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Sunday, January 14, 2024

Come 200 anni fa, tocca sempre agli angloamericani liberarci dai pirati

di Mauro Suttora

Stessi protagonisti, stessi motivi di conflitto. È cambiato solo il luogo: mar Rosso invece del Mediterraneo occidentale. E speriamo che le analogie si fermino qui

Huffingtonpost.it, 14 gennaio 2024

È una replica identica a quella di 200 anni fa. Stessi protagonisti, stessi motivi di conflitto: Stati Uniti e Regno Unito contro pirati arabi che colpiscono navi mercantili. È cambiato solo il luogo: mar Rosso invece del Mediterraneo occidentale.

All'inizio dell'800 americani e inglesi si stufano dei corsari barbareschi che partono da Algeri, Tunisi e Tripoli per assaltare i loro bastimenti. Muovono loro una guerra che dura anni, subiscono la cattura della fregata Philadelphia con 300 ostaggi, invadono la libica Derna con i loro primi marines; alla fine, nel 1816, l'ammiraglio statunitense Stephen Decatur proclama la vittoria. 

Per anni gli Usa avevano preferito l'appeasement alla guerra: dalla fine del '700 pagavano l'astronomica cifra di un milione di dollari annui ai bey e dey locali in cambio della tranquillità di navigazione. Ma il presidente Thomas Jefferson nel 1801 passa alla linea dura perché i barbareschi pretendono ancora più soldi. 

Nel frattempo americani e inglesi trovano il tempo di farsi guerra fra loro oltre che a Napoleone: i soldati britannici arrivano perfino a Washington, incendiando Casa Bianca e Campidoglio. Ma subito dopo ritrovano l'unità contro il nemico comune, che taglieggia una fra le loro principali fonti di ricchezza, allora come oggi: il commercio internazionale. E ripristinano, dopo secoli, la libertà di navigazione nel Mediterraneo.

Le coste italiane sono tuttora punteggiate da centinaia di 'torri saracene': dal Medioevo servivano ad avvistare i pirati, prima arabi e poi turchi, che per quasi un millennio hanno razziato le nostre città di mare. L'unica zona indenne era l'alto Adriatico, grazie alla protezione di Venezia. Ma dalla Liguria alla Sardegna, dalla Toscana alla Puglia, il principale terrore delle popolazioni costiere fino al '700 sono stati i pirati. Che da Finale Ligure all'Elba, da Ischia a Otranto, non si limitavano a devastare, rubare, violentare e massacrare: i prigionieri portati via venivano ridotti in schiavitù e venduti nei mercati ottomani.

Così, nel loro ultimo assalto ad Algeri del 1816, gli inglesi liberarono un migliaio di schiavi cristiani. Ma i pirati barbareschi continuarono i loro abbordaggi, e allora fu la Francia a intervenire. Inflissero loro duri colpi, e nel 1830 per eliminarli definitivamente invasero l'Algeria. Un'occupazione coloniale che durerà fino al 1962. Si spera che le similitudini con due secoli fa finiscano qui: che per far cessare gli attacchi houthi alle navi del mar Rosso non sia necessario sbarcare nello Yemen.

Friday, December 09, 2022

Odo falchi far festa. Grazie a Putin aumento record delle spese militari Usa



Hanno vinto loro, un voto quasi plebiscitario alla Camera su un incremento che supera perfino le richieste del presidente Biden. Soltanto la Cina tiene i livelli di Washington, che a questi ritmi presto arriveranno a mille miliardi

di Mauro Suttora

HuffPost.it, 9 dicembre 2022  

Hanno vinto i falchi. La Camera Usa ha aumentato le spese militari dai 780 miliardi di dollari di quest'anno a 858 per l'anno prossimo. Un incremento impressionante: supera di ben 45 miliardi perfino la richiesta del presidente Joe Biden, il quale si sarebbe accontentato di 813 miliardi. Il dibattito ora passa al Senato, ma l'ampiezza bipartisan del voto alla Camera (350 sì contro 80 colombe) esclude sorprese. 

L'aumento-monstre ha due cause: la guerra in Ucraina e l'inflazione. 

Il bilancio militare 2023 prevede altri 800 milioni di armamenti per l'Ucraina. Che però sono una goccia rispetto ai 60 miliardi erogati extra-bilancio quest'anno in aiuti per Kiev, sia civili che bellici. Quanto all'inflazione, attualmente all'8% negli Usa, verrà compensata da un +4,6% per gli stipendi dei quasi tre milioni di militari statunitensi. 

Festeggiano i deputati democratici e repubblicani di decine di Stati: tutti quelli che hanno fabbriche d'armi nei propri collegi. La Lockheed sfornerà altri aerei F-35, la General Dynamics parteciperà all'espansione della marina da guerra: da 296 a 321 navi entro il 2030. Anche la nostra Fincantieri ne varerà qualcuna, con la sua sussidiaria americana.

Nel 1999 le spese militari statunitensi erano a 298 miliardi. Poi una progressione a razzo: le guerre in Iraq e Afghanistan le fecero lievitare fino ai 533 miliardi del 2005. Con Barack Obama l'aumento fu più contenuto: 633 miliardi del 2015. Sotto Donald Trump un altro salto di cento milioni annui. E ora le nuove minacce: soldati Usa in Europa aumentati da 80 a 100mila; dieci miliardi in più per Taiwan; il budget per le armi nucleari che passa da 43 a 51 miliardi annui.

Soltanto la Cina sta incrementando le spese militari quanto Washington: raddoppiate in pochi anni, fino agli attuali 300 miliardi (come l'intera Europa). La Russia dichiarava una settantina di miliardi prima della guerra, ora Putin ne stanzia 140 per il 2023.  Ma gli Usa sono irraggiungibili: a questi ritmi, fra pochi anni arriveranno a mille miliardi. Quanto tutti gli altri stati della Terra messi assieme. 

Friday, January 01, 2021

Dalai Lama, il mondo in campo per 'garantire' la successione

LA CINA VIOLA LA LIBERTA' RELIGIOSA IN TIBET

di Mauro Suttora

HuffPost, 1 gennaio 2021

Il 6 luglio 2021 il Dalai Lama compie 86 anni. Guida i buddisti tibetani da quando ne aveva 15: batte anche la regina Elisabetta con i suoi 70 anni di durata (in esilio dal 1959). E nella storia è superato soltanto dai 72 anni del regno di Luigi XIV.

Ma nessuno è immortale, quindi è aperta la sua successione. Il regime cinese, che occupa il Tibet dal 1950, pretende di approvare la nomina del prossimo Dalai Lama, così come fa con i vescovi cattolici. Ma mentre il Vaticano ha abbassato la testa in questa anacronistica lotta per le investiture in ritardo di nove secoli sull'Europa, i tibetani non ne vogliono sapere di sottostare ai diktat comunisti.

I precedenti sono agghiaccianti. L'ultima volta che i buddisti hanno osato designare un Lama da soli, nel 1995, la Cina lo ha rapito, nominandone un altro fedele al regime. Non si sa più nulla dello sventurato Panchen Lama, che allora aveva sei anni e oggi ne avrebbe trenta.

Per evitare che il misfatto si ripeta, il 27 dicembre negli Stati Uniti è entrato in vigore il Tpsa (Tibetan policy and support Act), legge bipartisan che protegge il diritto dei buddisti tibetani a scegliere il loro prossimo Dalai Lama senza interferenze da parte della Cina. I governanti di Pechino che cercassero di nominarlo saranno colpiti da sanzioni. È auspicata una soluzione negoziale fra la Cina e i rappresentanti del Dalai Lama, ma intanto si vieta l'apertura di nuovi consolati cinesi negli Usa finché Pechino continuerà a vietare un consolato statunitense a Lhasa, capitale del Tibet. Vengono finanziati progetti umanitari dentro e fuori dal Tibet. E si elogia la democratizzazione del governo tibetano in esilio: il Dalai Lama dal 2011 ha trasferito l'autorità politica a Lobsang Sangay, primo premier laico regolarmente eletto. Il quale ha ribadito che non chiede più l'indipendenza del Tibet, ma soltanto l'autonomia.

Fra i principali artefici del Tibet Act, il primo dopo quello del 2002 che dettava la politica statunitense sulla regione oppressa, c'è l'Ict (International Campaign for Tibet), la fondazione di Richard Gere guidata da sette anni da un italiano: il 45enne Matteo Mecacci, deputato radicale fino al 2013, ora nominato segretario generale per le Istituzioni democratiche e i Diritti umani dell'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). Gere è stato invitato dal Senato Usa in giugno a parlare sull'argomento.

"Sappiamo che il governo cinese non cambierà il suo atteggiamento sul Tibet solo per questa legge", commenta Mecacci, "ma il Tpsa chiarisce che la libertà religiosa è importante, e che ci saranno conseguenze concrete se Pechino continuerà a violarla".    

Nel 2007 la Cina ha introdotto nuove regole sulla nomina dei Lama 'reincarnati', e i governanti di Pechino ripetono in ogni occasione che spetta a loro selezionarli. Ma il Dalai Lama ha avvertito che la reincarnazione potrà avvenire solo in un contesto di libertà, come quello dell'India dove vive in esilio dopo la fuga dalla dittatura. E che nessuno rispetterà un eventuale futuro Dalai Lama imposto dalla Cina.     

Lo scorso luglio per la prima volta Washington ha vietato l'entrata negli Usa ai gerarchi cinesi accusati di avere impedito a cittadini statunitensi l'accesso al Tibet. In settembre Joe Biden ha dichiarato che anche la sua amministrazione difenderà il popolo tibetano, che lui incontrerà il Dalai Lama, finanzierà i programmi in lingua tibetana di Radio free Asia e Voice of America, e che assieme agli alleati premerà su Pechino affinché riprenda il dialogo diretto con i rappresentanti tibetani per arrivare a una "genuina autonomia".

Cosa farà ora l'Europa? Josep Borrell, capo della politica estera Ue, ha dichiarato che anche l'Unione si oppone a ogni interferenza cinese sulla successione al Dalai Lama. Ma finora soltanto Belgio, Germania e Olanda hanno espresso posizioni simili. Manca l'Italia, e soprattutto mancano strumenti concreti ed efficaci per prevenire la malefatta annunciata.

Mauro Suttora

Friday, September 11, 2020

11 settembre: 19 anni dopo, il mondo non è mai stato così pacifico

di Mauro Suttora

Huffington Post, 11 settembre 2020

Avremmo tutti firmato perché finisse così. L′11 settembre 2001 eravamo convinti che fosse iniziata la terza guerra mondiale, occidente contro islamisti. Dopo l’attacco alle Torri ci preparavamo a lustri di attentati, conflitti, infiniti e immensi lutti. Invece, 19 anni dopo, il mondo non è mai stato così pacifico. Perfino in Medio oriente non combatte più nessuno. In Yemen gli houthi filoiraniani al massimo sparacchiano droni verso l’Arabia Saudita.

Certo, mezza Africa è infestata da Boko Haram, Shebab e altre bande di Allah. A Bagdad e Kabul ci sono gli endemici attacchi kamikaze. Ma andate a Bassora: non è mai stata così ricca e fiorente, così come i due terzi dell’Iraq (il curdo e lo sciita). Nessuno lo sa, perché solo le brutte notizie fanno notizia. E in Afghanistan chi sono i peggiori nemici dei talebani? L’Isis. “Finché i se copin fra de lori”, dicevano crudelmente a Trieste commentando la guerra jugoslava.

Insomma, “mission accomplished”, missione compiuta, come avventatamente proclamò Bush junior nel 2003? No, i soldati Usa sono ancora tremila in Iraq e ottomila in Afghanistan, dove anche l’Italia ha 800 militari. Ma sono residui, e proseguono le trattative con gli eredi del mullah Omar.

Da noi in Europa sono passati quattro anni dagli ultimi grossi attacchi a Nizza, Bruxelles e Parigi. Abbiamo imparato a difenderci con i jersey dai camion assassini, sappiamo che contro i pazzi isolati che brandiscono coltelli c’è poco da fare se non schedare i sospetti.

Sicuramente ci sono ancora centinaia di madrasse nel mondo che predicano la guerra santa, e in qualche nostro garage imam fanatici incitano alla violenza. Ma l’ultimo islamista bloccato e ucciso in Italia, a Sesto San Giovanni, risale al 2016 (il killer di Berlino in fuga).

Fra un anno ricorderemo l’anniversario pieno delle Torri gemelle, ma anche il decennale dell’eliminazione di Osama (che i nostri figli ormai confondono con Obama). Come tutti i virus, anche l’estremismo islamico ha avuto la sua seconda ondata, l’Isis. Che gli Usa questa volta hanno avuto l’intelligenza di combattere senza “boots on the ground”, niente stivali sul terreno. Il lavoro sporco lo abbiamo fatto fare a dei mascalzoni relativi: Assad, Putin, Erdogan. E ai curdi siriani, che poi abbiamo tradito vergognosamente, e questo è stato inescusabile.

Ricordate quanta paura avevamo nel 2015, durante i sei mesi dell’Expo milanese? Sembra un’altra era. Tocchiamo ferro. Congratuliamoci con i nostri servizi segreti e investigatori che hanno annullato la bestia jihadista. Quanti attentati hanno sventato in Italia, Europa, Usa? Impossibile saperlo. Le buone notizie non fanno notizia. Come diciamo per il Covid: non abbassiamo la guardia. Ma pare proprio che dall′11 settembre 2001 fra i musulmani abbia prevalso la stragrande, pacifica maggioranza silenziosa.

Mauro Suttora