da Ronchi dei Legionari (ora aeroporto di Udine-Trieste) per fondare il loro effimero e incredibile stato libero.

La peggior strage compiuta dalle nostre forze armate in tempo di pace verso concittadini, dopo quella del generale Bava Beccaris nel 1898 a Milano.

Fiume, oggi Rijeka, terza città della Croazia, era un paradiso cosmopolita. Odiata quindi dai sovranisti di allora, italiani e croati, che la volevano tutta per loro. Porto dell’Ungheria nell’impero asburgico, aveva 50mila abitanti, per metà italiani.

Situata nell’ascella dell’Istria, contrariamente a Trieste prima del 1915 non fu scossa dal nostro irredentismo, né dal nazionalismo speculare slavo.

Le minoranze croate, ungheresi, tedesche ed ebraiche vivevano felicemente, arricchendosi in tranquillità accanto agli italiani nella belle époque del Carnaro. 

I piroscafi usciti dai cantieri Cosulich nella prospiciente isola di Lussino (oggi trasferiti a Monfalcone) solcavano gli oceani portando tutte le merci del mondo alla Mitteleuropa attraverso il porto fiumano.

Il sogno finisce con la prima guerra mondiale. Niente Dalmazia all’Italia, come promessoci dagli anglofrancesi nel patto di Londra. Così la frustrazione per la “vittoria mutilata” viene canalizzata da Gabriele D’Annunzio. Non vogliono darci Fiume? E noi ce la prendiamo, eia eia alalà.

Prova generale del fascismo: reduci, arditi, camicie nere, pugnali, gagliardetti, teschi. La funerea paccottiglia militarista permea l’impresa fiumana.

Ma attenzione, avverte Pier Luigi Vercesi nel suo bel libro Fiume, l’avventura che cambiò l’Italia (Neri Pozza, 2017): “Quell’anno diventa un laboratorio rivoluzionario politico, sociale, economico, e anche letterario e teatrale. D’Annunzio governa con un’invenzione al giorno. Fiume si trasforma in ‘città di vita’, dove tutto è concesso: le donne votano, l’omosessualità è tollerata, si può divorziare e ne approfitta Guglielmo Marconi, l’esercito viene abolito in tempo di pace, l’istruzione è gratuita, una nuova Costituzione sovverte le regole borghesi e monarchiche. Perfino Lenin è affascinato dal governo dannunziano”.

Insomma, il Vate conquista Fiume, ma la civiltà fiumana e l’amore libero conquistano i suoi legionari.

Non può continuare. Con il trattato di Rapallo del novembre 1920 fra Italia e la neonata Jugoslavia, Roma rinuncia alla Dalmazia (tranne Zara e l’isola di Lagosta) in cambio dello status di città libera per Fiume.

D’Annunzio rifiuta l’accordo, e Giolitti fa bombardare la città, ponendo fine all’avventura. Alle 4 di pomeriggio del 26 dicembre 1920 la nave Andrea Doria colpisce il Palazzo del governatore. Il poeta è ferito alla testa dai calcinacci nel suo studio. Due giorni dopo si dimette. 

Tuttavia, commenta Vercesi, “D’Annunzio muta il corso della storia d’Italia e probabilmente d’Europa, orchestrando la più reale rappresentazione dello spirito del tempo”.

Mauro Suttora

Tuesday, December 15, 2020

Le proiezioni Ihme sui morti per Covid in Italia vietano ogni spensieratezza

L'istituto di Seattle stima 99mila decessi al 31 marzo, addirittura 136mila se abbasseremo la guardia


di Mauro Suttora

HuffPost, 14 dicembre 2020


Saranno 99mila i decessi per virus in Italia il 31 marzo. Ma 136mila (il 36% in più) se abbasseremo la guardia con mascherine e distanziamenti. La millimetrica precisione con cui l’Ihme (Institute for Health Metrics and Evaluation) dell’università di Washington a Seattle calcola le sue proiezioni può sembrare un po’ campata in aria. Invece ci azzeccano: già in aprile avevano previsto con tre mesi di anticipo il totale dei morti della prima ondata, 36mila. E 36mila furono.

Ci conviene quindi dar retta alle loro estrapolazioni, in questi giorni di false speranze e rilassamenti natalizi. Se il vaccino funzionerà rapidamente, da gennaio, potremo avere uno ‘sconto’ di mille vittime in meno. Ma il carico degli attuali 686mila positivi purtroppo è già destinato automaticamente a causare nei prossimi tre mesi altri 35mila decessi, oltre ai 64mila attuali. La seconda ondata, alla fine, ci costerà il doppio della prima. E proprio per questo dobbiamo evitarne una terza a gennaio, frutto di assembramenti da adesso a fine anno.

Anche altre quattro tendenze vietano ogni spensieratezza. La prima: siamo già i terzi peggiori al mondo, con i nostri 1.068 morti per milione di abitanti. Ci superano soltanto Belgio (1.546) e Perù (1.105), per ora. Ma all’attuale ritmo supereremo anche il Perù entro una settimana. 

Secondo dato: abbiamo passato tutta l’estate guardando con commiserazione i disastri in Usa e Brasile. Battevano ogni record negativo, mentre noi ci illudevamo di esserne fuori. Ebbene, oggi loro stanno meglio di noi: gli Usa sono a 923 e il Brasile a 851 vittime per milione di abitanti.

Terzo dato. L’8 dicembre la Germania ha registrato un picco di 622 decessi in un giorno, che ha provocato la reazione drastica di Angela Mekel: lockdown duro fino al 10 gennaio. Ebbene, non è il caso di abbandonarsi a un consolatorio e inconfessabile “mal comune, mezzo gaudio”. Infatti la Germania resta lontanissima da noi come bilancio totale, a 268 per milione: il 75% in meno. E, soprattutto, negli ultimi giorni le loro vittime si sono ridotte fino alle 111 del 14 dicembre.

Quarta tendenza infine, la più preoccupante. Abbiamo superato il picco, ma il ritmo della discesa della curva è assai più lento di aprile-maggio. Allora le terapie intensive diminuivano al ritmo di 50-100 al giorno, i ricoveri di parecchie centinaia, e questo ci ha permesso di quasi svuotare i nostri ospedali a luglio. Adesso invece i posti in rianimazione si liberano con lentezza esasperante, e solo perché purtroppo i morti superano i nuovi arrivi. Quanto ai ricoveri nei reparti normali, il 14 dicembre sono addirittura aumentati, invertendo la tendenza.

Brutte notizie, insomma, ma meglio affrontarle piuttosto che rischiare ulteriori dolorose ricadute.

Mauro Suttora


Wednesday, December 09, 2020

Del Turco: addio certezza del diritto, e anche dell’umanità

L’ex senatore socialista avrebbe incassato una tangente nel 2007; ma solo nel 2015 il Senato ha deciso di cancellare i vitalizi per i senatori colpiti da sentenza definitiva. Del Turco oggi è in fin di vita con tumore, Parkinson e Alzheimer

di Mauro Suttora


HuffPost, 9 dicembre 2020

I 17 membri del Consiglio di presidenza del Senato (la presidente Casellati, i vice Calderoli, La Russa, Taverna, Rossomando, tutti i questori e segretari) per togliere il vitalizio a Ottaviano Del Turco hanno dovuto giocare con la Costituzione. Il cui articolo 25 dice: non si può essere puniti da una legge successiva al reato commesso. È la base dello stato di diritto, oltre che del buon senso.

L’ex senatore socialista avrebbe incassato una tangente nel 2007; ma solo nel 2015 il Senato, in trance grillina, ha deciso di cancellare i vitalizi per i senatori colpiti da sentenza definitiva.

Addio certezza del diritto. E anche dell’umanità: Del Turco oggi è in fin di vita con tumore, Parkinson e Alzheimer. Non riconosce più i propri cari, in quella stessa sua casa di Collelongo (L’Aquila) dove tredici anni fa l’accusatore Vincenzo Angelini, ras delle cliniche private abruzzesi, si fece fotografare dall’autista mentre entrava - disse - con mazzette di banconote in un sacchetto di plastica della spesa, e usciva con lo stesso sacchetto pieno di frutta.

È alla frutta la giustizia italiana: ci ha messo undici anni per ammettere nel 2018 che l’ex presidente dell’Abruzzo, processato per corruzione, concussione, truffa, falso e associazione a delinquere, è innocente per tutte quelle accuse. Hanno dovuto inventare un nuovo reato allo scopo di condannarlo comunque: ‘induzione indebita a dare o promettere utilità‘. Introdotto dalla legge Severino nel 2012 per punire la concussione (il pubblico ufficiale che chiede la tangente) anche quando non c’è minaccia o violenza. Basta un’occhiata, un cenno d’intesa, un silenzio. Un sacchetto di mele. E chi deve capire capisce.

L’unico accusatore di Del Turco aveva capito bene. Che nel 2005, con la nuova giunta di sinistra abruzzese guidata dall’ex capo Cgil tornato a servire la propria regione rinunciando al comodo seggio da eurodeputato (20mila netti mensili), la baldoria era finita. Ben 43 milioni tagliati alle cliniche di Angelini. Il quale allora accusa Del Turco e i suoi di avere incassato quindici milioni.

In primo grado l’ex ministro delle Finanze è condannato a nove anni e sei mesi di prigione. In secondo grado cadono 21 episodi di dazione su 26, pena più che dimezzata: quattro anni. La Cassazione, infine, riduce a tre anni e undici mesi il carcere, l’interdizione dai pubblici uffici da perpetua a 5 anni, cancella l’associazione per delinquere.

La tangente ora si è ridotta a 800mila euro, ma senza prove tranne la parola dell’accusatore pentito e prescritto. I 600mila euro sventolati dal pm, con cui Del Turco acquistò due appartamenti, provenivano da polizze. Perciò l’avvocato difensore Gian Domenico Caiazza ha chiesto la revisione del processo.

Nel frattempo, però, è arrivata la giustizia politica del Senato: i 5mila lordi di vitalizio spariscono. Peccato che l’ex segretario Psi sia l’unico a pagare: altri quattro senatori (il dc Di Benedetto, i forzisti Grillo e Marano, il leghista Stiffoni), anch’essi condannati definitivamente, sono stati graziati perché hanno patteggiato.

Come ai tempi dell’inquisizione: sei innocente? Ammetti egualmente la tua colpa, e ti perdoneremo.

Per l’agonizzante Del Turco è problematica anche la soluzione della grazia presidenziale, che difficilmente può interferire con gli ‘interna corporis acta’ del Senato. Insomma, come cantava Bennato: “Arrivano i buoni!” Giustizia è sfatta.

Mauro Suttora

Thursday, December 03, 2020

Trump ha realizzato il primo boom egualitario degli ultimi decenni

QUANDO LE DESTRE FANNO COSE PIÙ DEMOCRATICHE DEI DEMOCRATICI

di Mauro Suttora

HuffPost, 3 dicembre 2020

Il mensile di sinistra Usa The New Republic ha pubblicato una lunga, scarnificante autocritica che può risultare preziosa anche per la sinistra italiana. L'autore, Christopher Caldwell, scrive che c'è poco da festeggiare per i democratici americani, visto il loro anemico risultato nel voto per il Congresso, derivante da mali strutturali.

Per cominciare, i risultati della presidenza Trump: invisibili dalle città globalizzate, tutte democratiche, dove vive il 90% dei giornalisti Usa. Trump ha realizzato qualcosa di straordinario: il primo boom egualitario degli ultimi decenni. Nel 2019 è riuscito ad abbassare la disoccupazione al 3,7% (praticamente pieno impiego, tranne la quota frizionale di chi sta cambiando lavoro), e soprattutto un aumento del 4,7% dei salari del quarto più basso della popolazione. Anche durante gli ultimi tre anni di Obama i redditi da lavoro erano aumentati, ma soprattutto quelli del decile più alto (del 20%), mentre gli altri strati avevano registrato miglioramenti solo lievi.

Quindi, se non ci fosse stato il virus, Trump probabilmente avrebbe vinto. Ma, anche qui: il crollo del 31% del pil nel secondo trimestre è stato annullato dal rimbalzo del 33% del terzo trimestre. Solo che il dato favorevole al presidente in carica è stato pubblicato appena cinque giorni prima del voto: troppo tardi perché mutasse la percezione di declino economico. Inoltre, buona parte degli elettori aveva già votato: è stata questa la vera distorsione provocata dal voto postale, non gli inesistenti brogli.

Per i democratici è imbarazzante ammetterlo: Trump ha avuto sfortuna. È stato il caso a provocare, più che la sua vittoria quattro anni fa, la sua sconfitta un mese fa. Perché ormai il partito democratico è visto come il difensore del privilegio economico: nove dei dieci stati più ricchi hanno votato Biden, 14 dei 15 più poveri per Trump. Se il distretto di Columbia (la capitale Washington) diventasse uno stato, come vogliono molti democratici, sarebbe il più ricco d'America, con un reddito pro capite superiore del 17% rispetto al secondo, il Connecticut. E a Washington Biden ha battuto Trump 92 a 5. 

I democratici sono il partito dell'economia globale, quindi delle sue due conseguenze aborrite dai ceti popolari: ineguaglianza e diversità etnica. "Per questo il fronte popolare di Biden è destinato a sfaldarsi", sentenzia Caldwell. Come fanno i socialisti Sanders ed Elizabeth Warren a rimanere assieme ai ricconi 'big money' che hanno regalato al partito democratico la sua prima campagna da un miliardo di dollari (il 60% più di quanto ha speso Trump)? Dove sono finiti i piccoli 'donors' da dieci dollari l'uno di Obama? Questa volta hanno coperto solo il 39% dei fondi di Biden, contro il 45% di Trump. Che quindi anche qui è stato più democratico dei democratici.

Nell'analisi di Caldwell c'è posto anche per l'Italia. "Negli anni '60 del diciannovesimo secolo", scrive, "tre grandi Paesi occidentali, Germania, Italia e Stati Uniti, combatterono guerre simili di unificazione, in cui la parte più dinamica di ciascuna nazione soggiogò la parte più bucolica". Oggi negli Usa i democratici sono il partito del progresso tecnologico e demografico (la California della Silicon Valley, New York, Boston), i repubblicani dell'arretratezza. Fino a mezzo secolo fa i repubblicani erano invece il partito del capitale e i democratici quello dei lavoratori. Ma capitale e lavoro hanno bisogno l'uno dell'altro, dinamismo e tradizione no. Quindi l'attuale divaricazione rischia di essere insanabile.

Conclude Caldwell: non abbiamo mai visto mai nulla di simile prima. Ci sarà più instabilità in futuro: "Il conflitto non è più fra due visioni dell'America, ma fra due popoli differenti". Ciascuna delle fazioni è convinta di rappresentare l'incarnazione dell'America, contro l'antiamericanismo degli altri. La vicepresidente Kamala Harris ha detto ai suoi 79 milioni di elettori: "Avete scelto speranza e onestà, scienza e verità". E Michelle Obama: "Abbiamo votato contro bugie, odio, caos e divisione". Cose brutte, che però hanno ottenuto 73 milioni di voti, più di quelli mai presi da suo marito. Cose xenofobe, maschiliste, egoiste: "deplorabili", secondo la famosa definizione suicida di Hillary Clinton. Le quali tuttavia, seppur politicamente scorrettissime, hanno attratto dieci milioni di statunitensi in più rispetto al bottino di Trump nel 2016. 

Cosicché, anche se per ora ha prevalso il fascino ecumenico di Joe Biden, gli Stati Uniti del nuovo presidente sono diventati indecifrabili per tanti dei litigiosi capi della sua corte. Un po' come in Lombardia soltanto due anni fa, quando il democratico Giorgio Gori perse 29 a 49 con il leghista Attilio Fontana alle regionali. Un distacco astronomico. A qualche democratico italiano fischiano le orecchie?

Mauro Suttora

Friday, November 27, 2020

I soldi (Usa) alla Casaleggio spingono i grillini nel partito di Conte

Un’altra tegola si abbatte su M5s, rendendo ormai impresentabile l’ex partito degli onesti. Il resto lo stanno facendo la Calabria, Berlusconi e il Pd

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

ilsussidiario.net, 27 novembre 2020 

Un’altra tegola si abbatte su M5s. “Casaleggio a libro paga della Philip Morris”: il Riformista svela che la società che controlla il Movimento 5 Stelle “ha incassato da Philip Morris Italia la maxi somma di 1.950.166 euro e 74 centesimi, al netto dell’Iva”. Il giornale diretto da Piero Sansonetti ha visionato bonifici e fatture, dimostrando che la multinazionale Usa ha ricevuto da M5s in cambio una cospicua riduzione delle accise sul tabacco che le ha garantito introiti enormi. Si tratti o no di illecito, il partito dell’onestà riceve un altro duro colpo, che potrebbe accelerare la crisi del governo Conte 2 e la formazione del partito contiano.

“È notevole che a 24 ore di distanza lo scoop sui due milioni di euro della multinazionale Usa delle sigarette alla ditta Casaleggio, che controlla il primo partito italiano, non sia stato ripreso da nessuno, tranne che dal Sussidiario e dall’AdnKronos” commenta Mauro Suttora, giornalista, collaboratore di Huffington Post, già corrispondente dagli Usa per varie testate.

Perché notevole?

Quando capita qualcosa a Renzi, dopo dieci minuti tutti i siti d’informazione sono pieni di notizie, reazioni, commenti. Sui grillini, invece, silenzio. Non c’è neanche la scusa di non fare pubblicità alla concorrenza, perché il Riformista è un piccolo quotidiano neanche distribuito in tutte le edicole, che non rappresenta certo una minaccia per i grandi giornali.

È per il rapporto con Philip Morris che Casaleggio si è sfilato per tempo dalla conduzione di M5s?

Non penso che Casaleggio junior si sia sfilato per questo conflitto d’interessi, anche perché lui non lo considera tale. Ha infatti definito “fantasiosa” la notizia: non perché ne contesti la verità, ma perché prosegue nella commedia di non ritenere la sua Casaleggio Associati il cuore pulsante dei grillini. E naturalmente, come tutti i potenti colti in castagna, ha annunciato querela. Intimidire non fa mai male.

Il Riformista ha analizzato il periodo di fatturazione. O c’è un’inchiesta aperta, e le fatture escono dal fascicolo del pm; o c’è una talpa in Casaleggio; o – più intrigante – per Philip Morris M5s è diventato scomodo. È una multinazionale americana, e negli Usa è cambiato il presidente.

Per la verità la notizia che la Casaleggio fosse a libro paga del colosso del tabacco è uscita in parte già un anno fa sul Fatto Quotidiano prima che Travaglio si appiattisse a sogliola su Conte e i grillini. Ma si parlava solo di qualche consulenza mensile da 50mila euro. Ora invece si scopre che questi versamenti proseguono da due anni, fino a raggiungere la cifra – enorme per una piccola società come la Casaleggio – di 2,3 milioni.

E sulla fonte?

Sulla fonte non so nulla. Potrebbe essere una talpa grillina, della corrente governista di Di Maio ormai in rotta con i movimentisti del rampollo Casaleggio e di Di Battista.

In un modo o nell’altro, l’onestà era già perduta. Restano gli oscuri legami esteri, prima con il Venezuela, poi con una multinazionale Usa. Cosa dobbiamo pensare?

Diceva Montanelli: “Ho incontrato tanti mascalzoni che non sono moralisti, ma nessun moralista che non sia anche un mascalzone”. I grillini fanno la morale a tutti gli altri partiti da ben 13 anni, il primo Vaffa-day è del 2007. Ma ci hanno messo poco ad adeguarsi agli “incassi” dei politici.

A chi pensi?

L’eurodeputato 5 Stelle Giarrusso, ex Iena tv, è stato beccato a incassare dalla stessa Philip Morris 14mila euro per le sue spese elettorali. Fino a poco tempo fa un grillino che avesse osato farsi propaganda personale sarebbe stato espulso sui due piedi. Ricordo che l’ex eurodeputato Tamburrano e la Taverna declinarono mie offerte di intervista perché, dicevano, “poi i nostri colleghi ci massacrano accusandoci di esibizionismo”.

Forse i soldi a Giarrusso e a Casaleggio fanno parte di un unico “pacchetto” della lobby del tabacco.

Può darsi. Ottimo investimento, peraltro: il governo grillino ha abbassato le tasse alla Philip Morris per decine di milioni. Povero Di Battista, che per anni ha tuonato contro lobbies e multinazionali del tabacco. Da notare che la Casaleggio prende soldi anche da Lottomatica, in barba alle crociate grilline contro i giochi d’azzardo e la ludopatia, e da un oligopolista come Onorato, che controlla sia Moby che Tirrenia. Avete provato a prendere un traghetto per la Sardegna in agosto? Prezzi modici?

Il Sussidiario ha dedicato diversi articoli alla crisi della sanità in Calabria, una casamatta dei 5 Stelle. È un fronte pericoloso solo per M5s o anche per Conte e il governo?

Il Sud è stato il granaio dei grillini, e sarà la loro tomba. Alle regionali due mesi fa in Campania e Puglia sono crollati dal 40 al 12 per cento. Ma già alle precedenti elezioni in Calabria, vinte dalla povera Jole Santelli insultata dal ras grillino calabro Morra, il M5s si era liquefatto. Il governo Conte si regge su 300 parlamentari grillini che perderebbero quasi tutti il seggio, se si votasse. 

Forse per questo Conte sta tessendo la trama di un suo partito, di cui si parla da tempo. Ha un futuro?

Certo. Il partito neodemocristiano di Conte è accreditato del 10% dai sondaggi. Il commissario Arcuri, attraverso la sua Invitalia, sta innaffiando con 280 milioni di finanziamenti pubblici il collegio elettorale pugliese del premier. E non è un caso che un ministro grillino come Spadafora sia un ex Udeur. Non per nulla l’insulto più sanguinoso rivolto da Di Battista ai governisti è: “State diventando come l’Udeur”.

Confermi quello che ci avevi detto, pronosticando l’avvicinamento a Conte dei parlamentari grillini più capaci?

Sì. Anche Crimi, che da dieci anni era il proconsole della Casaleggio in Lombardia, l’ha mollata per mettersi con Di Maio. E pensare che Casaleggio padre lo aveva salvato, nonostante fosse stato trombato alle regionali del 2010.

Il partito contiano sarebbe un contenitore centrista. Ha o avrebbe ancora, come si diceva qualche tempo fa, il placet di Oltretevere?

Certamente. Non dobbiamo mai dimenticare che Conte è uno dei prodotti meglio riusciti del convitto romano Villa Nazareth del potentissimo cardinale di sinistra Silvestrini, guidato dall’attuale segretario di Stato vaticano Parolin.

Il Corriere scrive che a qualcuno nel Pd non dispiacerebbe votare a maggio. Lo credi possibile?

Finché il Pd nei sondaggi resta inchiodato al 20% e Renzi al 3%, difficile che lo auspichino.

L’altra ipotesi sarebbe l’agognato rimpasto di governo. È uno scenario più realistico? Attenzione però: in un rimpasto si sa come si entra, ma non come si esce.

Infatti. In teoria, se si cambiasse solo qualche ministro, Conte verrebbe rafforzato: inutile far cadere un governo appena rinnovato. Ma ormai molti nel Pd dicono “rimpasto” per dire “via Conte”, considerato troppo logoro e anche invadente: pare faccia di tutto per accumulare potere nei gangli del sottopotere e parastato, piazzando fedelissimi e avocando competenze alla presidenza del Consiglio.

Federico Ferraù

Monday, November 23, 2020

Covid: in Italia 50mila morti. Ridotti a una statistica

ORMAI CI SIAMO ASSUEFATTI: TUTTI ASSIEME IMPAURISCONO, INVECE CENTELLINATI GIORNO PER GIORNO SPARISCONO

di Mauro Suttora
HuffPost, 23 novembre 2020




“Una morte è una tragedia, un milione di morti soltanto una statistica”, disse Stalin. E 50mila? Oggi i decessi per virus in Italia raggiungono questa tremenda cifra. Ma noi sembriamo assuefatti. Anzi, a volte diciamo quasi con soddisfazione: “Oggi ‘solo’ 600 vittime, meglio delle 700 di ieri”.

Invece, 50mila bare messe una dopo l’altra sono un numero immenso: un capoluogo di provincia, un terzo di tutte le vittime civili della Seconda guerra mondiale (ma concentrati in nove mesi, non in cinque anni), i morti dell’atomica di Nagasaki.

Ci consoliamo: “Erano quasi tutti 80-90enni, anche l’influenza ne ammazza 50mila all’anno, quando fa troppo freddo d’inverno o troppo caldo d’estate ne muoiono anche di più”. E poi le famose patologie pregresse, è così in tutto il mondo, ora ci sono più asintomatici, negli Usa è peggio.

Balle. Nell’orrenda classifica vera, quella dei decessi in proporzione agli abitanti, i nostri 830 per milione troneggiano al quarto posto. Nell’intero pianeta ci superano solo Belgio, Peru e Spagna.

Chi la butta in politica e se la prendeva con i populisti Trump, Bolsonaro o Boris Johnson ora tace: Stati Uniti, Brasile e Regno Unito se la cavano meglio di noi.

E allora, come mai ci siamo abituati? Non ci accorgiamo che i nostri nonnini crepano da soli, inghiottiti dopo quel loro ultimo sguardo disperato mentre salgono in ambulanza, o quando cacciano noi parenti dal pronto soccorso?

Ci siamo commossi una sola volta, vedendo in tv la fila dei camion militari a Bergamo. Perché tutti assieme impauriscono, invece centellinati spariscono. I tremila morti delle Torri gemelle hanno fatto impressione, ma non c’è alcun 11 settembre ad accomunare i nostri 50mila. Nessun cimitero di Redipuglia a riunirli nella tragedia, ricordandoli per sempre.

Perciò ormai sono ridotti a statistica. “Dobbiamo imparare a convivere col virus”: questa è la frase più inquietante.

Oggi un esperto dell’Oms ha detto: “Dovevamo usare l’estate per attrezzare meglio le nostre strutture”. Non ha detto che forse bastava continuare a distanziarci per non impestare i nostri anziani. La curva è data per scontata, può alzarsi o abbassarsi, siamo sul picco, no sul plateau, aspettiamo la terza ondata, tranquilli ora arriva il vaccino. Si sta come d’autunno sulle statistiche le foglie. Cinquantamila.
Mauro Suttora

Friday, November 20, 2020

Il nuovo Sassoli paragrillino


HuffPost, 20 novembre 2020

David Sassoli era un ottimo giornalista. Lo ricordo, lui al Giorno e io all'Europeo, mentre indagavamo più di trent' anni fa a Reggio Calabria sull'assassinio del presidente delle Ferrovie Ligato.

Da un po' di tempo però Sassoli (bravo anche come politico) si è messo a dire sciocchezze paragrilline. 

L'ultima: "Cancellare i debiti pubblici dovuti al virus".

Gli ha risposto seccamente ieri la governatrice Bce Lagarde: "Illegale, bisognerebbe cambiare i trattati Ue". 

Grave che il presidente dell'Europarlamento finga di ignorare l'abc del diritto europeo. Sassoli è improvvisamente impazzito? Assolutamente no. Si è soltanto messo in testa di candidarsi per il Quirinale fra un anno (il potere dà alla testa, la monta come la panna, d'altra parte se ce l'hanno fatta Mogherini o Di Maio, perché lui no? Cos'ha in meno di Veltroni, un altro che freme?) 

Perciò Sassoli ha bisogno dei voti grillini. Quindi li corteggia e segue nei loro deliri.

Questo dimostra la perniciosità di tenere in parlamento 300 cascami di un ex movimento che, nonostante quasi non esista più (3% alle regionali in Veneto due mesi fa, 7% a livello nazionale), condiziona ancora chi abbisogna dei loro favori.

Poiché, contrariamente all'adorabile poliglotta Von Der Leyen, Sassoli ha grosse difficoltà a parlare inglese e francese, quindi è inadatto alla sua attuale carica (l'ennesimo politico italiano che ci fa fare figuracce all'estero), sarebbe meglio, se vuole tornare a Roma, che si candidi sindaco. Quella sì che sarebbe una carica alla sua portata. E utile per il Pd.

Mauro Suttora 

Monday, November 16, 2020

Grillini: la base sta con Di Battista

Conte farà un partito con Di Maio


intervista a Mauro Suttora


ilsussidiario.net, 16 novembre 2020


Si sono conclusi gli Stati generali di M5s. La crisi resta e si acuisce: nel partito prevalgono i furbi alla Di Maio, la base sta con Di Battista


Come sono lontani i tempi di Casaleggio. Non quelli di Davide, ma del padre Gianroberto. Una visione avveniristica, la sua; seducente, furba, per molti versi pericolosa. È a lui che pensano probabilmente i pochi militanti rimasti, quando contemplano l’esito degli “Stati generali”, assemblea – virtuale, è d’obbligo – di un Movimento 5 Stelle che cerca di non ridursi a gioco di poltrone.


La due giorni del Movimento si è conclusa fissando tre risultati: guida collegiale, alleanze programmatiche ma non strutturali con gli altri partiti, vincolo del doppio mandato. Ma gli Stati generali restituiscono un partito in crisi profonda, tutto meno che trasparente, spaccato tra movimentisti e governisti, “arrivisti e banderuole”, dice Mauro Suttora, giornalista, osservatore clinico dei 5 Stelle fin dagli esordi. “Sopravvivono solo grazie al virus, come il governo Conte. Ma la base sta con Di Battista”.


Il risultato di questo congresso politico anomalo rafforza o indebolisce Conte, presidente del Consiglio indicato dai 5 Stelle?


Questa parodia di congresso lo indebolisce, perché i grillini sono spaccati. Ma ormai Conte è riuscito a separare il suo destino dal loro. Anzi, se nel M5s prevarranno Di Battista e Casaleggio jr, lui potrà diventare, con una sua lista, il rifugio di molti grillini “democristiani” come Di Maio o Spadafora.


Le tue osservazioni sui meccanismi di designazione dei 30 “delegati” nazionali?


Sono riusciti a inventare le elezioni con risultato segreto. Su un migliaio di candidati, hanno pubblicato solo i nomi dei primi 30, senza specificare quanti voti hanno avuto ciascuno di loro, e quanti i non eletti. Mi sembra un delirio, e fanno bene Casaleggio e Di Battista a pretendere di conoscere i risultati. Soprattutto in un partito che era nato in nome della trasparenza.


Sarà “guida collegiale”. O dobbiamo aspettarci che questa formula serva ad avallare la leadership di qualcuno?


Ormai nei grillini ci sono due poli: i governisti filo-Pd per convinzione (Fico) o convenienza (Di Maio) e i movimentisti: anche qui per convinzione (Di Battista) o convenienza (Casaleggio). Altri big come Paola Taverna cercano di barcamenarsi, ma il solco è quello. La maggioranza del nuovo direttivo con sette posti verrà decisa dal metodo elettorale che sceglieranno. Ma la base sta con Di Battista.


Di Maio esce rafforzato dagli Stati generali?


Direi di no. Nelle votazioni delle assemblee regionali e dei 30 “oratori” nazionali ha prevalso Di Battista. Soprattutto sul divieto di secondo mandato.


È arrivato da più voci un no ad alleanze strutturali. È realmente possibile per M5s oggi stare da soli?


È un finto problema. Grillini e Pd possono correre separati e coalizzarsi dopo il voto, come succederà alle comunali in primavera.


Come valuti la parabola recente di Davide Casaleggio, da dominus dietro le quinte fino alla sua non partecipazione?


In un movimento è difficile che la leadership si trasmetta ereditariamente, i grillini non sono la Corea del Nord. Bisogna vedere se il rampollo Casaleggio andrà d’accordo con Grillo, più che con Di Maio.


Tu hai detto più volte che la scissione è nelle cose. Cosa farà di Battista?


Di Battista cercherà di non farsi fregare da Di Maio e Spadafora che sono dei politici vecchio stile, tecnicamente perfetti, furbissimi. Probabilmente non ci riuscirà, perché è troppo egocentrico ed esibizionista per far carriera in politica. Lo vedo volteggiare a “Ballando con le stelle” in tv.


Che cos’è oggi M5s? Un fu movimento, un partito mancato, qualcosa di nuovo?


Il M5s non esiste più dalle europee del 2019, quando dimezzò i suoi voti al 17%. Alle regionali di due mesi fa è ulteriormente crollato al 7%, e al 3% in Veneto. Sopravvive solo grazie al virus, come il governo Conte. La pandemia ha mummificato entrambi, prolungandone l’agonia. Ormai è accanimento terapeutico.


Chi deciderà davvero? Di Maio? Grillo, apparentemente assente? O Conte?


Quando Grillo uscirà dalla sua depressione, vedremo cosa dirà. Ma lo capisco: vedere la sua creatura ridotta così, in mano ad arrivisti e banderuole che passano indifferentemente dalla destra di Salvini alla sinistra, è sconfortante. Lo hanno detto molti attivisti alle assemblee locali: “Rischiamo di cambiar nome in Movimento 5 Poltrone”. Ma sono stati gentili con i loro capi: non è un rischio, è una certezza.

Federico Ferraù 

Sunday, November 15, 2020

Casaleggio jr: chi di segreto ferisce, di segreto perisce

di Mauro Suttora

Huffington Post,15 novembre 2020


Davide Casaleggio attacca i vertici grillini che nascondono i voti ottenuti dai trenta oratori ammessi a parlare nei loro ‘stati generali’.

Si tratta dell’unica occasione da anni in cui i ‘registrati’ al Movimento 5 stelle hanno potuto esprimere una preferenza fra i loro capi, e le diverse tendenze che rappresentano: Di Maio, Di Battista, Taverna, Fico. Importantissima, quindi.

È naturale allora volerne conoscerne i risultati, come peraltro avviene da 2.400 anni in democrazia: dopo le elezioni i voti si contano e il risultato viene annunciato.

Ma i grillini no. Loro sono diversi. Si ritengono più democratici degli altri. Quindi hanno inventato le votazioni con risultato segreto. Unico caso al mondo, conclavi a parte.

I fautori della non trasparenza così si giustificano: questa consultazione è servita solo per decidere a chi concedere il diritto di parola, fra i mille che si sono candidati. Non ha un significato politico, non vuole creare divisioni, non deve influenzare le vere elezioni del direttivo, che si terranno dopo gli stati generali. Un po’ gli stessi motivi per cui i sondaggi vengono vietati negli ultimi 15 giorni prima delle elezioni.

Non si capisce tuttavia in che modo sapere che l’uno ha preso x voti e l’altro y pregiudicherebbe il risultato finale. Si sussurra infatti che Di Battista (il preferito di Casaleggio) abbia ricevuto molti più voti di Di Maio. Ma questo potrebbe spingere gli iscritti sia a salire sul carro del vincitore, sia al contrario a contrastarlo, mobilitando gli avversari. 

I politologi li chiamano effetti ‘bandwagon’ e ‘diga’. I democristiani hanno governato per mezzo secolo l’Italia non tanto grazie a meriti propri, quanto per la paura che incutevano gli avversari comunisti.

Ma non pretendiamo che i grillini apprezzino tali finezze metodologiche. Quel che è sicuro, è che Casaleggio junior è l’ultimo titolato a protestare contro questa censura. Perché l’ha sempre praticata.

Anche nel 2014, infatti, le primarie grilline per le elezioni europee nascosero le preferenze ottenute dai candidati. Furono rivelati solo i nomi dei vincitori, per deciderne il posto in lista. E chi protestò venne espulso.

Chi di segreto ferisce, insomma, di segreto perisce. E la società Casaleggio ha sempre gestito il M5s con metodo proprietario, sospettoso fino alla paranoia. Chi dissente è subito dissidente.

Alle primarie per il sindaco di Milano nel 2016, per esempio, fra le pochissime a essere effettuate con voto fisico e non online, i Casaleggio padre e figlio rifiutarono perfino di consegnare gli elenchi degli iscritti. Cosicché ricordo che per sapere chi aveva diritto a votare, al povero Vito Crimi (allora, diversamente da oggi, fedele ai Casaleggio e anzi loro proconsole in Lombardia) toccò installare vicino all’urna dei computer in cui i votanti dovevano digitare la propria password per dimostrare che potevano accedere al blog di Grillo.

Tuttora, incredibilmente, il principale partito di governo italiano tiene segreti gli elenchi degli aderenti perfino ai suoi eletti più importanti. Neanche a Di Maio o Taverna, quando organizzano un evento a Pomigliano o a Roma, è permesso invitare tramite mail gli iscritti locali. I loro nomi sono custoditi gelosamente da Davide Casaleggio.

Ecco la battaglia che divamperà fra i grillini nelle prossime settimane e mesi: quella per il possesso della mailing list nazionale, con 180mila registrati. Preziosissima, in un movimento organizzato esclusivamente online. Difficilmente la società Casaleggio vi rinuncerà: nel marketing questi indirizzari valgono milioni. 

Il grottesco voto segreto di oggi, quasi nordcoreano, è solo l’antipasto delle contraddizioni che lacereranno i grillini: promettevano di essere i più democratici e trasparenti, ma oggi somigliano a Scientology. 

Friday, November 13, 2020

Prima di Conte la letterina di Natale arrivò a Kennedy

I potenti hanno sempre ricevuto centinaia di missive dai bambini. Anche Stalin

Huffington Post, 13 novembre 2020

Non è la prima volta che un bambino, preoccupato per Babbo Natale, si rivolge a un politico. Sessant’anni prima di Tommaso Z., 5 anni, di Cesano Maderno (Monza Brianza), che ha chiesto a Giuseppe Conte di garantire al vecchio Santa Claus “un’autocertificazione speciale per consegnare i doni a tutti i bambini del mondo”, Michelle Rochon, 8 anni, scrisse una lettera dal suo Michigan a John Kennedy: “Ferma i russi, per favore. Se bombardano il polo Nord uccideranno Babbo Natale”.

“Non preoccuparti, ieri ho parlato con lui e sta bene. Farà di nuovo il suo giro questo Natale”, le rispose il presidente Usa, più sintetico del nostro premier. Era il 28 ottobre 1961. Due giorni dopo i sovietici sganciarono la bomba Zar, il più potente ordigno all’idrogeno mai sperimentato, sull’isola Nuova Zemlja, oltre il circolo polare artico. Era sei volte più devastante di quella di Hiroshima, il fungo atomico raggiunse l’altezza di 64 chilometri e il lampo fu visto a mille chilometri di distanza. L’onda d’urto rase al suolo le case di legno di paesi lontani centinaia di chilometri e danneggiò finestre anche in Finlandia.

Le circostanze oggi sono serie (virus), ma non così drammatiche. E Conte non ha rinunciato a farsi un po’ di propaganda pubblicando su Facebook la sua lunga risposta a Tommaso, prodigio già alfabetizzato: “Voglio rassicurarti, Babbo Natale mi ha garantito che già possiede un’autocertificazione internazionale: può viaggiare dappertutto e distribuire regali a tutti i bambini del mondo. Senza nessuna limitazione. Mi ha poi confermato che usa sempre la mascherina e mantiene la giusta distanza per proteggere se stesso e tutte le persone che incontra. L’idea di fargli trovare sotto l’albero, oltre al latte caldo e ai biscotti, anche del liquido igienizzante mi sembra ottima. Una buona strofinata gli permetterà di disinfettare ben bene le mani e di ripartire in piena sicurezza».

A questo punto il povero Tommaso già dorme, tramortito dalla logorrea del premier. Che però va avanti: “Sono contento di sapere che tu e i tuoi compagni rispettate con scrupolo tutte le regole, in modo da proteggere anche mamma e papà, i nonni, e le persone più care. Per questo motivo ti annuncio che non sarà necessario precisare nella letterina a Babbo Natale che sei stato bravo: gliel’ho detto io. Gli ho raccontato che quest’anno in Italia è stato un anno molto difficile e tu e tutti i bambini siete stati adorabili. Ho saputo anche che vuoi chiedere a Babbo Natale di mandare via il coronavirus. Non sprecare l’occasione di chiedere un regalo in più. A cacciare via il coronavirus ci riusciremo noi adulti, tutti insieme. Così tu e i tuoi compagni potrete tornare presto a giocare liberi e felici e ad abbracciarvi tutti. Spensierati come sempre».

Sui social naturalmente si è scatenata l’ironia. Anche perché i bambini sembrano essere diventati grafomani in tempi recenti: un certo Manuel da Settimo Torinese avrebbe inviato la sua personale solidarietà a Matteo Salvini per il processo di Catania sulla nave Gregoretti.

Così Luca Bizzarri ha scritto una parodia di lettera: «Caro Luca, sono Adelmo, un bambino di 6 mesi, e ho una domanda da farti. Secondo te il nostro presidente del Consiglio pensa davvero che siamo tutti così coglioni? Perché già ci aveva provato quell’altro signore, ti ricordi, quello che diceva che un bambino gli aveva scritto una lettera perché lo vogliono processare. E io ho pensato va be’ dai, è un po’ un pirlone, ci sta. Ora ci prova anche questo signore, ma commette un errore banalissimo: un bambino di 5 anni non scrive così. Per vedere come scrive un bambino di 5 anni deve leggere i post su Instagram del suo ministro degli Esteri. Ciao, salutami Babbo Natale, che magari non esiste, ma non esiste neanche il ciondolo anti Covid, il senso dello Stato, il rispetto della carica istituzionale, un’opposizione decente, il senso del ridicolo». 

Bizzarri ha pubblicato anche la propria risposta: «Caro Adelmo, come darti torto. Ma se puoi scrivere a qualcun altro che io i bambini finti non li sopporto. Sopporto a malapena quelli veri”.

In realtà presidenti democratici e dittatori hanno sempre ricevuto lettere dai ragazzini, più o meno imboccate dai loro genitori. Claretta Petacci scrisse al suo idolo Benito Mussolini già a 14 anni, nel 1926, dopo l’attentato di Violet Gibson al duce che l’aveva impressionata. Ne sarebbe diventata l’amante solo dieci anni dopo.

Innumerevoli furono anche le richieste d’intercessione, come questa inviata il 5 gennaio 1942 da tre ragazze ad Anna Maria, figlia di Mussolini, per farsi autografare tre cartoline col suo ritratto: “Ci troviamo per poco a Roma per poi ritornare nella nostra amata Sicilia. Siamo fiere di essere in prima linea a fronteggiare le offese nemiche, e volentieri sopportiamo qualche sacrificio perché presto arrida la vittoria alia Patria nostra diletta. Ci permettiamo inviarti tre foto del tuo grande Papà perché Egli voglia compiacersi di apporvi la sua firma che noi terremo come carissimo ricordo”.

Più tragica la vicenda di Engelsina Markizova, fotografata nel 1936 a sei anni con uno Stalin bonario e sorridente. Lei era figlia di un dirigente comunista dell’estremo oriente sovietico. La foto ebbe un tale successo che venne pubblicata dai giornali del regime con la scritta ‘Grazie, compagno Stalin, per la nostra infanzia felice’. Dalla foto venne addirittura tratta una statua, eretta a Mosca e intitolata a ‘Stalin, l’amico dei bambini’.

Engelsina ha potuto raccontare la vera storia della sua vita soltanto a 60 anni, nel 1990, dopo il crollo del comunismo. Un anno dopo quella foto suo padre, Sergei Markizov, venne arrestato come presunto agente dei giapponesi e fucilato. Sua madre, che non sapeva dell’esecuzione, fece scrivere alla bambina una patetica lettera a Stalin, per ricordargli la foto e chiedere clemenza verso un vero comunista. 

Il dittatore rispose facendo arrestare anche la madre di Engelsina, che venne esiliata in Kazakistan come nemica del popolo e morì a 32 anni, probabilmente sgozzata dalla polizia segreta. Engelsina fu affidata a una zia. La sua identità nella famosa foto venne cambiata con quella di un’altra bambina, Tagiki Mamlakat Nakhangova.

Ma i principali destinatari delle lettere dei bambini sono i loro idoli di musica e cinema. Gigliola Cinquetti ha depositato al museo Storico di Trento il suo archivio con ben 150mila lettere di ammiratori e ammiratrici. Ecco una delle più divertenti, spedita dalla tredicenne R.S. l’8 dicembre 1966: “lo ti ho scritto questa lettera per dirti si mi vuoi aiutarmi a farmi venire con te dove stai tu, perché io vorrei scrivermi a farmi cantanta, e io sono sicura che tu l’accetterai”.

Mauro Suttora